Creato da quelluomo il 19/03/2007
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INTELLETTUALI ALLA RISCOSSA

Post n°697 pubblicato il 30 Settembre 2009 da quelluomo

Afferma Robert Oppenheimer: "Con una brutalità che né lo scherzo banale, né l'ironia, né l'esagerazione potranno mai cancellare, i fisici hanno conosciuto il peccato; e questa è una conoscenza che non potranno più dimenticare."

Da un'intervista al "Time" del febbraio 1948, in "Scienziati e responsabilità sociale", Maria Vittoria Longhi, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1997

 
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INTELLETTUALI ALLA RISCOSSA

Post n°696 pubblicato il 30 Settembre 2009 da quelluomo

L'importanza (l'alta strategicità) delle scienze fisico-matematiche.

Esse sono "smoralizzate", almeno per quello che concerne la fase pura di ricerca. E non recando in sè alcuna problematica metafisica, possono assurgere al ruolo di "banco di prova" dove testare la validità di proposizioni di carattere politico.

Ma le scienze fisico-matematiche sono soprattutto il motore dello sviluppo tecnologico. Pare assolutamente scontato ricordare quale sia, in quasi tutti gli scomparti della società, l'importanza della tecnologia.

Non può sussistere alcuna forma di sviluppo tecnologico senza una forma di ricerca pura in campo fisico-matematico. Per questo in ambito economico e politico la strategicità del "fisico-matematico" raggiunge il più alto livello di tutta l'esperienza intellettuale.

Tra l'altro, in rapporto alla smoralizzazione della ricerca pura, si può affermare che la dimensione problematica in ambito morale riemerga nell'applicazione dei risultati della ricerca scientifica. L'intellettuale che ha potuto godere di un ambiente sereno in cui tutto è fatto per il solo amore della conoscenza, è proiettato improvvisamente in uno degli ambiti più oscuri della nostra società, quello della produzione di armi, quello dell'inquinamento, quello di pratiche mediche non ortodosse.

 
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INTELLETTUALI ALLA RISCOSSA

Post n°695 pubblicato il 29 Settembre 2009 da quelluomo

Abbiamo affermato che l'attività intellettuale sia incompatibile con qualsiasi forma di solipsismo. Questo implica due conseguenze: dapprima che è implicito nella riflessione circa il mondo reale o l'elaborazione di un'utopia la soluzione del problema della comunicazione. Indubbiamente il rapporto sussistente fra simbolo e significato nell'arte riveste un ruolo fondamentale. In effetti è possibile asserire che, fatti salvi i buoni requisiti del significato, qualora il simbolo non si rivelasse idoneo ad evocarne la natura, l'opera d'arte si ritiene fallita, o meglio, non è ritenuta valida da chi ne ha testato l'esperienza.

Riprendendo la separazione precedentemente suggerita circa i metodi di interpretazione della realtà di natura logico-matematica e quelli di natura storico giuridica, è altresì importante prendere in considerazione che in effetti abbiamo a che fare con due diversi linguaggi. Nel caso della matematica possiamo anche considerare il numero semplicemente come uno dei tanti strumenti di comunicazione possibili, ma dobbiamo tenere conto che in certi scomparti del sapere, esso rappresenta l'unico mezzo possibile di comunicazione. Inoltre, si veda il rapporto fra idioma e intellettuale. Se non è conosciuto l'inglese, difficilmente si potrà accedere alle strutture della comunità scientifica internazionale.

La seconda conseguenza riguarda invece il problema dell'accesso ai mezzi di comunicazione. L'opera di un intellettuale potrebbe essere debitamente formalizzata ma non essere conosciuta da nessuno. Questo perchè l'uomo vive in una società che non può risolvere il contrasto fra disponibilità di tempo e diritto di ognuno di esprimersi. Ciò determina un rapporto inversamente proporzionale fra possibilità di accesso al mezzo comunicativo e strategicità dello stesso.

Orbene, se è possibile affermare che per quello che concerne l'uso del linguaggio più appropriato alla rappresentazione di un fenomeno esistono le istituzioni di trasmissione della cultura, scuola, famiglia e quant'altro, non si può affermare che il problema dell'accesso ai mezzi di comunicazione maggiormente strategici abbia possibilità di essere risolto in sede pedagogica.

Si noti come l'accesso ad un mezzo di comunicazione non sia mai determinato semplicemente da una forma di competenza riscontrabile di chi è candidato ad usufruirne attivamente. Altri fattori, di diversa natura, non ultimi beceri e triviali ragionamenti di antipatia e simpatia, influiscono in modo preponderante. Ci si chiede, dunque, quali possano essere questi fattori. Non credo che sia possibile procedere ad una stesura di tutti quanti, ma credo che essi abbiano sempre a che fare, direttamente o indirettamente, con il profitto.

Direttamente quando colui che stabilisce l'accesso ha ragioni tali da prevedere un beneficio economico dalla pubblicazione di un'opera; indirettamente quando l'opera serve al committente per aumentarne il prestigio, condizione che gli deve essere evidentemente necessaria per poter fare profitto altrove.

 

 

 
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INTELLETTUALI ALLA RISCOSSA

Post n°694 pubblicato il 29 Settembre 2009 da quelluomo

Nell'ambito della dicotomia riflessione sul sè e sul mondo reale/elaborazione di un'utopia personale, gli artisti possono configurarsi come coloro che privilegiano la seconda dimensione intellettuale.

Nella produzione delle proprie opere essi si ritengono sollevati dal dovere di dimostrare la veridicità dei propri assunti. Il duro lavoro dell'artista consta infatti della ricerca dell'equilibrio fra forma e contenuto nel testo, dimensione raggiunta ogni qualvolta che il fruitore dell'opera dell'arte, attraverso l'utopia dell'artista, è posto in condizione di evocare da questa sentimenti e riflessioni intellettuali perfettamente adattabili all'esperienza del mondo reale: si dice infatti che chi legga un romanzo, stia in un certo senso cercando il senso della propria vita. L'arte ha una vocazione "morale". Essa può configurarsi come "tematizzazione" del problema morale, attraverso la finzione dell'utopia. Per questa ragione l'opera d'arte non è proiettata unicamente nella ricerca del "bene", quanto, piuttosto, nella rappresentazione del conflitto morale, il quale può essere presentato da prospettive diverse, che possono giungere fino all'elusione dello stesso conflitto. 

La scienza, intesa in prima istanza quale interpretazione di un fenomeno reale attraverso un modello matematico, si sottrae al problema morale. Gli scienziati, però, a differenza di quanto non accada ai loro colleghi artisti, hanno il dovere, in un certo senso "sono" il dovere, di produrre rappresentazioni il cui risultato sia verificabile, o, per usare la terminologia popperiana, risultati che siano falsificabili. Gli scienziati rinunciano all'elaborazione di una utopia, concentrandosi unicamente sul mondo empirico. Tra l'altro, dalla questione della falsificabilità, che potrebbe essere altrimenti definita la tendenza a instaurare un dibattito circa l'attendibilità dei dati e dei risultati della ricerca scientifica (cosa assolutamente diversa dalla critica aristica la quale pur potendo vantare una natura tendente alla creazione di parametri generali, non ha pretese di scientificità, presentandosi, anzi, essa stessa come un tipo particolare di arte) deriva un'importantissima conseguenza. Per quel che concerne la politica, intesa nel senso machiavelliano di scienza politica, scienza volta a identificare gli obiettivi politici e a indicarne i mezzi per la realizzazione, essa, la scienza, diviene il banco di prova dove misurare la potenzialità effettiva di una dottrina, laddove, proprio grazie ai risultati scientifici, essa si può ritenere spogliata da qualsiasi implicazione metafisica.

Non tutta la scienza, e quindi non tutti gli intellettuali che in essa operano, secondo i criteri di nominalizzazione delle discipline, soprattutto in ambito accademico, hanno però la possibilità di usare allo stesso modo modelli matematici per la rappresentazione della realtà. In massima parte la possibilità di rappresentare un fenomeno reale attraverso modelli matematici dipende dalla natura dell'oggetto e dal modo in cui, dallo stesso oggetto, si possa procedere all'isolamento di alcune variabili intorno alle quali verranno costruiti i risultati.

Appartengono indubbiamente a questo ambito di parziale utilizzazione del metodo matematico, scienze quali l'economia, le scienze della comunicazione e la sociologia. Esse infatti non possono essere considerate quali semplici passaggi di natura logico-matematica che procedendo dall'osservazione di un fenomeno reale pervengono senza timore ad un risultato quantificabile. In esse, al pari di strutture dall'identità spiccatamente matematica, permangono elementi diversi. Per comprendere in che modo esse non perdano la propria natura di scienza è bene prendere in considerazione due discipline di cui fin'ora è stato taciuto: la storia e il diritto.

La storia, in questo caso intesa come storiografia, scienza che cerca e ed esamina le fonti al fine di produrre una rappresentazione dei fatti umani nella realtà empirica, pur non servendosi di modelli matematici, se non in modo estremamente marginale, è pur sempre oggetto del principio popperiano della falsificabilità. La storia non è il passaggio dalla grande nozione di taglio avvenimentale fino alla conoscenza del più piccolo elemento di un fatto, o, almeno, non è solo questo. La storia è soprattutto lo studio di come si possa assumere che un fatto sia accaduto veramente.

Allo stesso modo il diritto non usa modelli matematici di interpretazione della realtà. Esso può configurarsi come la scienza che determina l'organizzazione del potere e strumento per dirimere controversie fra stato e cittadini  e fra cittadini. Se è pur vero che esso ha una vocazione alla più pura attività speculativa di natura filosofica, concentrandosi di fatto circa la soluzione possibile di un problema morale, soprattutto nella giurisprudenza, studio delle sentenze, essa produce risultati falsificabili. Avvicinare quanto più possibile il diritto alla giustizia è compito politico. Il modo in cui esso avviene nella realtà, attraverso le leggi, sia nell'ambito delle controversie, sia per quanto riguarda l'organizzazione dello stato, è attività giuridica. Le scienze sociali, della comunicazione e l'economia, possono dunque essere presentate come discipline che adottano sia modelli matematici sia modelli storico-giuridici di interpretazione della realtà. L'equilibrio dei due diversi metodi è di pertinenza esclusiva dell'autore e dipende dalle sue inclinazioni e dall'oggetto di studio.

 

 

 

 

 

 

 
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IL DENTE DA PULIRE

Post n°693 pubblicato il 28 Settembre 2009 da quelluomo

Il migliore mi mandò a chiamare e io non potei rifiutare. Mi chiamava spesso e io provavo sempre la stessa sensazione. Non credo vi fosse nulla di malizioso in quello che faceva nè per conto mio avevo pregiudizi su quella brava gente ma era una situazione che mi rendeva paranoico e mi pareva che qualcuno avesse qualcosa da ridire a vedermi con lui ma non era così, oggi ne sono certo. Certo come può esserlo qualsiasi persona, cioè certo ma con qualche dubbio.

Era un brutto dente da pulire, un ex socio doveva dare indietro una bella cifra e adesso e non c'era scritto niente di ufficiale per cui per riavere quei soldi non si poteva adire un tribunale. Era un brutto dente da pulire anche perchè l'ex socio aveva passato molto tempo con noi, conoscevamo bene la sua famiglia e per fargli tirare fuori il denaro sapevamo che bisognava fare qualcosa di penoso.

Il frocio infatti aveva in mente una cosa molto penosa. L'ex socio aveva una figlia che andava alle elementari. Una cara bambina, che mi chiamava per nome. Avremmo dovuto precedere quelli che sarebbero andati legittimamente a prenderla al termine delle lezioni per mettere un po' di pepe al culo al nostro caro amico debitore. Chiaramente la bambina non si sarebbe dovuta accorgere di niente, per lei sarebbe dovuto essere solo un pomeriggio di divertimento. A cacarsi sotto sarebbe stato solo il padre. Una brutta storia penosa ma come ho detto non potevo fare nulla per tirarmi fuori e il frocio aveva pianificato tutto in maniera irreprensibile.

Il suo piano era questo: l'ex socio era separato dalla moglie, la sua ex moglie,  la madre della bambina e noi eravamo d'accordo con lei. L'andammo a prendere e lei si sedette dietro, mentre io e il frocio occupavamo i posti davanti, lui era al volante. La madre fece uscire la bambina da scuola e il suo compito terminò qui. Era molto preoccupata per la piccola ma sapeva anche che noi eravamo persone fidate che non avrebbero mai fatto la cosa sbagliata.

Portammo la bambina al ristorante e poi al museo e poi allo zoo e infine ordinammo un bel cono gelato, finito il quale, ci recammo nel più grosso negozio di giocattoli che fosse mai esistito nella nostra città e le comprammo tutto quello che voleva. Il frocio non venne con me alla cassa e mi lasciò andare un po' titubante. Spesi quasi trecento euro. Alle nove portammo la bambina dove era stato convenuto.

Avvertito il padre nel primo pomeriggio, il poveraccio si era spaventato da morire e aveva accettato di pagare tutto quello che doveva. Alle otto e quarantacinque consegnò i soldi. Noi lasciammo la bambina nelle braccia della madre. Era stata così bene che pianse quando ci separammo. Il frocio era molto soddisfatto e disse che mi meritavo, oltre al rimborso per quello che avevo speso e alla normale paga del giorno, anche un bonus. Fu di parola e quando lo lasciai sotto casa mi allungò una serie generosa di banconote. Era tutto a posto. La madre della bambina aveva preteso e ottenuto un po' di soldi per aiutarci nell'azione. Secondo il frocio questa era una brutta cosa.

 
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