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I PADRINI FONDATORI

Post n°1061 pubblicato il 04 Dicembre 2009 da albert.z
 

I PADRINI FONDATORI DI FORZA  ITALIA
mercoledì, 08 aprile 2009 - 09:58

Ora d'aria di Marco Travaglio, l'Unità del 30/03/2009

Fortuna che ci ha pensato Al Tappone a colmare una delle tante amnesie dei suoi servi sparsi nei giornali, a pro­posito della storia di Forza Italia. Ri­cordando Craxi al congresso, il Cainano ha finalmente ammesso ciò che nessuno, nemmeno lui, aveva mai osato scrivere: e cioè che dietro la nascita di Forza Italia c'è la mano furtiva del noto corrotto latitante. L'avesse am­messo nel '94, non avrebbe preso un voto. Infat­ti allora lo negava: «È una falsità, una cosa senza senso dire che dietro il signor Berlusconi ci sia Craxi. Non devo nulla a Craxi e al cosiddetto Caf» (Mixer, 21 febbraio 1994). «Forza Italia e Craxi sono politicamente lontani anni luce» (Re­pubblica, 1 ottobre 1995). «Posso assicurare che politicamente non abbiamo nulla a che fare con Craxi, e siamo stati molto attenti anche nella for­mazione delle liste elettorali. Non rinnego l'ami­cizia con Craxi, ma è assolutamente escluso che Forza Italia possa avere avuto o avere alcun rap­porto con Craxi» (2 ottobre 1995). Infatti, anco­ra cinque anni fa, Stefania Craxi dichiarava: «A Berlusconi non perdono di non essere mai stato a trovare mio padre neppure una volta» (Corrie­re della Sera, 2 agosto 2004). Ora, dopo l'elezio­ne della signora alla Camera e le sue lacrime alla standing ovation congressuale, è tutto dimenti­cato. Nessuno invece ha voluto tributare i giusti onori ad altri due padri fondatori: Vittorio Man­gano, prematuramente scomparso nel 2000, e Marcello Dell'Utri, inspiegabilmente emargina­to al congresso. Eppure, come racconta il suo ex consulente Ezio Cartotto, fu proprio Marcello a inventare il partito azienda, e fin dall'estate '92, dopo la strage di Capaci, gli commissionò in gran segreto «un'iniziativa politica della Fininvest» al posto del Caf agonizzante per Tangento­poli. L'anno dopo, quando tutto era ormai pronto, Vittorio Mangano - l'ex «stalliere di Arcore» da poco scarcerato dopo 11 anni di carcere per mafia e droga e promosso boss di Porta Nuova - fece la spola tra Palermo e Milano. Qui nella se­de di Publitalia - come risulta dalle agende se­questrate alla segretaria di Dell'Utri - Marcello e Vittorio s'incontrarono il 2 e il 30 novembre '93. Lo scrive il Tribunale di Palermo che nel 2004 ha condannato Dell'Utri a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Dell'Utri fu «disponibile verso l'organizzazione mafiosa nel campo della politica, in un periodo in cui Cosa Nostra aveva dimostrato la sua efferatezza cri­minale con stragi gravissime, espressioni di un disegno eversivo contro lo Stato». Infatti Marcel­lo incontrava Mangano mentre era «in corso l'or­ganizzazione del partito Forza Italia e Cosa No­stra preparava il cambio di rotta verso la nascen­te forza politica»: prometteva «precisi vantaggi politici» e «aiuti concreti e importanti a Cosa No­stra in cambio del sostegno a Forza Italia».

 
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Aldus_r
Aldus_r il 05/12/09 alle 16:39 via WEB
Carissimo Alberto, per il nostro Paese, il momento è molto grave (senza enfasi) è gravissimo. Adesso ti spiego perché. Inizio col un ragionamento sulla base di frasi interrogative. ==========1) Abbiamo alla presidenza del consiglio un uomo che ha beneficiato dei soldi della mafia (forse dei ricchissimi mafiosi fratelli Graviano), attraverso Marcello Dell’Utri, palermitano e profondo conoscitore degli ambianti mafiosi (è stato Dell’Utri a presentere a Berlusconi e farlo assumere, con la qualifica di copertura di “stalliere” il mafioso Carmelo Mangano), per iniziare la sua attività (origine dei soldi. Era povero e con le pezze al sedere) di imprenditore edile? ==========2) I Graviano (mi chiedo) vogliono riavere i loro soldi con gli interessi ad usura e (forse) in alternativa, per essere tacitati, vogliono entrare in compartecipazione all’impero economico di Silvio Berlusconi? ==========3) Oppure pretendono di entrare in possesso sia dei loro soldi e vogliono entrare anche in società con Silvio Berlusconi? ==========4) Ad oggi il cavaliere ha fatto finta di non sentire? ==========5) Le rivendicazioni dei fratelli Graviano non hanno avuto alcun riscontro, in quanto il cavaliere da uomo spregiudicato quale egli è ha fatto e continua a fare (diciamo) orecchio da mercante? Mi rendo conto, che sono interrogativi pesantissimi e gravissimi ma, alla luce della spregiudicatezza dell’individuo, io ho il diritto li ipotizzarli. Le cosche mafiose sono avide di denaro ed hanno la memoria lunga e la pazienza di ferro. Il nostro presidente del consiglio ha detto che strozzerebbe con le sue mani chi ha mandato in onda i nove episodi de “La Piovra” e chi ha scritto e scrive di mafia. Che voleva dire? Che la mafia si sconfigge non parlandone? Che stupidità intellettuale dimostra di possedere il cavaliere di arcore. Egli è un povero scemo, anzi è un pericolosissimo scemo; non ha capito nulla e non sa neanche cos’è la mafia, e la potenziale pericolosità che essa ha per la sua incolumità personale. Spatuzza, tra l’altro, racconta che Berlusconi e Dell’Utri sono i mandanti delle stragi di mafia del 1992 e 1993. Grossa, emorme studsaggine. Egli, a mio modesto avviso, lo dice soltanto per intimidire Berlusconi e per danneggiarne l’immagine. Una cosa vera l’ha detta Spatuzza, quando riferisce per bocca di Graviano:… “……….quei crasti (cornuti) dei socialisti ci hanno chiesto i voti e poi non hanno fatto nulla per noi, mentre quello di Canale 5 ci ha messo il paese nelle mani…………..”. Non sono le parole esatte ma il concetto sì. Ha il sapore di PROMESSE importanti elargite da Forza Italia in cambio di voti alle elezioni politiche del 1994. Stiamo a vedere gli sviluppi che avrà lo “sceneggiato”. Attendiamo con curiosità la deposizione che i fratelli Graviano faranno venerdì prossimo al processo Dell’Utri presso la Corte
(Rispondi)
aracnoid.999
aracnoid.999 il 07/12/09 alle 12:27 via WEB
Mi aspetto che il procuratore aggiunto n.2 – peraltro pluri-condannato per diffamazione (il n. 1 è D'Avanzo, ovviamente al momento ma, fra i due, sembra non correre buon sangue..) faccia una circostanziata denuncia di quello che dice se ne ha il coraggio..
Troppe cose non tornano nella confessione a rate del pentito Spatuzza che soltanto dopo un anno di «collaborazione» ricorda che il boss Giuseppe Graviano gli disse che i mandanti delle stragi del ’93 erano Berlusconi e Dell’Utri. Fra le minchiate esternate in aula dal killer, detto ’u tignusu, vi è quella sui referenti politici: nessun pentito di mafia, ben più blasonato, prima d’ora aveva osato ipotizzare un link diretto fra i Graviano e Berlusconi. E nemmeno fra gli stessi fratelli di Brancaccio e il «compaesano senatore» Marcello Dell’Utri, che a i tempi delle bombe del ’93 e dell’arresto dei Graviano (gennaio ’94) non era senatore e nemmeno deputato. L’unico presunto contatto diretto fra i Graviano e un «compaesano senatore», di cui vi è traccia documentale in procedimenti penali e vari interrogatori, riguarda Vincenzo Inzerillo, ex senatore Dc, eletto nel ’92 con 40mila preferenze, vicino alla corrente di Mannino, quindi assessore nella giunta di Leoluca Orlando: attualmente è imputato per mafia in un nuovo processo d’appello dopo l’iniziale condanna a 8 anni e l’assoluzione in secondo grado annullata dalla Cassazione. Inzerillo è stato indagato dai pm fiorentini anche per l’inchiesta sulle stragi del ’93 a Firenze, salvo poi uscirne con ampia archiviazione. Di questo politico siciliano parla in modo circospetto anche Spatuzza che non potendo smentire altri pentiti, lo colloca in rapporti con Graviano, ma solo fino al 1991. Poi, di senatore in senatore, il pentito passa ad accusare il socialista Giacomo Affatigato (che essendo morto non può smentirlo) e quindi Dell’Utri (che per otto interrogatori ha giurato di non conoscere). A Inzerillo, invece, ci si arriva indirettamente «leggendo» le parole del superboss Giuseppe Graviano che il 28 luglio 2009, ai pm fiorentini Crimi e Nicolosi, dice di lasciare perdere Spatuzza, che non può sapere nulla perché nulla contava nella scala gerarchica di Cosa nostra. Vuole essere messo finalmente a confronto con il superboss pentito Vincenzo Sinacori, pezzo da novanta di Cosa nostra, vicino al boss Matteo Messina Denaro, fra i pochissimi a partecipare alle riunioni ristrette della «Commissione» che deliberò sulle stragi. Lui sì che sa, altro che Spatuzza. «Io ho studiato i processi come voi – dice Graviano al pm Nicolosi - e da quello che mi insegnate voi, come spessore mettete più potente Sinacori o Spatuzza? Per lei può sapere qualcosa di più Sinacori o Spatuzza? Mi dica lei...». Il pm: «Sinacori era capo mandamento, certo, però Spatuzza era un uomo suo, Graviano!». Il boss esplode: «Un uomo mio? Ma faceva l’imbianchino! Può dire quello che vuole, può colorare, faceva il pittore», e quindi di cose importanti «non poteva sapere». Graviano si dice disponibile a confrontarsi con chiunque ma non vuole perdere tempo con le mezze tacche alla Spatuzza. È disposto a parlare con gente del suo stesso livello. Prima di abbassarsi all’imbianchino di Brancaccio, Giuseppe Graviano vuole fare i conti con chi dice lui «per fare uscire la verità, perché anche a me è stata raccontata qualche cosa in carcere (...). Io sono disposto a fare confronti con chiunque, ma in particolare con quelli che dico io che per me sanno la verità, a cominciare da Sinacori (...). Lui sa qualcosa in più». Niente da fare. A confronto i magistrati non ce lo mettono. Eppure Sinacori, qua e là, ha già detto cose sul periodo delle stragi che assumono oggi contorni decisamente interessanti. In un verbale fa riferimento alle confidenze di Matteo Messina Denaro a proposito «del senatore Inzerillo che è nelle mani di Graviano». Il 19 giugno 1998, ascoltato a Firenze dai pm Grasso e Nicolosi, racconta le riunioni della Cupola che s’era spaccata in due sull’offensiva stragista. A precisa domanda, nega di sapere se vi fossero referenti politici fra gli ispiratori della campagna sanguinaria in Continente. Il procuratore Grasso interviene: «Ma quali potevano essere le persone, gli uomini che Riina prima, e Bagarella poi, Graviano e Messina Denaro potevano fare da collegamento, da cinghia di trasmissione, con queste persone esterne o della politica, o di altri campi, o professionisti?». Sinacori è categorico: «Per quanto riguarda Graviano, c’era quello là, è stato Inzerillo che poteva essere un tramite, perché proprio lui, in un incontro, venne a dirci che con le stragi non si concludeva niente». E poi? E Messina Denaro? «Se ne aveva, a me non ne ha mai parlato». Quanto alla fine dei rapporti coi democristiani Lima e Salvo «già a settembre ’91 avevamo deciso di farli fuori (...). Sapevo solo che Inzerillo era agganciato a Giuseppe Graviano». E di Berlusconi? «Non so niente». Quanto agli eventuali contatti politici, Sinacori suggerisce: «Chiedete a Giovanni Brusca poiché anche lui è un collaboratore» e forse sa qualcosa di più. Brusca ha parlato di Graviano e di Inzerillo ma al processo di Caltanissetta sui mandanti esterni il pentito ha negato con forza di essere a conoscenza dei rapporti fra Cosa nostra e altri politici, a parte un vago riferimento che gli fece Riina su alcuni avvocati che volevano portarlo da Umberto Bossi. Brusca ha detto di non sapere nulla nemmeno degli interessi dei Graviano al Nord e quanto a Silvio Berlusconi, ammette, Cosa nostra provò ad agganciarlo «tra la fine del ’93 e l’inizio del ’94» attraverso Vittorio Mangano «che avevamo letto dai giornali lavorava ad Arcore». E qui non ci siamo con i tempi dettati da Spatuzza: come faceva Berlusconi a ispirare le stragi del ’93 (14 maggio via Fauro a Roma, 27 maggio via dei Georgofili, 27 luglio, via Palestro a Milano, 28 luglio, San Giovanni e San Giorgio al Velabro a Roma) se Cosa nostra prova a contattarlo attraverso Mangano solo a fine anno? E se il contatto col boss di Brancaccio avviene tra la fine del ’93 e gli inizi del ’94, come fa Berlusconi a mettersi d’accordo con Graviano che finisce in manette proprio a gennaio del 1994? Torniamo dunque a Vincenzo Inzerillo, l’unico «senatore» che dalle carte processuali di Firenze (vedi i verbali redatti dai pm Fleury, Nicolosi e Crimi) e Palermo, viene indicato da più fonti come l’unico politico in qualche modo in contatto con i Graviano. All’ex esponente Dc si son potute solo addebitare responsabilità «morali» poiché si sarebbe adoperato per convincere i fratelli di Brancaccio a desistere dai loro programmi criminali, senza denunciarli. Di Inzerillo (che si è sempre dichiarato innocente) hanno parlato numerosi altri pentiti. Come Angelo Siino, Salvatore Cancemi («Graviano aveva Inzerillo nelle mani»), Gioacchino Pennino («il senatore è un uomo d’onore della famiglia di Brancaccio») e Giovanni Drago che giura d’aver appreso da Graviano che quand’era assessore comunale, Inzerillo autorizzò la costruzione di alcuni palazzi in cambio di mazzette. Ma non tutto è così chiaro e lineare: quando Sinacori parla di un summit di capimafia a cui avrebbe partecipato anche Inzerillo, poi s’è scoperto che uno dei partecipanti citati, il boss Gioacchino Calabrò, in quel momento era in carcere. Per i giudici si trattò di un dettaglio irrilevante.
Altra “novità”: Spatuzza ’u tignusu, e non solo. Il troncone milanese delle inchieste sui mandanti delle stragi di mafia del ’93 si sta arricchendo delle rivelazioni di nuovi e usurati pentiti, e punta dritto a Silvio Berlusconi, passando per l’onnipresente Dell’Utri, ancora per Vittorio Mangano, per le due povere figlie del fattore di Arcore e il cognato di quest’ultimo, quindi per altri soggetti siciliani e calabresi, collegati al senatore del Pdl e potenzialmente collegabili alle indagini sulla bomba che il 27 luglio ’93 ammazzò cinque persone in via Palestro. L’inchiesta di Ilda Boccassini va avanti in silenzio. Contrapposta a quella “gemella” dei pm della procura di Caltanissetta alla quale il magistrato milanese aveva chiesto di essere applicato - attraverso il procuratore Piero Grasso - ricevendo un secco “no” dalle stesse toghe nissene che le avevano inviato una convocazione per interrogarla, come testimone, in merito ai dubbi sul falso falso pentito Scarantino espressi quando indagava su via d’Amelio. Ilda la rossa si è mossa con le dichiarazioni di Spatuzza relative a interessi economici che i boss Graviano, mandanti della bomba piazzata da Giovanni (coordinatore) e Tommaso (basista) Formoso, avrebbero avuto fra il ’92 e il ’95 con politici e imprenditori del Nord. In special modo a Milano, dove entrambi i Graviano vennero arrestati con somma sorpresa di vari capimandamento - dice Spatuzza - che li ritenevano al sicuro nel quartiere palermitano di Brancaccio. Il contesto politico-imprenditoriale-mafioso sul quale la procura di Milano si sta muovendo non riguarda solo la ricerca dei punti di contatto fra i Graviano, le loro imprese edilizie e il senatore. Procede sulla base di una rivisitazione di vecchi atti, sovrapposti a spunti investigativi più recenti, tipo le discutibili informative della Dia (già allegate al processo Dell’Utri) nelle quali nel 1996 si dava spazio ad anonime fonti confidenziali su telefonate fra i Graviano e Dell’Utri per imprecisati business immobiliari nonché a un pranzo comune, fra il ’92 e il ’93, al ristorante «L’Assassino» (sic!) di Milano, oltre alla latitanza ad Arcore assicurata a Gaetano e Antonino Grado ad Arcore da parte di Mangano. E proprio su questo celebre nome si muove una parte cospicua del filone milanese delle stragi del ’93 con riferimento a personaggi che la procura ritiene collegati a Dell’Utri. Come il genero di Mangano, Enrico Di Grusa, già scomodato da alcuni pentiti come referente mafioso al nord, considerato dagli investigatori l’erede naturale dello «stalliere», l’uomo che a detta dell’ennesimo pentito (Andrea Bonaccorso) assicurò la latitanza milanese al boss corleonese Giovanni Nicchi. Per gli inquirenti Di Grusa avrebbe fatto anche da trait d’union con il messinese Nicola Sartori (di cui vi è traccia al processo Dell’Utri) in rapporti con le figlie di Mangano e soprattutto con Pino Porto, alias Pino il cinese, vicinissimo a Mangano senior, adocchiato dal Ros in un’inchiesta sulla ’ndrangheta meneghina. Dei rapporti fra Porto ed Enrico Di Grusa parla abbondantemente un picciotto di basso lignaggio del clan Lo Piccolo, trapiantato a Bareggio, dintorni di Milano: è Angelo Chianello. Faceva estorsioni ai negozi ma per i magistrati è un grande conoscitore delle segrete cose di Cosa nostra e dei rapporti mafiosi fra Vittorio Mangano e Marcello Dell’Utri. In questa direzione si sarebbe data nuovamente un’occhiata alla perizia Genchi sui traffici telefonici e le carte di credito di Dell’Utri (consulenza allegata al processo di Palermo) da dove emergerebbero contatti, negli anni delle stragi e fino al ’96, fra i protagonisti delle nuove indagini, partendo sempre da Di Grusa ritenuto, chissà perché, il passepartout per arrivare ai mandanti eccellenti su Milano. Attraverso di lui (così almeno sostengono i pm del processo al clan Lo Piccolo) Cosa nostra avrebbe costituito a Milano una filiale per dare ospitalità ai latitanti, approfittando dell’amicizia di Dell’Utri e dei buoni uffici del boss Sandro Mannino reo d’essersi incontrato con le figlie dell’ex stalliere di Arcore. Roba giudiziaria già vista, sorpassata, scolorita dai processi e dalle sentenze. Che torna ugualmente di moda grazie a Spatuzza l’imbianchino che si ricorda dei compari Silvio e Marcello con diciassette anni di ritardo.
Da Il giornale di oggi
Il maglione color viola lo aveva addosso anche il n.2 della mafia, oltretutto, quando è stato catturato.. Ergo il viola porta proprio male, di per sé e non certo a questo governo che ha messo a segno, lo ha confermato persino il procuratore Ingroia, successi mai visti da anni e anni di caccia ai mafiosi.. Sta a vedere che, secondo la vulgata della Gazzetta delle Procure e dei Sospetti, il n. 1 della mafia stia facendo piazza pulita per governare lui solo incontrastato.. Accidenti che ridere mi fa il condannato per diffamazione, ivi compreso Gomez che, ad Annozero, dopo essersi tanto accalorato, ha dovuto ammettere che, come ha scritto nel suo libro, non c'è nulla di serio e probante contro Mills! Ahi.. ahi.. ahi .. Cordialità, Antonio
(Rispondi)
 
Aldus_r
Aldus_r il 07/12/09 alle 17:43 via WEB
da "La Repibblica" - Deposizione del 16 marzo 2009 di Gaspare Spatuzza ai di Firenze: ================="Soldi. Soldi "loro" che non sono rimasti in Sicilia, ma "portati su", lontano da Palermo. "Filippo Graviano mi parlava come se fosse un suo investimento, come se la Fininvest fossero soldi messi da tasca sua". Per Gaspare Spatuzza, da qualche parte, la famiglia di Brancaccio ha "un asso nella manica". Quale può essere questo "jolly" non è più un mistero. Per i mafiosi, che riferiscono quel che sanno ai procuratori di Firenze, è una realtà il ricatto per Berlusconi che Cosa Nostra nasconde sotto la controversa storia delle stragi del 1993. Nell'interrogatorio del 16 marzo 2009, Spatuzza non parla più di morte, di bombe, di assassini, ma del denaro dei Graviano. E ha pochi dubbi che Giuseppe Graviano (che chiama "Madre Natura" o "Mio padre") "si giocherà l'asso" contro chi a Milano è stato il mediatore degli affari di famiglia, Marcello Dell'Utri, e l'utilizzatore di quelle risorse, Silvio Berlusconi....continua.
(Rispondi)
albert.z
albert.z il 09/12/09 alle 15:36 via WEB
Caro Aldo, non entro in una analisi punto per punto di ciò cha ha detto Spatuzza. Un indizio importante dice che Berlusconi è socio di mafiosi: il fatto che Mangano, noto mafioso, fosse dichiarato uno stalliere, ma che in reltà non lo era, in quanto mangiava a tavola con i Berlusconi. Mio nonno non faceva mangiare a tavola, con lui ed i suoi amici, lo stalliere. A tavola c'erano solo quelli con cui aveva degli affari. Purtroppo i giudici l'hanno sempre bevuta e alla domanda: da vengono i famosi 130 miliardi comparsi all'improvviso nella disponibilità di Berlusconi? Berlusconi tace!!! Certi magistrati dormono. Dovevano togliercelo dalle scatole molti anni fa!!!
(Rispondi)
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