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PAOLO SYLOS LABINI SUL CONFLITTO D’INTERESSI

Post n°558 pubblicato il 13 Marzo 2008 da albert.z

 

 

Tratto da:http://151.100.71.71/sylosPersonal/pslnews_2001.html 

Apparso su Repubblica del 31/5/01

Il premier e la ragnatela del conflitto di Interessi di Paolo Sylos Labini

Giovanni Sartori sul "Corriere della Sera" del 25 maggio ed Eugenio Scalfari su "Repubblica" del 27 maggio discutono il conflitto d'interessi rappresentato dalle televisioni di Berlusconi, il problema che avvelena la nostra vita politica. Sia Sartori che Scalfari indicano in una vendita genuina la via di uscita; Sartori suggerisce la ripartizione di Mediaset in tre aziende distinte per facilitarne la vendita; Scalfari si appella al Capo dello Stato per impedire che Berlusconi ottenga il monopolio totale della televisione, assicurando in qualche modo l'indipendenza delle reti pubbliche. Entrambi si preoccupano che il Cavalieri inventi qualche espediente per presentare una soluzione solo formalmente valida nel caso del "blind trust" è una soluzione addirittura ridicola. La diffidenza è doverosa. Sono d'accordo sulla vendita piena genuina di Mediaset. C'è tuttavia una questione preliminare. Le televisioni, che si basano su concessioni pubbliche, avrebbero portato con sé l'ineleggibilità non solo di Berlusconi ma anche dei suoi principali collaboratori, fra cui Dell'Utri. Aveva ragione Confalonieri quando dichiarò (Repubblica, 25 giugno 2000) che l'unica soluzione è l'ineleggibilità; aggiunse però che l'Italia non è né l'Inghilterra, con la sua lunga tradizione liberaldemocratica, né l'America, che ha una tradizione simile ed in più la legge Sherman: noi siamo l'Italia e dobbiamo accontentarci di molto meno pressoché di nulla. Vero, siamo diversi, replicai (Repubblica, 9 luglio 2000), ma proprio questo è il punto: non siamo un paese normale, cioè civile, ma dobbiamo metterci sulla strada per diventarlo. C'è una legge che già stabilisce l'ineleggibilità per i titolari di concessioni pubbliche e per i suoi collaboratori ed è del 1957.

Nel 1996 Cimiotta, Galante Garrone, Pizzorusso, Bozzi, Flores d'Arcais, Giolitti, Laterza ed io costituimmo un gruppo di pressione per far rispettare quella legge nei riguardi sia di Berlusconi che di Cecchi Gori: non ci riuscimmo e la giunta per le elezioni prese per buono un miserabile cavillo che D'Alema poco tempo fa ha pudicamente definito «una finzione». La legge però resta e questa volta i ds hanno una posizione diversa nella giunta allora votarono col Polo e noi torniamo alla carica. Allora i ricorsi degli interessati furono pochissimi, oggi sono diverse decine; allora l'Europa se ne infischiava e la Corte di Strasburgo respinse il ricorso che presentammo invocando il principio dello «stato di diritto» secondo cui deve sempre esserci la possibilità di appellarsi contro una decisione lesiva dei diritti dell'uomo. Oggi, con la nuova posizione dei ds, i numerosi ricorsi e il mutato atteggiamento dell'Europa, le prospettive non sono oscure, neanche per il ricorso a Strasburgo, che noi ripresenteremmo se la giunta per le elezioni , a maggioranza di centrodestra, dovesse accogliere il vecchio cavillo. Pizzorusso c'informa che recentemente la Corte ha accolto un ricorso in materia elettorale riguardante la Gran Bretagna che potrebbe costituire un precedente a noi favorevole. E non c'è solo Mediaset, che certo rappresenta il più grave dei conflitti d'interessi, che non si ferma alle televisioni, ma, attraverso la pubblicità investe anche altri importanti settori una bella fetta delle entrate pubblicitarie provengono dai diversi beni di consumo, dalle automobili e dai telefonini. C'è anche Mediolanum: può Berlusconi introdurre in modo credibile uno schema di pensioni private, si chiede il Financial Times del 10 maggio, dato che controlla Mediolanum, che provvede ogni sorta di servizi finanziari? E ci sono Mondadori ed Einaudi, un conflitto potenziale che anche di recente, in vista dell'ascesa al potere di Berlusconi, ha creato fra gli editori un allarme di cui sulla Stampa si è fatto interprete Giuseppe Laterza in occasione della Fiera del libro. L'elenco dei conflitti d'interessi è impressionante. Forse la speranza sta nel ricorso a Strasburgo, che questa volta potrebbe avere il sostegno dell'Europa intera. Il 70% delle materie economiche sono regolate oramai da norme e da direttive dell'Unione europea, cosicché i conflitti d'interessi coinvolgono l'Europa e non solo l'Italia lo mette in evidenza anche Ilvo Diamanti sul Sole24ore del 27 maggio, con riferimento però soltanto al conflitto Mediaset.

Per i molteplici conflitti, per il programma ultrademagogico tagliare le tasse e accrescere le spese e per il violento contrasto con la prassi vigente negli altri paesi europei, in passato seguita anche da noi, secondo cui gli indagati si mettono da parte e non vanno in Parlamento e tanto meno entrano nel governo: per questi tre motivi l'Europa si è svegliata, tardi, ma meglio tardi che mai, e sono piovute le critiche dalla stampa e da autorevoli politici. Questi sono dunque i motivi delle critiche durissime e non quelli addotti dai difensori del Cavaliere, che evidentemente hanno scarsissima stima dell'intelligenza dei loro concittadini nefasta influenza degli intellettuali e dei politici di sinistra su prestigiosi organi di stampa europei, desiderio di mettere in difficoltà un pericoloso concorrente per tacere degli insulti, come «spazzatura», cui si ricorre quando non si trova neppure uno straccio di argomento per replicare. Guardiamo in faccia la dura realtà: non sono a rischio solo Berlusconi e il suo governo prossimo venturo; è in gioco il comune interesse europeo, sono a rischio l'Eurolandia e l'euro, dato che l'Italia rappresenta quasi un quinto del Pil europeo. Questa non è la congettura di un pessimista: è un rischio reale, denunciato senza mezzi termini da responsabili politici europei. È vero: Renato Ruggiero ministro degli Esteri fornisce una garanzia. Ma che può fare un garante , o un tutore, entrato a dispetto dei soci del Cavaliere, amareggiati e delusi, di fronte a quella sfilza di conflitti d'interessi di rilevanza europea e non solo italiana? Non lo so, ma non sono ottimista. Gli innumerevoli conflitti d'interesse rappresentano un macigno sulla strada delle politica europea dell'Italia, indipendentemente dalla buona volontà e dalla competenza di singoli ministri. L'Europa era uno dei punti del nostro appello. Fra gli altri c'era la riforma della prima parte della Costituzione, in cui è sancita la libertà di stampa e la subordinazione del potere giudiziario al potere politico. Siamo stati sgridati per i toni, ma i nostri critici, nella foga del rimprovero, si sono dimenticati di rispondere ai nostri quesiti, pur vitali per chi dice di voler difendere i principi liberaldemocratici. Pochi giorni fa la Federazione nazionale della stampa ha approvato un documento in cui si esprime allarme sul restringimento già in atto della libertà di stampa: preoccupazioni eccessive anche queste? Naturalmente i nostri critici hanno usato toni pacatissimi e sereni: hanno stabilito fra Bobbio e me, da una parte, e Goebbels, dall'altra, un filo diretto, hanno sostituito le parole iniziali del nostro appello «necessario battere col voto la così detta Casa delle libertà» con le parole «necessario battere con ogni mezzo» un'alterazione che, considerato il risorgente terrorismo, suona come una ripugnante calunnia. Ci attendono tempi non duri, ma durissimi.

 
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