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La corruzione costa 25mila euro a testa

Post n°1043 pubblicato il 18 Novembre 2009 da albert.z
 

La corruzione in Italia non è considerata un reato

 grave!!!       Chissà perché?

 

L'inchiesta/1. Sbalorditivo il silenzio di chi si batte per il Sistema Italia:
dagli imprenditori ai sindacati, alle associazioni di risparmiatori e consumatori

di GIUSEPPE D'AVANZO da REPUBBLICA

Paese meraviglioso l'Italia. Quando non si acceca da solo, chiude gli occhi. Il frastuono politico assorda e il rumore mediatico lascia nascosta qualche verità e - in un canto - fatti che, al contrario, meritano molta luce e l'attenzione dell'opinione pubblica. La disciplina del "processo breve" ce l'abbiamo sotto gli occhi e vale la pena di farci i conti, senza lasciarci distrarre da ingenui e imbonitori. Qualche punto fermo. Il disegno di legge pro divo Berluscone non rende i processi rapidi (è una cristallina scemenza). Quel provvedimento fabbrica una prescrizione svelta e improvvisa come un fulmine che uccide. Solitamente, a fronte dei reati più gravi, uno Stato responsabile - e leale con i suoi cittadini - si concede un tempo adeguato per accertare il reato e punire i responsabili (la prescrizione non è altro). Più grave è il reato, più problematico e laborioso il suo accertamento, maggiore è il tempo che lo Stato si riconosce prima di considerare estinto il delitto. Le regole della prescrizione svelta e assassina (dei processi) capovolgono questo criterio di efficienza e buon senso.

Più grave è il reato, minore è il tempo per giudicarlo. I magistrati avranno tutto il tempo per processare uno scippatore e tempi contingentati per venire a capo, per dire, di abuso d'ufficio, frodi comunitarie, frodi fiscali, bancarotta preferenziale, truffa semplice o aggravata: quel mascalzone di Bernard Madoff, che ha trafugato 50 miliardi di dollari ai suoi investitori, ne gioirebbe maledicendo di non essere nato italiano.

Ora il disegno di legge potrà essere corretto e limato ma - statene certi - non potrà mai lasciare per strada la corruzione propria e impropria perché Silvio Berlusconi, imputato di corruzione in atti giudiziari e con il corrotto già condannato in appello (David Mills), ha bisogno di quel "salvacondotto" per levarsi dai guai. Un primo risultato si può allora scolpire nella pietra: l'Italia è il solo Paese dell'Occidente che considera la corruzione un reato non grave e dunque, se le parole e le intenzioni hanno un senso, una pratica penalmente lieve, socialmente risibile, economicamente tranquilla. Nessuno pare chiedersi se ce lo possiamo permettere; quali ne saranno i frutti; quali i costi economici e immateriali; quale il futuro di un Paese dove "corrotto" e "corruttore" sono considerati attori sociali infinitamente meno pericolosi di "scippatore", "immigrato clandestino", "automobilista distratto", e la corruzione così inoffensiva da meritare una definitiva depenalizzazione o una permanente amnistia.

Il silenzio su questo aspetto decisivo della "prescrizione svelta", inaugurata dalla "legge Berlusconi", è sorprendente. È sbalorditivo che il dibattito pubblico sul minaccioso pasticcio, cucinato dagli avvocati del premier nel suo interesse, non veda protagonisti anche la Confindustria, chi ha cara la piccola e media impresa, i sindacati, gli economisti, le autorità di controllo del mercato e della concorrenza, le associazioni dei risparmiatori e dei consumatori, i ministri del governo che ancora oggi si dannano l'anima per dare competitività al "sistema Italia". Come se il circuito mediatico e "pubblicitario" del presidente del consiglio fosse riuscito a gabellare per autentica la storia di un ennesimo conflitto tra politica e giustizia, e dunque soltanto affare per giuristi, toghe e giornalisti. Come se questo progetto criminofilo non parlasse di sviluppo e arretratezza; di passato e di futuro; di convivenza civile, organizzazione sociale, legittimità delle istituzioni, trasparenza dell'azione dei policy maker; di competitività e credibilità internazionale del Paese.

È stupefacente questo silenzio perché ognuno di noi paga ancora oggi e pagherà domani, con l'ipoteca sul futuro di figli e nipoti, il prezzo della corruzione del passato, quasi sette punti di prodotto interno lordo ogni anno, 25mila euro di debito per ciascun cittadino della Repubblica, neonati inclusi. Settanta miliardi di euro di interessi passivi, sottratti ogni anno alle infrastrutture, al welfare, alla formazione, alla ricerca. È una condizione che corifei e turiferari, vespi e minzolini, occultano all'opinione pubblica. È necessario qualche ricordo allora per chi crede al "colpo di Stato giudiziario", alla finalità tutta politica dell'azione delle procure, favola ancora in voga in queste ore nel talk-show influenzati dal Cavaliere. Quando Mani Pulite muove i suoi primi passi, il giro di affari della corruzione italiana è di diecimila miliardi di lire l'anno, con un indebitamento pubblico tra i 150 e il 250 mila miliardi più 15/25 miliardi di interessi passivi. L'abitudine alla corruzione cancella ogni sensibilità del ceto politico per i conti pubblici. Inesistente negli anni sessanta, il debito cresce fino al 60 per cento del prodotto interno lordo negli anni ottanta. Sale al 70 per cento nel 1983. Tocca il 92 per cento nei quattro anni (1983/1987) di governo Craxi, per chiudere alla vigilia di Mani Pulite, nel 1992, al 118 per cento. Non c'è dubbio che, in quegli anni, una maggiore attenzione della magistratura alla corruzione, e la consapevolezza sociale del danno che produce, favorisce il parziale rientro dal debito, utile per adeguarsi ai parametri di Maastricht. Di quegli anni - 1993/1994 - è infatti il picco di denunce dei delitti di corruzione. Con il tempo, la tensione si allenta. Lentamente la curva dei delitti denunciati decresce e nel 2000 torna ai livelli del 1991, quelli antecedenti all'emersione di Tangentopoli. Negli anni successivi la legislazione ad personam (taglio dei tempi di prescrizione per i reati economici, dalla corruzione al falso in bilancio), i condoni fiscali, le difficoltà della legge sul "risparmio" (in realtà sulla governance) chiudono il cerchio e una stagione.

Da qui, allora, occorre muovere per comprendere e giudicare un progetto che può spingere l'Italia, nell'interesse di uno, in prossimità di una condizione da "paese emergente". Perché la difficoltà della nostra storia recente nasce nel fondo oscuro della corruzione. Tirarsene fuori è una necessità in quanto c'è - non è un segreto, anche se è trascurato dal discorso pubblico e dai cantori dell'Egoarca - una simmetria perfetta tra la corruzione e le criticità per la società e il Paese. Mercati dominati da distorsioni e "tasse immorali" (60 miliardi di euro ogni anno per la Corte dei Conti) garantiscono benefici soltanto agli insiders della combriccola corruttiva. Oltre a perdere competitività, i mercati corrotti non attraggono investimenti di capitale straniero e sono segnati da una bassa crescita (troppe barriere all'entrata, troppi rischi di investimento). Non c'è studio o analisi che non confermi la relazione tra il grado di corruzione e la crescita economica, soprattutto per quanto riguarda le medie e piccole imprese che sono il nocciolo duro della nostra economia reale. Infatti, le piccole e medie imprese - si legge nella relazione parlamentare che ha accompagnato la ratifica della convenzione dell'Onu contro la corruzione diventata legge il 14 agosto del 2009 - , "oltre a non avere i mezzi strutturali e finanziari delle grandi imprese (che consentono loro interventi diretti e distorsivi) risultano avere meno peso politico e minori disponibilità economiche per far fronte alla richiesta di tangenti". La corruzione diventa un costo fisso per le imprese e un onere che incide pesantemente nelle decisioni di investimento. Sono costi, per le piccole e medie imprese, che possono essere determinanti per l'entrata nel mercato, così come possono causarne l'uscita dal mercato. E in ogni caso sono costi che hanno rilevanti ricadute su altri fronti: ricerca, innovazioni tecnologiche, manutenzione, sicurezza personale, tutela ambientale.

Per queste ragioni, la corruzione dovrebbe trovare una sua assoluta priorità nell'agenda politica e gli italiani se ne rendono conto anche se magari non sanno, come ha scritto il ministro Renato Brunetta, che il balzello occulto della corruzione "equivale a una tassa di mille euro l'anno per ogni italiano, neonati inclusi". Secondo Trasparency International, un organismo "no profit" che studia il fenomeno della corruzione a livello globale, il 44 per cento degli italiani crede che la corruzione "incide in modo significativo" sulla sua vita personale e familiare; per il 92 per cento nel sistema economico; per il 95 nella vita politica; per il 85 sulla cultura e i valori della società. Più del 70 per cento della società ritiene che nei prossimi anni la corruzione sia destinata a non diminuire.

Il disastroso quadro nazionale è noto agli organismi internazionali. È di questi giorni il rapporto del Consiglio d'Europa sulla corruzione in Italia. Il Consiglio rileva che in Italia i casi di malversazione sono in aumento; che le condanne sono diminuite; i processi non si concludono per le tattiche dilatorie che ritardano i dibattimenti e favoriscono la prescrizione; la normativa è disorganica; la pubblica amministrazione ha una discrezionalità che confina con l'arbitrarietà. Il gruppo di Stati contro la corruzione del Consiglio d'Europa (Greco) ha inviato all'Italia 22 raccomandazioni di stampo amministrativo (introduzione di standard etici, per dire), procedurali (per evitare l'interruzione dei processi) normative (nuove figure di reato).

La risposta alle preoccupazioni della comunità internazionale - che appena al G8 dell'Aquila ha sottoscritto il dodecalogo dell'Ocse per un global legal standard (peraltro fortemente voluto da Tremonti) - è ora nel disegno di legge della "prescrizione svelta". La corruzione è trascurabile. Non è il piombo sulle ali dell'economia italiana. Non è la tossina che avvelena il metabolismo della società italiana. Non è il muro che ci impedisce di scorgere il futuro. È un grattacapo del capo del governo. Bisogna eliminarlo anche al prezzo di non avere più un futuro per l'Italia intera. Dove sono in questo piano inclinato "gli uomini del fare" che credono nella loro impresa, nel merito, nel mercato, nella concorrenza? E perché tacciono?
La maggioranza e l'UDC sono impegnati a risolvere i problemi di Giustizia del premier. 
In tutti i paesi democratici i premier indagati si dimettono, eccetto la Francia POSTGOLLISTA. In Israele Olmert si è dimesso, in Italia Berlusconi vuole l'impunità.
Voi, cosa ne pensate?
 
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Aldus_r
Aldus_r il 20/11/09 alle 00:08 via WEB
Caro Alberto, questa compagine governativa è guidata dal più grande corruttore dell'era moderna, Silvio Berlusconi. E' normale e giusto che, avendo ricevuto dagli italiani (legittimameemte) il mandato a governare, si studino leggi a misura di Silvio Berlusconi per evitargli la galera. Ti auguro una buona notte. Ciao, Aldo
(Rispondi)
albert.z
albert.z il 20/11/09 alle 07:20 via WEB
Fra i vari processi a Berlusconi ( o Mediaset),ce n'è uno che dovrebbe chiarire se ha frodato le casse dello Stato e penso che sarebbe giusto sapere, al più presto, se siamo governati da un ladro di danaro dei cittadini o no. Saperlo dopo qualche anno dalla fine del mandato, quando è scappato in un Paese che non concede l'estradizione non è fare Giustizia.
(Rispondi)
 
Aldus_r
Aldus_r il 20/11/09 alle 16:36 via WEB
Carissimo Alberto, Silvio Berlusconi non scapperà da nessuna parte. Egli riuscirà a non farsi processare. Gli italiani che gli danno a tutt'oggi il consenso (per sfasciare la Costituzione) lo autorizzano a farsi una legge (ad personam) che lo "assolva" da tutti i reati commessi. E' una vergogna che la maggior parte della gente sia innamorata delle sue malefatte. Saluti cari, Aldo
(Rispondi)
albert.z
albert.z il 20/11/09 alle 17:01 via WEB
Caro Aldo, hai ragione, la vergogna non è solo Berlusconi, ma questo popolo che ama i furbi, i maligni, i corrotti, i corruttori...... Il problema è come ribaltare la situazione? Senza tv, proviamo con la rete. Diffondiamo il nostro disprezzo per queste persone e per il loro capo,gli affiancatori tipo Casini, oltre che per gli inciucisti nelle nostre fila, tipo D'Alema e le quinte colonne come Mastella, De Gregorio, che entrano nelle nostre fila per fare gli interessi del PADRONE. E' difficile, ma tutto si può sperare. C'è stato il '68, potrebbe esserci un 2010 caldo che rovescierà la canaglia dal Parlamento.
(Rispondi)
aracnoid.999
aracnoid.999 il 26/11/09 alle 18:58 via WEB
Ma questo è un santo? Mi riferisco a Travaglio.. Riporto da Wikipedia: Nel 2000 è stato condannato in sede civile, dopo essere stato citato in giudizio da Cesare Previti a causa di un articolo sull'Indipendente, al risarcimento del danno quantificato in 79 milioni di lire. Il 4 giugno 2004 è stato condannato dal Tribunale di Roma in sede civile a un totale di 85mila euro (più 31mila euro di spese processuali) per un errore di omonimia contenuto nel libro «La Repubblica delle banane» scritto assieme a Peter Gomez e pubblicato nel 2001. In esso, a pagina 537, si descriveva «Fallica Giuseppe detto Pippo, neo deputato Forza Italia in Sicilia», «Commerciante palermitano, braccio destro di Gianfranco Miccicché... condannato dal Tribunale di Milano a 15 mesi per false fatture di Publitalia. E subito promosso deputato nel collegio di Palermo Settecannoli». L'errore era poi stato trasposto anche su L'Espresso, il Venerdì di Repubblica e La Rinascita della Sinistra, per cui la condanna in solido, oltreché la Editori Riuniti, è stata estesa anche al gruppo Editoriale L’Espresso. Fonte: Il diritto dell'informazione e dell'informatica, http://www.giur.uniroma3.it/materiale/docenti/zeno/materiale/Zeno-Zencovich-2.pdf Il 5 aprile 2005 è stato condannato dal Tribunale di Roma in sede civile, assieme all'allora direttore dell'Unità Furio Colombo, al pagamento di 12mila euro più 4mila di spese processuali a Fedele Confalonieri (Mediaset) dopo averne associato il nome ad alcune indagini per ricettazione e riciclaggio, reati per i quali, invece, non era era risultato inquisito. Fonte: Il diritto dell'informazione e dell'informatica, http://www.giur.uniroma3.it/materiale/docenti/zeno/materiale/Zeno-Zencovich-2.pdf - Il 20 febbraio 2008 il Tribunale di Torino in sede civile lo ha condannato a risarcire Fedele Confalonieri e Mediaset con 26.000 euro, a causa dell'articolo "Piazzale Loreto? Magari" pubblicato nella rubrica Uliwood Party su l'Unità il 16 luglio 2006. La sentenza è di primo grado e Travaglio ha dichiarato di stare preparando l'appello. Nel giugno 2008 è stato condannato dal Tribunale di Roma in sede civile, assieme all'direttore dell'Unità Antonio Padellaro e a Nuova Iniziativa Editoriale, al pagamento di 12mila euro più 6mila di spese processuali per aver descritto la giornalista del Tguno Susanna Petruni come personaggio servile verso il potere e parziale nei suoi resoconti politici: «La pubblicazione», si leggeva nella sentenza, «difetta del requisito della continenza espressiva e pertanto ha contenuto diffamatorio». Fonte: Il diritto dell'informazione e dell'informatica, http://www.giur.uniroma3.it/materiale/docenti/zeno/materiale/Zeno-Zencovich-2.pdf Ad ottobre 2008 è stato condannato in primo grado[34] dal Tribunale penale di Roma per il reato di diffamazione aggravato dall'uso del mezzo della stampa, ai danni di Cesare Previti, ad 8 mesi[35] di reclusione con sospensione condizionale e al pagamento di 100 euro di multa. Il reato, secondo il giudice monocratico, sarebbe stato commesso mediante l'articolo Patto scellerato tra mafia e Forza Italia pubblicato sull'Espresso il 3 ottobre 2002. In sede civile, a causa del predetto reato, Travaglio è stato condannato in primo grado, in solido con l'allora direttore della rivista Daniela Hamaui, al pagamento di 20mila euro a titolo di risarcimento del danno in favore della vittima del reato, Cesare Previti. Travaglio ha dichiarato di voler ricorrere in appello. Il 28 aprile 2009 è stato condannato in primo grado dal Tribunale penale di Roma per il reato di diffamazione ai danni dell'allora direttore di Raiuno, Fabrizio Del Noce, perpetrato mediante un articolo pubblicato su L'Unità dell'11 maggio 2007. Il 21 ottobre 2009 è stato condannato in Cassazione al risarcimento di euro cinquemila nei confronti del giudice Filippo Verde a causa di alcune affermazioni riguardo i precedenti penali del suddetto, riportate nel suo volume Il manuale del perfetto inquisito, giudicate diffamatorie dalla Corte in quanto riferite "in maniera incompleta e sostanzialmente alterata". Non difendo assolutamente Berlusconi che, come noto, è il più grande delinquente di tutti i tempi, dalla creazione dell'uomo subito dopo la stria di Adamo ed Eva, ma dai così tanto credito a un diffamatore di professione? E questo ti sembra n altro omino in odore di santità? 1 .. 2 .. .. Sulla laurea occorre fare qualche piccola doverosa precisazione ch nessuno ha mai contestato per come segue: dal libro di Filippo Facci, uno stralcio (ppgg 29-30).. "Il nome del futuro magistrato compare anche nell'archivio informatico dell'università. E il rettore, con lettera privata, ha confermato che Di Pietro Antonio risulta laureato. In questo straordinario modo: 1975 - 28 maggio - Storia del diritto romano (400 pagine): 28/30 ; 4 giugno - Istituzioni di diritto romano (700 pagine): 25/30; 4 luglio - Istituzioni di diritto privato (1100 pagine e 2969 articoli del codice civile): 24/30; 10 novembre - Diritto costituzionale (700 pagine e 139 articoli): 30/30 (data illeggibile) - Diritto costituzionale comparato: 26/30; 1976 - 20 febbraio - Esegesi delle fonti del diritto italiano: 26/30; 28 aprile - Contabilità dello Stato: 26/30; 3 maggio - Diritto regionale e degli enti locali: 29/30; 15 giugno - Diritto ecclesiastico: 26/30; 1° ottobre - Diritto canonico (300 pagine): 28/30; 25 ottobre - Diritto commerciale (1400 pagine): 27/30; 30 novembre - Economia politica (700 pagine): 26/30; 20 dicembre - Organizzazione internazionale: 27/30; 1977 - 24 gennaio - Scienze delle finanze e diritto finanziario (800 pagine): 26/30; 7 febbraio - Storia del diritto italiano (650 pagine): 28/30 31 marzo - Diritto processuale civile (1000 pagine e 831 articoli): 28/30; 18 aprile - Diritto tributario (450 pagine): 27/30 24 maggio - Diritto penale (1200 pagine, 734 articoli): 27/30 7 luglio - Procedura penale (1100 pagine, 675 articoli): 28/30 29 ottobre - Diritto civile (800 pagine): 25/30; 1978 - 26 gennaio - Diritto amministrativo (1400 pagine): 28/30; 19 luglio - Tesi di 320 pagine e laurea. Voto finale: 108/110. In un libretto a firma Antonio Di Pietro, è scritto: «Si è laureato con il massimo dei voti». Non è vero, come visto: prese 108. Purtroppo la maggior parte dei professori dell'epoca sono morti. Quelli vivi sarebbe anche normale che non ricordassero uno che non frequentava i corsi. Per la stessa ragione, forse, non figura neanche uno studente tra i centomila personaggi intervistati nel corso degli anni Novanta perché dicessero «anch'io conoscevo Di Pietro». Il quotidiano «II Foglio» aveva ritenuto di averne individuato perlomeno uno, di personaggio: Agostino Ruju, assistente di Diritto civile del professor Pietro Trimarchi. Di Ruju erano assodati i rapporti intrattenuti con carabinieri, poliziotti, finanzieri e uomini del Sisde e del Sismi. All'interno dell'università milanese era un punto di riferimento per figli di generali e di questori e vantava la tessera «Amici dei carabinieri». «Il Foglio» aveva ipotizzato che Ruju avesse preso a cuore anche le sorti del giovane Di Pietro, ma l'interessato smentì la circostanza, dapprima cortesemente, e si disse anzi convinto che Tonino avesse studiato al Sud. «Dopo la pubblicazione dell'articolo era semplicemente terrorizzato» hanno fatto sapere dal quotidiano. Ruju fu arrestato da Di Pietro per Mani pulite ed era in attesa di giudizio. Ma una cosa curiosa, da principio, aveva fatto in tempo a dirla: «Se è vero che Di Pietro sostenne Diritto privato il 4 luglio del '75, ricordo che quello fu il mio primo appello da assistente: bocciai tutti». Messa così è inquietante. Qualche mese dopo, per fortuna, corresse il tiro sul «Corriere della Sera»: l'esame? «Non l'ha certo sostenuto con me. Io ero appena stato nominato assistente, ricordo bene quell'appello: lui è stato promosso, mentre io ho bocciato tutti.» E messa così è diverso: potrebbe anche solo significare che Di Pietro era il migliore di tutti. A ogni modo, anche qui, le illazioni del «Foglio» non hanno trovato conferma." Sull'immunità parlamentare che tanto il suddetto leader dell'IDV va sbandierando nel senso che lui non l'usa, cos'è accaduto non molto tempo fa? .. Preso da Il Giornale (aspetto contestazioni in merito con fatti provati che dicono il contrario, se li ha a portata di mano) ) “Di Pietro si è fatto proteggere dall’immunità di eurodeputato per una causa civile di diffamazione, dopo aver pubblicamente detto che avrebbe rinunciato alle garanzie da eurodeputato (Ansa, 11 febbraio 2009), dopo aver detto che l’articolo 68 della Costituzione, per l’appunto l’immunità, va cancellato perché «aveva senso quando fu scritto, dopo la fine del fascismo. Ho sempre detto che l’articolo 68 andrebbe abrogato» (Ansa, 23 luglio 2007). Si protegge con l’immunità, ancora, dopo aver fatto sfoggio di eticità sulla pelle del senatore Luigi Grillo, Pdl, raggiunto da rinvio a giudizio nel maggio 2008: «Ora chiederà di non avvalersi dell’immunità parlamentare per farsi giudicare, come responsabilità istituzionale vorrebbe?», disse Di Pietro. Chiede e ottiene la tutela parlamentare, dopo aver sfidato pubblicamente Silvio Berlusconi sul medesimo punto: «Se vuole querelarmi rinunci all’impunità» (Ansa, 12 aprile 2008); dopo aver tuonato pubblicamente, lo stesso giorno della sua immunità, contro quella del premier, che sarebbe invece segno di «paraculaggine». Qualcosa non torna. Se ne sono accorti pure i suoi elettori, che non nascondono un forte imbarazzo, sfociato persino sul blog del loro leader (insieme, segnaliamo, ad una sfilza impressionante di violenti attacchi e insulti al Giornale e al suo direttore). Domanda garbatamente la signorina Claudia sul blog antoniodipietro.com: «...ma che ne dite dell’immunità richiesta dal nostro leader nella causa intentata dal giudice Verde? È vero quello che si legge sul Giornale?... prego smentire...». Gentile Claudia, spiacenti, non c’è nulla da smentire. Sul blog del leader che non può essere processato per diffamazione perché fa parte della Casta, sotto il suo post contro Berlusconi che ricorre al lodo Alfano (dal titolo: «Diffamatore impunito»), il dipietrista medio fa due più due, e domanda pacatamente: «On. Di Pietro, è vera questa notizia dell’immunità parlamentare per sfuggire alla causa di diffamazione? Ci può dare qualche spiegazione?». Proviamo noi, signor Marco Gitti. Stesse domande arrossite sul blog di Beppe Grillo, rivolte questa volta non a Tonino ma a Luigi De Magistris, ospite del comico per presentare la sua candidatura europea. Sì, grazie De Magistris, la votiamo, però ecco, prima dica un po’: «Da lei vorrei sapere cosa pensa di Antonio Di Pietro che si trincera dietro l’immunità parlamentare per non essere condannato in una causa per diffamazione», domanda l’utente Perdindirindina. Un presumibile simpatizzante conia un’espressione azzeccata per l’immunità del leader dei valori, il «lodino Alfanino»: «L’immunità parlamentare, italiana o europea che sia, equivale ad un piccolo Lodo Alfano, diciamo un Lodino Alfanino. Antonio Di Pietro non è migliore di altri, è solo un po’ meno peggio», scrive sul sito Aldo Solimena. Insomma brutto risveglio per la base Idv. Per chi conosce Di Pietro però l’effetto sorpresa c’è molto meno. Ne sa qualcosa Giulietto Chiesa (vedi intervista a fianco), eletto all’europarlamento con una lista civica collegata all’Idv, idillio finito subito, a colpi di querele. Perché se è lui a querelare, Di Pietro va in tribunale volentieri, se invece gli tocca la parte del querelato, ricorre all’immunità. E non per una causa penale, ma civile, dove di mezzo c’erano solo dei soldi (210mila euro la richiesta del querelante). A suo tempo, quando la causa non era ancora arrivata a Bruxelles ma era ancora nella mani del giudice di Roma, Di Pietro avrebbe potuto rinunciare al privilegio. Ma non l’ha fatto. Il suo legale ha invece sollevato l’eccezione dell’art. 68 della Costituzione, cioè l’immunità. Poi, scoperta la faccenda dal Giornale, Di Pietro disse che avrebbe rinunciato e che la rinuncia sarebbe stata pubblicata sul blog, di lì a pochi giorni. Mai fatto, mai scritto. E infatti il Parlamento Ue ha votato l’immunità. Però diamo una notizia ai dipietristi turbati dai privilegi del leader-antiprivilegi. Tonino è ancora in tempo a rinunciare. «Se Di Pietro revoca l’eccezione sollevata in sede civile - spiega Walter Segna, legale del magistrato Filippo Verde -, il processo si fa. Il Parlamento Ue ha solo deliberato sull’applicabilità dell’immunità nel caso specifico. Sempre che Di Pietro sia sempre di quell'idea.. Allora, appurato che in base alla creatività ei suoi detrattori, chi facciamo Santo e lo mettiamo sullo scranno più alto del governo? Di Pietro forse? Quello che va urlando a destra e a manca che lui sfida il premier rinunciando all'immunità, salvo poi lui razzolar male. Chi si salva dentro questo parlamento? Quelli che vanno a puttane, a trans, che si fanno le canne, che fanno i palazzinari o chi ancora? Se poi mi vuol spiegare in punta di diritto come si fa a fare una legge ad personam gliele sarò grato.. Cordialmente, Antonio
(Rispondi)
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