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UNA STORIA DA MEDITARE

Post n°142 pubblicato il 09 Febbraio 2007 da albert.z
 
Tag: Vita
Foto di albert.z

Sono ebrea. Ho ottanta anni a marzo. Il che significa che sono nata il 9/3 del 1927. Posso permettermi qualche esternazione, credo nel forum libero di un paese che ho tanto odiato quanto amato. E se non la volete sentire la faccio lo stesso. Nessuno vi obbliga a leggermi. Mi chiamo Anne Yedah Staudacher. Nel 1937 avevo 10 anni e vivevo a Melk an der Donau - Austria. La mia famiglia era benestante: mio padre aveva una piccola azienda tessile e mia madre era una musicista (arpista). Ebrea. Russa. (l’amore di e per mio padre fu la nostra tragedia) Avevo 4 fratelli più grandi di me di qualche anno. La mia famiglia non era religiosa ortodossa, mio padre al sabato falciava il prato davanti a casa, non accendeva le candele del shabbath e mia madre non predisponeva vivande speciali e se aveva un concerto ci andava: anche se era sabato. Malgrado ciò le leggi razziali ridussero nel giro di 4 anni la mia famiglia sul lastrico. Il pericolo incombente indusse mio padre a scappare in America dove poi morì di cancro senza riuscire a farci espatriare. Mia madre, per ragioni troppo lunghe da spiegare qui, ma che nulla avevano a che fare con la politica di allora, decise di venire in Italia (diceva che qui il fascismo era meno feroce). Ci stabilimmo a Venezia. La fame era tanta (imparai a mangiare i piccioni, ma anche i topi talvolta). Nel ’42 Venezia era terra di nessuno. (non so cosa dica la storia ufficiale in merito, ma c’era una fame endemica e una diffidenza reciproca spaventosa). Mia madre fu presa in una retata tedesca e non l’ho mai più rivista. I miei fratelli ed io fummo salvati da una vecchia insegnate veneziana. Ci chiuse in cantina ( locale di 1x 1,50 mq , che veniva allagata 2 volte al giorno dalla acqua alta . Forse è per questo che ho i reumatismi oggi), a pane – quello del duce che era fatto di segatura e altre schifezze, ma non certo di farina – e acqua. Sempre stantia. 4 o 5 mesi così. Senza sole, senza gabinetto, senza lavarsi. Ogni sei giorni un pane. Così contavamo il tempo, col buio non si capisce. Così sono passati 4 mesi forse di più. Poi la tragedia. Una notte la porta della cantina si aprì. Un attimo per intravedere la vecchia maestra piegata in due in un lago di sangue insieme a tre piccioni, forse il nostro pasto. Senza spiegazioni fummo spinti di qua e di là fino ai “piombi”. Una notte ai piombi (beata incoscienza ero contenta di non essere in ammollo). Poi il treno piombato . Sei giorni per arrivare a Buchenwald. Le cernite, la separazione, gli spintoni, il tatuaggio (il nuovo cognome), la paura, la solitudine in mezzo alla folla disperata, terrorizzata. Otto mesi di fame, freddo. Lavoro, umiliazione fisica e psichica. E quando i liberatori entrarono dal famoso cancello “Arbeit macht frei” la paura aumentò ancora se possibile. Ancora oggi quando vedo i carri armati pattugliare le zone di guerra rivedo quella scena. La speranza oramai era morta ci aspettava solo il peggio del peggio. Chi credeva in Dio, qualsiasi Dio, aveva smesso di crederci da un pezzo. Avevo sedici anni. Per mia disgrazia ero bellissima, malgrado i miei 32 kg. Non avevo un nome ufficiale ero solo un numero e avevo paura a dire quello vero. Mi misero su un camion e fui portata a Mosca insieme ad altre trenta/quaranta disperate/belle/condannate. La mia famiglia era scomparsa nei forni del terzo Reich. Io mi apprestavo a sopravvivere facendomi scopare “gratis” dai gerarchi russi. Non so quale fosse la peggiore, se l’umiliazione fisica della fame o quella morale della depravazione. Vi risparmio i dettagli, ma i russi sono dei veri maiali, sono il popolo più avvilente e meno umano che conosca peggio perfino di quelle belve chiamate nazisti. E arriviamo al 1953. 10 anni di prostituzione. Al servizio del regime. Ma sempre prostituzione era anche se per ragioni di sopravvivenza. Poi la grande occasione. Una gita sul Mar Nero con un esponente del PCUS che oggi stentereste a credere se vi dicessi il nome. Un esponente di poco conto allora intendiamoci, ma di quelli che sulla guerra del grano ci marciarono su alla grande. Un uomo rozzo, ignorante e arrogante, spaventosamente stupido. Ma per sua disgrazia, innamorato. Per mia fortuna, di me! Mi fece scappare in occidente. Chiusa in un carico di pelli non conciate. 5 giorni in mezzo al lezzo di morte. A volte ancora mi sveglio di notte con l’odore di putrefatto nel sogno ancora addosso. Mi sembra talvolta ancora oggi che non sia andato via. Arrivai a Trieste poi da lì a Bologna e poi finalmente a Sondrio. Avevo pochissimi soldi e nessun documento. Mi comprai un vestito, un paio di scarpe e una borsetta (vuota ricordo, io non avevo nulla.) Trovai lavoro come dattilografa in una copisteria. Non sapevo che pochissimo italiano (la mia permanenza in Italia si era limitata ad una cantina buia e allagata) e una terribile paura di tutto. Dopo qualche giorno il principale mi chiamò in ufficio e mi disse: devo mandarti via, non hai documenti, però mi è stato detto che in Russia ti davi da fare bene anche senza documenti. Uscii da quella porta ancora più umiliata e più ancora ferocemente decisa a non morire con le gambe aperte. Andai alla polizia. Raccontai la mia storia senza sapere cosa sarebbe successo, se mi avrebbero creduto, se mi avrebbero aiutato. Creduto sì. Aiutato no. Ero di nuovo a zero. Per di più senza un soldo. Provai a Milano. Andai in un convento a spiegare. Non mi vollero aiutare perché dicevano che ero russa (russo : demonio) ed ebrea (qualcosa di peggio del demonio che ora non ricordo). Andai a sinagoga. Non mi vollero aiutare perché non sapevo nulla della loro religione (la mia famiglia non era ortodossa anzi piuttosto agnostica) e quindi mi guardavano con sospetto. Andai alla sede del PCI. Anche qui non mi aiutarono. Non ero né carne né pesce. Per loro o sei un fanatico e non sei degno. La parola “normale” non esiste nel loro vocabolario. Mi blandirono con continue scuse alla ricerca di un improbabile lavoro e di una possibile sistemazione dei miei documenti ma, beh li sto ancora aspettando...!! Poi incontrai lei. Giovanna C., poco più grande di me. Una signora molto ricca e molto generosa. Era seduta in pasticceria da Taveggia a Milano ed io ero seduta sul gradino esterno (fuori intendo, ovviamente). Uscì con 5 pasticcini e un the freddo (era estate). Mi chiese chi ero. Non le risposi. Avrei voluto ucciderla. (Ricca, arrogante, elegante e soprattutto con la pancia piena) Alla fine risposi: sono una ex prostituta ebrea-russa, senza casa, senza soldi e una rabbia dentro che potrei uccidere chiunque a mani nude. Lo dissi in un italiano molto approssimativo, ma con una rabbia così feroce che la signora in questione ne rimase sconvolta. A farla breve mi aiutò. Mi fece passare la rabbia. Mi diede la possibilità di lavorare, e successivamente di prendere una laurea in ingegneria aeronautica al politecnico di Milano, di mantenermi con dignità, poi di fare carriera e di arrivare infine ad una serena vecchiaia non senza essermi anche divertita molto. La signora in questione era la moglie di un ex podestà fucilato dai partigiani per ragioni ancora oscure e sicuramente non politiche o ideologiche, ma del tutto personali. Perché ho scritto tutto ciò? Nel corso della mia giovinezza e della mia successiva maturità ho visto e vissuto tante situazioni molto contrastanti tra loro. Credo di essere una persona onesta anche se ho fatto cose disoneste e non me ne vergogno per niente. Non ho avuto il sostegno della fede, ma solo una grande incondizionata fiducia in me stessa e nella mia voglia di vivere a tutti i costi e di vivere una grande libertà. Perché vi racconto questo? Perché oggi che ho raggiunto la ragguardevole età di 80 anni mi rendo conto di quanta stupidità regna nel mondo. Gli stessi folli sbagli di 80 anni fa si stanno ripetendo con allegra incoscienza. L’arringare le folle circa una società più giusta, più equa, più solidale. È solo ipocrisia di qualsiasi colore sia dipinta. L’uomo non è né giusto, né equo, né solidale. E’ solo una povera scimmia, fragile, stupida, corruttibile ed egoista, sia essa fascista o comunista. E per corruttibile intendo il peggior aggettivo che io conosca. È disposto a credere qualsiasi cosa purchè gli faccia comodo. E a combattere per ciò in cui crede con sacro fuoco, salvo a cambiare bandiera alla prima defaillance. È successo in Germania (nessuno sapeva nulla), è successo in Russia (ma noi non sapevamo niente o meglio che ci possiamo fare?) è successo in Italia alla fine della guerra (tutti partigiani e nessun fascista in giro nello spazio di 24 ore), e succede ora in Cina, in Corea del Nord, in Africa in Sud America e purtroppo qui, dove non potendo dire che non si sa nulla di ciò che succede, allora si agghinda la verità storica di destra e di sinistra con edulcorate contraffazioni ancor più indegne. Ho detto già che sono vecchia e che perciò poco mi importa ora della fine. Ma devo dire che la partecipazione a questo forum (AFFARI ITALIANI)) mi ha fatto capire quanto l’intelligenza umana sia insignificante davanti all’arroganza, alla presunzione e alla infinita ignoranza di sè. Vi saluto caramente. ANNA

 
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