La definizione, d'uso toscano, appartiene al lessico familiare e designa, nella fenomenologia tradizionale dei "chicchi" (dolcetti per bambini), un particolare esemplare di pasta di zucchero che un tempo. prima dell'era dei regolamenti sanitari, veniva pittorescamente manipolato a caldo e a mani nude, non sempre pulitissime dell'artigiano "mentaio" presso i banchetti delle fiere popolari e quindi sagomato nelle due forme canoniche a cuscinetto e a bastoncino, e che, una volta raffreddato e diventato durissimo, veniva imbonito al pubblico in transito con il classico grido: "Duro di mentaaaaa, bimbi piangete che mamma ve lo compra ...!!!"
Ricorda un grande livornese che " ... la consistenza marmorea del chicco, o duro di menta, ne prolungava il godimento a vecchi e a bambini in un lento e rituale ciucciare ornato di bave e di impiastricciamenti della bazza nonché d'appicicarsi delle dita, prestamente nettate sul davanti degli indumenti festivi: atti riprovevoli contestati dai genitori ai più piccini con la somministrazione di uno 'scappellotto' sulla nuca accompagnati da affettuosi appellativi e moniti quali 'lezzo' e 'troiaio' ..."
Nel parlare corrente d'ambito livornese "duro di menta" passò a significare, segretamente in ambito scolastico, la durezza di comprendonio di studenti svogliati e gingilloni, tetràgoni all'apprendimento di fondamenti dell'istruzione quali la tavola pitagorica,le capitali dei paesi del mondo, la declinazione di rosa-rosae-rose ... ecc ecc ecc ...
Il Quarto Borzacchini Universale
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