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Proposte contro gli sprechi e i privilegi delle caste

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« Le bugie di BerlusconiMastella, grazie! »

DA MANI SPORCHE:Falso in bilancio

Post n°542 pubblicato il 05 Marzo 2008 da albert.z
 

La controriforma del falso in bilancio riscrive in dieci giorni l'articolo 2621 del Codice civile. Ed è agevolata anche da un provvidenziale «infortunio» del capogruppo Ds alla Camera, Luciano Violante, che chiede addirittura la «procedura d'urgenza» per il dibattito in aula. Così viene approvata fulmineamente come legge-delega il 28 settembre 2001. La sinistra verrà ringraziata per la morbidissima opposizione con un addolcimento del nuovo regime fiscale previsto per le cooperative. Nel febbraio 2002, a tempo di record, il governo eserciterà la delega e approverà il decreto delegato attuativo della riforma, firmato personalmente dal premier Berlusconi, cioè dal principale beneficiario. Di fatto la Casa delle libertà ha ripescato il progetto Mirone, rimasto in mezzo al guado nel quinquennio dell'Ulivo, e l'ha trasformato in una legge che ha per relatori Giorgio La Malfa (condannato definitivo per Enimont) e Gaetano Pecorella (l'avvocato del premier). L'altro difensore di Berlusconi, Ghedini, ha collaborato con preziosi emendamenti. In pratica, i legali del presidente del Consiglio si trasferiscono in Parlamento e collaborano attivamente a mandare in fumo i suoi processi. L'«Economist» parla di «una legge di cui si vergognerebbero persino gli elettori di una repubblica delle banane». Cinque, sostanzialmente, le novità.

1) Il falso in bilancio, da reato «di pericolo» (per i soci, ma soprattutto per il mercato, i creditori, i fornitori, gli investitori e i concorrenti), diventa un reato «di danno» (se non danneggia i soci, non è più reato: ma chi falsifica i bilanci per pagare tangenti lo fa proprio per avvantaggiare i soci, conquistando illegalmente nuove fette di mercato).
2) Le pene massime, già lievi, scendono ancora. Per le società quotate, scivolano da cinque a quattro anni, e per le non quotate addirittura a tre. Con la conseguenza di impedire le intercettazioni e la custodia cautelare in carcere anche nelle ipotesi aggravate, e di avvicinare ancor di più la prescrizione: il termine massimo passa da quindici a sette anni e mezzo (anche senza le attenuanti generiche) per le società quotate e addirittura a quattro e mezzo per le non quotate.
3) Per le società non quotate, il falso in bilancio sarà perseguibile solo a querela di parte (azionisti o creditori). Per le quotate, invece, anche d'ufficio. Così, paradossalmente, se il falso in bilancio danneggia i soci (ipotesi più grave), sarà perseguibile soltanto a querela di parte, e non più d'ufficio dalla magistratura. Se invece non cagiona danni (ipotesi meno grave), rimane perseguibile d'ufficio, sia pur con una pena irrisoria e una prescrizione fulminea. In ogni caso, fra attenuanti e sconti vari, ogni pena detentiva sarà convertibile in una piccola multa. Il commento del giudice Davigo è impietoso:

Non esistono, che io sappia, processi per falso in bilancio scaturiti dalla denuncia del socio di maggioranza, che di solito è il mandante e il beneficiario del reato. È semplicemente assurdo pensare che l'azionista di maggioranza sporga denuncia contro i suoi amministratori, che hanno eseguito i suoi ordini. Anche perché, volendo, può cacciarli via. Quanto al socio di minoranza, se anche sporge denuncia, è facile fargliela ritirare risarcendogli il danno subito, o anche di più. Stabilire la perseguibilità del falso in bilancio a querela dell'azionista è come stabilire la perseguibilità del furto a querela del ladro.

4) Vengono totalmente depenalizzate alcune fattispecie di reato, come il falso nel bilancio presentato alle banche (magari per ottenere crediti indebiti in situazioni di pre-fallimento).
5) Quel che resta del falso in bilancio non è più punibile al di sotto di alcune «soglie quantitative» di contabilità occulta. Chi tace a bilancio fino al 5 per cento del risultato d'esercizio (calcolato sull’utile prima delle imposte), o fino al 10 per cento delle valutazioni, o fino all’ 1 per cento del patrimonio netto della società (che comprende beni immobili e immateriali, partecipazioni e ammortamenti, utili, partecipazioni e magazzini) non rischia nulla. «È la famosa modica quantità - scherza amaro il pm Francesco Greco - magari per uso personale, come per la droga...».

 
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