Gaffe, sberleffi e provocazioni

E’ stata una gaffe quella di Patty Pravo di fronte a migliaia di fan, e con un Amadeus sbiancato in volto, con il suo “Buon 1918”? E’ stata una gaffe, quella di Mattarella, l’aver paragonato i “ragazzi del ‘99” quelli che diedero l’impulso alla vittoria dell’Italia, cento anni fa, dopo che i “generalissini “ (che nonostante tutto ancora si aggirano, sempre più privilegiati ed incapaci, nei nostri Stati Maggiori!), erano piombati dentro Caporetto; a quelli del 1999, che il 4 marzo, per la prima volta, andranno a votare? Non lo sappiamo, né lo sapremo mai: pur tuttavia ci piace fare un’ipotesi e soprattutto un’antitesi su quel che potrebbe nascondersi dietro due facce di questa italica medaglia…

Conoscendo da sempre le idee di Nicoletta Strambelli, in arte Patty Pravo, questa inequivocabile e intramontabile icona dei ragazzi di destra del ’68, unitamente al grande Lucio Battisti, in tempi in cui essere di quella parte politica significava non solo l’isolamento e la deprecazione, ma anche il rischio di venire malmenati ed uccisi dalle “camice rosse”, che “difendevano” la democrazia con metodi assembleari, salvo poi accomodarsi, a rivoluzione completata, nelle stanze del potere, a goderne i frutti; non ci vorrebbe molto a fare uno+uno: si tratta, forse, di una provocazione di questa “giovane” settantenne, “ragazza del Piper”, che amava ammaliare, nel rischio quotidiano cui si sottoponevano, allora, quei rari giovani “volontari nazionalisti”, con la sua “Bambola”, il suo “Ragazzo Triste”, e la sua epica “Tripoli!”? Patty ha voluto fare un augurio, a sé e agli altri della sua generazione di intramontabili romantici e combattenti per degli ideali, qualsiasi essi possano essere, purchè servano a mantenere in vita quel che allora ci premeva tutti, amici ed avversari, nel bene e nel male: l’ala della giovinezza, schierata contro un mondo di mummie in sfacelo, che preparava un abisso per la nostra patria? “Che, quindi”, il 2018 assomigli veramente a quel lontano 1918, quando la gioventù più povera e disperata del mondo, dimostrò, nel fango delle ultime trincee e tra i flutti di quel fiume limaccioso, che mai permise allo straniero di essere attraversato, la valenza di una consapevolezza, quella del futuro di una nazione e di un popolo, trascinato in una guerra paradossale; che da lì a vent’anni, uomini già maturi, avrebbe poi, purtroppo, definitivamente travolti, in un maledetto sogno dell’impossibile?

Una data, un mezzo sorrisetto, e Patty ha detto la sua, come sempre, mentre era una dea dello spettacolo, seconda solo a Mina: o fin da adolescente, nella sua giovane esperienza di vita, grazie al padre gondoliere, quando ebbe la fortuna di conoscere due grandi della storia, che conversavano con lui come vecchi amici: Angelo Roncalli ed Ezra Pound…

Sembrano passati millenni, da quel fatale “1968”, che si chiuse sulla gioventù italiana, come un catafalco. Tutti, qualsiasi colore si indossasse, purchè in buona fede, ci illudemmo di cambiare il nostro destino; ma la prevaricazione, la corruzione, la mistificazione e il trasformismo rifecero a pezzi le nostre certezze, e l’Italia riprese il suo corso ignobile, fino a ieri…

Dalle stanze ombrose e fredde del Quirinale, dove gran parte di questa “eterna illusione” ha trovato spazio e incoraggiamento, è arrivata così un’altra  gaffe: quella che ha sfiorato il significato dell’altra, ma poi si è incenerita sull’amara realtà. Anche il Presidente, è chiaro, fu un ammiratore di quei diciottenni che, sul Piave, armati di pugnale e bomba a mano, rintuzzarono le ultime velleità di antichi imperi ormai inappropriati e superati: l’ultima speranza dell’Italia, la classe 1899, che non si fece rimpiangere, di fronte all’orgoglio plutocratico degli americani appena giunti da Oltreoceano, a salvare il salvabile. Ma è stato il paragone, che si è perso nel contraddittorio, quando “l’uomo dei silenzi-assensi”, ha voluto forzare la mano, paragonando la trincea al voto: nobile intento, è ovvio, perché niente in “democrazia” è più indecoroso e ignobile, di lasciare agli altri l’espressione della propria volontà politica, visto che la stessa, antica formula greca non appartiene, in nessun senso, all’ignavia di chi si sente “popolo” solo per convenienza! Perché si è trattato di pura ipocrisia!

Quale dovrebbe essere, infatti, lo sprone a questa generazione del ’99, per ottimizzare una vasta partecipazione al sistema? Il funzionamento dello Stato e di tutte le sue branche? La considerazione verso l’etica, il lavoro, il risparmio, l’ambiente, la salute, la sicurezza, la famiglia? Un particolare accento al futuro dei giovani, con la qualità dell’istruzione a tutti i livelli? Un braccio tecnologico, pronto a sorreggerli nelle nuove professioni? Un richiamo all’orgoglio di appartenere ad una tradizione secolare di grandi geni e grandi capacità, in continua concorrenza con paesi più ricchi e fortunati, ma vuoti di personalità e idee? Un esempio immarcescibile di onestà, doti morali, serietà e capacità; altruismo verso la povertà, gli anziani, le donne, i bambini, da parte delle classi al potere? Una morigeratezza nei costumi, che restituisca alla gente il senso della misura e del decoro, contro i modelli più decadenti dell’Occidente, ormai ombra di se stesso, travolto dall’edonismo e dalla speculazione finanziaria? Niente di tutto questo…

Com’è mai possibile, allora, che, di fronte ad un’ipotetica “macchina del tempo” si possa solo rapportare la semplice e coraggiosa volontà di quei ragazzi, poveri e ricchi che fossero, a sacrificarsi per una patria che, in ogni caso aveva tanto bisogno di loro, perché era loro madre, non matrigna; ad un dovere elementare, offerto a questa generazione di “esseri perduti”, che cercano, nelle loro vacue e sterili forzature fatte di sogni impastati d’artificio, una via, una qualsiasi, per essere se stessi, e cercare, come giustamente ci ha trasmesso un altro “vecchio settantenne” l’altra sera via streaming, “il lavoro qualunque sia”, che diventa, poi schiavitù, perchè orchestrato da una società che ama sfruttare senza mai restituire nulla? Giovani che non sanno che cos’è la felicità, l’amore, l’idea di crescere con gli altri e per gli altri, la pacatezza, la natura; che vedono nel colore della pelle e in culture diverse, un ostacolo insormontabile, ma sono costretti ad aggrapparsi al denaro, molto o poco che sia, perché la società a questo li ha imprigionati? Insomma la materialità dell’esistenza, di fronte alla responsabilità delle idee e alla dignità dei comportamenti?

Eccola, Presidente, la generazione di questo ’99: e lei ne è uno degli artefici, e adesso chiede che essa si desti, e fissi un’immagine diversa del mondo, magari per tenere in piedi l’accozzaglia vergognosa che la peggiore politica abbia mai veduto, ai piedi di questo meraviglioso Paese.

Sappia, tuttavia, che è bastata una piccola provocazione di una vecchia cantante, a irrorare d’orgoglio il nostro animo assopito dalle nenie dell’anno che è passato; perché della sua “gaffe” non sappiamo che farne. E’ solo una delle tante…

 

Dopo 70 anni la Costituzione è diventata lo sberleffo del regime

Ieri cadeva il 70° anniversario della promulgazione della nostra Carta Costituzionale, e il regime ha pensato bene di accogliere questa ricorrenza con una cerimonia striminzita, a cui ha partecipato il peggior nemico di questo documento fondamentale della nostra democrazia, il Presidente della Repubblica, Mattarella, tra l’altro ex-membro della Consulta, e altri quattro gatti.

Grazie a lui, ai togati in ermellino, che siedono al palazzo omonimo, e ai Presidenti della Camera e del Senato, la nostra Costituzione è stata schiaffeggiata e oltraggiata da anni, e la fine di questa legislatura, forse, potrà segnare il tramonto, si spera, di queste gravi menomazioni del nostro “essere liberi”.

Si è tentato di sbugiardarla con il referendum del dicembre 2016, ma il popolo ha sbarrato il passo ai traditori; pur tuttavia, grazie appunto ai silenzi-assensi delle tre “scimmiette” poste in capo ai tre principali organi di controllo legislativo, il Parlamento è stato costretto a diventare come un vecchio bordello di periferia, dove ci si vendeva la casacca per una marchetta, e l’opposizione è stata imbavagliata e torturata da una serie di brutte copie di metodi squadristici, tagliole e fiducie, ordite da un ex-magistrato, saltato in politica, e da una ex-fanatica del globalismo inter-razziale del peggior Kalergi.

Una festa, quindi, del tutto priva di mordente, e di discorsi retorici senza capo né coda, di cui presto ascolteremo uno stralcio la sera del 31, perché la coscienza sporca di questa classe dirigente, che si è impadronita del potere, scavalcando la volontà popolare, non solo non è stata capace di difendere la Costituzione, ma ha tentato di mistificarla in tutti i modi, dopo avere, in tutti questi anni, ignorato almeno una ventina di articoli, che i padri costituenti, avevano pensato bene di porre come capisaldi della nostra democrazia.

Potremmo, ad esempio, riferirci agli articoli 39-42-43-46 in tema di lavoro, che, dopo l’abiura stessa dell’art. 1, è diventata l’ultima ruota del carro, nelle preoccupazioni dell’accozzaglia politica al potere: dopo l’avvento di leggi-capestro, come il Jobs Act e la riforma pensionistica Fornero. L’art. 39 detta le regole perché sussista nelle aziende una rappresentatività sindacale proporzionale alla volontà delle maestranze, e democraticamente riconosciuta con valenza pubblica erga omnes: e nulla di questo è stato fatto, perché il sindacato oggi riconosciuto dallo Stato e dalle imprese, è un ibrido di legislazione fascista (unicum inter-partes) e comunista (ideologicamente imposto), e non è coperto dalla garanzia democratica di elezioni che riconoscano anche ad altri, e non solo alla Triplice, di discutere, approvare o respingere i contratti “leonini” sottoscritti da questo pateracchio fatto di privilegi e concertazione ante-litteram. L’art. 42, che pure riconosce e garantisce la proprietà privata dei beni economici, ammette che essa possa essere espropriata per motivi di interesse generale. L’art. 43 prevede che lo Stato possa espropriare direttamente imprese o categorie di imprese, riservandosele o passandole in gestione a comunità di lavoratori o utenti, ma specifica che devono riferirsi a servizi pubblici essenziali, o a fonti di energia, a situazioni di monopolio, o abbiano carattere di preminente interesse generale. L’art. 46, infine, “ai fini dell’elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione”, riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti di legge, alla gestione delle aziende.

Questi articoli, tutti disattesi, ci porgono pressanti interrogativi: ad esempio, la Sorgenia, azienda del Gruppo De Benedetti, in gravi difficoltà economiche, e produttrice d’energia, anziché essere espropriata dallo Stato, nazionalizzata o consegnata alle maestranze (art. 42-43), è stata salvata con 2 miliardi di denaro pubblico proveniente dalla CDP. La Fiat, un’azienda che gode in Italia dello stato di monopolio nella costruzione di auto, anziché essere statalizzata o consegnata alle maestranze (art. 42-43), da 50 anni gode di privilegi inenarrabili, sia dal punto di vista sociale che finanziario, con centinaia di miliardi buttati al vento. Il MPS (come altri istituti più piccoli), azienda bancaria di preminente interesse generale, anziché essere trasferita subito allo Stato e nazionalizzata (art. 42-43), ha rappresentato un calvario di oltre 15 miliardi di perdite, che si sono riflesse su un drammatico aumento del debito pubblico e su una maggiore tassazione per tutti. Infine la Melegatti Spa, anziché essere costretta a integrare i suoi lavoratori nel consiglio di amministrazione, tramite un consiglio di gestione (art. 46), dopo aver, costoro, dimostrato, di saperla condurre di gran lunga meglio della proprietà, viene ceduta ad un “hedge fund” straniero che la farà chiudere o la ingloberà in altre attività, espellendo centinaia di lavoratori!

Adesso è chiaro a tutti, con queste poche righe, perché l’anniversario della nostra Costituzione, per la classe politica al potere, è più una iattura che un appuntamento fondamentale con la storia e con la dignità di un popolo, che pagò col suo sangue, questa conquista… (D.S.)

 

Perchè nel futuro dell’Italia non c’è memoria per i saltimbanchi della politica

Rispondere, frettolosamente, che Maria Elena Boschi ha dato sufficienti spiegazioni sul caso Banca Etruria, e quindi il PD la candiderà regolarmente, ha fatto sbracciare o gridare allo scandalo mezza Italia, comprese tante persone che votano PD in buona fede.

In realtà, in questa scialba affermazione, c’è qualcosa di molto più profondo da scoperchiare, e non solo relativo a “bancopoli”, ma che riguarda da vicino la nostra repubblica: e qui ha ragione Beppe Grillo, a dire che non si può più definirla come “democrazia”.

Da anni ormai in questo paese si calpesta politicamente ed eticamente di tutto: in primis la nostra stessa Costituzione, che la prassi vuole, nata dalla Resistenza antifascista (che fa parte integrante, tuttavia, di una guerra civile durata un anno e mezzo!), e che oggi non viene neppure difesa dai massimi organi di controllo preposti a questa delicata operazione, come la Presidenza della Repubblica e la stessa Consulta. Si passa poi alle regole generali, che, in tutto il mondo, governano la gestione amministrativa di uno Stato: da noi non esistono più, perché ogni settore, che sia burocrazia, pubblica amministrazione, partitismo, cultura, economia, giustizia, sanità, scuola e università non seguono più alcuna regola, né scritta né tantomeno consuetudinaria, ma divengono “potere legislativo ed esecutivo” proprio, ognuno per la sua strada, a crearsi percorsi seriali di vivibilità funzionali per le categorie preposte a farlo; che, in questo modo, ben presto si trasformano in lobby, che si fanno concorrenza tra loro, spartendosi le scarse risorse, e mantenendo integri tutti i privilegi. Così la lobby sanitaria entra in guerra con quella culturale, quella finanziaria con quella giudiziaria, e quella partitica con tutte le altre. Il risultato è ovviamente la corruzione a tutti i livelli, perché la lobby stessa è corruzione, in quanto predilige che qualcosa le venga concesso, con ogni mezzo, anche illegale.

Molti sociologi attribuiscono questa involuzione dello Stato, alla crisi economica, e sorvolano sulla qualità delle persone: in realtà, il problema è storico, non così “sociale” come sembra. E deriva proprio da quel tratto di percorso che il nostro Paese fu costretto a seguire, una volta finita la guerra civile, iniziata la spartizione del potere (sotto lo sguardo attento dei trattati internazionali, come Yalta), e delle risorse, e quindi la ricostruzione. CHE, ATTENZIONE, FU CIVILE, MA NON MORALE: infatti si decise che in Italia governassero certe forze imposte dai vincitori d’Oltreoceano, ma che altre forze, altrettanto forti, ma invise ad essi, dovessero farlo, nascostamente (causa equilibri strategici), impadronendosi delle leve sociali più delicate, come il rapporto con il mondo del lavoro, la burocrazia, la cultura, l’educazione, ma anche importanti settori economici, come le cooperative.

Il popolo italiano seguì, come solo sapeva fare, questi dettami: la paura che si ritornasse alla fame e al ludibrio li fece sciamare verso la Chiesa, mentre il nemico giurato, il comunismo (che aveva ottenuto l’altra fetta della torta), doveva accontentarsi (per modo di dire), dell’opposizione!

Ad un tratto, dopo lustri di decadentismo, il sistema crollò, sotto il peso stesso di questo “compromesso”, nel momento in cui si evidenziarono, a livello internazionale, forze non solo occulte, tese a ribaltare questo staticismo letale, e a consegnare il Paese a nuove autarchie: caduto il regime catto-socialista, sorto, appunto, il regime neo-liberista, tuttavia, tutto ricominciò da capo. Solo che questa volta i comunisti, perso per strada il loro modello di riferimento, ed evolutisi in capitalisti di nome e di fatto, non si accontentarono più dell’opposizione, ma ambirono al pieno potere: ma in che modo? Con le stesse identiche idee e manovre degli altri, stabilendo che non ci sarebbero state più regole, né legacci costituzionali, né ovviamente etica politica (che non s’era mai vista!); ricopiando, per non rischiare, come su carta velina, ogni mossa, ogni (scarsa) positività, ma anche ogni errore da chi li aveva preceduti.

E siamo all’oggi: il baratro si è ulteriormente allargato, perché è vero che le generazioni si sono succedute, ma nessuna è stata “originale”, ma piuttosto “emula” della precedente; e l’ultima, quella dei Renzi, dei Boschi, degli Alfano, dei Gentiloni, delle Boldrini, dei Grasso, è addirittura la peggiore, perché si porta addosso tutte le magagne assommate alle precedenti! Ovviamente, la prima magagna, è la scomparsa di ogni traccia di ideologia, che la possa distinguere, talchè destra, centro e sinistra si equivalgono; la seconda è l’ignoranza più becera, perché a scuola e all’università ha solo orecchiato, e nella vita ha solo giocato con le risorse spesso rapaci della famiglia; la terza, che è come l’impronta delinquenziale del Lumbroso, è il pragmatismo assoluto, la ricerca dell’accaparramento personale, la scalata al successo, la profonda insofferenza per chi è povero! INSOMMA VIVERE LA POLITICA ORA PER ORA, SENZA PREVISIONI NÉ PROGRAMMAZIONI, TAPPANDO BUCHI E RICUCENDO PEZZE, TANTANDO DI OCCULTARE QUESTO “RAZZISMO DI CENSO” TIPICO DELLE CASTE LOBBISTICHE.

Alla fine ci troviamo a vivere in quella che alcuni chiamano “criptocrazia”, cioè un sistema ormai indecifrabile, che non dà più alcun frutto sociale né politico: non crea progresso, né ripresa economica, e quindi rifiuta l’adeguamento e il rinnovamento, e guarda all’economia come il ricorso allo spreco e alla speculazione; non è animato da una cultura propria, ma solo di riflesso, soprattutto quella anglosassone; è vuoto dal punto di vista della tecnologia, della scienza, della ricerca; è votato all’assassinio delle generazioni: quelle più giovani le esclude dalla scuola e dal lavoro, e le getta in pasto alle sirene dello stordimento psicologico, alcool e droghe, gioco d’azzardo, ricerca spasmodica dell’estetismo e della facile ricchezza; quelle più anziane le uccide con la scarsa assistenza sanitaria, con la povertà, e il degrado pensionistico.

Si fa quindi presto a capire perché siamo giunti probabilmente, ad un nuovo salto politico-sociale, dove personaggi come la Boschi o Gentiloni appaiono come gli ectoplasmi di un vecchio maniero, che tutti giurano di aver visto, ma che, probabilmente, si confondono con le nebbie malsane ed paludose della storia più dolorosa e facinorosa che mai abbia percorso questa Italia… (D.S.)

 

Nell’editoria italiana, compromessa col regime, il principio di trasparenza non esiste!

Il principio della trasparenza è un principio largamente assente nel mondo dell’editoria italiana. Si parla da sempre della mancanza di editori puri, cioè di soggetti che vivono di informazione, che studiano i modelli di business dell’informazione in altri Stati e cercano di riprodurli in Italia cercando di guadagnare con i mezzi di informazione, quindi senza coltivare interessi extra editoriali.

Queste figure di editori puri in Italia sono pressoché assenti, perché gli editori hanno storicamente utilizzato il mondo dell’informazione per perseguire altre finalità. Avevano altri business, avevano altre aziende in altri settori (bancario, assicurativo, edile), poi anche in quello politico. E quindi hanno utilizzato questi mezzi di informazione anche per perseguire obiettivi su altri tavoli. Questo inevitabilmente ha tolto obiettività all’informazione, ha tolto anche trasparenza perché non sempre i contenuti prodotti da questi giornali e poi anche dai mezzi radiotelevisivi, soprattutto dagli anni 90 in poi, riflettono principi di obiettività, di trasparenza, di interesse pubblico. sono spesso largamente influenzati da questi interessi extra editoriali.

Dal punto di vista legislativo stupisce dire che già negli anni ‘70 erano state fatte delle normative, per garantire per esempio che le banche non entrassero negli assetti proprietari dei giornali. Addirittura la legge bancaria del 1936, e poi una serie di delibere del comitato interministeriale per il credito e risparmio, vietavano alle banche di entrare nella proprietà dei giornali. Nonostante tutto invece i principali quotidiani sono stati e sono in parte tutt’ora condizionati dalle scelte che fanno le banche, e spesso sono le banche a influenzare le scelte editoriali a due livelli: sia perché con i rubinetti del credito e dei fidi inevitabilmente hanno un potere di vita o di morte su queste testate, sia perché i contenuti editoriali che riguardano le vicende a volte opache di queste banche non trovano uno spazio neutrale sui giornali.

Allora forse bisognerebbe che I lettori sapessero, ad esempio, che quando si affronta un argomento che riguarda la condotta delle banche nei confronti dei risparmiatori, il giornalista che se ne occupa non è sempre libero di raccontare la verità perché è condizionato da quelli che sono i grumi di interesse che si addensano attorno alla proprietà editoriale del suo quotidiano. E ancora la commistione con la pubblicità, la dittatura degli inserzionisti, che a volte sono le stesse banche. Ma è chiaro che gli inserzionisti prima di finanziare un contratto pubblicitario cercano di assumere delle garanzie rispetto a un trattamento ad esempio morbido che li riguardi. E quindi anche i contenuti editoriali che riguardano aziende che sponsorizzano la pubblicità sui giornali, che finanziano pubblicità sui giornali, sono notizie da prendere cum grano salis o comunque con tutte le accortezze del caso, perché risultano filtrate attraverso questi interessi pubblicitari.

Quindi è giusto fare un discorso diverso basato, per esempio, su incentivi che premino la qualità dell’informazione, cioè quei giornali che effettivamente si impegnano a garantire un certo livello di trasparenza, per esempio pubblicando sempre i riferimenti agli interessi editoriali del proprio editore. Ogni due o tre giorni o magari ogni settimana pubblicare per esempio in seconda pagina gli assetti proprietari e l’azionariato, tutto ciò che riguarda la proprietà del giornale, affinché il lettore leggendo degli articoli che riguardano queste aziende collegate alla proprietà del giornale, possa fare le sue valutazioni. E’ un qualcosa che succede in Inghilterra, e succede anche in Germania. Ci sono degli esempi virtuosi che dimostrano che si può essere trasparenti e quindi garantire al lettore un’adeguata informazione anche su chi c’è dietro, cioè sui soggetti che sono interessati a far uscire determinati contenuti sui giornali. Considerare il singolo cittadino una sorta di stakeholder, cioè di portatore di interessi verso il giornale, l’emittenza radiotelevisiva, il canale informativo, sarebbe un segno di grande maturità democratica.

E’ giusto che il mondo dell’informazione si converta a questo principio della trasparenza, perché altrimenti il rischio è la disaffezione, la perdita definitiva di credibilità, e la sconfitta della democrazia dell’informazione, cioè quella democrazia che consente ai cittadini di esercitare i diritti garantiti dalla costituzione e dalle leggi vigenti proprio sulla base di una corretta informazione, che è la premessa per poter esercitare tutti gli altri diritti. (Prof. R. Razzante)

 

L’ultima truffa delle coop rosse porta la firma di Renzi & Bersani

Da Il Fatto Quotidiano del 29/11/2017 (che legga attentamente soprattutto chi è stato truffato delle banche, e chiunque rischia di perdere tuttora i propri risparmi, nelle mani della criminalità bancaria: poi ridia il voto al PD!), a firma Giorgio Meletti:

“La materia è complicata, qui sei dentro la storia del Novecento”. Il senatore del Pd Ugo Sposetti vola alto e non ha tempo di spiegarci l’emendamento 29.0.24 alla legge di Bilancio approvato in commissione. Se confermato dai voti in aula, ribalterà il codice civile in favore dei soci delle cooperative. In realtà chiunque, anche senza meditare la profondità del Novecento, può capire: “L’articolo 2467 del codice civile non trova applicazione per le somme versate dai soci alle cooperative a titolo di prestito sociale”. Una volta si diceva che per gli amici la legge “si interpreta”. Qui, direttamente, “non trova applicazione” l’articolo del codice civile secondo cui “il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori”. Se una società fallisce i soci che hanno prestato capitali devono aspettare per riavere qualcosa indietro che prima siano soddisfatti dipendentifornitoribanche

L’emendamento Sposetti tutela i soci che affidano i risparmi alla cooperativa come se fosse una banca, ignorando che il prestito sociale non è risparmio ma capitale di rischio. È un problema acuto che da anni tutti fingono di non vedere. Solo le Coop dei supermercati hanno in cassa oltre 9 miliardi dei loro soci, ufficialmente per finanziare l’attività, ma di fatto come servizio di gestione dei risparmi. È una banca vera e propria, con tanto di sportelli, bancomat e carta magnetica per pagare la spesa con il proprio credito verso la cooperativa. Sarebbe un reato punito con il carcere fino a tre anni dall’articolo 130 del Testo unico bancario (Abusiva attività di raccolta del risparmio). Ed è uno dei reati per il quale il mese scorso la Procura della Repubblica di Trieste ha chiesto il rinvio a giudizio di Livio Marchetti e Pierpaolo Della Valle, presidente e direttore generale della Cooperative Operaie di Trieste, affondata tre anni fa con un centinaio di milioni di prestito sociale; per lo stesso reato la Procura di Udine ha chiesto il processo per i vertici della Coop Carnica, anch’essa fallita nel 2014 bruciando 26 milioni di prestito sociale (da tenere presente che la Governatrice del Friuli, Serracchiani, avrebbe dovuto controllarle per statuto regionale!)

Sposetti è lo storico tesoriere dei Ds, fiero del gioco di prestigio con cui dieci anni fa ha messo al sicuro in un sistema di 57 fondazioni gli immobili del partito, sottraendoli alle pretese delle banche che vantavano crediti per 200 milioni e sono così andate a chiederli allo Stato: “Il debitore è morto”, è stata la sua spiegazione. Se la tira da “autentico” mascalzone (“Sono un sostenitore del principio che alle banche i soldi non si restituiscono”) ed è riuscito a raccogliere sotto il suo discutibile emendamento la firma di autorevoli esponenti del Pd di Parma, Modena e Bologna, ma anche della capogruppo di Mdp-Articolo Uno Cecilia Guerra, che in effetti è di Modena anche lei (ecco su che cosa trovano l’intesa Pd e Mdp, altro che Pisapia, Ius Soli e articolo 18).

Siccome proprio in Emilia si moltiplicano i casi di cooperative che vanno in malora con i risparmi dei soci, giustamente i politici intrinseci a quel mondo preferiscono puntellare il sistema malato piuttosto che dire alle cooperative di smetterla di fare le banche. Esulta il senatore Stefano Vaccari, funzionario del Pd di Modena, soddisfatto di aver evitato che “il prestito sociale sia assimilato al finanziamento dei soci”, senza evidentemente rendersi conto che senza assimilazione è un reato. È contento: “Si evita che chi ha versato somme a titolo di prestito sociale venga superato dai fornitori nella precedenza dei creditori che hanno diritto al rimborso”.

Si evita appunto di applicare la legge, alla faccia dei fornitori delle cooperative che forse, nei calcoli degli strateghi dell’emendamento, non votano Pd o Mdp. L’emendamento Sposetti serve a legalizzare un’attività illegale e genera future grane a non finire, per la gioia degli avvocati. Per ragioni che comprensibilmente nessuno vuole spiegare, è stato scritto in fretta. In una prima versione prescriveva che il 30 per cento delle somme raccolte con il prestito sociale venissero investite, a garanzia dei soci, “in strumenti finanziari adeguati per liquidità, redditività e profilo di rischio”. In quella definitiva invece, forse dopo che qualcuno ha fatto notare all’estensore che quella si chiama gestione del risparmio, si cambia tutto e si prescrive che le coop “sono tenute a impiegare le somme raccolte in operazioni strettamente funzionali al perseguimento dell’oggetto o scopo sociale”.

Poi però si dice che si deve garantire la restituzione di almeno il 30 per cento del prestito sociale costituendo un patrimonio separato, cioè un tesoretto al riparo dall’eventuale fallimento della società. Cioè si raccoglie il prestito sociale per metterlo da parte a garanzia del prestito sociale. O sono dei geni o ci stanno prendendo in giro. Altro caso tipico: nell’emendamento c’è scritto che il prestito sociale di una cooperativa non può eccedere “il limite del triplo del patrimonio netto”. Bella idea. Peccato che i manager di Coop Carnia siano imputati proprio per aver superato il limite del triplo, istituito nel 1994. Sempre più spesso il Parlamento fa le leggi tirando i dadi.” Ma i biscazzieri bari sono sempre gli stessi!

La cosiddetta “destra” sa solo vedere comunisti cannibali, e dimentica le sue origini

Si continua a parlare del Venezuela (specie da parte di una “destra” completamente accecata dal berlusconismo), come di un Paese in mano ad un bandito, e solo perché, questo “bandito” è riuscito a bloccare l’usura che stava distruggendo una delle economie più forti dell’America Latina, ad opera della Banca Mondiale, costola purulenta della Federal Reserve Bank, e mamma del Fondo Monetario Internazionale; disconoscendo la moneta americana (con cui la Casa Bianca sta operando a livello di sanzioni), dopo che il Presidente Maduro ha varato una costituzione “sociale” in cui, per la prima volta, dopo settant’anni, l’individuo è classificato, nella nuova organizzazione di uno Stato partecipativo del popolo, un “produttore”, e quindi inquadrato nei gangli della cogestione Stato-cittadini. Un modello a metà tra lo stato corporativo fascista e la autogestione jugoslava, entrambi lontanissimi da quelli della sinistra marxista! In questo ambito, Maduro ha creato una moneta parallela, il Petro, che sfugge alle false quotazioni di dollaro ed euro (che si compenetrano tra loro, creando inflazione o deflazione secondo l’esigenza speculativa), che viene garantito dai pozzi petroliferi venezuelani (tuttora potenzialmente paragonabili a quelli iraqeni!), e dalle riserve di oro e diamanti che la nazione sudamericana detiene. Questa moneta sovrana creerà un circuito alternativo, che permetterà alla gente di spendere e risparmiare superando la spinta inflazionistica determinata dal blocco del prezzo del petrolio, dopo la cacciata delle sette sorelle. Ovviamente il Petro è stato accolto con interesse dalla Russia (impegnata anch’essa, da tempo, nello studio di una moneta alternativa tra i Brics), la quale si è già detta pronta a sostenere l’offerta petrolifera venezuelana.

Anche l’Italia potrebbe seguire, ovviamente con le dovute differenze, la strada di una moneta alternativa, così come viene presentata nel programma Cinquestelle. Le motivazioni, le medesime del Venezuela (sfuggire al controllo deflazionistico della BCE e alla susseguente anarchia della moneta americana, con cui l’euro si commisura ogni minuto secondo!), ma soprattutto l’esigenza di creare un flusso monetario “sovrano” a favore delle liquidizzazioni a carattere sociale (pensioni, reddito di cittadinanza, ammortizzatori sociali, ecc.), gestite da una banca pubblica come la tedesca KfW, che si occupa esclusivamente anche del finanziamento della pmi. Tale moneta sarebbe garantita non certo dal nostro debito pubblico, che attualmente vale zero, anzi sotto-zero (non dà più frutti né attivi né passivi, ma è solo una incrostazione che errori, corruzione e speculazione hanno creato addosso al popolo italiano!), ma dalla nostra riserva aurea che attualmente vale circa 100-120 miliardi di €. In questo modo, e in attesa che siano attivati gli art. 39-42-43-46-99 della Costituzione (riorganizzazione del sindacato, del mercato del lavoro, del rapporto tra impresa e maestranze, camera degli interessi), l’Italia potrebbe uscire facilmente dalla camicia di nesso dell’INPS, sempre più affossata dalla sua innaturale funzione assistenziale, costretta a tagliare le pensioni più basse. (D.S.)

Quando i motivi sentimentali in politica decadono in torbide e letali strumentalizzazioni

Ormai la questione bancaria italiana è il nervo scoperto, e quasi metastasico, che sta distruggendo le residue speranze di ripresa del nostro Paese, precipitandoci velocemente verso l’abisso della totale e inesorabile perdita di ogni residuo di sovranità, con l’avvento della Troika. L’Unione Europea l’ha capito da un pezzo, ma ha di fronte due incontrovertibili verità: la prima è che l’Italia non è la Grecia e la sua caduta verticale sfascerebbe definitivamente la trama finanziaria e massonica che finora l’ha tenuta in piedi, ai danni dei popoli europei, specie quelli mediterranei e orientali, dopo la profonda ferita della Brexit. A questo proposito non è un caso che Moscovichi & soci stiano tentando di rinviare alle kalende greche il patto per l’uscita del Regno Unito, sperando che le due realtà non si sovrappongano, e quindi dissanguino una BCE già oberata di oltre 500 miliardi di crediti praticamente inesigibili, creati con il “quantitative easing” (che le banche avrebbe dovuto salvarle!); la seconda è la paura che in Italia si imponga un Governo “populista”, che invece, in Francia, in Grecia e in Spagna si è riusciti a bloccare, e che provocherebbe, come una reazione a catena, il sorgere di altri “populismi” non più dormienti (come in Austria, Polonia, Slovacchia, Croazia e Ungheria) e che spazzerebbero via la lobby del PSE e del PPE instauratasi nel parlamento Europeo, grazie alla caratura tedesca, che, già oggi, non sembra più in grado di reggerla.

A Bruxelles, paradossalmente, stilano l’elenco dei Paesi off-shore, dopo vent’anni di evasioni fiscali che hanno disintegrato il tessuto imprenditoriale e bancario del continente, come se uno dei gran maestri di questo abuso, non sia proprio l’”avvinazzato” Junker! E si procede a tentoni, evitando di aggravare la situazione economica dell’Italia, che ormai ha superato di miglia il segnale di guardia!

Ma in Italia c’è già che sta facendo di tutto per disfare il centrino sfilacciato dei burocrati europei, ed è proprio il partito di maggioranza relativa, il quale sta avvoltolandosi, ogni minuto secondo, nel multingpop disastroso di una corruzione infinita, che ormai deborda da ogni parte: e più lo si mescola, e più manda fetore!

E’ anche vero che la massoneria, divisa profondamente dopo il fallimento ieratico del suo campioncino toscano, e dei suoi compagni di merende, tra chi ha sbagliato, come le lobby dei banchieri italiani, seguita da presso dalla lobby dei giudici, e quindi degli editori; e chi, da Oltre Oceano, sta bacchettando duramente i confratelli, tentando di imporre nuovi candidati, per salvare capre e cavoli (e Grasso, un uomo dell’ “antimafia”, della DIA e quindi molto vicino ad FBI e CIA è uno di questi!); e Mattarella, presto, si troverà le linee telefoniche del Quirinale ancora più calde di quelle che dovette condividere Giorgio Napolitano, e che portarono alla cacciata di Berlusconi, altro esperimento fallito, ma non dopo aver rimpinzato la Gran Loggia di Washington con il tradimento dei libici!

La “figuretta” di questa “Giovanna d’Arco” dell’imbroglio, cioè Maria Elena Boschi, sta diventando il “buco nero” verso cui l’astronave renziana si sta dirigendo, senza alcuna speranza: neppure quella di poter contare su Berlusconi, perché i suoi voti ballerini non gli bastano più, nonostante la truffa elettorale perpetrata dai silenzi quirinalizi.

La difesa che mezzo partito (l’altro mezzo, tace!) sta innalzando a sua difesa, assomiglia troppo da vicino alle difese che gli “impresentabili” di F.I. (soprattutto gli ex-A.N.), fecero del “pregiudicato”, quando costui iniziò a scandalizzare (e non ha mai smesso, perché è un vizioso!) l’Italia e il mondo, con il suo harem: allora difendere Berlusconi significava difendere le sue “intimità distorte”; adesso difendere la Boschi ad ogni  costo (quando tutti, proprio tutti, sanno del conflitto di interessi e dei grandi errori supportati –non ultimo il disastroso e insipiente attacco alla Costituzione, fortunatamente sventato un anno fa!), significa difendere, è lampante, altre “intimità distorte”, che risalgono a quando lei assisteva il suo giovane e intimo amico, già sposato, unica persona di cui lui si fidasse, nei meandri della sua fondazione Big Bang (poi confluita nella Open), quella che servì a trasformare un personaggetto di provincia da quattro soldi, in un “leader” rampante. Non è solo un assioma quello che dice, con le dovute proporzioni, che “dietro un grande uomo, c’è sempre una donna”: Maria Elena, probabilmente, e silenziosamente (bisognerebbe chiederlo alla signora Landini–moglie), lo ha coadiuvato, difeso, plasmato e, d’accordo con i poteri forti che predominavano nelle due famiglie, Boschi e Renzi, lo ha alla fine sorretto, contro tutto e contro tutti!

Come si fa a cacciarla via, proprio adesso, che è travolta dagli scandali? Le donne, specie quelle in carriera, possono essere vendicative (la vendetta di una moglie è più lenta, perché ci sono i figli!), e Maria Elena non è quello stinco di santo che appare sotto le luci della ribalta, e per Matteo potrebbe essere la sepoltura definitiva.

Il problema per lui che è segretario di un partito ancora forte, che, a parte la infingarda stampa italiana che tutto sa ma che tutto sa nascondere quando vuole, non se la sente più di “reggere il moccolo”. E crediamo che il momento della verità, scoppierà, prima o poi.

Allora, vedrete, che Matteo Renzi tornerà a fare quel che ha sempre fatto. Cioè il figlio di papà… (D.S.)

Un Papa filo-islamico ci mancava proprio…

Dolori di pancia, che rasentano, più che la colite, ulcere perforanti e attacchi di appendicite acuta! Queste sono le sensazioni “segrete” che rimescolano il basso ventre di vescovi e cardinali (eccetto quelli renziano-bergogliani), dopo il viaggio-lampo del pontefice prima nell’ex-Birmania, poi in Bangla-Desh (nel frattempo era avvenuta la defenestrazione misteriosa del Vice-Direttore generale dello IOR!).

Ma vediamo le cause di questi malori: ufficialmente Francesco, preso da pene inenarrabili (quasi quanto quelle che lo assalgono quando vengono sterminati i cristiani!), è corso laggiù per sollecitare l’accoglienza della comunità islamica dei Rohinga nello Stato a maggioranza mussulmana del delta del Gange, visto che i buddisti del Myanmar (dove attualmente è primo ministro l’ex-deportata San Suu Kyi, figlia prediletta del laicismo pragmatico, ma anche difensore delle grandi tradizioni religiose del suo popolo), se ne vogliono liberare, perché non si integrano per definizione (come non si integrano in Europa, e ci suona strano che Sua Santità non se ne sia accorto!), e soprattutto sono monoteisti, il che cozza contro la tradizione induista e buddista.

Voi direte: ma cosa c’entra il Papa in un conflitto religioso così lontano dal cattolicesimo, in un momento in cui il cattolicesimo stesso è oberato di problemi e di interpretazioni rasenti la blasfemia?

Un tempo un papa che si mettesse alla testa di una crociata filo-islamica, avrebbe fatto insorgere le truppe catto-conservatrici e codine che imperversano in Italia: oggi invece, tutti sono proni, anche gli acerrimi nemici dell’Islam e dello ius soli (quello islamico, in effetti, è il più rischioso!). In realtà Francesco è sceso in Estremo Oriente perché vorrebbe mettere zizzania, in religioni che per secoli hanno combattuto e combattono, proprio cattolicesimo, ebraismo e islamismo: tutte egualmente tossiche, per quanto riguarda la profonda spiritualità universal-panteista delle varie branche induiste e buddiste, che oggi se ne tengono distanti, appunto perché rappresentano un motivo di profondo dissidio, e non una ricerca pacificatrice che, questo papa finge di voler mantenere. E quei poveri Rohinga hanno fatto la parte del bluff, perché la provocazione era rivolta contro il gigante asiatico, che da mille anni combatte contro gesuitismo, torah e corano, senza mai smettere di farlo (famosi furono gli assassini dei gesuiti inviati in Giappone nel XVII secolo; ma anche le dure lotte tra mussulmani e indù, tra Pakistan ed India, che determinarono la morte dello stesso Gandhi). Un modo come un altro di portare avanti una “sottile” guerra di religione, ma senza neppure aver chiesto il permesso agli imam, che ormai considerano il suo “trono” uno dei più brutali strumenti di repressione dell’Occidente, quindi da abbattere!  (D.S.)

 

Un sussulto di dignità, nel mare magnum di una magistratura di regime

C’è un’icona “giudiziaria” da qualche parte, ignorata dai più (i giornalisti e i cronisti tv di regime, ovviamente), che ha avuto il coraggio di obiettare al decadimento della magistratura italiana (e come si poteva dubitare che in Italia decadesse tutto, meno il terzo e fondamentale potere dello Stato?), per altro già messo in luce da un’altra delle rare voci di dissenso, quel Piercamillo Davigo, uscito in fretta e furia dalla presidenza del ANM, dicendone di cotte e di crude di molti suoi colleghi, ormai arresisi ad un sistema che premia la criminalità e osteggia l’onestà, alla faccia dei principi costituzionali.

Questa caduta verticale ha origine dal più alto consesso giudiziario, quello della Corte Costituzionale, ormai ridotta ad un cortile in cui svolazzano solo foglie secche e pattume, e dove i principi di quella Costituzione che pure costò al paese lacrime e sangue, vengono interpretati soprattutto al contrario, obbedendo pedissequamente ai dettami del potere esecutivo e quindi politico. Subito dopo arriva il CSM, un’altra di quelle perle che i padri costituenti avevano individuato per controllare le malefatte e le storture dei magistrati, ma mistificato, in seguito, ancora una volta dalla politica trasformista, che ha visto Presidenti della Repubblica e Parlamento (i due soggetti che eleggono i 2/3 dell’organo) patteggiare per potentati oscuri e contrarissimi alla democrazia, come la massoneria e la mafia. Infine l’Alta Corte di Cassazione, il supremo organo giudiziario, che dovrebbe rianalizzare e ispezionare tutto quel che esce dai tre gradi di giudizio che i codici di questo sfortunato Paese (insieme alla “prescrizione”) stabiliscono per i delinquenti, che, così hanno anni e anni di liberi arbitrio, prima di essere condannati definitivamente: una moratoria scandalosa, che oltretutto discrimina i ricchi, che possono permettersela, dai poveri! E invece, cosa fa? Si adegua, salvo rarissimi casi (anche questi politici), al giudizio giù espresso dai giudici e dalle giurie.

Tralasciamo, per opportunità, quel che avviene ogni giorno nei tribunali, tra spese di cancelleria, caos, ritardi, ferie, imboscamenti, burocrazia, ma anche superstipendi e superpensioni, e una situazione di organici perennemente deficitaria. Voi vi chiederete: ma non esiste un dicastero ministeriale che dovrebbe tutelare “politicamente e socialmente” la giustizia? La risposta è: certamente, ma è uno schermo fatiscente e inutile, gravato dalla faziosità partitica! E sorvoliamo anche su quel che accade tra gli stessi magistrati, i quali, ormai, politicizzati all’80%, si giocano la loro carriera tra magistratura, Camera e Senato, e spesso dopo la “vacatio politica” rientrano tranquillamente in tribunale, a colpire, ovviamente, e con più durezza, tutti coloro che non la pensano come loro!

Ed ecco, quindi che, su Il Fatto di un mese fa (17 ottobre), compare un fantasma in toga, che decide di contestare il mondo di cartapesta in cui vive, con un gesto clamoroso, e critico: una “mosca bianca” nel mare magnum di una democrazia che si sta spegnendo giorno dopo giorno.

“Questa è la storia singolare di una “carriera alla rovescia” e di un magistrato che con dignità ribalta il tavolo delle convenzioni, delle regole non scritte e dell’imperante “tira a campare”. Andrea Mirenda, di professione giudice, al culmine del suo percorso professionale decide che così non va. Il sistema, dice, è “improntato oramai ad un carrierismo sfrenato, arbitrario e lottizzatorio, che premia i sodali, asserve i magistrati alle correnti, umilia la stragrande maggioranza degli esclusi e minaccia l’indipendenza dei magistrati con la lusinga della dirigenza o la mortificazione di una vita da travet”. Quindi il gesto eclatante: la rinuncia alla carriera. Dopo una trentina di anni con la toga sulle spalle, quattro da presidente di una sezione civile, e dall’anno scorso presidente della sezione fallimentare del Tribunale di Verona, la richiesta di “tornare giudice, ultimo tra gli ultimi, al Tribunale di sorveglianza per occuparmi dei problemi dei detenuti”. La convince questa ricostruzione, dottor Mirenda? Non sono d’accordo quando lei giudica eclatante la mia scelta. Il mio è un gesto socratico, un sacrificio che serve a far riflettere l’opinione pubblica. Rinuncio a tutto, alla carriera e agli allori, ma voi parlatene. Un membro del Consiglio superiore, il “laico” Pierantonio Zanettin, ha giudicato la sua polemica “fuori luogo”, bollandola come “venata da populismo giudiziario”. Ho rinunciato alla prospettiva di diventare presidente di un importante Tribunale civile, con un solo obiettivo: indicare all’opinione pubblica un problema che non è quello della distribuzione dei posti in magistratura, ma quello dello stimolo che i magistrati stanno avendo a mettersi in luce per avere degli incarichi direttivi, posponendo gli interessi dei cittadini. Il modello costituzionale vuole un giudice che non abbia né timori, né speranze. Il giudice si deve occupare di fare il suo mestiere. L’autogoverno della magistratura si realizza se c’è rotazione, la ricerca del più bravo fa sì che fin dagli inizi della carriera il magistrato pensi solo a mettersi in mostra. Consigli giudiziari, sindacalismo giudiziario, correnti etc., il giudice farà di tutto tranne quello che è il suo mestiere quotidiano. I cittadini da noi attendono decisioni, non che scriviamo trattati. Noi dobbiamo amministrare la giustizia in un tempo ragionevole, con prudenza e saggezza e dedizione. La scelta del nostro sistema legislativo di estendere il Testo Unico sulla dirigenza anche ai magistrati ci ha messo tutti ai blocchi di partenza, ma per fare altro. Quindi lei rinuncia alla sua carriera e… Il mio gesto è un unicum nella storia della magistratura. La mia è una carriera alla rovescia, perché voglio mettere in luce la dignità profonda del lavorare come semplice giudice, senza questa ansia di prestazione di fare altro e recuperando la massima attenzione alle istanze del cittadino. Questo meccanismo carrieristico creerà un giudice sempre meno disponibile a prestare attenzione alle esigenze della società civile. Lei attacca il Csm e il sistema delle correnti. Il meccanismo carrieristico lascia mani libere al sistema delle correnti che hanno in mano il Consiglio superiore, e lo hanno asservito. Ma queste correnti cosa sono se non le cinghie di trasmissione dei partiti politici? In seno al Csm membri laici e togati realizzano pacchetti di accordi per la distribuzione degli incarichi direttivi, attraverso questo controllo si realizza un etero-governo della magistratura, è questa la partita. Ecco perché dico che la rotazione degli incarichi direttivi garantisce la pari dignità dei giudici. Lei ha posto queste questioni, oltre agli attacchi ricevuti, c’è qualcuno che ha tentato di dissuaderla dal fare una scelta così radicale, o che ha dato risposte alle sue proteste? La sottosezione della Anm di Verona, di cui non faccio parte perché sono uscito da tutti gli organismi nel 2008, all’unanimità ha ritenuto di farsi portatrice del principio della rotazione degli incarichi semi-direttivi, presidenti di sezione, procuratori aggiunti. Così si assicurano autogoverno, pari dignità delle funzioni e soprattutto la creazione di un clima affettuoso alle attività dell’ufficio. Il meccanismo escludente genera disaffezione. Quindi tra poche settimane lei prenderà possesso del suo nuovo ufficio e si occuperà di carceri. Di detenuti, delle loro condizioni e del loro recupero. Ultimo tra gli ultimi, e lo farò con onore ed entusiasmo.” (D.S.)

 

 

 

Fake-news, fake-men…

Un’inchiesta mistificata dai media dei vari regimi, in testa quello dello Zio Sam, espertissimi, come il NYT e Buzzfeed di creare, a suo tempo, un’intera campagna elettorale-fake contro Donald Trump (per altro fallita clamorosamente, visto il soggetto!), appoggiata da settori politici della Gran Loggia di Washington, a favore di Hilary Clinton, soggetto caduto da tempo nelle simpatie perfino democratiche, coinvolgendo perfino la Russia di Putin, che ancora se la ride di gusto!

Ecco a voi le c.d. “fake-news”, che, guarda caso arrivano in Europa, trascinate per i capelli dal giornale più menzognero del mondo, dove militano personaggetti italiani, mandati là a sbugiardare i grillini di fronte al pubblico americano.

Ovviamente si tratta di una creatura di cartapesta, creata dai giornali e dalle TV, per colpire soprattutto Lega e M5S (i due nemici-opposti, ma temibili del no-globalismo), e dare un’ultima boccata di ossigeno al vecchio tycoon di Arcore e al suo “figlioccio” di Rignano. Chi non se n’è accorto è proprio un ebete, visto che, e non ci sono dubbi nè prove in merito, i veri “maestri” della falsità e delle bufale sono proprio loro, le redazioni giornalistiche asservite ai poteri forti, rappresentati dai loro editori (Berlusconi, Cairo, Angelucci e De Benedetti), gli stessi che si ripartiscono il potere mediatico italiano, assieme al Governo che occupa abusivamente la Rai, e senza uno straccio di legge sul conflitto d’interessi, in grado di proteggere il popolo dai cialtroni!

L’altra faccia della medaglia sono i social, mai attaccati così duramente in quanto tali, e accuratamente analizzati, alla ricerca di accordi fantasma, contro il regime “democratico”: ormai nella padella ci sono finiti Grillo, Salvini, Bersani, ma anche il Manifesto, Casapound, Mr. Mignogna (?), l’Isis, le ONG,  e ovviamente l’ex-KGB, in una poltiglia che, a sua volta, è la più grande delle fake-new, al servizio dei beoni!

Se ci pensate non poteva essere altrimenti: in un’Europa che sta ormai strangolando gli ultimi barlumi di libertà e di sovranità nazionale; e in un’Italia dove da anni sono in corso “colpi di mano”, meglio definibili come “colpi di Stato” di tipo politico e finanziario, e un Parlamento trasformista, eletto col trucco, non conserva più le sue prerogative istituzionali; con uno Stato asservito alle lobby e alle caste, che si spartiscono il reddito nazionale, il nemico da battere è diventata LA LIBERTA’ DI ESPRESSIONE. Che, badate bene, non è più rappresentata, appunto, dalle “grandi testate” o dai “grandi network”, tutti al servizio di quei potentati che stanno dividendo il mondo tra ricchi e poveri, nella percentuale di 10 a 90, ma dai social (blog, facebook, twitter, ecc.) dove ancora è possibile sfuggire alla normalizzazione del “grande fratello”, come se una nuova, grande e globale “ epopea di Resistenza” nazional-popolare si fosse accesa contro i mistificatori della verità, terrorizzati che qualcuno metta in dubbio il loro potere.

E non è neppure un caso che questi social abbiano avuto origine negli USA, dove la libertà è una merce preziosa, e nessuno può provare a insidiarla, perché, poi, sbroda se stesso, come, appunto, certa stampa asservita (Washington Post, NYT), o addirittura network finanziati dai capi indiscussi della globalizzazione più criminale (Murdoch, Rockefeller, Soros, ecc.).

Qui da noi, vecchi gallinacci come Berlusconi o giovani galastroni come Renzi sparano una salva di proiettili di gomma, accusando altri di essere più bravi di loro a mentire. Ma la gente si ricorda ancora di quel che il “pregiudicato” aveva garantito e poi invece ha commesso, o che “l’ex-sindaco” aveva promesso, dopo le inevitabili sconfitte, ma poi ha disdetto. Entrambi inaffidabili, sfiduciati e bugiardi. Fake-men, solo fake-men… (D.S.)