ROSSO PASSIONE

Tante sfumature: porpora, vermiglione, carminio, scarlatto, corallo, cremisi, pompeiano… ma alla fine rosso fuoco e rosso passione. 

Colore difficile da indossare… anni fa avevo un bellissimo abito rosso con una storia. 

Un pomeriggio d’estate giracchiavo senza meta guardando le vetrine e improvvisamente un abito rosso attrasse la mia attenzione, “E’ mio, lo voglio!” Entrai e chiesi il prezzo… per poco non svenni, era fuori dalla mia portata. Ringraziai e uscii. Ma l’abito mi rimase in testa e decisi che dovevo trovarne uno che “mi parlasse”, come aveva fatto la mia rinuncia. Da quel momento non so quanti pomeriggi trascorsi alla ricerca dell’abito rosso, ma nessuno mi sembrava speciale e così vagavo, rifiutandomi di prendere in considerazione un altro colore, rosso o niente!

Era un periodo in cui stavo proprio bene e volevo un vestito rosso per essere notata. Già, perché con un vestito rosso non passi di certo inosservata. E alla fine lo vidi, era lui! il mio vestito rosso! Abito a sirena, fasciante, lungo sotto al ginocchio con uno spacco discreto davanti. Scollo a V, legato dietro al collo, taglio maniche all’americana. E un prezzo più che abbordabile. 

Entrai in negozio e chiesi di provarlo. Mi guardai: non ci potevo credere, ero io? Potere di un colore, avrei conquistato il mondo, mi vedevo bella, cosa che per una come me con un livello di autostima piuttosto basso era un bel  salto.

E quella fu l’estate del vestito rosso. Quando lo indossavo (e un abito rosso non si porta tutti i giorni, bisogna essere pronte, coraggiose, sicure di sé, perché tutti ti vedranno), andavo alla conquista del mondo.

Tutte dovremmo avere un abito rosso, perché tutte abbiamo diritto di stare un po’ al centro dell’attenzione. Anzi, adesso che ci penso, non ho più avuto un vestito rosso… sarà venuto il momento di comprarne uno?

PERDITE

La vita è fatta di perdite. Non tutte le vite ne annoverano lo stesso numero, ma tutti ne abbiamo. Non tutti le vivono allo stesso modo perché siamo tutti diversi e ogni perdita lascia in ognuno di noi una traccia indelebile, unica come le impronte digitali.

A volte ti sembra di averla dimenticata, in realtà è solo nascosta, accucciata in un angolo del cuore, e il dolore che avevi sofferto al tempo della perdita è pronto a rifarsi vivo quando meno te lo aspetti, anche se con una gradazione differente: una parola, un’immagine, un ricordo ti riportano là, ma da lontano.

Quando mio padre se ne andò di casa per un’altra donna e un altro figlio avevo 19 anni. E per andarsene lui aveva scelto il giorno in cui uscivano le materie della mia maturità, che tempismo! Mi ricordo ferma davanti al tabellone con l’assegnazione delle materie, le lacrime che mi rigavano silenziosamente il viso e mi appannavano la vista.

Poi ti abitui all’assenza, o almeno credi di esserti abituata, fino a quando non vieni nuovamente colpita. A me è successo con il primo figlio, quello desiderato, atteso con gioia e un po’ d’incoscienza perché non ti viene in mente che potrebbe andar storto qualcosa. Una malformazione cardiaca se l’è portato via dopo due mesi. E il dolore per la perdita riaffiora e si somma al precedente e tu pensi che non ce la farai, che il tuo cuore non può reggere un tale peso, che non è giusto. Ma poi, pian piano, ti risollevi. Arrivano altri figli e la gioia è così grande che non ci pensi più così spesso. Ma lui resta lì in un angolo, zitto zitto. Fino alla perdita successiva.

E arriva la separazione, la fine dell’amore, di quello che credevi sarebbe durato tutta la vita. E crolli. Una serie di abbandoni più o meno scelti o subiti, che improvvisamente fanno sentire il loro carico e ti accorgi che niente sarà come prima. Ricomincerai, avrai altri amori, ma la leggerezza del cuore, la speranza e la fiducia saranno sempre all’erta, timorose che qualche imprevisto rovini tutto. Avrai le spalle ogni volta più larghe e ogni perdita sarà più facilmente superabile, ti riprenderai più in fretta, si impara, ma non dimenticherai.

Mai.

Lutto e perdita - Dr.ssa Patrizia Cammarota

L’ATTESA

Un gioco, era iniziata così, un gioco per ingannare la noia e la solitudine… soprattutto la solitudine e il bisogno di contatto umano, quello che ormai era venuto a mancare. Tutto si era trasformato in virtuale, anche il contatto fisico e quando ci pensava, Ines non riusciva a darsi una spiegazione.

Come era arrivata al quel punto, non lo sapeva. Troppo facile dare la colpa all’isolamento imposto dal lockdown, agli amici ormai rinchiusi nelle strette cerchie familiari. La realtà era che lei si era sempre sentita diversa, più indipendente e più curiosa delle sue amiche e di sua sorella; Ines era sempre alla ricerca o in attesa di qualcosa di nuovo, di una qualche sorpresa che le facesse scoprire un altro lato della sua molteplice personalità. In qualche modo era amante del rischio, seppur misurato, l’affascinava e l’attraeva…

Durante gli ultimi mesi aveva scoperto lati di sè ignoti che le avevano rivelato una donna molto diversa da quella che era sicura di conoscere perfettamente. All’inizio si era un po’ spaventata, non si riconosceva, e non capiva se era in atto una trasformazione o se era sempre stata anche così senza saperlo. Poi pian piano aveva accettato l’idea di essere come un puzzle, fatta di tanti pezzi diversi che componevano un insieme.

E tuttavia questa inquietudine, che ormai aveva pervaso la sua parte più intima, non l’abbandonava e le teneva compagnia nell’attesa di una svolta. Questa sorta di insoddisfazione, di sensazione di incompletezza, aveva preso possesso anche del suo corpo fisico trasformandosi nella consapevolezza di  una mancanza. Proprio per questo c’erano momenti in cui era certa di poter oltrepassare qualsiasi limite, ma erano subito seguiti dal timore razionale che frenava ogni iniziativa. Il cosiddetto buon senso, che spesso le tarpava le ali inibendo salti nel vuoto che avrebbero potuto solo farle del bene.

Ma la domanda era “Avrebbe osato?”. Si trattava di arrivare a quel punto che la sua amica Amelia aveva descritto tempo prima come il momento in cui ti trovi in una situazione imprevista e ti chiedi “Cosa cazzo sto facendo?” e subito dopo non ci pensi più e ti lasci andare. Ines aveva già provato quella sensazione folle molti anni prima e nel profondo si augurava le succedesse ancora. Chissà, forse doveva solo dimenticarsene per lasciarsi sorprendere un’altra volta…

Il valore dell'attesa - Il potere della pazienza secondo il pensiero di Maria Montessori - Giorno dopo Giorno

SERATA CAMOMILLA

Serata da camomilla. Già, dopo una giornata ininterrottamente piovosa e una serata altrettanto per non essere da meno, ecco che la notte seguiva lo stesso tema. Federica era metereopatica e quando pioveva così a lungo, i nervi salivano a fior di pelle e la camomilla era quello che ci voleva. Una bella camomilla calda con zucchero e limone, come gliela preparava la mamma nei momenti di malinconia. 
La solitudine le pesava, soprattutto quando il tempo era brutto. Sì, perché il sole faceva vedere le cose con più ottimismo, forse perché scaldava e il calore avvolge, rassicura. Ne aveva bisogno Federica di calore, le mancavano gli abbracci tra amiche e i baci, quelli veri, quelli che ti lasciano senza fiato, che ti riempiono il cuore, che speri non finiscano mai…
E il calore lei lo associava al mare, alle onde che andavano e venivano accarezzando la sabbia. Già, le carezze, anche quelle le mancavano tanto! Quelle carezze leggere che sfiorano la pelle e ti fanno rabbrividire di piacere, che ti fanno desiderare siano eterne, anzi, che diventino sempre più audaci e non si lascino fermare da un timido tentativo di bloccarle. 
L’amore, ecco cosa le mancava. Chissà, magari in sogno sarebbe arrivato…
Quanto è buona una tazza di camomilla? Più di quanto ti aspetti! - greenMe

SCOMODA

“Una festa ci vorrebbe”, tanto per rompere la triste monotonia che sembrava non volere abbandonare le sue giornate.

Sofia era stufa, triste e demotivata. Le sue giornate erano tutte uguali: lavoro, palestra o supermercato o direttamente a casa. Ogni tanto un teatro o un apericena, bello! Già,  ma le mancava qualcosa, o meglio qualcuno.
Scomoda, sapeva di essere scomoda e impegnativa, ma non riusciva ad essere diversa. Il suo cervello era sempre in attività e la logica non le mancava. La matematica non era mai stata il suo forte,  ma 2 + 2 era in grado di farlo e come se non bastasse, era molto attenta ai dettagli, a quei piccoli particolari che altri sottovalutano ma che fanno  la differenza. E tutto questo la fregava. E sì, perché a conti fatti viviamo in un mondo di apparenze e bugie e ci si aspetta che tutti partecipino a questo gioco felici e contenti, impegnati a essere i più bravi nella rappresentazione teatrale della vita.
Sofia non era capace di barare, era sincera e diretta e non sarebbe mai riuscita a usare le persone, piuttosto finiva spesso per farsi usare. Probabilmente era il suo lato masochista, perché se ne accorgeva, ma non riusciva ad opporvisi. E così, convinta comunque che è meglio stare da sole piuttosto che male accompagnate, era ancora sola.
E tuttavia non riusciva a non pensare a lui, il responsabile della sua instabilità sentimentale e della sua singletudine, quella di lei ovviamente...
 

DUBBIO

Sofia si era girata e rigirata nel letto fino ad addormentarsi…… Noooo, anche la maledetta zanzara! Nessuno le aveva detto che l’estate era finita e la temperatura era crollata? Conclusione perfetta di una giornata storta.

I bilanci erano la sua specialità, ma alla fine non servivano gran che, almeno non a lei. Erano solo un esercizio mentale fine a se stesso, le serviva per non pensare a quello che non l’aveva fatta dormire, pensare a lui.

Com’era iniziata? Quel maledetto lockdown aveva fatto anche danni collaterali, non solo di tipo sanitario. Il web, le chat, era iniziata così, per compagnia, per ingannare la noia nell’attesa del ritorno a una normalità che tardava ancora a manifestarsi, che forse non sarebbe mai tornata. Un gioco che pian piano, senza preavviso né intenzione, si era trasformato in qualcosa di non definito di cui Sofia non poteva più fare a meno.

E allora cosa c’era che non funzionava? Forse la paura che non fosse reale, forse il dubbio che potesse non essere vero. Già, perché alla fine non si erano mai incontrati di persona, anche quando si sarebbe potuto, e lei non sapeva perché. Eppure era come se fosse successo, perché la chimica che si era scatenata tra di loro le annebbiava le idee e solo pensare a lui le suscitava reazioni fisiche incontrollabili mai provate, almeno così da lontano.

Lei non riusciva a darsi una spiegazione e in realtà non le interessava. Voleva solo potersi trovare faccia a faccia con lui e scoprire cosa sarebbe successo, voleva vedere se si sarebbe persa in lui e lui in lei… o magari non sarebbe successo niente, magari lei non gli sarebbe piaciuta o lui non sarebbe piaciuto a lei, chissà…

…ma almeno nei sogni il lieto fine doveva trionfare…

beneficio del dubbio

 

REGALO

Camminava da sola verso casa tornando dal negozio di cornici e rifletteva. Quella cornice le era costata un botto rispetto alla tela, ma non le importava. Il quadro aveva un valore affettivo così importante che non aveva voluto arrangiarsi come al solito con qualcosa di pronto acquistato al Brico o al Leroy Merlin, così aveva cercato un corniciaio vicino a casa e l’aveva trovato. Quello che non si era aspettata era che la titolare fosse una vecchietta over 80 che stava a mala pena in piedi e si muoveva lungo il bancone appoggiandosi per sostenersi. Si erano capite subito. Lei era rimasta affascinata dal soggetto del quadro, un misto di tenerezza e ironia, e Anna le aveva raccontato la storia senza entrare nel dettaglio del suo rapporto con il pittore. Ma la vecchietta aveva senz’altro capito e con lei aveva cercato e trovato l’idea migliore.

Adesso doveva scoprire la posizione giusta dove appenderlo, cosa non facile dato che le pareti di casa sua erano già piene, ma Anna era sicura che avrebbe capito qual era il posto di quel quadro. Già, perché lei era convinta che ogni quadro avesse un’unica posizione giusta nella casa dove doveva essere esposto, bisognava fare qualche prova ma alla fine ce l’avrebbe fatta.

Dopo aver staccato e riattaccato un paio di tele, decise di spostare un po’ più in alto due stampe di nudi di Egon Schiele e sotto, in mezzo tra le due, appese il suo regalo di compleanno. Poi si allontanò e lo ammirò soddisfatta. “Domani farò una foto e gliela manderò, così vedrà dove l’ho messo”… il quadro, perché lui, anche dopo dieci anni, un posto nel suo cuore ce l’aveva sempre, anche se lei si era nuovamente innamorata e forse anche lui. Quel pezzetto di cuore però era riservato e lo sapeva solo lei, che era certa che anche lui avesse un posticino speciale per lei nel suo cuore…

C'è un posto nel Cuore - Maestr'ale

DUBBIO

Il bicchiere di caffè freddo in mano, Alba guardava fuori dalla finestra il traffico cittadino e si domandava “Ci incontreremo mai?”, ma la risposta restava un’incognita.

Volevano veramente incontrarsi quei due o si facevano bastare gli scambi di battute più o meno serie in chat?

Era ormai una sfida, ognuno dei due restava inchiodato alla sua posizione: Michele insisteva per una serata in casa, quale delle due poco importava, mentre Alba voleva un incontro fuori, un caffè…

Si erano scambiati qualche foto, ma non si erano mai parlati nè incontrati, solo messaggiati, e questo creava un problema ad Alba, che avrebbe voluto fidarsi e accettare l’invito, ma non era sicura fosse sensato.

Michele si era risentito quando lei gli aveva spiegato che psicopatici e serial killer non si riconoscono da una scritta in fronte. Lui non era uno di loro, le aveva risposto, ma Alba cercava di restare razionale. Con tutto quello che si leggeva e si sentiva…

Alla fine era trascorso un mese e mezzo ed erano ancora lì,  arroccati come due cozze allo scoglio, curiosi l’uno dell’altro, ma testardi come due muli. Eppure sarebbe stato semplice mollare, se veramente volevano incontrarsi.

Ma il punto era proprio questo: volevano veramente conoscersi o avevano paura di scoprirsi diversi da come si erano figurati?

Bambini, entrambi, incapaci di giocare fino in fondo… o no?………

MONDI

Silenzio… finalmente, anche se non totale. Certo, bisogna arrivare a mezzanotte e sperare non sia serata di ambulanze frequenti verso il vicino ospedale…

Lea rifletteva mentre riponeva il libro sulla sedia di fianco al letto. Era stanca, fisicamente e mentalmente. E si sentiva sola e frustrata. Aveva provato ad essere diversa, più leggera, meno impegnativa, a volte forse anche un po’ meno intelligente, ma non ci riusciva. Lei non era così,  e non perché “se la tirava”, ma solo perchè era diversa dentro,  non meglio o peggio degli altri, ma lei era lei e non ci poteva fare niente. 

Questa sua diversità,  che consisteva in una ipersensibilità mista all’intelligenza (chi le aveva detto addirittura “raffinata”) era quasi una maledizione, perché inizialmente affascinava, ma poi spaventava gli uomini, che chissà perché si sentivano perdenti in partenza su un terreno che consideravano inutilmente faticoso. Da qui il giudizio “impegnativa”, che in qualche modo corrispondeva a “scassapalle”, così come “intelligente” rimandava all’amica “simpatica” da portare per far numero pari.

Non amava star sola, le piaceva avere un compagno, ma non era disposta né ad accontentarsi del primo che passava pur di avere qualcuno, né tanto meno a fingere di essere quella che non era. Molto meglio stare da sola, nonostante tutto.

E con questo pensiero si girò su un fianco, spense la luce e si addormentò…

riflessione - Opera d'arte di Grazia Famiglietti

LEI

 

Tempo fa capitava che qualcuno le dicesse “Oggi sei paturniosa, ci sentiamo quando ti è passata”… chissà, forse aveva ragione lui. 

Angelica lo sapeva, quando aveva quelle giornate di “blue mood”, malinconiche, di riflessione su di sé e la sua vita, diventava pericolosa perché l’esame di coscienza che attivava finiva per mettere in luce quelli che lei considerava i suoi errori, le sue scelte sbagliate. Il risultato era che dopo essersela presa con se stessa, ne faceva le spese chi le capitava a tiro. Se poi la persona era in qualche modo “corresponsabile” della sua insoddisfazione, apriti cielo, doveva proprio stare attenta.

Angelica non urlava, non faceva scenate, ma colpiva con le  parole, che sapeva usare bene. E poi, quella maledetta intelligenza puntava sempre sui dettagli, che a lei non sfuggivano e che mentalmente archiviava anche quando sembrava non averli notati. Come si suol dire, la sua era una memoria da elefante, che non dimentica mai nulla.

Non avrebbe voluto essere così deleteria, ma proprio non riusciva a trattenersi. L’unica sua attenuante, se voleva trovare una scusante, è che tutto questo succedeva quando la sofferenza interiore cercava uno sfogo, dopo essere stata trattenuta per “educazione” ed un malinteso rispetto degli altri, che lei si preoccupava di non far star male.

La sua preoccupazione maggiore, che gli altri non soffrissero per colpa sua… gli altri, e lei? Lei ce la poteva fare, lei era quella forte, quella intelligente, quella che ce l’avrebbe comunque fatta perché avrebbe capito prima di qualsiasi spiegazione, addirittura senza alcuna spiegazione.

… lei, quella meno importante di chiunque… nella sua logica…

Come combattere blue mood da lockdown