Recensione “L’Appello” di Alessandro D’Avenia

“Alla fine ciò che conta non è se ci vedi, ma che cosa guardi.”

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Omero Romeo è il nuovo professore di scienze e sta per affrontare quella che è ritenuta la classe più complicata dell’istituto. È un supplente, è di passaggio ed è nuovo. Ma soprattutto è cieco. Per questo istituisce l’Appello per conoscere i suoi nuovi dieci alunni. Un modo per entrare nelle loro vite attraverso la spiegazione dei misteri dell’universo che mai sono troppo distanti dalla realtà quotidiana. E ciò che nato per mancanza della vista diviene ben presto una necessità da trasmettere anche agli altri. Perché l’Appello non è snocciolare i nomi degli alunni, ma entrare in sintonia con loro.

“Tutti dalla mattina alla sera lottiamo Perché il nostro nome Venga pronunciato come si deve.”

La lezione di scienze presto si rivela essere quella della vita: un pretesto per conoscere i ragazzi, un cammino fra le stelle per capire l’anima di ognuno dei dieci studenti.
Storie normali, quotidianità crude che hanno una bellezza che si specchia nella fragilità. Un appello che è solo una scusa, un modo come un altro per far uscire le debolezze di chi affronta tutto di petto o si nasconde dietro a una maschera che gli occhi del professore non possono vedere. Ma esistono altri sensi per conoscere le persone e Omero Romeo lo sa: armi affidate all’udito, all’olfatto, al tatto, ma soprattutto al cuore. È quella la chiave per arrivare a vedere ciò che la vista non scorge seppur ci vediamo bene.

“Sprechiamo la maggior parte del nostro tempo e delle nostre energie a nasconderci, ma sotto sotto vogliamo venire alla luce.”

Un libro deve toccare sempre le corde del lettore, farle vibrare, regalare emozioni. Alessandro D’Avenia ha il dono di saperlo fare attraverso parole che scavano dentro l’anima fino a metterci radici. I suoi libri parlano a tutti usando storie che potrebbero appartenerci. Non insegna, non sale in cattedra, ma tende la mano per mostrarti che c’è altro nella vita. Questo suo ultimo romanzo è un grido di protesta non solo verso una scuola che ha dimenticato il suo vero compito, persa dietro a una burocrazia che sa di fumo ma anche un rimprovero contro chi si è scordato cosa significa avere 18 anni e tanta paura del domani. D’Avenia è un vero Maestro nel parlare al cuore con il cuore.

“Le ragazze stanno bene” di Davide Simeone

∼TANTE STORIE, UN UN UNICO FILO CONDUTTORE∼


Era solo una questione di tempo: questo, almeno, pensavano allora, perché in fondo non si sa mai quando è troppo tardi fino a quando non lo è realmente.

 

Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano” cantava anni fa Venditti, descrivendo benissimo quelle storie complicate che afferrano l’anima di chi le sta vivendo.

Storie nelle storie, vite che si intrecciano nel flusso di sentimenti che completano e allontanano. La ricerca di se stessi nel vano tentativo di capire gli altri e tenerli legati alle nostre egoistiche emozioni.

"Le ragazze stanno bene" di Davide Simeone

“Le ragazze stanno bene” di Davide Simeone

Le ragazze stanno bene” di Davide Simeone (Les Flâneurs Edizioni) è tutto questo e molto di più. Sono tante esperienze di vita apparentemente isolate, quasi come la sensazione di quei burattini che pensano di calcare da soli le scene dei piccoli teatrini, per scoprire poi alla fine che c’è qualcuno che muove i fili di tutti.

L’amore come pretesto per dispiegare le anime in cerca di un punto di contatto. Uomini e donne, amanti, fidanzati, sconosciuti che si inseguono e si allontanano.
Così conosciamo Danilo e Clara, amanti  che si rincorrono per saziare quella fame che solo la passione, il senso si appartenenza, scatena dentro le persone. Una passione che, però, non mette radici perché ha scavato un baratro che attira sempre più in giù. Poi ci sono uomini come Paolo, alla ricerca di appagamenti fugaci come Veronica, anche lei pronta ad annullarsi fra le braccia di sconosciuti pur di dimenticare i capricciosi scherzi del destino. Dalila, invece, crede che l’amore non debba avere distrazioni, mentre Giulia si perde dietro ai clichè mediatici dell’apparire a discapito dell’essere.

L’amore regna sovrano fra queste pagine, ma nulla a che vedere con il roseo sentimento che i bambini disegnano con i cuoricini colorati e i romantici si figurano con il solito lieto fine.Qui l’amore è soluzione, ma anche problema, è ricerca, ma anche meta. Le storie delle coppie che qui si susseguono ci mostrano esseri umani affamati di quelle stesse briciole di imperfezione che la vita ci regala spacciandole per caramelle.

Il giovane autore (giovane solo all’anagrafe, perché conta già diverse pubblicazioni alle spalle) ci mostra la fragilità dell’egoismo contrapposto alla ricerca, sempre eterna e sempre senza soluzione, dell’amore come pretesto per sopravvivere e per tenere legati a noi gli altri.

Ogni storia ha sempre un passato e un futuro, ma è viverla nel presente la cosa più difficile.

Il lettore esplora le vitte qui descritte intuendo come spesso i legami siano semplici solo all’apparenza. In un cerchio dove tutto ritorna per avere completezza ci si rende conto come le coincidenze sono spesso più beffarde che benigne e che non può mai mettere la parola fine se il famoso cerchio non si è chiuso.

Nessuna falsa morale in questi stralci di vita perché Simeone ribadisce il concetto che “non ci sono sante, non ci sono puttane“, ma cambia solo la prospettiva, si decide solo da qualche angolazione osservare le cose che ci appartengono.

Sono solo le scelte personali a renderci ciò che siamo, perché la vita non prevede istruzioni o regole. Sappiamo sempre ciò che vogliamo, se ci fermiamo a riflettere: “come quando lanciamo una moneta solo per darci l’illusione di poter fare una scelta”.

“Figlie di una nuova era” di Carmen Korn

UNA NUOVA GENERAZIONE CHE SI PREPARA AD AFFRONTARE UNO DEI MALI DEL SECOLO SCORSO: IL NAZISMO.


La morte poi metteva tutto sotto una luce diversa, regalava la preziosa libertà di chiamare le cose con il loro nome.


Tante storie in un lavoro corale dove si racconta la vita. Quella di Henny, Kathe, Rudi, Unger, Anna, Ida. Alcuni dei protagonisti, cioè, di “Figlie di una nuova era” di Carmen Korn, edito Fazi Editore.

Siamo in Germania, Amburgo. La società tedesca si lecca le ferite ricevute, insieme alle umiliazioni, dall’ultimo conflitto.51ugZBevLEL._SX320_BO1,204,203,200_
Il titolo riassume già molto bene le caratteristiche della storia, quella di una nuova generazione, quella a cavallo tra le due guerre mondiali, che affrontano la vita con idee nuove, e spesso innovative, rispetto al passato. Storie individuali fatte di sogni, progetti e speranze. Henny, per esempio, in cerca di qualche emozione e motivata a essere una buona ostetrica, ma che si ritrova a vivere relazioni non previste e spesso non giuste per lei; Kathe, filo comunista in una Germania che sta avviandosi verso il nazismo di Hitler, sempre battagliera, che divide la sua ideologia con il fidanzato Rudi, appassionato di poesia. Poi c’è Ida, ricca e viziata, ma alla disperata ricerca di un amore che non trova nel suo matrimonio forzato. Il dottor Unger, invece, perde forse a causa di un bicchierino di troppo l’opportunità di conquistare qualcuno a cui tiene. Storie spesso semplici, di vita quotidiana, ma con un filo conduttore che le rende un coro. Un racconto collettivo di una Germania che accoglie il nuovo credo politico per riscattarsi dalla Prima Guerra Mondiale, con tutte le conseguenze che ben conosciamo.

Attraverso i protagonisti il lettore affronta gli anni dal 1921 al 1948 immergendosi nella realtà tedesca della propaganda antisemita, dell’amore perseguitato nelle forme ritenute non lecite, nella contestazione politica che porta solo morte. Uno scenario che i libri di scuola ci hanno reso ahimè familiare, ma che la Korn mette a disposizione nell’intimità di storie semplici. Si apre una finestra su Amburgo, sui suoi negozi, su persone che la finzione ha voluto riesumare per mostrarci uno spaccato di vita lontano e diverso dal nostro.

Ho apprezzato molto questo romanzo: la copertina da tempo aveva attirato la mia attenzione e la storia non ha deluso la mia aspettativa. Mi è piaciuto leggere le diverse vite attraverso i diversi punti di vista affidati ai personaggi. Questa scelta ha reso Rudi, Anna, Henny e gli altri amici intimi, mi ha permesso di sbirciare nella loro anima e nei loro pensieri.

Consiglio questo lavoro a tutti, soprattutto a chi vorrebbe approfondire la società dell’epoca senza sentire totalmente il peso della Storia. Quella con la s maiuscola, quella che nemmeno un romanzo deve farci dimenticare.

 

“La spina nel cranio” di Paolo Gambi

“Crediamo di poterci salvare dalla caduta nel vuoto
che è la vita aggrappandoci a qualcosa, senza renderci conto che
anche ciò a cui siamo aggrappati
sta precipitando con noi.”

Sabrina non sa ancora di essere precipitata nelle incertezze della sua vita: è felicemente sposata, ha una figlia, tutto sembra bello. Anche le parole di quel barbone sotto un albero quando ha iniziato a raccontarle alcune storie. Episodi di altre vite, di esistenze diverse fra loro seppur accomunate dalla certezza di avere una vita con delle imperfezioni.
Così inizia “La spina nel cranio” di Paolo Gambi: un racconto  affidato a un barbone, che muove i fili non solo della narrazione ma anche dei cambiamenti che avverranno sugli altri personaggi.

"La spina nel cranio" di Paolo Gambi

“La spina nel cranio” di Paolo Gambi

Questa storia porta alla luce tante storie, tante vite nelle loro imperfette esistenze, come quella di Edoardo, ricco figlio di papà che dovrà rivedere le priorità della sua vita; poi c’è Elisabetta, giovane donna in carriera che non ha tempo per coltivare nessun legame sentimentale. Noiosa appare, invece, l’esistenza di Antonio, che passa la sua vita su un divano a da lì guarda i suoi sogni sfilargli davanti senza fare nulla per afferrarli. Infine, Giovanni il play boy sempre alla ricerca di prede da annoverare fra le sue conquiste. Quattro vite diverse, lontane, difficili da districarsi ma che hanno in comune un’insoddisfazione latente, la voglia di cambiare prima di precipitare e non riuscire più a salvarsi.

Ma chi è il barbone in realtà? Un angelo custode? Un matto che vuole seminare terrore o smarrimento? O è solo il custode di un importante messaggio? Perché ha deciso di raccontare tutto a Sabrina? E le sue parole potranno aiutarla a rimettere a posto i pezzi di un puzzle incompleto e vitale?

“La spina nel cranio” è sicuramente un libro diverso dai soliti, che porta il lettore a riconsiderare la propria esistenza sotto una luce diversa. “Vuoi davvero cambiare la tua vita?” ripete il barbone ai protagonisti di questo romanzo e anche chi legge, al di là delle pagine, non può restare sordo a tale domanda. Parole semplici, ma che spalancano un abisso fra noi e la realtà, spesso diversa da quella che i nostri occhi ci fanno vedere.

“Cosa è più reale, ciò che immagini o ciò che credi di conoscere?”

Questo lavoro permette a tutti di scavare dentro di sé alla ricerca di quel velo che abbiamo davanti e che spesso ci impedisce di vedere bene non solo il mondo, ma anche il nostro vero IO. Un’opera da leggere e su cui meditare cercando di fare nostri gli insegnamenti che i protagonisti assimilano, sopratutto Sabrina. Che da ascoltatrice si ritroverà a rivedere ciò che sta dietro il suo velo.

“Dobbiamo superare l’idea di essere tutti superuomini che sanno tutto. E lo possiamo fare solo aprendoci alla molteplicità dei punti di vista. Solo usando gli occhi degli altri possiamo conoscere realmente noi stessi.”