Post N° 175

Post n°175 pubblicato il 11 Giugno 2008 da eleperci
 

fino al 22.VI.2008
La cura del bello
Ravenna, sedi varie

Omaggio a Corrado Ricci a 150 anni dalla scomparsa. Vita, morte e (soprattutto) miracoli di un gigante della cultura italiana. Oggi quasi dimenticato...

di ELENA PERCIVALDI


 

pubblicato martedì 10 giugno 2008

Che l'Italia sia un Paese dalla memoria corta è fin troppo evidente. Lo è per la storia, per la politica, per la cronaca di ogni giorno. Anche i disastri sono presto dimenticati, fagocitati dalla nuova emergenza di turno. Figuriamoci allora che cosa resta, nella memoria collettiva, dei "padri della patria". Non quelli che hanno contribuito a mettere insieme i cocci (dimenticati anche loro, salvo riesumazioni estemporanee, di norma legate a retorici anniversari), ma quelli che dell'Italia hanno costruito, organizzato, salvato il patrimonio culturale, contribuendo in maniera determinante a sistemarne e consolidarne l'identità.
Uno di questi è Corrado Ricci (1858-1934), ravvennate nato pochi anni prima dell'Unità e morto in pieno Ventennio, prima -per sua fortuna- di vedere gli scempi dei bombardamenti a Pisa e a Montecassino...

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Post N° 174

Post n°174 pubblicato il 05 Giugno 2008 da eleperci
 

Ottima la prova del soprano moldavo che ha sostituito la Devia. Immensa come al solito la classe di Bruson.

Immeritati i fischi al giovane maestro Carlo Montanaro, che invece ha emozionato dimostrando che potrà crescere

La Traviata di Irina Lungu seduce e commuove la Scala

 

 

di Elena Percivaldi

Certo che il pubblico della Scala, quando ci si mette, è proprio una iattura. C’è un giovane direttore - 39 anni - che debutta sul podio in un’opera non facile perché conosciutissima, ed eccolo servito: "buu" come se piovesse. Ma stia tranquillo: lasciano il tempo che trovano. Il pubblico infatti dimostra di essere talmente competente da applaudire a sproposito e da interrompere i cantanti nel bel mezzo dell’azione, oltre che lieto di lasciar squillare i telefonini. Poi ci si lamenta se i nostri talenti preferiscono andare all’estero che venire a lavorare in Italia. Lì evidentemente la cultura musicale, a differenza che in questo tristo Paese, è di casa, qui se n’è andata da tempo.

Carlo Montanaro ha debuttato al Piermarini con Traviata, e se l’è cavata egregiamente. Ha dimostrato di avere personalità, di farsi rispettare da cantanti di primissimo piano e, da ex orchestrale - era violinista prima di salire sul podio - di dialogare benissimo con i musicisti traendone il meglio e riuscendo, nei momenti clou, anche a commuovere. Bravo. E se all’inizio era un po’ contratto, forse un tantino legnosetto al punto da sembrare che stesse dirigendo col metronomo in tasca, col tempo si è sciolto: nelle repliche sicuramente crescerà ancora. L’anno prossimo lo aspettiamo per i Due Foscari certi che non deluderà.

Come non hanno deluso i cantanti: la moldava Irina Lungu è stata una Violetta fresca e pulita, magari un po’ flebile nel primo atto ma si è via via spigliata lungo il dipanarsi della partitura, regalando momenti di rara intensità emotiva soprattutto nell'ultimo atto. Ha sostituito all’ultimo un monumento come Mariella Devia, indisposta: l’emozione avrà giocato il suo ruolo. Diciamolo pure: se tutte le cantanti che escono dall'Accademia scaligera sono di questo livello, sia vocale che scenico, allora per il melodramma c'è più di una concreta speranza.

Vivido e corretto José Bros, che si è distinto per il timbro squillante e per la dizione impeccabile. Forse non passionale e palpitante come la tradizione ce lo consegna (eccessi compresi, il che non è un male), il suo Alfredo è però giovanile e nobile, e sicuramente convincente. Ovazioni per il Germont di Renato Bruson: la classe, la dizione perfetta, la presenza scenica del grande baritono veneto sono una sicurezza che non tramonterà mai. Niente di speciale, invece, i ruoli di contorno.

Sul piano visivo, infine, nulla da aggiungere su questa superba edizione ripresa più volte con la regia di Liliana Cavani, scene di Dante Ferretti e costumi di Gabriella Pescucci: sempre una gioia per gli occhi. Scioperi permettendo, ammiratela fino al 27 giugno.

PUBBLICATO SU CLASSICAONLINE.COM:
http://www.classicaonline.com/interviste/09-06-08.html

 
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Post N° 173

Post n°173 pubblicato il 02 Giugno 2008 da eleperci
 

Como “abbraccia” Vienna
e le inquietudini del ’900


A Villa Olmo le opere di Klimt, Schiele e Kokoschka
raccontano la fine di un’epoca

di ELENA PERCIVALDI

Sono due corpi nudi e glabri, intrecciati un amplesso forte, di quelli che tolgono il fiato. Lei  pelle chiara, lui olivastro, sotto il lenzuolo candido e stropicciato.  È il 1917, l’Austria sta soccombendo sotto le granate e i colpi di cannone della Grande Guerra. Egon Schiele,  testimone dei tempi, ritrae in questo Abbraccio il sentimento morboso e disperato di due amanti che non sanno, non possono sapere, se sopravviveranno al disastro e se potranno avere ancora qualcosa da raccontare. È questo il quadro simbolo della mostra in corso a Como fino al  20 luglio  (catalogo Silvana Editoriale), dove le stanze di Villa Olmo accolgono una nutrita selezione di capolavori provenienti dal Museo Belvedere di Vienna.

Il titolo è proprio L’abbraccio di Vienna, e sta ad indicare  il ruolo che la capitale del vecchio impero asburgico ha rivestito nella genesi dell’arte del Novecento, in particolare agli inizi del secolo, quando divenne protagonista con la  Secessione e il  primo Espressionismo. I nomi sono quelli, eclatanti e terribili, di Egon Schiele, di Gustav Klimt e di Oskar Kokoschka. Ma la rassegna non inizia né finisce con loro.  Curata da Sergio Gaddi  e Franz Smola, la mostra raccoglie un’ottantina di opere che dal Barocco arrivano  appunto all’Espressionismo, passando per la Belle Èpoque e quel tanto vituperato Biedermeier, tutto  oleografico e buoni sentimenti,  profumato  di interno borghese, di cannella e torta di mele, che qualcuno pure non senza ragione ha tentato di rivalutare come parte integrante della cultura austriaca.

La parte che preferiamo, comunque,  resta  quella  dello Jugendstil. Con le sue inquietudini, i suoi terrori, le sue visioni morbose amiamo le  turbe psicanalitiche di Schiele che, morto giovanissimo, ha saputo trasmetterci lo smarrimento e l’angoscia di una generazione che ha visto violato il rassicurante e caldo grembo della grande madre Austria.  E sentiamo nelle sue opere la voce di Joseph Roth e le pagine dolenti e disperate della Cripta dei Cappuccini.
Così come ci piacciono  la veemenza e i colori forti e icastici di  Kokoschka, e  di Klimt apprezziamo non  solo gli svolazzi decò e le citazioni dell’antica arte bizantina, ma anche i ritratti e i paesaggi, di gran lunga meno conosciuti. Questi artisti sono gli interpreti della fine fragorosa di un’epoca e della fine della vecchia Europa. E il canto del cigno dell’impero alla fine della decadenza è  un canto che  continua a commuovere.

 
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Post N° 172

Post n°172 pubblicato il 28 Maggio 2008 da eleperci
 

Presentato il Cartellone 2008-2009

La Scala (in attivo) apre al barocco
e ritrova la tradizione

Si parte col Don Carlo di Verdi, si prosegue con Händel e Monteverdi. Quattro le nuove produzioni, mentre torna l’Aida-blockbuster  del duo Chailly-Zeffirelli. In tutto, 283 recite comprese le tournée

di Elena Percivaldi

Quattordici opere di cui 8  dell’Otto e 4 del Novecento, 7 di autori italiani e  ben 4 nuove  produzioni nostrane per un totale di 283 alzate di sipario tra recite e tournée. Ecco i numeri della stagione 2008-2009 del Teatro la Scala di  Milano, presentata ieri da uno  Stéphane Lissner a raggiante insieme al sindaco Letizia Moratti, che ha proclamato un bilancio in attivo  (1 milione e 200 mila euro) per il terzo anno consecutivo e un accordo con Abu Dhabi che avrà «un effetto di ritorno sulla città di Milano molto forte».

LARGO AI GIOVANI
Il  sovrintendente scaligero, che ha smentito le voci di un suo prossimo trasferimento a Berlino («ho detto che resterò a Milano almeno fino al 2013, anche se sarà il cda a decidere»), ha annunciato il cartellone dicendosi soddisfatto del programma svolto in questi primi tre anni e intenzionato ad andare avanti nel progetto di «ridefinizione dell’identtità della Scala nel futuro». Un cartellone che, per la prima volta, anticiperà l’apertura  di Sant’Ambrogio con un’anteprima dedicata ai  giovani i quali, il 4 dicembre, potranno assistere pagando solo 10 euro alla rappresentazione del Don Carlo di Verdi diretto da Daniele Gatti che il 7 inaugurerà la stagione.  
Il programma, se non ammicca come gli anni scorsi al contemporaneo, apre però finalmente al barocco con due nuovi allestimenti:  l’Alcina di Händel  affidata a Giovanni Antonini e l’Orfeo di Monteverdi  diretto da Rinaldo Alessandrini, che aprirà la trilogia di opere del genio cremonese da rappresentare nei prossimi tre anni. 

NOVECENTO E DINTORNI
Continua la riscoperta di Janácek, di cui si propone L’affare Markopulos (sul podio Marko Letonja), mentre A Midsummer night’s Dream diretto da Andrew Davis apre un ciclo tutto dedicato a Britten.  Novecento di classe anche con Stravinskij, di cui si propone un  The rake’s progress diretto da David Robertson tutto nuovo, e con Assassinio nella cattedrale di Ildebrando Pizzetti (sul podio Renato Renzetti). Tre invece le riproposte, che coincidono con le tre inaugurazioni del ciclo Lissner: l’Idomeneo di Mozart (affidato però al coreano Myung- Whun Chung), il blockbuster verdiano Aida della coppia Zeffirelli-Chailly, e lo strepitoso Tristan und Isolde di Wagner  diretto da Barenboim, fresco vincitore del Premio Abbiati. 
Tra i classici,  tornano I Due Foscari di Verdi (con Carlo Montanaro), il Viaggio a Reims di Rossini (con Dantone) e, per il Progetto Accademia, un Donizetti meno frequentato: Le convenienze e inconvenienze teatrali, con la regia di Antonio Albanese. Ricca anche la proposta di balletto tra cui spicca il Pink Floyd Ballet di Roland Petit con le musiche del mitico gruppo inglese.

L'ANNO DELLE TOURNEE
Il 2009 sarà per la Scala l’anno delle tournèe, con trasferte in 6 capitali del mondo e 16 per il balletto  fino  al 2012. E se il costo dei biglietti aumenta del 10% («abbiamo adeguato i prezzi all’inflazione, erano fermi dal 2004»),  la prossima  stagione prevede inziative speciali con biglietti a  prezzo agevolato e abbonamenti flessibili. Altre novità, il  ciclo Beethoven-Schönberg affidato a Barenboim che vedrà l’esecuzione dei 5 concerti per piano del genio di Bonn affiancati da capolavori del compositore viennese, e il Progetto Pollini, con il grande pianista in azione con alcune delle migliori orchestre del mondo.   Nel futuro del Teatro alla Scala due date: il 2013, anno  verdiano e wagneriano e il 2015, anno dell’Expo. Altre sfide per rilanciare Milano all’attenzione del mondo.

 
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PREMIO ABBIATI PER LA MUSICA 2007

Post n°171 pubblicato il 25 Maggio 2008 da eleperci
 

Segnalo questa iniziativa alla quale ho avuto l'onore di partecipare come giurato, in quanto membro dell'Associazione Nazionale Critici Musicali. Dal prossimo anno, il Premio avrà l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica.

Si terrà:

DOMENICA 25 MAGGIO - ore 17

TEATRO DONIZETTI di BERGAMO

la cerimonia di consegna dei Premi "Abbiati", a cura del Comitato Organizzatore in collaborazione col "Festival Pianistico Internazionale Arturo Benedetti Michelangeli" e il patrocinio del Comune di Bergamo.

ECCO I PREMIATI

SPETTACOLO. 

Tristan und Isolde di Richard Wagner (Milano, Teatro alla Scala): direttore Daniel Barenboim, regia Patrice Chereau, scene Richard Peduzzi, costumi Moidele Bickel, luci Bertrand Couderc.

 

NOVITÀ ASSOLUTA.

Antigone di Ivan Fedele (Firenze, Maggio Musicale Fiorentino). 

 

DIRETTORE. 

Yuri Temirkanov, per Traviata (Parma, Festival Verdi).

 

REGIA.

Damiano Michieletto, per la Gazza ladra al Rossini Opera Festival di Pesaro.

 

SCENE E COSTUMI.

La Fura del Baus, per i primi due titoli del Ring al Maggio Musicale Fiorentino.

 

SOLISTA.

Leonidas Kavakos, violinista.

 

CANTANTE.

Svetla Vassileva, soprano (Traviata e Rusalka).

 

INIZIATIVA. 

Orchestra Giovanile Luigi Cherubini.

 

PREMIO "FILIPPO SIEBANECK".  

LaVerdi per tutti, orchestra amatoriale.

 

 
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"Caso Moro, sia fatta chiarezza"

Post n°170 pubblicato il 23 Maggio 2008 da eleperci

Il regista Carlo Infanti mi segnala che mercoledì Renato Farina ha presentato un'interpellanza al Ministro degli Interni dopo aver visto il suo film, e in particolare la parte reltaiva al supposto "blitz" di Gradoli. Che sia la volta buona?
Ecco qua di seguito la notizia completa (fonte AdnKronos).

Renato Farina, del Pdl, ha  presentato oggi un’interpellanza al ministro dell’Interno sul caso  Moro, dopo aver visto alcune scene del film del regista Carlo Infanti, "La verità negata". Nell’inchiesta si sostiene che gli esiti della  seduta spiritica del 2 aprile 1978, a Zappolino, nella villa del  professor Clò siano stati del tutto differenti da quelli sostenuti  nelle versioni ufficiali.
   "Durante quella seduta - afferma l’esponente del Pdl-fu chiesto  agli spiriti di La Pira e Don Sturzo ove fosse tenuto prigioniero il  presidente della Dc, Aldo Moro, e dopo il vaticinio "Gradoli", il  suggerimento della signora Moro: "Cercate a Roma una via Gradoli" fu  ignorato; le si rispose anzi che nel "Tutto Città" non esisteva,  infatti le forze dell’Ordine non andarono in via Gradoli ma fu messa a ferro e fuoco Gradoli, cittadina dell’alto Lazio, per cercare Moro,  questo lasciano intendere molti illustri parlamentari e storici, come  Giovanni Pellegrino, presidente della Commissione Stragi, che ripete  questo fatto in un libro recente."
   In realtà, afferma ancora Farina, "le autorità cittadine in  carica a Gradoli a quei tempi hanno testimoniato al regista Carlo  Infanti (ed oggi lo ribadisce nell’intervista apparsa su "Il Giorno" a firma di Silvio Danese) che nessun inquirente cercò Aldo Moro in quel paese e non vi furono controlli a tappeto, le stesse autorità  cittadine hanno dichiarato che in quei giorni tre inviati di "Unità", "Messaggero" e "Avanti" si recarono a Gradoli, appurando non vi era  successo nulla e infatti nulla scrissero nè allora nè nei trent'anni successivi su quei tre quotidiani circa la presunta "invasione" di  Gradoli."
   Farina chiede di sapere quali azioni il Ministro dell’Interno e  il Presidente del Consiglio "intendano intraprendere per accertare e  riferire chi siano i giornalisti eventualmente reticenti e come si sia potuto sviluppare anche in sedi ufficiali una simile panzana storica,  e se non ritengano poi doveroso rendere immediatamente pubblici tutti  gli atti concernenti la cosiddetta operazione di Gradoli."


FONTE: ADNKRONOS

 
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GRAZIE...

Post n°169 pubblicato il 19 Maggio 2008 da eleperci

...a tutti quelli che ieri sono venuti a Carnate alla presentazione del mio libro sull'Ogam: malgrado la pioggia, i festeggiamenti per lo scudetto dell'Inter e l'argomento ostico!!

Alla prossima...
 

 
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Post N° 168

Post n°168 pubblicato il 17 Maggio 2008 da eleperci
 

libri_manuali
Ottocento lombardo
(skira 2007)

Un secolo denso di trasformazioni e lotte a colpi di pennello, sullo sfondo di un’Accademia di Brera al culmine del suo prestigio. Dal patriottismo di Hayez alla borghesia rampante di Molteni, dal paesaggio istoriato di Canella al vedutismo urbano di Inganni e degli Induno...

di Elena Percivaldi

pubblicato lunedì 12 maggio 2008

Canova è morto; e tutte le arti si rinnovano [...]. Quel diavolo che ha fatto questa musica [Rossini, N.d.R.], ha sfidato il passato che pareva insuperabile, e ha vinto. Tutta Milano è sottosopra [...] Hayez quest’anno ha trionfato nelle sale di Brera, e lasciando l’antichità, ha fatto il suo ingresso nel Medioevo”. Con queste parole rivolte allo scultore Pompeo Marchesi, Giulio Baroggi, il protagonista dei Cento anni di Giuseppe Rovani, si fa interprete del cambiamento dei tempi. Un cambiamento epocale che ha come sfondo una Milano che, da capitale dell’algido neoclassicismo durante il Regno d’Italia grazie all’opera di artisti quali Appiani e Bossi, nel Lombardo-Veneto asburgico si accinge a diventare il centro propulsore dell’estetica romantica e risorgimentale. Quadro simbolo di tale rivoluzione, che avviene a parole con Il Giuramento di Pontida di Berchet e le tragedie di Manzoni, è il Pietro Rossi prigioniero degli Scaligeri (1818) di Francesco Hayez....

LEGGI TUTTA LA MIA RECENSIONE SU EXIBART:
http://www.exibart.com/notizia.asp/IDCategoria/72/IDNotizia/23478

 
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Post N° 167

Post n°167 pubblicato il 16 Maggio 2008 da eleperci
 

Il regista: «Chi c’era giura: non ci fu mai nessun blitz a Gradoli. Esistono le prove, di questa come di altre menzogne. Chi si vuole coprire? E perché?»

Caso Moro, ecco la verità negata

Carlo Infanti ha raccolto nel suo  ultimo film
testimonianze finora mai ascoltate. Scoprendo che...

di ELENA PERCIVALDI


La vicenda è nota. Parliamo del sequestro e dell’uccisione, avvenuta trent’anni fa esatti, di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, già  ministro degli Esteri e presidente del Consiglio. Ma se ognuno, di quei plumbei giorni d’inizio primavera, ricorda  la strage della scorta in via Fani, la drammatica immagine dello statista con in mano una copia di Repubblica e dietro la stella a cinque punte delle Brigate Rosse,  la Renault 4 rossa parcheggiata in via Caetani che custodiva, come una bara, il suo corpo senza vita, ci sono fatti, personaggi, circostanze che nessuno a parte gli interessati conosce.  E che nessuno, finora,  ha avuto il coraggio  di raccontare.
 

Carlo Infanti, classe 1966, è nato a Luino e ha iniziato a fare teatro quando aveva quindici anni. Ha lavorato in  Parlami d’amore MariùIl Grigio di Giorgio Gaber e Sandro Luporini, poi  come attore professionista nella compagnia di Piero Mazzarella. E come autore, scrivendo testi di successo tra cui Finalmenteunuomo, Attimi d’amore, Le avventure del sior Tone, che ha anche diretto. Stavolta però ha deciso di affrontare a modo suo, con un film originale,  uno dei più sconcertanti  misteri italici alla ricerca di quella verità che, al di là delle versioni ufficiali, stenta ancora a venire fuori.
«Il mio - ci racconta Infanti - non è un documentario. E non è neppure un film inchiesta. O almeno, non è solo quello. La vicenda Moro è il più grande, controverso e oscuro delitto politico del dopoguerra. Una pagina terribile della nostra storia sulla quale esiste una verità che però, inspiegabilmente, continua a rimanere nascosta. Una verità negata».
E proprio Moro, la verità negata è il titolo di questi 93 minuti diversi dagli altri perché non vedono protagonisti attori, ma i testimoni dei fatti. Ex ministri, agenti segreti, amministratori pubblici, legali e ufficiali dell'Esercito e della Marina militare che, per la prima volta, raccontano quello che non compare né nelle inchieste ufficiali, né sulla stampa dell’epoca, né nelle ricostruzioni successive. «Per cinque mesi  - spiega Infanti - ho raccolto una gran mole di materiale. Atti giudiziari, documenti ufficiali, filmati, interviste, testimonianze. Pagine mai lette, voci mai ascoltate. Che ora io, per la prima volta,  faccio parlare».

IL MISTERO DI GRADOLI
Il film  comincia con la seduta spiritica che  il 2 aprile del 1978 avrebbe suggerito a Romano Prodi e ad altri (tra cui Mario Baldassarri e Alberto Clò)  il nome “Gradoli” come indicazione del luogo dove Moro sarebbe stato tenuto prigioniero. Quattro giorni dopo,  su ordine del ministero dell'Interno, la procura di Viterbo  organizzò un blitz armato nell’omonimo paesotto del Viterbese. Secondo la versione ufficiale, il blitz non ebbe successo.  Ma le testimonianze raccolte da Infanti nel paesino, intervistando gli abitanti, sono sconcertanti:  tale blitz, secondo loro, non si sarebbe mai verificato, quel giorno in giro non c’era anima viva. Altro che agenti in tenuta da rambo.
Il nome di Gradoli sarebbe ritornato alla ribalta in seguito, quando a Roma, in via Gradoli appunto, sarebbe stato scoperto un covo delle Brigate Rosse. Ma per altri  Gradoli sarebbe un nome in codice per coprire alcune informazioni  passate dai servizi segreti sovietici a politici italiani. Su questo caso stava indagando la commissione parlamentare d'inchiesta Mitrokin quando, alla fine del 2006,  si è ritrovata al centro di un complesso intrigo internazionale.
Nel film parlano molti testimoni, vivi e morti. E riferiscono fatti inquietanti.  Come  Alexander Litvinenko, l'ex tenente colonnello dell’FSB (il servizio segreto russo erede del Kgb) assassinato a Londra nel novembre 2006 con una massiccia dose di Polonio 210, che in una sequenza d’archivio riprodotta tale e quale da Infanti dichiara senza mezzi termini che uno dei big della politica italiana lavorava, nientemeno, che  per il Kgb.

IL RICORDO DELLA FIGLIA
Parla anche la figlia di Moro,  Maria Fida, finora restìa a partecipare alle commemorazioni ufficiali del delitto. Qui compare in una sequenza toccante: dal cofano della macchina  ricorda il padre com’era prima del sequestro, in famiglia, a casa, nelle cose di tutti i giorni.  Un uomo mite e generoso  del quale non sarebbe mai importato nulla a nessuno, ma che all’improvviso, strumentalmente,  fu trattato da tutti come un martire.
«Del mio film - sottolinea  Infanti - si potranno dire molte cose. Che è brutto. Che è girato male. Ma quello che viene detto dai testimoni non si può negare: è tutto provato in centinaia di pagine di documenti».
Infanti, però, non vuole dare risposte. Non vuole fare il giudice. Ma solo suggerire una pista, stimolare alla ricerca, fornire un punto di partenza. Che possa, un giorno, sfociare da qualche parte, facendo svanire la nebbia: «Sapete cos’è che mi fa davvero male? Che nonostante ci siano tante e tali prove, che decine di persone sappiano che la verità sul sequestro Moro è un’altra, nessuno si sia mai preso la briga di leggere, di ascoltare. Che nessuno voglia indagare. Che nessun giornale voglia scriverlo. Uno scandalo tutto italiano, che strappa il Paese dal novero delle democrazie per cacciarlo nella lista squallida dei regimi». 

ALLA RICERCA DELLA VERITA'
La pellicola era iscritta alle  preselezioni dei Festival del Cinema di Cannes, 2008, ma è stata esclusa. «Non mi importa - scrolla la testa il regista -. Il mio film non è nato per fare cassetta. Non ha sponsor né interessi da difendere. Non ha nemmeno un grande nome per la distribuzione.  Troveremo comunque il modo per farlo vedere in giro, piuttosto lo  regaliamo. Dirò di più. Il mio prossimo film sarà dedicato alla ricostruzione dell’attentato a papa Giovanni Paolo II, episodio che col delitto Moro ha  inquietanti legami. Lo ripeto: ciò che mi preme è solo  che la verità, finalmente,  venga a galla. Costi quel che costi».

 
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CI VEDIAMO A:

Post n°166 pubblicato il 12 Maggio 2008 da eleperci
 

Per il ciclo "FAI IL PIENO DI CULTURA"

Biblioteca di Carnate- Assessorato alla Cultura

 

   DOMENICA 18.05.2008

            apertura straordinaria della biblioteca

dalle ore 9,30 alle ore 12,00

e dalle ore 15,00 alle 19,00

alle ore 18,00 

presentazione del volume:

           OGAM.ANTICO ALFABETO DEI CELTI

       Ed. Keltia.

       con l'autrice Elena Percivaldi

                            ed intermezzi musicali di arpa celtica a cura di Alessandra De Stefano

seguira' aperitivo

 

 

            INGRESSO LIBERO


 
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Segnalo volentieri questa presentazione...

Post n°165 pubblicato il 12 Maggio 2008 da eleperci

BA BOOK - FESTA DEL LIBRO DELLA CITTA' DI BUSTO ARSIZIO - EDIZIONE 2008

 

VENERDI' 16 MAGGIO 2008

 

ORE 21,00

 

VILLA TOSI - VIA VOLTA, 4 - 21052 BUSTO ARSIZIO (VA)

 

DANIELA FERRO PRESENTA

 

"LE GRANDI DONNE DI MILANO"

 

NEWTON COMPTON EDITORE

 

PRESENTATORE/MODERATORE: Giorgio Romussi (giornalista)

 

VERRA' ALLESTITO IL PUNTO VENDITA DEL VOLUME/I DELL'AUTRICE

 
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Post N° 164

Post n°164 pubblicato il 09 Maggio 2008 da eleperci
 

Buona accoglienza per il debutto operistico del grande Lorin
tratto da Orwell. Musica difficile, buoni interpreti
ma una straordinaria messa in scena

1984, IL DAY AFTER TOTALITARIO DI MAAZEL TRAVOLGE LA SCALA  

di Elena Percivaldi

Guarda il video

“La guerra è pace! La libertà è schiavitù! L’ignoranza è forza!”. Ecco la triade che, dall’inizio alla fine, scandisce ridondante il 1984 di Lorin Maazel in questi giorni alla Scala di Milano. Tratto dall’omonimo romanzo di George Orwell, il lavoro in tre atti ha avuto la sua “prima” a Londra nel 2005 e arriva per la prima volta sotto la Madonnina ricoprendo il Piermarini di nubi plumbee e angosciandolo con un clima claustrofobico degno del peggiore manicomio. Il maestro, dal podio, ha diretto magistralmente il suo lavoro grazie a un’orchestrazione eccellente. Un’opera musicalmente difficile e con forti presenze atonali. Che però nel contempo è gran debitore della lezione di Bernstein, come mostrano certi momenti tendenti al musical quali i duetti, gli inni o le canzoni retrò nei tratti più suggestivi.

E forse è proprio questo, nel complesso, il limite di 1984: l’aspirare a fare Bernstein senza però riuscirci, o almeno non del tutto. Certo, Maazel i meccanismi del teatro li conosce eccome. Sa quando spingere sull’acceleratore (i cori finali), stupire con effetti speciali (la bomba che fa strage nella piazza a fine primo atto durante un’impiccagione), allentare la tensione (i duetti amorosi), far fremere lo spettatore di orrore e di sdegno (scene di tortura del terzo atto). Ma mischiare il buon Leonard con Debussy, Sciostakovic, Berg e via novecentando rischia di far smarrire la strada anche a Pollicino, come anche di fargli perdere l’identità senza peraltro trovarne una propria. Ed è quello che, secondo noi,  è accaduto a Maazel in questo suo debutto operistico, condannando il maestro, almeno per ora, a rimanere prima un direttore d’orchestra, e poi un compositore.  

Il lavoro di Maazel è fedele al romanzo di Orwell fino al parossismo, sintetizzato com’è nei suoi spunti essenziali – il totalitarismo, la follia del Bipensiero (Doublethink), l’assillante utilizzo della Neolingua (Newspeak) che impoverendo i concetti dell’eloquio tramite l’introduzione, per ogni concetto, del suo contrario tramite la sua semplice negazione insterilisce progressivamente fino a renderlo superfluo il pensiero stesso – dal brillante libretto di J.D.McClatchy e Thomas Meehan. Ma riserva ampio spazio – più in verità di quanto non ce ne fosse nel testo originale – all’amore tra i due protagonisti, Winston e Julia: il che permette a Maazel qualche divagazione lirico-melodica che dà tregua all’orecchio e nel contesto non guasta certo.  

Tornando allo spettacolo, la cosa più efficace è senza dubbio l’impressionante resa scenica: la regia di Robert Lepage e le scene di Carl Fillion, superlative, hanno evidenziato grazie alla grande pedana rotante che si apriva ora in sala delle adunate, ora in piazza delle esecuzioni, ora in sala delle torture il clima agghiacciante del capolavoro orwelliano, ambientato in una Oceania da Day after retta dal Grande Fratello che fonda il suo potere sulla manipolazione delle coscienze, sull’annullamento del singolo e sul rovesciamento continuo della realtà. A impersonarlo, la perfetta voce fuori campo di Jeremy Irons che, onnipresente sugli schermi, di tanto in tanto irrompe in scena ad annunciare le vittorie nella sempiterna guerra contro il mutante nemico. Gli eloquentissimi costumi di Yasmina Giguère (bambini spie in divisa da Hitlerjügend, i prigionieri di guerra di Eurasia vestiti come i carcerati di Guantanamo) rivestono l’incubo trasferendolo fuori dal tempo e rendendolo tangibile e reale anche per tutti noi.

Buoni tutti gli interpreti: Julian Tovej (Winston), Nancy Gustafson (Julia), Richard Margison (O’Brien), Jeremy White (Parsons), Peter Tantsits (Syme) e soprattutto Iride Martinez (nella duplice veste dell’istruttrice e della donna ubriaca). Insieme agli ottimi cori (anche e soprattutto quello dei bambini: Spie e Prolet), l’apparato rende alto il livello di uno spettacolo che comunque definiremmo, nel complesso, difficile e provante.

Ultime repliche: 8, 10, 14, 17 maggio  2008.

da Classicaonline.com: http://www.classicaonline.com/inviato/appuntamenti/07-05-08.html

 

 
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ELENA ALLA FIERA DEL LIBRO DI TORINO

Post n°163 pubblicato il 03 Maggio 2008 da eleperci

I LIBRI DI ELENA PERCIVALDI ALLA FIERA DEL LIBRO DI TORINO:

* I Celti. Una civiltà europea
* I Celti. Un popolo e una civiltà d'Europa
STAND GIUNTI : PAD 2

* Gli Ogam. Antico alfabeto dei Celti
STAND KELTIA : PAD. 2

L'autrice sarà presente giovedì 8 maggio per incontrare amici e lettori.

http://www.fieralibro.it

 
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Post N° 162

Post n°162 pubblicato il 02 Maggio 2008 da eleperci
 

MATILDE LA PAPISTA?

di Elena Percivaldi

Tre mostre, itinerari di visita sul territorio, sinergie internazionali. Per portare un angolo poco conosciuto del Mantovano sulla ribalta europea. Ecco la grande iniziativa che, nel nome di Matilde di Canossa, prenderà il via alla fine di quest’estate, il 31 agosto, per continuare fino al nuovo anno. Coinvolgendo, oltre alla capitale dei Gonzaga, anche il monastero di San Benedetto Po, finora in precario stato di conservazione e poco conosciuto fuori dal circuito dei medievisti e degli appassionati di storia...

LEGGI TUTTO IL MIO ARTICOLO SU EXIBART:
http://www.exibart.com/notizia.asp?IDNotizia=23369&IDCategoria=1


 
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Post N° 161

Post n°161 pubblicato il 02 Maggio 2008 da eleperci
 

fino al 7.IX.2008
Exempla
Rimini, Castel Sismondo

Il Medioevo. Tempo di mostri, diavoli e incubi collettivi, in rottura col passato? Oppure epoca che, confrontandosi con i modelli dell'arte antica, ha saputo trasmettere la bellezza del classico a un Rinascimento ormai alle porte? Viaggio in un Duecento borderline...

di Elena Percivaldi


 

pubblicato venerdì 2 maggio 2008

Fra mostri, diavoli, sirene bicaudate e basilischi, il luogo comune vuole che il Medioevo abbia smarrito le tracce dell’arte antica sostituendo la perfezione delle forme classiche con un immaginario grottesco, orrorifico, in una parola gotico. A iniziare la demonizzazione dell'estetica medievale fu, come noto, il Vasari, che coniò il termine come sinonimo di nordico e barbarico, in contrapposizione al classicismo del Rinascimento, di cui egli stesso si sentiva apostolo ed esegeta.
Per riscoprirne la ricchezza fu necessario attendere la fine del Settecento e i fermenti romantici, che partendo da Inghilterra e Germania portarono alla rivalutazione generale di un'Età di Mezzo letta ora come culla delle identità nazionali e come epoca di rinnovamento (Gregorovius docet) rispetto alla decadenza -morale, civile, politica, culturale ed economica- del tardo impero. E mentre letterati come Goethe o i fratelli Grimm e filosofi quali Fichte e Schelling elaboravano un'idea di Europa medievale unica nel sentimento popolare e religioso, le celebri riletture architettoniche di John Ruskin e di Viollet Le Duc erano propedeutiche al revival medievizzante che portò al successo del Neogotico....

 
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Post N° 160

Post n°160 pubblicato il 30 Aprile 2008 da eleperci
 

da Classicaonline.com
http://www.classicaonline.com/interviste/28-04-08.html

Intervista al maestro Maurizio Billi, direttore artistico del Festival
e del Concorso Internazionale di Composizione di Novi Ligure
«Il mio impegno per la rinascita
delle bande musicali nel nome
di Romualdo Marenco
»

 di Elena Percivaldi 

 

 

Per i più, oggi, è un nome quasi dimenticato. Ma Romualdo Marenco da Novi Ligure, in provincia di Alessandria, dove nacque nel 1841 in una famiglia di operai, fu musicista e compositore di talento, autore di tre opere teatrali, due operette e una gran quantità di balletti tra cui il celebre Excelsior, andato in scena l’11 gennaio 1881 con esito trionfale, che vide ben cento rappresentazioni in soli nove mesi, sia in Italia che all’estero. Marenco morì a Milano nel 1907, e da allora i suoi lavori sono diventati, a poco a poco, appannaggio di pochi conoscitori. Finché nel 2002 il Comune di Novi Ligure con la Provincia di Alessandria, la Regione Piemonte e un grande sponsor glocal-local come Novi-Elah-Dufour, non ha pensato di intitolare a lui un concorso internazionale di composizione e un intero Festival, affidandone la direzione artistica al M° Maurizio Billi.  Ora i partner della manifestazione sono due:  Novi-Elah-Dufour  per il Festival, e la Campari per il Concorso.
Romano, classe 1964, Billi ha lavorato alacremente al progetto riuscendo ad imporre il Festival e il Concorso all’attenzione del pubblico e degli addetti ai lavori di tutto il mondo, ottenendo lo scorso anno – nel centesimo anniversario della morte di Marenco – anche l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, riconoscimento da sempre sinonimo di qualità e di valenza internazionale.
Abbiamo intervistato il M° Billi all’indomani dal concerto inaugurale della nuova edizione – la settima – della manifestazione, che si preannuncia di particolare interesse e rilievo.  

Il 12 aprile è partita a Novi Ligure la settima edizione del Festival e Concorso Internazionale di Composizione “Romualdo Marenco”.  Com’è andata?
«Molto bene. Sul palcoscenico dell’Auditorium “Dolci Terre di Novi” è salita l’Orchestra di Fiati Città di Soncino, una delle più rappresentative sul territorio nazionale. Abbiamo inoltre premiato i vincitori dell’edizione 2007 del concorso, per la sezione banda ex aequo i compositori Ferrer Ferran (Spagna) e Dario Tosolini (Italia), e per la sezione strumento solo - clarinetto Geoffrey Hannan (Regno Unito). Le esecuzioni dei brani vincenti, in prima assoluta, sono state molto soddisfacenti e hanno saputo vivacizzare adeguatamente i lavori dei compositori. Ma questo è solo l’inizio. A fine agosto inizierà la rassegna musicale “Dedicato a Marenco” con una serie di concerti tra cui quello del 6 settembre per il quale dirigerò l’Orchestra del Teatro Carlo Felice di Genova nella prima assoluta della suite sinfonica Amor di Romualdo Marenco che io stesso ho riorchestrato. Sarà un momento emozionante anche perché non solo si tratta di una delle migliori orchestre del panorama musicale italiano, ma anche perché lo stesso Marenco fece parte del suo organico oltre un secolo fa. La rassegna musicale prosegue fino a novembre, per concludersi con il Gran Concerto di Fine Anno il 28 dicembre, in cui dirigerò l’Orchestra Classica di Alessandria con un  programma musicale di Strauss e ancora di Marenco».

Qual è il rapporto del Festival Marenco con i giovani?
«Il Festival sta indubbiamente crescendo in qualità, e ciò attira senza dubbio anche i giovani. Nei loro confronti abbiamo da sempre un’attenzione particolare, e si tratta sia di compositori già conosciuti nel settore, sia di “promesse”. Partecipano però anche concorrenti più “attempati” che comunque contribuiscono a mantenere alto il livello della manifestazione. Così come lo garantisce la presenza illustre di importanti solisti e di prestigiose orchestre, come appunto quella del Carlo Felice o l’Orchestra Sinfonica della Rai, che è stata nostra ospite in passato».

Il vostro Festival è ormai un punto di riferimento nel settore bandistico. A livello italiano, ma non solo…
«In effetti è così. Per quanto riguarda l’Alessandrino, il nostro è l’unico avvenimento musicale di rilievo e anche per questo richiama sempre molta attenzione. Ogni anno la cittadinanza di Novi partecipa numerosa e attenta a tutte le fasi, ma non ci fermiamo certo qui: riceviamo partecipanti e pubblico da tutto il mondo, segno che esiste grande curiosità attorno non solo alla musica per banda, ma più in generale nei confronti della musica tout court che è e resta un fattore di socializzazione importante».

Una “fame di musica” che, però, non sempre riceve adeguato sostentamento dalle istituzioni…
«Verissimo. E ciò nonostante i bacini di utenza siano ben presenti e ben radicati: basti pensare a quante sono le bande musicali – dalle più piccole alle più strutturate -  presenti nei nostri paesi. Ma quello dei finanziamenti carenti o assenti non è certo l’unico problema che deve fronteggiare il nostro settore. Diciamocelo chiaro. Spesso e volentieri, soprattutto a livello locale, non si riesce a superare la soglia del dilettantismo, a livello sia di esecutori che di direttori. Ciò che ci vorrebbe, invece, è più qualità, senza la quale non si può sperare di uscire da questa nicchia in cui la musica per banda, ma non solo, da troppo tempo è relegata. Un segnale importante, in questo senso, lo sta dando Riccardo Muti, che il 14 giugno prossimo dirigerà al Ravenna Festival, per la prima volta nella sua carriera, una banda musicale, quella di Delianuova, in provincia di Reggio Calabria».

Una banda formata da ottanta ragazzi che vivono e suonano in un’area problematica del Paese. Ma il maestro Muti è andato ben oltre. In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera ha lanciato un vero e proprio allarme: tremila bande italiane sono in crisi e senza soldi, visto che dipendono dalla prodigalità dall’assessore di turno, e rischiano di chiudere, il che sarebbe, senza mezzi termini, un «delitto culturale». In questi giorni c’è stato un terremoto politico. Vuole avanzare qualche richiesta in tal senso a chi si appresta a formare il nuovo Governo?
«La richiesta non può che essere una sola: quella di prestare alla musica, e alla cultura, la massima attenzione. Sappiamo bene che siamo in un periodo di recessione economica e che le priorità possano sembrare altre. Ma la cultura, in un Paese come il nostro che ne è così ricco, deve essere sempre una priorità. Spero quindi che il nuovo Governo guardi da subito con occhio benevolo alla musica e si ricordi che è una delle eccellenze che tutto il mondo ci invidia».

Tornando alla musica per banda, non trova che ci sia scarsa atten-zione anche da parte degli addetti ai lavori?
«E’ vero, raramente si legge di noi sulle riviste specializzate o nella stampa che conta, ed è un vero peccato. Anche in questo caso, però, penso che il vero problema sia la necessità di elevare il livello qualitativo delle bande musicali, a cominciare da quello dei direttori di banda, che i conservatori oggi per vari motivi non riescono a formare adeguatamente. Ciò che serve, insomma, è una grande rivoluzione culturale».

Per chi non lo sa: come si entra in una banda musicale?
«Occorre distinguere. Le bande istituzionalizzate, come quella della Polizia di Stato di cui sono direttore, prevedono una selezione in base ad un concorso pubblicato su apposito bando. Alla selezione, che è un concorso di Stato, si accede per titoli ed esami. Proprio in questi giorni a Roma è in corso la selezione per quattordici musicisti;  praticamente ogni anno comunque si rende necessario coprire i posti lasciati liberi da chi, ad esempio, va in pensione. Quindi i bandi sono frequenti. Diverso il discorso per le bande locali: essendo dilettantistiche, i candidati vengono esaminati dal direttore che poi seleziona i prescelti».

Che sbocchi ci sono per un musicista di banda?
«Gli sbocchi sono sempre quelli: i più valenti di solito entrano a far parte stabilmente di un complesso istituzionale. Ciò che conta, come sempre, è il talento».

Un fenomeno che in questi ultimi anni sta avendo grande successo è quello delle Marching Show Bands, in cui i musicisti suonano marciando vestiti con costumi variopinti e danno vita ad esibizioni molto spettacolari, addirittura acrobatiche. Le manifestazioni, anche di livello internazionale, sono molte ormai anche nel nostro Paese, e vista la massa di pubblico che attirano sono – a differenza di altre proposte - abbondantemente sostenute dalle amministrazioni a tutti i livelli. Un esempio è la Regione Lombardia, che da anni sostiene il campionato nazionale delle Marching Show Bands.  Che rapporto avete, se esiste, con questa realtà?
«Praticamente nessuno perché si tratta di due specialità molto diverse. Il successo che hanno le Marching Show Bands è un fenomeno recente ed è dovuto in gran parte alla loro spettacolarità. E su questo niente da dire. Ma quando penso che una realtà prestigiosa come la Civica Orchestra di Fiati del Comune di Milano, che ha una storia di ormai 150 anni (fu fondata nel 1859, ndr) naviga in pessime acque…».

Come ha già ricordato, Lei dirige anche la Banda della Polizia di Stato. Quali sono i vostri prossimi impegni?
«Il nostro calendario è fittissimo. Parteciperemo alla Festa della Polizia ad Avellino, poi cito in ordine sparso concerti a Paestum, a Selva di Val Gardena, a Roma… E ci saranno anche delle esibizioni all’estero: in ottobre ad esempio saremo a New York. Confrontarci con il pubblico e le formazioni all’estero è per noi una grande sfida perché sono entrambi molto preparati. Ma le sfide non ci spaventano,  anzi ci piacciono e ci galvanizzano».

 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

 

 

 

 

 

 

 
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CI INCONTRIAMO A... VARESE

Post n°159 pubblicato il 25 Aprile 2008 da eleperci
 

Insubria, terra d’Europa
A Varese il Festival dell’identità

Dal 5 maggio al primo giugno tutta la città coinvolta nella seconda edizione della manifestazione.  In programma convegni, incontri, mostre, concerti e  spettacoli teatrali

Sulla scia del grande  successo che ha segnato la  prima edizione del festival Insubria, Terra d’Europa 2007, dal 5 maggio al primo giugno si terrà la seconda edizione che vedrà coinvolta l’intera città di Varese. Economia e ambiente, ma anche musica e teatro, storia e sport: la formula proposta nella precedente edizione viene confermata anche per quest’anno grazie alla partecipazione e alla disponibilità di grandi nomi che, sensibili al “richiamo delle radici”, prenderanno parte in prima persona a questa cinque giorni dedicata all’Insubria.
La manifestazione si svolgerà a Varese nei giorni compresi tra il 5 maggio e il primo giugno, concentrandosi nel periodo che va dal 28 maggio alla fine, quando sarà allestita una struttura coperta in piazza Monte Grappa.
Le altre location saranno: Milano - Palazzo Pirelli, sala conferenza della Giunta Regionale Lombarda; Varese - Palazzo Estense, sala cerimonie del Comune di Varese; Varese - Teatro Apollonio; Varese - Teatrino di Via Sacco; Varese - Portici di via Volta; Varese - Giardini Estensi; Varese - Portici di Palazzo Estense; Varese - Piazza Podestà.
In programma moltissime iniziative, tra cui la mostra fotografica  “Volti d'Insubria”, la rassegna storico-didattica  “Il Ducale: Bandiera d'Insubria”, la mostra “Storia e Miti dei Longobardi d'Insubria”.
Tra i musicisti che parteciperanno ai concerti, un nome di primissimo ordine come quello di  Angelo Branduardi e gruppi noti quali i Mc Chicken, Teka Pi, i Vad Vuc.
Molte anche le conferenze: da “Il Ducale. Una Bandiera storica per l'Insubria” a “Il Ducale, una Bandiera possibile per la Regione Lombardia”, “L’origine del Biscione Visconteo negli esempi del Trivulziano”, “Insubria, Terra d'Imprenditori tra Locale e Globale”, “Malpensa. L’Aeroporto dell'Insubria”, “Scegliere una Terra, parlare la sua Lingua”,  “Gli antichi insediamenti dei Galli Insubri”,  “Paesaggio, Identità e Urbanizzazione in Insubria”, “I Longobardi d'Insubria. Presenze Storiche ed Eredità Culturali”.
Molti e prestigiosi i relatori: Norman Gobbi Vais (presidente Gran Consiglio della Repubblica e Cantone Ticino), Marco Foppoli (consigliere della Società  Svizzera di Araldica), Niccolò  Orsini De Marzo (editore e ricercatore), Attilio Fontana (sindaco di Varese), l’on.  Giancarlo Giorgetti, Davide Van de Sfroos,  Giuseppe Battarino, Marta Rapi (Università degli Studi di Milano), Filippo Motta (Università di Pisa), Davide Boni (Assessore Regionale al Territorio), Luisa Bonesio (Università  degli Studi di Pavia), Moreno Celio (capo Sezione Sviluppo Territoriale dello Stato del Ticino), Sergio Rovagnati (antropologo), Angela Surace (responsabile soprintendenza Parco Archeologico di Castelseprio), Cristiano Brandolini (Museo di Arsago Seprio), Elena Percivaldi (medievalista), Roberto Corbella (antropologo), Paolo Zaninetta (Università  Cattolica di Milano), Massimo Zanello (Assessore alla Cultura, Identità e Autonomie della Regione Lombardia).
Tra le iniziative, da segnalare la presentazione della prima traduzione in lingua italiana, con ristampa anastatica commentata dell'originale cinquecentesco, del libro Gallorum Insubrum Antiquae Sedes di Bonaventura Castiglioni, la seconda edizione del Trofeo Podistico dell'Insubria, la presentazione del volume  Magistri Comacini. Storie, antiastorie, misteri e leggende di Renzo Dionigi e Claudia Storti (con la presenza di Vittorio Sgarbi), la manifestazione “Vino@Insubria - Tradizione e degustazione”, rassegna di oltre 30 produttori di vino dei territori insubri accompagnata dagli interventi di  studiosi che racconteranno le origini del vino in Insubria sin dai tempi dei Celti.
In programma anche spettacoli teatrali: Nüm Ticines la pensum inscì e I Mazzarditi. E alla fine, chiusura in bellezza con la presentazione delle candidate al concorso di Miss Insubria.


Per informazioni: tel. 0332286542. Programma completo sul sito: www.insubriaterradeuropa.net

***

IL PROGRAMMA DEL CONVEGNO A VARESE:

Domenica 1 Giugno 2008

Ore 15.00 – Convegno dal titolo:
“I Longobardi d'Insubria. Presenze Storiche ed Eredita' Culturali”.
 
Presenze e Testimonianze Longobarde in Area Insubre
Sergio Rovagnati - Antropologo
 
Il Seprio Longobardo
Angela Surace - Responsabile Soprintendenza Parco Archeologico di Castelseprio
 
Arsago Seprio, una comunita' di guerrieri e contadini
Cristiano Brandolini - Museo di Arsago Seprio
 
Gli Arimanni di Trezzo d'Adda
Elena Percivaldi - Medievalista
 
I Longobardi in Ticino
A cura del GAT - Gruppo Archeologico Ticino
 
Retaggi Longobardi di Toponomastica, Lingua e Tradizioni
Roberto Corbella - Antropologo
 
L'origine Longobarda dei Visconti: invenzione o realta'
Paolo Zaninetta - Dottorando di ricerca di Storia Medioevale - Universita' Cattolica di Milano
 
Introduce Massimo Zanello, Assessore alla Cultura, Identita' e Autonomie della Regione Lombardia
Varese. Teatrino di Via Sacco.

 
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Post n°158 pubblicato il 22 Aprile 2008 da eleperci
A Rimini viaggio alle radici profonde della figurazione italiana,
da Federico II ad Andrea Pisano
Dall’arte antica una lezione... esemplare
di Elena Percivaldi
In mezzo a mostri, diavoli, sirene bicaudate e basilischi, il luogo comune vuole che il Medioevo abbia smarrito le tracce dell’arte antica sostituendo la perfezione e la levigatezza delle forme classiche con un immaginario grottesco, orrifico,  insomma gotico. Niente di più sbagliato. Almeno stando alla mostra Exempla. La rinascita dell’antico nell’arte italiana, appena inaugurata a Rimini nella bellissima location di Castel Sismondo. La rassegna, promossa dal Meeting per l’Amicizia (catalogo Pacini, fino al 7 settembre), ricostruisce attraverso una serie di illustri modelli (questo il significato, appunto, del latino exempla) quanto nel Duecento italiano artisti come Nicola e Giovanni Pisano, Arnolfo di Cambio o Pietro Cavallini siano debitori di opere greche, romane ed etrusche ed anticipino la grande riscoperta dell’arte antica che si concretizzerà nel Rinascimento.
Interpretazione forzata? Niente affatto. Si vedano i ritratti di Federico II, che ricordano i busti degli antichi imperatori. O la splendida colonna con tre accoliti dell’allievo di Nicola Pisano, forse lo stesso Arnolfo, da confrontare con l’Ecate trimorfa del I secolo in bronzo. Il che non implica che mostri, diavoli e basilischi siano per forza  “arte degenerata”. Leggere Il libro degli esseri immaginari di Borges per credere.
 
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Post N° 157

Post n°157 pubblicato il 21 Aprile 2008 da eleperci
 

Intervista a John Axelrod, direttore della Luzerner Sinfonieorchester, tra breve da noi per alcuni concerti: «Amo l’Italia e mi sento italiano dentro»

«Le grandi orchestre? Diventino come le rock band: ecco la ricetta per salvare la musica classica» 

di Elena Percivaldi

 

pubblicato su CLASSICAONLINE:

http://www.classicaonline.com/interviste/21-04-08.html

Giovane, texano, famoso e brillante. John Axelrod, alla sua quarta stagione come direttore musicale e direttore principale della Luzerner Sinfonieorchester e del Teatro,  è senza dubbio uno dei migliori direttori del momento. Il pubblico italiano lo conosce per aver ottimamente diretto un’opera non facile, il Candide di Leonard Bernstein, lo scorso giugno. Un lavoro di cui si è parlato molto, e non tanto per ragioni musicali quanto per le immancabili polemiche che hanno accompagnato l’allestimento firmato da  Robert Carsen, che ha messo in scena i grandi della terra che danzavano a braccetto in mutande. Allievo di Bernstein, fondatore a Houston – sua città natale – dell’OrchestraX, nata per avvicinare il grande pubblico al tempio ormai per pochi della musica classica, Axelrod in questi giorni (il 18 e il 20 aprile) è impegnato a Philadelphia nel dirigere un difficile lavoro del suo indimenticabile maestro, il Kaddish: sconvolgente sinfonia in cui il compositore stesso si cimenta in una vera e propria conversazione con Dio, affidando alla voce di un sopravvissuto all’Olocausto – Samuel Pisar – riflessioni sul significato della Vita e della Morte.

Lo abbiamo intervistato in vista del suo prossimo arrivo in Italia per una serie di concerti.

 

Maestro, il prossimo 29 aprile sarà a Brescia per dirigere il concerto di apertura del Festival  Arturo Benedetti Michelangeli. Poi la ascolteremo a Bergamo, Milano e Roma. Com’è il suo rapporto con l’Italia e con il pubblico italiano?

 



«Non conosco ancora bene il pubblico italiano, finora ho avuto riscontro solo con quello milanese, che ha apprezzato molto la mia interpretazione del Candide di Bernstein alla Scala.  In quel caso, l’orchestra è stata un partner eccezionale, in grado di combinare sintonia e grandi capacità.  Bernstein, certo, è stata una novità, ma credo che lo spirito mediterraneo possa ben apprezzare il ritmo dello swing perché ben si addice alla tendenza, così diffusa in Italia, a godersi la vita: mangiare, bere ed essere felici. Io stesso mi sento italiano nello spirito, quindi se il banco di prova della Scala è stato in qualche modo indicativo, credo proprio che sarà per me un divertimento fare più spesso musica in Italia».

 



Lei, appunto, ha diretto
il Candide di Bernstein alla Scala lo scorso giugno. La sua interpretazione è stata molto apprezzata sia dal pubblico sia dalla critica; non così la messa in scena di Robert Carsen, che è stata duramente criticata soprattutto da alcuni politici italiani, che non hanno gradito il famoso "balletto" con i sosia di Bush, Berlusconi, Blair, Chirac e Putin danzanti a braccetto in mutande. Cosa pensa di questo vezzo tipico della politica nostrana, echeggiato oltretutto dalla stampa italiana che ha dato loro corda? Lo giudica provinciale? Crede davvero che nel 2000 l’Arte debba ancora sottomettersi alla Politica o al “politically correct”, oppure c’è qualche speranza che possa ancora esprimersi liberamente?

 



«La Politica è l’arte del compromesso, la musica invece non deve mai esserlo. Perciò dovrebbe essere sempre libera di esprimere ciò che le parole, spesso, non possono. Nel caso del Candide, si è trattato di satira musicale e la satira è efficace solo se prende spunto da fatti reali e concreti. Se cambia la politica, e con essa le figure di riferimento, anche la satira deve adeguarsi. Penso proprio che Voltaire, al corrente della situazione politica odierna, avrebbe apprezzato molto questa satira così diretta. Non va dimenticato però che oggi spesso i registi cercano di scandalizzare il pubblico con le loro trovate. A me non importa nulla, basta che non lo si distragga troppo dalla musica. E per quanto riguarda il  Candide, penso proprio che questo rischio sia stato scongiurato».



Lei ha studiato a lungo con Leonard Bernstein e ora spesso dirige suoi lavori nei Teatri e nelle sale da concerto di tutto il mondo. Cosa ricorda dell’indimenticabile Maestro? 

 

«Veramente ho potuto beneficiare solo di un periodo piuttosto breve di studio con lui, mentre stava preparando a Houston  il debutto della sua ultima opera, A Quiet Place.  Con me è stato estremamente generoso e mi ha incoraggiato molto a diventare un direttore d’orchestra visto che amo molto la gente. Mi ha ricordato che i nostri strumenti sono il cuore e l’anima, non il legno, il metallo o le corde.  E quando mi esortava ad amare l’umanità nella musica e coloro che la fanno, era nel giusto. Tutto questo io non l’ho mai scordato. E nella maggior parte dei casi, è un insegnamento che funziona ancora»

Prima di dedicarsi alla direzione d’orchestra, Lei ha lavorato come
 Artist & Repertoire Director per la BMG e la Atlantic Records. E qui si è reso conto di ciò che  i giovani amano davvero quando si parla di musica. Quanto questa lezione ha pesato – se lo ha fatto -  sulla sua futura carriera di direttore? 

 

«E’ stata un’esperienza molto importante perché ho imparato cosa rende un concerto un successo per i giovani. E’ stata decisiva anche per comprendere come preparare i budget, pianificare e organizzare gli eventi, le registrazioni e le tournée. L’ho quindi trovata assai utile quando ho mosso i primi passi con l’OrchestraX, e ancora adesso utilizzo molte idee per dar vita a programmi speciali. Riuscire a far entrare un pubblico di giovani in sintonia con un’orchestra come se fosse un gruppo rock, rendere la musica classica importante per la loro esistenza e per il loro stile di vita tanto quanto la musica pop, significherebbe dare alla musica classica ancora una speranza».

 



Lei ha fondato a Houston, nel Texas, l’Orchestra X proprio allo scopo di avvicinare il pubblico più ampio alla musica classica. Quali sono, ad oggi,  i risultati di questa "missione"? 

«Straordinari: finché sono stato presente in loco, l’OrchestraX ha mietuto sette anni di incredibili successi.  Da quando sono diventato più “Euroamericano”, purtroppo, l’organizzazione ha perso un po’ del suo impulso. Tuttavia ho portato molta esperienza e molte idee per aumentare la consapevolezza del pubblico e delle orchestre in Svizzera, Polonia, Germania e Francia, e debbo dire che ho avuto un successo paragonabile a quello. Sono ottimista sul futuro della musica classica. Ho imparato molto, certo, sulla necessità di migliorare le tecnologie e l’interattività, ma ho anche appurato che Beethoven non è mai stato un problema per i giovani. Il problema, semmai, è come glielo si presenta. Dopo che un’orchestra ha realizzato il suo scopo di essere utile alla comunità e ha capito che bisogna imparare dal pubblico, le possibilità sono infinite».

 



Ho letto che ha trascorso un bel po’ di tempo a Venezia facendo il gondoliere! Una cosa certo originale… Può raccontarci qualcosa di più su questa sua esperienza? E come mai è così innamorato di Venezia?  

«Venezia è la città dei miei sogni, un luogo dove sento di aver già vissuto, una casa che amerei chiamare davvero mia.  L’Arte, la Musica, Stravinsky, Wagner, Vivaldi, Browning: sono questi i miei punti di riferimento, per non parlare di Mozart, Byron e Marco Polo.  Nel 1996, mentre mi trovavo a Venezia, sono riuscito a convincere un gondoliere a insegnarmi a remare. Certo, l’ho dovuto pagare tre volte la tariffa normale, ma ne è valsa la pena! Mi ha portato in una fabbrica dove c’era una specie di vecchio simulatore di legno, credo servisse per mantenere in esercizio i gondolieri quando pioveva o c’era l’alta marea. Dopo aver fatto un po’ di pratica, lo implorai di farmi sentire il Canal Grande sotto i piedi. Lui sorrise, mi lanciò un cappello e una sciarpa e insieme tirammo fuori una gondola per un gruppo di turisti giapponesi. Ed eccomi lì: io, turista americano,  per un attimo sono diventato Giovanni cantando "O Sole Mio" sotto il Ponte di Rialto mentre gli altri mi fotografavano. Un sogno diventato realtà. Spero che la prossima volta che andrò a Venezia sarà per fare musica davvero, con un’orchestra o all’opera, non solo cantando sopra una barca... ».

 

Quali saranno i suoi prossimi impegni nel nostro Paese? 

 

«Dirigerò, come detto, l’Orchestre Philharmonique du Monte Carlo a Brescia e a  Bergamo, poi sarò a Milano, al Conservatorio, con la mia orchestra di Lucerna.  Poi quest’estate andrò a Roma dove dirigerò en plein air l’Orchestra di Santa Cecilia Orchestra all’Auditorium. Ancora, ho in programma per la prossima stagione alcuni concerti per la Rai a Torino. Per me non sono mai abbastanza: l’Italia mi ha fatto troppo bene in tutta la mia vita. Il minimo che possa fare è restituirlo e contribuire il più possibile alla vita culturale del Paese che sarà per sempre nel mio cuore»

 

ENGLISH VERSION

An interview with John Axelrod, conductor of the Luzerner Sinfonieorchester, soon in our Country for some concerts: «I love Italy, and I myself am Italianate in spirit»

 

«Great orchestras must be like rock bands:

this is how we can give hope to classical music»

by Elena Percivaldi

 

Young, famous and brilliant. John Axelrod, at his fourth season as the leader of the Luzerner Sinfonieorchester and of the Theater, is one of the best orchestra conductors of the moment. The Italian audience has appreciated him last June at La Scala conducting a quite difficult opera, Leonard Bernstein’s Candide, whose direction was au contraire bitterly criticized because of Robert Carsen’s idea of putting on the scene world political leaders dancing in their underwear.

A Bernstein’s pupil, creator in Houston – where he was born -  of OrchestraX, founded with the idea of bringing large audiences closer to classical music, Axelrod is working at present in Philadelphia where in the next days (April 18th and 20th) he will conduct an impressive work by his unforgetted Maestro, Kaddish: an upsetting symphony where the composer himself speaks to God, and an Olocaust survivor – Samuel Pisar – meditates upon the meaning of Life and Death. We have interviewed Mr. Axelrod foreseeing his imminent arrival in Italy for some important concerts.

 

Mr. Axelrod, You will be conducting the debut concert of the Festival  Arturo Benedetti Michelangeli in Brescia on the next April 29th. Then You'll  be in Bergamo, Milano, and Rome. How is your liaison with Italy and with the Italian audience like?

 

 «I do not yet know the Italian audiences well, only the Milanese public, which were quite supportive of Bernstein's Candide which I conducted at La Scala.  There, the orchestra was also a wonderful partner, able to combine both sympathy and ability.  I think that Bernstein was a bit of a novelty, but I also think the Mediterranean spirit can enjoy the rhythm and swing of music very well, because it fits with the relaxed attitude so often found in Italy,  to eat, drink and be merry.  I myself am Italianate in spirit so, if La Scala was any indication, I believe I will enjoy making music more often in Italy».

 

 You have been conducting Bernstein's Candide last June at la Scala. Your  performance was fully appreciated by the critics and the audience, but the staging by Robert Carsen has been bitterly criticized, most of all by some Italian politicians because of the famous "ballet" performed by Bush, Berlusconi, Blair, Chirac, and Putin lookalikes dancing in their underwear.
What do You personally think about this attitude, both of the politicians and of the Italian press which has given emphasis to it? Is it provincialism to Your eyes? In the year 2000 must Art submit to Politics or politically correctness, or can it still hope to be somewhat free to express itself?

 
«Politics is about compromise; music must never be.  Therefore it should always be free to say what words often cannot.  I think in the case of Candide, it is a musical satire, and satire is only effective when it is based on topical or current issues.  If the politics change and the figures with them, then the satire should also follow.  I think Voltaire, if he knew the political circumstances of today, would have enjoyed the direct satire.  Of course, there is a tendency today for Directors to shock and awe the audiences with thier ideas.  I don’t mind it as long as it doesn’t take away from the music.  As for Candide, I don’t think it did at all»
.



You have studied with Leonard Bernstein and now You often conduct his works in Opera Houses and Concert Halls all around the world. How do You remember Your unforgettabile Maestro? 

 

«I actually only had a short, informal period of study with him when he premiered his final opera, A Quiet Place, in Houston.  He was extremely generous and supportive of me and encouraged me to be a conductor because I like people too much.  He reminded me that our instrument are hearts and sould, flesh and blood, not wood, metal or string.  In this case, to love the humanity in music and those who make it, I think he was right and I’ve never forgotten it.  In most cases, it still works»

Before dedicating Yourself to orchestra conducting, You have worked as  Artist & Repertoire Director for BMG and Atlantic Records, and You learned what youngsters really appreciate and like in music. How - if it ever – did this "lesson" affect Your future conductor's career? 

 

«It was very important because I saw what made a concert experience successful for young people.  It was critical to understanding also how to prepare budgets, marketing plans, recordings and tours.  So I found ti particuarly helpful in starting OrchestraX  and I still apply many of these ideas in special programs today.  When new audiences can relate to an orchestra as they do a rock band, when it becomes as relevant to their attitudes and lifestyles as pop music is, then the sustaining of classical music performance has a chance»

 

You have founded the Orchestra X in Houston, Texas, with the idea of bringing large audiences closer to classical music. What are the results of this "mission" so far? 

«The results for OrchestraX were 7 years of tremendous success while I was there.  Since I have become more of an "Ameropean", the organization has lost some of its momentum.  But I have brought many of the special ideas for developing audiences to orchestras and public in Switzerland, Poland, Germany, and France and had similar success.  I am an optimist about the future of classical music.  What I learned is not only about the need for interactivity and technology, but that Beethoven has never been a problem for young people: only the way it was presented was a problem.  Once an orchestra realizes its purpose to serve its community and learn from its public, I think the possibilities are endless».

 



I have read that You spent some time in Venice working as a gondoliere! This is awesome, indeed. Could You tell us something more about this experience? And why are You so fond of Venice?  

«Venice is my dream city, a place where I feel I’ve lived before, a home I would love to call my own.  Art, Music, Stravinsky, Wagner, Vivaldi, Browning: these are figures who are important in my life, not to mention Mozart, Byron and Marco Polo.   Once, when I was Venice, in 1996, I convinced a gondolier to teach me how to row.  I had to pay him 3 times the normal fare, but it was so worth it.  He took me to a factory where they had a kind of old wooden simulator, supposedly to keep the men in shape when the rain or tide is high.  After practicing for a while, I begged for the feeling of the Grand Canal beneath my feet and he smiled, threw me hat and scarf and we took out a gondola with a group of Japanese tourists.  Here I was, an American tourist, yet for a moment, I was Giovanni, singing "O Sole Mio", under the Rialto Bridge, having my photo taken.   It was a dream come true and I hope when I go to Venice next time, it will be to make music with an orchestra or opera, not only from the bow of a boat.... ».

 

From next fall on, when will we see You perform in Italy again? 

 

«I will conduct with Orchestre Philharmonique du Monte Carlo this April in Brescia and Bergamo.  Then with my orchestra form Luzern in Milano at the Verdi Conservatory.  Then in Roma this summer for the open air at the Auditorium di Roma with the Santa Cecilia Orchestra.  Then concerts with the RAI Torino next season.  But for me, it is never enough, as Italy has been so kind to me throughout my life. The least I can do is give back and contribute as much as I can to the country that is forever in my heart»

 

 
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Post N° 156

Post n°156 pubblicato il 12 Aprile 2008 da eleperci
 

Milano e Sondrio ammirano  i Ligàri
Tre mostre-evento dedicate alla dinastia di pittori valtellinesi

di ELENA PERCIVALDI


Chi li conosce alzi la mano. In un’area che ha dato i natali a gente come  Caravaggio,  Luini,  Romanino,  Baschenis,  Fra’ Galgario e  Ceruti,  il nome dei Ligàri oggi  dice poco o nulla. Niente - a livello  critico - di più sbagliato, perchè questa  dinastia di artisti, attivi nel Settecento in Valtellina, ha influito non poco nella storia dell’arte lombarda, risultando originale e decisiva tanto per  lo sviluppo del classicismo quanto per la vis innovativa, che prelude  al Romanticismo. Ecco allora che allora giunge ad hoc   il grande progetto  - che celebra i cent’anni del Credito Valtellinese -  di tre grandi mostre a Milano e Sondrio,  una serie di studi che poi saranno raccolti in volume, e itinerari alla scoperta delle tracce che i Ligari hanno lasciato nelle piccole e grandi chiese della  Valtellina.
Attenzione però: chi pensa che questi artisti si possano liquidare come “locali” si sbaglia di grosso. Certo, il loro cognome deriva da una contrada di Sondrio. Ma il capostipite, Giovan Pietro (1686-752), bizzarra figura di architetto, progettista di arredi liturgici, agronomo e  inventore di  orologi, aveva studiato in gioventù a Roma nella bottega del Baldi, brillante seguace di Pietro da Cortona, e peregrinato a lungo tra le corti dell’Italia centrale,  Venezia e Milano, tornando a casa solo alla fine dei suoi giorni. E le tracce delle contaminazioni - prima fra tutte il colorismo di marca veneta - si vedono tutte.  Pure il figlio Cesare (1716-1770) studiò a Venezia, e la sua spiccata originalità nello svolgere temi tradizionali (soprattutto di marca religiosa) gli fruttò  incomprensioni al punto che morì in povertà. E che dire di Vittoria /1713-1783), legata sì al padre e al fratello, ma capace di straordinari slanci emotivi sia nei temi sacri (Madonne soprattutto) che nelle grandi pale d’altare?
Le prime due mostre inaugurano oggi (fino al 19 luglio) a  Milano. Due le sedi: la Galleria del Credito Valtellinese (a Palazzo delle Stelline), con le opere fondamentali  divise in sacre, profane e ritratti, e il Museo Diocesano, dove le opere di Pietro, Cesare e Vittoria saranno messe  a confronto con dipinti di artisti lombardi e veneti coevi. L’evento avrà a maggio (dal 14) una finestra a  Sondrio, dove oltre ad un apposito allestimento, al   Museo Valtellinese di Storia e d’Arte, di alcune sale tutte dedicate ai Ligari, Palazzo Sertoli  esporrà i disegni e le incisioni ligariane. Da non perdere.

GALLERIA CREVAL, Milano, corso Magenta, 59. Tel:  02 48008015. Orari: da martedì a domenica, ore 10-18. MUSEO DIOCESANO DI MILANO, corso di Porta Ticinese, 95. Tel:  02 89420019. Orari: da martedì a domenica, ore 10-18, chiuso il lunedi.

 
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IL MIO ULTIMO LIBRO

E' uscito il mio nuovo libro. Si tratta dell'edizione, con traduzione, testo latino a fronte, commento e ampia introduzione, della "Navigatio sancti Brendani", testo anonimo del X secolo composto con molta probabilità da un monaco irlandese e che narra la peripezie di san Brandano e dei suoi monaci alla ricerca della "Terra repromissionis sanctorum", la terra promessa dei santi.
Un classico assoluto della letteratura medievale. Prefazione di Franco Cardini.

Anonimo del X secolo
La Navigazione di san Brandano
A cura di Elena Percivaldi
Prefazione di Franco Cardini
Ed. Il Cerchio, Rimini
pp. 224, euro 18


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NE PARLANO:

GR2 (RAI RADIO 2): INTERVISTA (9 gennaio 2008, ore 19.30) Dal minuto 20' 14''
http://www.radio.rai.it/radio2/gr2.cfm#

ASSOCIAZIONE CULTURALE ITALIA MEDIEVALE
http://medioevo.leonardo.it/blog/la_navigazione_di_san_brandano.html

IL SECOLO D'ITALIA 12 dicembre 2008 p. 8 - SEGNALAZIONE
http://www.alleanzanazionale.it/public/SecoloDItalia/2008/12-dicembre/081214.pdf

IL SECOLO D'ITALIA  01 gennaio 2009 p.8 - RECENSIONE
http://www.alleanzanazionale.it/public/SecoloDItalia/2009/01-gennaio/090110.pdf

ARIANNA EDITRICE
http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=23436

 LA STAMPA
http://www.lastampa.it/_web/CMSTP/tmplrubriche/giornalisti/grubrica.asp?ID_blog=248&ID_articolo=21&ID_sezione=&sezione

 GRUPPI ARCHEOLOGICI DEL VENETO, p. 12-13:
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1 novembre, Europa tra sacro e profano

1 novembre, Europa tra sacro e profano. Ne hanno parlato al microfono di Giulia Fossà: Elena Percivaldi, giornalista e studiosa di storia antica e medievale; Flavio Zanonato, sindaco di Padova; Marino Niola, Professore di Antropologia Culturale all'Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli; Sonia Oranges, giornalista de 'Il Riformista'; Alberto Bobbio, capo della redazione romana di 'Famiglia Cristiana'; Ennio Remondino, corrispondente Rai in Turchia. La corrispondenza di Alessandro Feroldi sulle politiche dell'immigrazione a Pordenone.

ASCOLTA: http://www.radio.rai.it/radio1/nudoecrudo/view.cfm?Q_EV_ID=230636

 

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ELENA PERCIVALDI, "I Celti. Una civiltà europea", 2003, Giunti (Firenze), pagine 192, euro 16.50

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ELENA PERCIVALDI, I Celti. Un popolo e una civiltà d'Europa, 2005, Giunti, pagine 190, euro 14.50

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Elena Percivaldi, GLI OGAM. Antico Alfabeto dei Celti, Keltia Editrice, formato 150x230 -pagine 176, euro 15
brossura, con xx tavole fuori testo in b/n
ISBN 88-7392-019-5


Il libro è il PRIMO saggio COMPLETO in italiano sull'argomento.

L'alfabeto ogamico è un originalissimo modo di scrivere che fu inventato presumibilmente intorno al IV secolo d.C. Il nome "ogam" è stato collegato a quello di un personaggio chiamato Ogme o Ogmios: per i Celti il dio della sapienza. Nella tradizione irlandese del Lebor Gàbala (Libro delle invasioni), Ogma è un guerriero appartenente alle tribù della dea Danu (Tuatha Dé Danann). Un testo noto come Auraicept na n-éces (Il Manuale del Letterato), che contiene un trattato sull'alfabeto ogam, dice: "al tempo di Bres, figlio di Elatha e re d'Irlanda (...) Ogma, un uomo molto dotato per il linguaggio e la poesia, inventò l'Ogham.”

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Volti, cerimonie rituali, frammenti di vita in seno ai templi delineano attraverso la fotografia i segni del ritratto di un mondo in cui le difficoltà morali, il fervore spirituale e la profondità d’animo vanno di pari passo con la gentilezza, l’allegria e l’immensa generosità.  Le suggestive immagini in bianco e nero, fortemente spirituali, della prima parte del volume si contrappongono alle intense fotografie a colori dedicate alla realtà di tutti i giorni (centri commerciali, prostitute) pubblicate nella seconda parte. Il libro è introdotto da un accorato messaggio di pace del Dalai Lama che pone l’accento sulla grande forza d’animo con cui il popolo tibetano affronta continuamente ardue prove nel tentativo di continuare a perpetuare l’affermazione delle proprie idee e della propria spiritualità.

 

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