Non sono più una mamma allattona…

Sono ormai 3 mesi che non sono più una mamma “allattona” o una mamma-mucca come dice qualcuno e sono settimane che penso a cosa scrivere perchè sinceramente non so nemmeno bene come sia andata…

Erano le feste di Natale, Diamante si è ammalata poco prima, io intorno alla Vigilia ho iniziato a tossire e poi dopo Natale è arrivata anche la febbre, sia per me che per mio marito. Erano notti atroci, mi alzavo tantissime volte per bere e prendere qualcosa per la tosse incessante e se non mi alzavo ero sempre nel letto con Diamante attaccata al seno che non voleva lasciare il capezzolo e urlava come una pazza se cercavo di staccarla o avevo bisogno di muovermi.

Da mesi ormai le chiedevo di “ciucciare bene”, proprio un po’ come era accaduto con Elettra: non sentivo più la calata e tenerla attaccata al seno di notte mi teneva sveglia e mi innervosiva, come se sentissi degli spilli, senza contare le solita costante posizione che mi portava ad avere formicolii alle mani e torcicollo… ma tenevo duro perchè volevo che questa volta fosse la bambina a smettere.

Invece complice l’influenza che quest’anno ci ha stremati, una sera le ho detto che saremmo andati a letto senza fare la ciuccia. La reazione dovevo aspettarmela, perché le mie figlie non amano i compromessi e se devono fare qualcosa che viene loro chiesto vogliono che sembri una loro decisione, anche soltanto 5 minuti più tardi, ma deve essere la loro ultima parola, non quella di un altro.

Così è successo che nonostante le mie proposte di coccola alternativa (abbracci, lettone, favola tutto insieme come al solito, oppure divano, fascia, dondolio, dondolio e cartone animato… tutto quello che sapevo le piacesse) lei ha rifiutato tutto lamentandosi e spingendomi via… ha deciso di fare quello che le ho chiesto ma ovviamente a modo suo: complice il fatto che fossero quasi le 23  in 5 minuti è crollata con la testa sul tavolo, con me vicino che la accarezzavo soltanto… a ripensarci mi viene il magone.

Mi sono sentita uno schifo, ma reduce da notti insonni, debolezza e malessere il mio cervello mi diceva che dovevo fare così… anche se il mio cuore protestava dentro urlando “nooooo!”. La sua ultima poppata l’ha fatta quel pomeriggio, con 3 anni 7 mesi.

Nella notte si è svegliata solo una volta, le ho ricordato che mamma e tetta erano malate  e lei si è girata dall’altra parte senza fiatare, accoccolandosi con la schiena contro la mia pancia, io l’ho stretta a me e da lì tutto è cambiato.

Nei giorni seguenti la richiesta di “ciuccia” è subito diminuita e al mio “adesso non si può, mamma sta male” lei non ha quasi mai protestato, ci abbracciavamo forte e poi tornava a giocare; io e mio marito siamo anche stati d’urgenza in ospedale a fare le radiografie ai polmoni per via della continua tosse e febbre, Diamante è rimasta a casa con la sorella maggiore e al nostro ritorno mi ha chiesto se ero ancora malata per poter poppare, ma poi la cosa è andata scemando, come se nulla fosse.

Non è cambiata, è rimasta una bimba serena, felice, con i suoi momenti di crisi mattutina quando non vuole mettere certi indumenti per uscire o pretende che solo io possa porgerle le scarpe e non la sorella, ma insomma è tutto come prima… forse assurdamente anche meglio.

Le cose non sono andate come mi immaginavo e come speravo di fare con questa terza bambina… come sempre del resto. Probabilmente lei era pronta da un pezzo, aspettava solo che fossi io a decidere per lei? Io non so se ero pronta, non credo di esserlo ancora: infatti quando mi chiede ancora di provare a ciucciare dicendo “vediamo se sono ancora capace” non riesco a negarglielo… e fa esattamente come prima di Natale, mi mastica un po’, ride sotto i baffi e poi se ne va e a me va bene così.

La tristezza più intensa deriva dal pensiero che non sarò MAI PIU’ una mamma allattona, non sarò mai più neo-mamma, non avrò gravidanze, parti, momenti intensi di nascita e amore puro e nemmeno allattamenti prolungati in cui godermi l’essenza di un cucciolo d’uomo… sarò “solo” una mamma.

Mi manca non allattare più perchè credo di essere nata per questo: avere dei bimbi piccoli da accudire nonostante le difficoltà e allattarli alla luce del sole, sempre, senza paura dei giudizi, dimostrando che si può fare, che è la cosa migliore per il bambino, per la società, che se qualcuno dà fastidio deve solo girarsi dall’altra parte.

Allattate mamme… allattate voi adesso senza paura, seguite il vostro istinto e non sbaglierete mai.

Come ho tolto il pannolino alle mie bimbe

In questo caso devo ringraziare anche mia madre, che mi ha suggerito fin dalla prima figlia come iniziare, in aggiunta al ricordo di come faceva lei con mia sorella, che è una di quelle immagini che servono proprio ad imparare e poi simulare quando diventiamo a nostra volta genitori.

Sostanzialmente con tutte e tre le bambine, appena loro stesse hanno iniziato a stare sedute senza vacillare, ho iniziato a proporre il vasino ad ogni cambio di pannolino. Proprio perché ci imitano quando li mettiamo a tavola con noi verso i 6 mesi, acquisendo capacità nel prendersi il cibo da soli, scegliendolo e capendo pian piano che quella è l’ora dei pasti, allo stesso modo ho pensato che proporre il vasino di punto in bianco a 2 anni o più potrebbe essere traumatico o spaventoso (“cos’è sto coso mai visto?” potrebbero chiedersi).

Invece far prendere confidenza con vasino e più avanti, verso i 12/18 mesi, con riduttore e wc fin da piccolissimi, partendo dal semplice stare seduti con un gioco in mano (magari un piccolo libro che li attrae particolarmente e che viene lasciato appositamente in bagno per quella occasione) passando alla pipì fatta per caso perché scappava o hanno sentito freddo, può far cominciare tutto con semplicità, senza paure, senza imposizioni.

E poi c’è la componente psicologica: io le ho sempre lodate (senza arrivare al regalo materiale vero e proprio) quando facevano, anche per caso, la pipì nel vasino o quando trovavo il pannolino asciutto… e poi tanti baci e abbracci confortanti, mentre, quando più avanti eravamo in fase di “spannolinamento”, in caso di pozza sul pavimento facevo finta di nulla, rassicurandole che non fosse accaduto nulla di grave ed incentivandole a ricordarsi di chiamare.

Ed è andata proprio così: Sophia ogni mattina faceva tutti i suoi bisogni quasi come un orologio e lo stesso praticamente dopo ogni nanna e molte altre volte, finché verso i 2 anni decisi di toglierle il pannolino completamente, guardando l’orologio la portavamo al bagno (ovviamente era d’accordo anche mia madre che la teneva quando lavoravo) ogni ora/ora e mezza, pochissimi incidenti di percorso, tempo qualche giorno iniziò lei a chiamare quando le scappava la pipì.

Di notte aspettai ancora un paio di mesi, per giugno le avevo tolto anche quello perché ormai aveva capito e il suo corpo era maturato in quel senso.

Con Elettra fu addirittura più semplice se vogliamo: già verso l’anno quando aveva iniziato a camminare, veniva da me facendomi vedere che stava spingendo per fare pupù, perché utilizzando i pannolini lavabili, che al contrario degli U&G non lasciano molto spazio tra culetto e pannolino, aveva intuito che era più pratico farla comodamente sul vasino!

Verso i 19 mesi, colsi l’occasione di un week end lungo per il ponte dell’8 Dicembre e, nonostante un paio di giorni trascorsi da amici, da cui mi portai qualche cambio in più, al rientro al lavoro la riportai da mia madre senza pannolino: stesso sistema, controllare l’ora e tenere un gioco interessante in bagno… così interessante che avevo il problema contrario, cioè farla alzare dal vasino e portarla via!

Di notte con Elettra continuai a lasciare i lavabili e a tratti anche gli U&G perché poppava ancora molto al seno e non riusciva a controllare la tenuta, oltre a dormire sempre prona, bagnando quindi il pannolino solo dalla stessa parte e causando fuoriuscite su tutto l’addome e nel lettino (o addosso a me!).

Nonostante siano sorelle, Diamante si comportò ancora diversamente: non per merito suo, ma perché natura vuole, lei ha smesso di bagnare il pannolino di notte già prima dell’anno di età (sebbene anche lei ciucciasse ancora molto!), quindi al mattino tutta contenta faceva la sua pipì nel vasino, mentre per il resto della giornata sia io che mia madre abbiamo continuato come per le sorelle a sedercela ad ogni cambio (ogni 3 ore circa), finché molto prima di loro, a 17 mesi, ha iniziato da sola a chiamare “pipì!” (e pensare che fino a 15 giorni prima la vedevo molto più indietro della sorella Elettra in questo senso! Bambini che ci stupiscono…).

Camminare a 15 mesi e mezzo e togliere il pannolino a 17 ha quasi dell’incredibile, ma ho colto la palla al balzo e in una settimana era senza, anche lei con pochissimi incidenti di percorso.

Durante la notte, solo per evitare la rara eventualità che si/mi bagnasse, le ho lasciato un pannolino lavabile ancora qualche mese, ma credo di averlo tolto sempre asciutto, finché mi sono decisa a fidarmi e a lasciarla finalmente libera.

Ricordiamoci comunque che l’enuresi notturna è soggettiva, nonché ereditaria e assolutamente normale fino a 5/6 anni (in alcuni casi anche oltre), quindi non è detto che togliere il pannolino di giorno sia sinonimo di maturazione completa renale, vescicale e ormonale, tali da poterlo togliere anche di notte.

E anche stavolta spero di avervi dato qualche consiglio pratico utile.

Capelli ricci fai da te!

Avevo circa 11 anni quando chiesi per la prima volta a mia madre di farmi fare un sostegno ai capelli (la cosiddetta permanente) per averli mossi. Se ci penso adesso mi viene la pelle d’oca, tanto si sentiva all’epoca l’odore di ammoniaca nell’aria, quando li lavavo…

Ma non c’era niente da fare, ero fissata con i capelli ricci, forse perché mia madre e mia sorella hanno questa fortuna e a me invece la natura non ha regalato neanche una mezza onda.

Poi una sera, forse proprio mentre chiedevo a mia madre di inventarsi qualcosa per farmi qualche boccolo, salì la vicina di casa e mi svelò il segreto…

Basta procurarsi uno o più stracci di circa 50×50 cm, tagliarlo a strisce alte 4 dita e lunghe come il tessuto stesso (io per comodità ho sempre usato un telo di cotone/lino ricavato da vecchie lenzuola perché basta inciderlo e poi strappare), ricavando almeno una quindicina di strisce e armarsi di qualche minuto di pazienza.

Più la chioma è folta e più si vogliono ricci piccoli e fitti e più strisce serviranno (a me invece per esempio ne bastano 5/6).

Si parte prendendo una ciocca di capelli, la si tampona con una mano semplicemente umida, si arrotola la fettuccia di stoffa partendo dal fondo come fosse un bigodino e poi una volta arrivati al cuoio capelluto si legano le estremità facendo un semplice nodo, non troppo stretto per poterlo slegare facilmente.

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Cresima di Sophia, boccoli sempre fatti in casa!

 

 

 

 

 

 

Una volta completata l’operazione su tutta la testa, si inumidiscono ancora un po’ le “corna” ottenute con le dita umide e si va a dormire: non è affatto scomodo, non è come avere in testa i bigodini!

Sono necessarie parecchie ore affinché i capelli asciugando prendano bene  la piega, quindi è necessario doverlo fare da sera a mattina, o da mattina a sera, se ad esempio volete avere i boccoli appena fatti, belli corposi e gonfi il sabato sera.

Non fatelo mai con i capelli completamente bagnati dopo la doccia, perché non asciugheranno e non prenderanno alcuna forma. Invece se in casa avete un casco da parrucchiera potrete usarlo per accelerare l’operazione di asciugatura e messa in piega, anche se consiglio di non utilizzarlo di frequente perché i capelli ne risentono.

Soprattutto se avete capelli molto lisci e scivolosi, durante la fase di preparazione potete inumidire le ciocche con schiuma per capelli o lacca, puri o con le mani umide, per ottenere ricci più definiti e per un effetto che dura più a lungo e se alla base avete ancora qualche residuo di sostegno fatto in precedenza, il risultato finale sarà certamente ottimizzato.

Al contrario vi suggerisco di evitare il lavoro o non aspettarvi una lunga tenuta del capello mosso in caso di giornate piovose ed umide, perché il capello tenderà subito ad ammosciarsi.

Che dire, ho sposato la filosofia del “bebè a costo zero” e non posso che seguire lo stesso stile di vita per una “mamma a costo zero”, soprattutto se il risultato è a mio parere eccezionale e mi permette anche di guadagnare tempo, quando è già abbastanza difficile far conciliare i bisogni e gli impegni di 5 componenti!

Fatemi sapere come vi siete trovate con questo nuovo modo di farvi il look da sole… e naturalmente alle vostre fanciulle!

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Mi sono reinventata…

Ce l’ho fatta… è successo… o forse doveva accadere… o forse l’ho fatto accadere.

Sta di fatto che dopo più di 22 anni in un’azienda che per certi aspetti mi ha dato tanto, ma che dall’altra parte mi ha delusa e amareggiata, si è chiusa una porta e ho cercato di aprire il famoso portone…

Così ho maturato l’idea, il progetto, che mi stava a cuore da molto tempo: le fasce porta bebè.

Ho conosciuto il babywearing nove anni fa, quando alla nascita della mia seconda bimba, Elettra, mia cugina mi regalò una fascia lunga che mi cambiò letteralmente la vita: la bambina era così esigente che non potevo mai posarla e con la fascia invece riuscivo a gestirla e nel contempo a dedicarmi alla sorella grande, alla casa, alle commissioni in generale. Per me è stata davvero la salvezza, una manna dal cielo, tanto che mi sono informata sui benefici e i vantaggi del portare per mamma e bambino e non ho mai più usato un passeggino, nemmeno con la nascita della terza.

All’inizio è stata dura, nessuno dei miei familiari e amici è afferrato in questo campo, quindi ho dovuto tirarmi su le maniche da sola: cercavo una teleria nelle vicinanze (Biella è famosa per il tessile), ma nessuna poteva fornirmi il tessuto che cercavo per confezionare le fasce ad hoc, a trama diagonale in cotone 100% e tantomeno con qualche colore o disegno particolare.

Allora ho contattato una ragazza che compra tessuti del genere già da qualche anno e finalmente ho trovato il rivenditore che faceva per me.

E’ stata dura per me capire come funzionano i filati… come si predispongono i colori, che disegno scegliere, che investimento fare: già, perché non si tratta di acquistare qualche metro di stoffa, ma molte metrature! Quindi dovevo avere le idee ben chiare di cosa farne, di quale colore e disegno potessero piacere e di come inventare qualcosa di davvero nuovo ed originale per differenziarmi da altre produttrici artigianali.

Ed ecco che ho pensato di acquistare anche del tessuto tinta unita e di fare un ricamo centrale, con un punto semplice che non influisse sulla trama diagonale, che è la caratteristica che permette alle fasce rigide  di sembrare quasi elastiche, per avvolgere e sostenere bene dalla nascita.

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Nell’attesa di ricevere le metrature di stoffa, piena di curiosità per come sarebbero state dal vivo e non solo su disegno, ho lavorato sul web per creare il sito: non sono proprio una profana nell’utilizzo della tecnologia, ma a questo punto mi sono sentita davvero incompetente! E’ stato un lavoro abbastanza lungo e complesso capire come costruire i collegamenti, il negozio virtuale, i pagamenti… man mano che procedevo pareva mancare sempre un pezzo, mi veniva un’altra idea, aggiungevo, toglievo… volevo che fosse chiaro, semplice, ma anche ricco di spunti e aiuti alle mamme che vogliono comprare una fascia, ma che non sanno nemmeno perché la fascia sia così utile.

Alla fine ce l’ho fatta, o quasi… perché mi viene sempre in mente di aggiungere qualcosa!

E poi c’era da creare un logo, ordinare le etichette, le scatole per le confezioni, capire cosa sarebbe stato interessante e simpatico inserire nel pacco… mi sognavo le fasce anche di notte!

Quando è arrivato il materiale, ho preso subito ripetizioni di ricamo e di cucito dalla mia cara mamma (chi aveva mai usato una macchina da cucire??? Io no!) e mi sono buttata…

Mio marito mi ha creato un piccolo laboratorio, ormai pieno di stoffe, di fili, la macchina da cucire, il manichino… adesso c’è proprio tutto.

Ho già venduto qualche fascia tramite conoscenze e la cosa che più mi ha resa felice non è stato vendere come accade spesso in un qualsiasi negozio, dove prendi l’articolo e poi paghi alla cassa, ma dare consigli, aiutare a scegliere la misura, sentirmi ringraziare per la mia disponibilità e poi vedere le foto dei bimbi felici o beatamente addormentati nella loro fascia, cuore a cuore con la mamma, sapendo di aver regalato felicità, praticità e soprattutto amore.

Reinventarsi si può, voglio essere positiva e fiduciosa in questi nuovi percorsi, voglio credere in me stessa e in una società migliore… soprattutto perché i bimbi portati e cresciuti ad alto contatto saranno certamente adulti migliori.

COME HO INIZIATO A PORTARE…

Arrivavo da una bambina poco esigente fin dalla nascita, Sophia, pertanto ero quasi convinta che la sorella dovesse somigliarle abbastanza… grave errore!

Appena nata Elettra, chiesi di non separarmi mai da lei per avviare bene l’allattamento e non credo avrei potuto fare diversamente! Voleva sempre stare attaccata e in braccio, sin dalle prime ore in ospedale.

Mia cugina, che lavorava proprio in quel policlinico, si era raccomandata con me di non partorire il 16 maggio perché lei sarebbe stata ad un corso e le sarebbe dispiaciuto non essere presente e non visitare personalmente la piccola, ma quest’ultima ci aveva subito fatto capire chi comandava ed era nata proprio quella notte.

La chiamai e ridemmo insieme per l’annuncio del lieto evento avvenuto con “tempismo perfetto” e lei mi disse che appena possibile mi avrebbe portato la fascia che mi aveva promesso in regalo; io risposi di fare con comodo perché dentro di me non credevo che sarei riuscita ad usarla con naturalezza e disinvoltura.

La prima legatura me la mostrò subito quella sera, arrivata di corsa per me e mentre io cercavo di mangiare qualcosa, mia cugina si mise la piccola Elettra urlante in fascia, calmandola facendole succhiare il suo mignolo… lo ricordo come se fosse adesso.

Poco dopo, goffamente, provai a portarla io… mi sentii strana, dubbiosa, con la paura di non riuscirci più senza l’aiuto di qualcuno, ma in realtà nel profondo fu subito amore.

Fu così che nelle ore successive, sempre con la piccola avvinghiata al mio seno, sfogliai il libretto di istruzioni allegato alla fascia e ripassai più volte le posizioni più semplici: il giorno dopo mi avrebbero già dimessa e io uscii dall’ospedale con Elettra in fascia.

Le mie amiche, una ad una, iniziarono a chiamarmi per avere il racconto del mio tanto desiderato VBAC e con serenità raccontai loro ogni dettaglio, gongolando per l’amore puro che ci aveva legate fin da subito e per la fascia che rendeva tutto ancora più forte e profondo.

Da lì il binomio fascia-tetta diventarono soluzione insostituibile per accudire la bambina.

Lottai per i commenti sui vizi, sulle cattive abitudini, mi tappai le orecchie quando sentivo dire che non si sarebbe mai staccata, che non avrebbe camminato, che soffocava, che sarebbe caduta, che era scomoda, che dovevo posarla e lasciarla piangere.

Ma lei cuore a cuore con me non piangeva mai, quindi non era certamente scomoda! Era felice, serena, io potevo annusarla, sapevo che sarebbe cresciuta e avrebbe preso il volo, perché non ascoltare i suoi bisogni e il suo istinto in quel momento?

Certo, non fu semplice tante volte, dover fare tutto con lei sempre addosso, ma appena riuscii a metterla sulla schiena divenne davvero molto più comodo e semplice per me, oltre che sempre soddisfacente per lei.

Anche mio marito scoprì l’utilità della fascia ed i suoi benefici, quindi spesso mi aiutò a riposare un po’ mettendo lui la pupa in fascia e dondolando guardandosi un film, oppure sonnecchiavano insieme mentre io mi facevo una doccia, oppure passeggiavano in vacanza mentre io facevo qualche foto e stavo con la sorella grande.

E poi… Elettra è cresciuta, ha cominciato a camminare, ha cominciato a non voler più stare in fascia per esplorare il mondo, è diventata socievole, sorridente, ama la vita, le persone e non è affatto la bambina “viziata” che la gente si aspettava.

Portare in fascia è un gesto d’amore, può fare tutto, ma non male, né alla mamma né al bambino, non posso che consigliarlo vivamente.

Il nostro cosleeping

OVVERO ESPERIENZE E SUGGERIMENTI PRATICI

Quando è nata la nostra prima figlia, Sophia, sentir parlare di bambini che non dormivano la notte o che, per quieto vivere, dormivano nel lettone mi lasciava abbastanza basita.

Prima di tutto credevo che tutti i bambini dormissero chi più chi meno come gli adulti, perché in effetti la mia bambina era così, difficilmente si svegliava, aveva orari e abitudini semplici e gestibili, la notte erano rarissimi i risvegli, al limite solo nei periodi in cui spuntavano i dentini e se la domenica mattina si svegliava presto e la mettevamo nel lettone tra noi non riprendeva a dormire, perché aveva già riposato con un bel sonno di 10 ore circa!

Inoltre io e mio marito eravamo certamente condizionati dall’educazione ricevuta, secondo la quale era proprio proibito toccare il letto di mamma e papà, se non quasi per ragioni di vita o di morte e poi che ne sarebbe stata dell’intimità dei genitori?

Quando restai incinta della seconda bambina, 7 anni dopo, avevo nel frattempo sentito sempre più amici parlare di notti insonni e ripetuti risvegli notturni, a cui sopravvivevano semplicemente dormendo con il loro bambino, altrettanto semplicemente bisognoso di contatto.

Quando la piccola nacque dimostrò quasi immediatamente di avere richieste ed abitudini opposte alla sorella, sia di giorno che soprattutto di notte: mentre la sera allattavo nel lettone mio marito mi leggeva “Besame Mucho” di Carlos Gonzales  http://fiera.bambinonaturale.it/news/sonno-bambini-carlos-gonzales/ , ove – non credendo alle mie orecchie – sentivo parlare di bambini che dopo i 3/4 mesi si svegliano anche più di prima, perché non solo vogliono poppare, ma anche perché sono più sensibili alla lontananza dalla madre.

Appresi inoltre che non è un problema del bambino il fatto di non riuscire a dormire da solo o di avere diversi risvegli, che non è un vizio da condannare e reprimere immediatamente, ma che si tratta soltanto di un gene della sopravvivenza, che viene tramandato di generazione in generazione sin dai tempi degli uomini delle caverne, dove il bambino attaccato da una belva feroce sopravviveva solo se stava accanto alla madre e non poteva essere dimenticato da lei quando fuggiva e non moriva di fame perché accudito e nutrito se piangeva ripetutamente.

Incredula, dovetti rivedere le mie conoscenze sul sonno dei bambini.

Fu così che, un po’ meno ottusa, intenzionata a sopravvivere e non di meno desiderosa di soddisfare i bisogni di mia figlia, iniziò il nostro cosleeping, con alti e bassi e non senza varianti più o meno (s)comode per gestire certe situazioni.

Ad esempio all’inizio non riuscivo a stare troppo nella posizione sul fianco per allattare Elettra, perché provavo un forte mal di schiena, allora chiedevo a mio marito di appoggiarsi a me e farmi da sostegno, oppure se ero da sola avevo imparato a mettere 2 cuscini di appoggio prima sdraiarmi.

Se tutto andava bene e la piccola era serena, quando vedevo che sembrava stecchita dal sonno, la spostavo leggermente più in là nel lettone o nel suo lettino messo in tandem con il nostro, con la sponda abbassata, così potevo toccarla ed eventualmente riprenderla appena piangeva senza alzarmi mai e magari dormire qualche ora (all’inizio era al massimo una!) in una posizione più comoda.

Moltissime volte invece restava tutta la notte con noi, passando da una tetta all’altra e, nonostante quel che si dica sulla sicurezza, non è mai accaduto che le schiacciassimo nemmeno una manina durante il sonno, perché il sonno della mamma (e in qualche modo anche quello del papà) cambia decisamente quando si ha un neonato accanto! Il sonno profondo per mesi diventa un vero sogno a cui si anela fortemente, le posizioni spaparanzate pure, le dormite fino a tarda mattina restano un ricordo lontano…

Ma il tutto è decisamente affievolito e più sopportabile se non ci si deve alzare dal letto ogni volta, prendere freddo, camminare o dondolare al buio e in silenzio per riaddormentare il piccolo, cercare di posarlo di nuovo nel suo lettino e al mattino non capire se si è riposato o no.

Nel crescere, anche Elettra ha cambiato abitudini diverse volte, a seconda dell’umore, dei malanni o del semplice evolversi dei suoi ritmi: succedeva infatti che, soprattutto nella notte e non la sera prima di addormentarsi, chiedesse lei di tornare nel suo lettino e ci andasse da sola, su e giù per cercare la comodità, la tetta, il fresco o il caldo.

Raccogliendo sempre informazioni qua e là, mi resi conto che la maggior parte delle popolazioni non occidentali condivide il sonno con i propri bambini con naturalità e senza compromettere la loro indipendenza e la loro crescita, anzi senza forzature l’autonomia ne giova soltanto perché sanno scegliere senza paure il momento adatto a staccarsi e difficilmente tornano indietro, acquistando sicurezza anche in altre occasioni diverse https://www.uppa.it/educazione/pedagogia/come-dormono-i-bambini-nel-mondo/ .

Intorno ai 3 anni Elettra divenne abbastanza grande da sbattere con gambe e braccia nel suo lettino, allora cercammo un altro tipo di cosleeping che l’aiutasse a dormire serena, anche in virtù dei risvegli leggermente diminuiti (a quell’epoca erano ancora 3/4 per notte, già un miracolo per me!): mettemmo un letto matrimoniale nella stanza delle bambine, per farci stare lei e la sorellona Sophia ed affinchè potessi essere comoda anche io se avessi dormito con loro.

Così fu: la sera mi mettevo a letto con le bambine, leggevo una storia, poi spegnevo la luce e cantavo o raccontavo ancora qualcosa, finchè anche la piccola non si fosse addormentata. Allora sfilavo il braccio da sotto la sua testina (abitudine chiesta a lungo questa) e andavo nel mio letto… fino al primo risveglio, dopo di che dormivo con le bambine fino al mattino.

A loro la sistemazione piacque molto: Sophia aveva la compagnia tanto agognata ed Elettra pian piano mi cercò sempre meno perché sentiva il contatto con la sorella.

I suoi risvegli, con la necessità di avere la mamma a fianco per riaddormentarsi, durarono ancora un’annetto circa, per poi sparire quasi da un giorno all’altro, senza un particolare motivo, semplicemente era cresciuta e aveva acquisito sicurezza e capacità di riprendere sonno da sola, senza nemmeno chiamarmi, durante le fasi del sonno (che tutti in realtà abbiamo).

Con Diamante (32 mesi) stiamo facendo tutt’ora cosleeping, quasi con le stesse modalità, a seconda dei momenti e delle sue esigenze più o meno intense, ormai senza porci domande, senza preoccupazioni, senza aver ancora pensato a quando piazzare il letto matrimoniale in camera delle sorelle, che nel frattempo sono cresciute e hanno diviso nuovamente i letti, per avere ognuna il suo spazio, in totale indipendenza e serenità.

Sinceramente, prima della nascita di Elettra, di Diamante e di queste esperienze non avrei mai pensato che mi sarebbe mancato dormire con loro… invece sì, mi mancherà un neonato nel lettone, mi mancherà il loro odore, il loro corpicino morbido abbandonato sopra di me, indifeso e in cerca di protezione.

Il cosleeping che abbiamo praticato io e mio marito con le bambine non è stato sempre semplice e abbiamo sempre cercato compromessi che arrecassero comodità e sonno riposante un po’ a tutti, a giorni alterni e a periodi, però ci ha salvati da notti in bianco e ci ha resi persone migliori… ed anche le mie bambine hanno potuto giovare del nostro calore e amore a seconda dei loro bisogni.

Buona notte!

COSLEEPING

Perchè portare e con quali supporti

Partiamo dalla fisiologia e biologia del portare e dei suoi benefici.

In natura, parlando di mammiferi, ci sono diversi tipi di cuccioli (direttamente da http://www.portareipiccoli.it/bio_concetto.html) :

I cuccioli nidiacei, per esempio i gatti, topi, nascono dopo un breve periodo di gestazione e spesso in grande numero fortemente immaturi. Nudi, sordi e con gli occhi chiusi assomigliano alla nascita poco ai propri genitori. Inoltre sono molto immaturi dal punto di vista motorio; infatti la madre li nasconde in un nido dove rimangono finche’ sono pronti a lasciarlo. Dopo pochi giorni, mentre la madre è in cerca di cibo, rimangono per molte ore soli e tranquilli.

Dopo una lunga gestazione, i cuccioli nidifughi, come per esempio il cavallo, la pecora, invece, dopo poche ore dalla nascita sono fisicamente maturi, sanno camminare e seguire la madre e la gregge dappertutto.

Dal punto di vista evolutivo i nidifughi trascorrono il periodo da nidiaceo in utero, dove hanno gli occhi chiusi e sono senza pelliccia. Ma ancora prima della nascita maturano completamente.

Ma queste due tipologie non bastano per definire tutti i mammiferi. I koala e certe scimmie per esempio non possono muoversi da soli alla loro nascita, ma non sono neanche immaturi come i nidiacei: alla nascita assomigliano già molto ai loro genitori e tengono gli occhi aperti. Questi cuccioli vengono portati dalla loro madre per la maggior parte del tempo che non sanno ancora muoversi in modo autonomo.

Così nel 1970, fu introdotto dal biologo comportamentale Bernhard Hassenstein la definizione del PORTATO, per definire i cuccioli mammiferi che vengono portati dai loro genitori vicino al proprio corpo. Si distinguono oggi il portato passivo e il portato attivo.

Il portato passivo si lascia portare dalla madre senza dare un suo contributo. I marsupiali, come il canguro, sono portati passivi. I loro piedi e mani non sono predisposti per tenersi aggrappati al corpo della madre; infatti sono portati dentro una tasca.

I portati attivi invece si tengono attivamente sul corpo della madre. I loro piedi e mani sono fatti per aggrapparsi alla pelliccia della madre anche per molte ore al giorno. Di questa categoria fanno parte molti primati, i koala, gli opossum e altri grandi scalatori d’alberi.

E il cucciolo dell’uomo?

Il cucciolo umano si inserisce, secondo B.Hassenstein, E.Kirkilionis und W.Schiefenhoevel nella categoria dei PORTATI (Traglinge) .

Questa definizione può sorprendere, ma la serie di riflessi “primordiali” di cui il neonato umano dispone alla nascita e che si perdono di solito nei primi mesi di vita, rende quest’affermazione non solo comprensibile a tutti, ma addirittura logica. I riflessi per aggrapparsi, si presume, erano importanti nei tempi antichi, dove perdere il contatto con il corpo della madre significava pericolo imminente di morte. Il neonato umano era soltanto fisicamente sicuro vicino al corpo di sua madre. Ancora oggi il cucciolo dell’uomo, quando si sente abbandonato, si fa notare con tutte le sue energie piangendo per richiamare l’attenzione della madre. Il contatto corporeo con il genitore è di fondamentale importanza perchè garantisce, dal punto di vista biologico comportamentale, la sopravvivenza del piccolo.

In conclusione i biologi affermano, che le specifiche caratteristiche del portato, i riflessi innati per aggrapparsi, le particolarità anatomiche e il grande bisogno dei neonati e lattanti di contatto corporeo siano indizi univoci che l’essere umano, dal punto di vista biologico e storico evolutivo, deve essere un portato attivo. Il fatto, che neonati senza contatto corporeo non si sviluppano bene e che cercano continuamente di stabilire questo contatto, piangendo se necessario, sono altri indici che il contatto corporeo è di prima necessità per lo sviluppo del cucciolo dell’uomo.

Dal punto di vista scientifico portare significa tenere un piccolo in contatto con il corpo dell’adulto, che a sua volta è predisposto a portarlo.

Dunque, visto che i nostri cuccioli non hanno più la capacità di tenersi aggrappati alla mamma da soli, come fanno invece i primati più vicini a noi, le scimmie, vediamo cosa è possibile utilizzare per portare un bambino, per la precisione cosa ho provato personalmente, per darvi un’idea della comodità.

Premesso che per il bambino essere portato dà :

  • un sostegno ottimale alla colonna vertebrale
  • un sostegno ottimale della testa
  • una posizione divaricata-seduta delle gambe idonea alle anche

ed aggiungerei:

  • non respira gas di scarico (come a livello di un passeggino), non da poco ai giorni nostri
  • non si bagna perché sta sotto l’ombrello con la mamma
  • ha il seno a portata di bocca

e che all’adulto permette di :

  • portare “alto” (a livello e al di sopra del proprio ombelico)
  • portare “vicino” (nessun spazio vuoto tra i due corpi – non ci passa la mano)
  • lascia libertà di movimento (braccia/mani non devono sostenere il bambino)
  • regolare la modalità/posizione in base al peso crescente, quindi nessun problema a livello di postura della schiena

ecco i metodi più usati:

IL MARSUPIO

I marsupi sono molto venduti in quasi tutti i negozi che hanno articoli per neonati, ma bisogna valutarne bene la struttura. Purtroppo la maggior parte dei marsupi non prevede una postura corretta per il bambino e gravano molto anche sulla schiena dell’adulto che porta: prima di tutto non fasciano la schiena del genitore, che quindi si ritrova con il peso sbilanciato completamente in avanti e poi non permettono una posizione delle gambe del bambino a ranocchia (cioè gambe divaricate e sollevate, con ginocchia leggermente sopra al livello del bacino e con la traversa dove è seduto il bimbo che vada da rotula a rotula).

Inoltre non sono regolabili per portare fin dalla nascita e spesso tendono a staccarsi dal corpo di chi porta, creando l’effetto “ballonzolamento” che nuoce alla schiena del bambino.

LA FASCIA LUNGA

Non posso che spezzare una lancia a favore di questo supporto: mi fu regalato alla nascita della secondogenita e senza questa fantastica striscia di stoffa, sarei stata perduta.

Esistono fasce lunghe ELASTICHE e RIGIDE:

  • La fascia elastica è molto adatta a portare il bambino nei primi mesi di vita, proprio per la particolarità di essere cedevole e contenitiva, ma ha lo svantaggio di non reggere il peso oltre i 7/9 kg circa (gravando sulla schiena di chi porta) e di scaldare per via della fibra sintetica, quindi non è particolarmente idonea nei mesi estivi.
  • La fascia rigida in realtà non è rigida come lo possiamo intendere letteralmente, ma solo senza filo sintetico ed elastico nella tessitura, restando comunque confortevole ed avvolgente in virtù della trama particolare con cui viene ordita.

Fortunatamente a me fu regalata la fascia rigida, di una taglia molto grande per permettere anche a mio marito di usarla e la utilizzai dal primo giorno in ospedale (e ovviamente anche subito dopo il parto in casa) e fino a 3 anni della bambina, perché permette di portare fino a 13 kg abbondanti ed in svariate posizioni.

Per l’acquisto ci sono svariati negozi on-line, mentre solitamente nei rivenditori di articoli per bambini è più semplice trovare fasce corte (quindi non adattabili a tutte le posizioni), elastiche e con meno opportunità sui colori.

In ogni caso, solitamente, con l’acquisto di una fascia, si trova nella confezione anche un libretto illustrativo sulle modalità di indosso e, nel caso ci fossero ancora dubbi, si trovano molti video su you-tube e si possono frequentare i corsi tenuti dalle consulenti, per imparare al meglio come gestire fascia e bambino.

Io ho utilizzato ed utilizzo tuttora con la terza bimba i seguenti modi di portare:

  • Davanti, con legatura a ranocchia, fin dai primi giorni, per vedere la bambina, allattarla, dondolarla per dormire, tenerle la testolina ferma e poterla indossare prima di uscire e poi infilare la bimba senza dover rifare il nodo ogni volta;
  • Sul fianco, soprattutto la sera, per offrire il seno e intanto cucinare anche dopo i primi mesi;
  • Sulla schiena (circa dai 4 mesi di età delle bimbe, quando hanno un buon controllo della testa), per sentirmi più libera, soprattutto in casa nei lavori più pericolosi, come stirare e cucinare, o fuori per lunghe passeggiate.

IL MEI TAI

Esistono diversi siti online ove acquistare MEITAI davvero bellissimi, ma con un tutorial è anche possibile cucirne uno abbastanza facilmente, se siete già delle brave sarte.

Io me ne feci fare uno intorno all’anno di Elettra, credendo di poter portare più facilmente, ma con la mia vita frenetica lo trovo tuttora un po’ scomodo per via dell’impossibilità di poterlo indossare da subito (prima di uscire di casa e con giacca sopra per intenderci) ed infilarci dentro la bambina dopo il viaggio in macchina, anche se in realtà è senz’altro molto pratico e veloce da indossare, soprattutto per chi è alle prime armi con le legature.

http://www.meitaimundo.it/it/perche-il-mei-tai

La fascia ed il meitai sono senza dubbio supporti che permettono di eliminare quasi totalmente l’acquisto di altre attrezzature di trasporto per bambini, risparmiando quindi denaro e spazio, ma alcuni modelli hanno dei costi abbastanza elevati se si tratta di tessuti di alta qualità (come la Didymos ad esempio) e di notevole lunghezza (questo per le fasce), pertanto io consiglio anche di cercare la fascioteca più vicina per provare e poi scegliere la tipologia di supporto più congeniale alle vostre esigenze.

Dopo di che potete buttarvi nell’acquisto del modello di supporto porta-bebè che preferite e che si addice alla vostra quotidianità.

Buon viaggio a voi ed ai vostri cuccioli!

Il riflesso di emissione… che inganna

Intanto raccomando sempre a chi pensa di avere problemi in allattamento, di sentire una consulente (LLL o IBCLC), non il pediatra (i pediatri curano le malattie e non fanno quasi mai corsi sull’allattamento, se non è loro intenzione approfondire ed informarsi bene), dopo di che, visto che sento spesso dire “il bimbo al seno si stacca e piange… non avrò latte!”, vorrei chiarire io stessa che non è proprio così.

A questo link de La Leche League trovate il dettaglio di come funziona il riflesso di emissione:

http://www.lllitalia.org/index.php?option=com_content&task=view&id=279&Itemid=26

Quindi Vi racconto come sempre il mio vissuto, cosa mi è stato detto dalla mia consulente (la mitica cugina) e quindi cosa ho imparato.

Lla mia bimba Elettra, da sempre molto ciucciona ed esigente, come ho raccontato ne “i miei allattamenti” intorno ai 40 giorni cambiò comportamento e mi mandò in crisi, non solo perché forse aveva preso poco peso dopo una crescita esponenziale o avevo sbagliato la pesata settimanale (più probabile), ma anche perché spesso quando l’attaccavo al seno si attaccava e staccava di continuo strillando.

Ebbene, quando si staccava, io vedevo zampillare fuori il latte, spruzzando a quasi un metro di distanza, ma la fatidica domanda “avrò latte?” rimbombava fissa nella mia mente! Figuriamoci se capita ad una madre che magari non vede nemmeno uscire il latte in questo modo…

La risposta è semplice: il latte c’è, ce n’è troppo ed esce troppo forte, per via di un riflesso di emissione che hanno alcune madri e che inganna a causa della reazione del neonato.

In realtà è esattamente il contrario, cioè se ci fosse poco latte, il bimbo starebbe attaccato senza lamentarsi ed il più possibile, ecco perché i primi giorni dopo il parto è normale e giusto per natura avere un bimbo che vuole attaccarsi spesso e a lungo, per stimolare il seno e far aumentare la produzione… e ovviamente per prendere ogni piccola quantità di latte!

Le soluzioni, pe calmare il neonato, allattarlo tranquillamente e togliersi ogni dubbio sulla presenza del latte, posso essere diverse:

  • Io mi sono trovata subito bene allattando da sdraiata: nella posizione semi-inclinata classica (dove la mamma è seduta in poltrona con il bimbo in braccio per intenderci) con un riflesso di emissione forte il latte finisce dritto in gola al bambino, che non sa gestirlo, si infastidisce e quindi si stacca e piange; sdraiati sul fianco invece il latte fluisce in bocca e quindi per il piccolo è più semplice accoglierlo e poi deglutire;

sdraia

  • Un’altra posizione, da utilizzare magari a casa di altri (per non doversi sdraiare), è quella in cui la mamma sta seduta con la schiena un po’ inclinata e appoggia il bambino direttamente sopra al seno (che quindi non sarà rivolto verso il basso), così il latte, anche uscendo forte, è leggermente rallentato dalla forza di gravità e non finisce in gola;

sopra

  • Per le passeggiate invece, consiglio l’uso della fascia e la posizione del bimbo il più verticale possibile, sempre per limitare il getto di latte in gola.

fascia

Può anche accadere, come faceva la mia Elettra, che il riflesso di emissione forte sia più fastidioso se il bimbo non vuole ciucciare per cibarsi, ma solo per dormire, quindi può essere nuovamente fuorviante perché la mamma pensa di avere latte solo in certi momenti della giornata (un’altra ricorrente frase delle comari è “alla sera c’è meno latte”, ma in realtà alla sera intervengono altri fattori, soprattutto la stanchezza del bimbo!), ma è sempre e solo un inganno della mente o una diceria.

Basta ricordarsi che il latte c’è sempre, purchè non ci siano interferenze tra seno e neonato (niente ciuccio, niente acqua o tisane o aggiunte di ogni tipo), perché sono un binomio che sa regolarsi benissimo da sé e, al limite, per togliersi ogni dubbio, è sempre meglio chiamare le persone che si occupano di allattamento, non la vicina di casa!

Buone ciucciate serene…

PIANO DEL PARTO, PERCHE’ E COME STILARLO

In una gravidanza fisiologica, ossia quando tutto va come natura vuole, potete fare praticamente tutto ciò che vi pare durante il travaglio e parto, anche partorire in casa se lo desiderate, ma se decidete di partorire in ospedale la situazione non dovrebbe essere per nulla diversa.

L’ospedale dovrebbe ricreare l’ambiente e la protezione che casa vostra può darvi, insieme alla sicurezza di una struttura adeguata.

Come fare per fare in modo che il vostro parto sia come voi lo desiderate?
In primo luogo scegliete con calma il luogo in cui volete andare a partorire, dovrebbe essere almeno quello che più si avvicina alle vostre esigenze, quindi informatevi, chiedete le percentuali di parti fisiologici, cesarei e VBAC, ponendo più domande possibili, affinchè ogni dettaglio che vi interessa venga alla luce, sia per quanto riguarda travaglio e parto, che per quanto concerne la degenza vostra e del bambino.

Praticamente chiedete pure tutto ciò che più vi sta a cuore e se volete chiedete pure di farvi fare una visita alla sala parto.
Se non trovate tutto ciò che vorreste nella stessa struttura potete scrivere un PIANO DEL PARTO o BIRTH PLAIN (in seguito PDP), ossia una proposta rivolta alla struttura contenente esigenze e aspettative per il parto e per i giorni seguenti, preoccupandovi di farlo avere in pronto soccorso, in ginecologia ed ostetricia e, se presente, al nido.

Preoccupatevi soprattutto di trovare personale disposto ad ascoltarvi e a condividere con voi quello che state chiedendo, sottoscrivendolo insieme a voi e a vostro marito.

Io scelsi di stilare il mio piano del parto in occasione del VBAC, per essere sicura di aver predisposto tutto e non precluderne la riuscita (temevo fortemente qualche intervento esterno che mi avrebbe fatto male fisicamente e moralmente), ma credo di essere stata fortunata perché all’epoca, nell’ospedale che scelsi, lavorava un ginecologo veramente a favore del parto naturale dopo cesareo (non per nulla sua moglie è ostetrica e segue parti in casa), pertanto forse anche senza PDP sarei stata ascoltata ed indisturbata in tutto e per tutto, al fine di avere un parto ed una degenza quasi come a casa, come meritano tutte le donne e tutti i bambini

Ecco comunque come indicai le mie richieste:

Piano del parto di …

 “…Questo istante della nascita, questo momento di fragilità estrema, come bisogna rispettarlo!!
Il bambino è tra due mondi. Su una soglia. Esita.
Non fategli fretta. Non spingetelo. Lasciatelo entrare.
Che momento! Che cosa strana! Questo esserino che non è più un feto e non ancora un neonato.
Non è più dentro la madre, l’ha lasciata. Eppure lei respira ancora per lui.
E’ l’istante analogo a quello in cui l’uccello corre con le ali spiegate e poi di colpo, appoggiato sull’aria, volerà.
Quando si è staccato da terra, quando ha decollato? Non si sa.
Come non si sa dire quando la marea che sale comincia a ridiscendere.
Un momento ineffabile, impalpabile, il momento della nascita, quello in cui il bambino lascia la madre…”
Frédérick Leboyer

Premessa
Ho scelto questo Ospedale per via di alcune conoscenze personali che lavorano nell’ambito di codesta struttura e per le informazioni molto positive raccolte, sia per quanto riguarda travaglio e parto, sia per il secondamento e le pratiche neonatali.
Ho scritto infine questo piano del parto per illustrarVi le mie aspettative e considerazioni in merito alle suddette fasi della nascita del mio bambino.

Il mio percorso
Il 04/04/2001 è nata la mia prima bambina, Sophia, con taglio cesareo programmato per via della sua presentazione podalica.
All’epoca, nonostante la posizione della piccola fosse rimasta tale per tutta la gravidanza, né il mio ginecologo, né il personale dell’ospedale di Biella mi consigliarono tecniche naturali o altresì invasive per il capovolgimento del feto in tempi utili.
Io stessa comunque mi accuso di non aver cercato informazioni in tal senso, arrivando però piuttosto serena al giorno dell’intervento.
Soltanto dopo la nascita di Sophia, soprattutto nei primi giorni, colsi alcune sensazioni spiacevoli di impotenza, di distacco, di freddezza mia nei confronti della mia bambina: sentimenti che tutt’oggi mi porto dentro e che mi fanno desiderare con tutte le mie forze e sotto ogni aspetto un parto ed una degenza NATURALI per me e questa nuova creatura in arrivo.

Presupposti
Personalmente considero il parto non una patologia, ma un processo fisiologico; e, dunque, affinché un parto risulti facile, veloce e senza complicazioni, sono convinta che occorra rispettarne primariamente la fisiologia, creando le condizioni che permettano ai naturali processi (come la secrezione ormonale specifica) di attuarsi correttamente, senza interventi esterni.

In linea di principio, in base a quanto stabilito dall’art. 21 della Costituzione Italiana (libertà di opinione), dall’art. 2 e 13 della stessa carta (inviolabilità della propria persona) e dalla legge regionale Lazio n. 84 del 03-06-1985, volta a tutelare la dimensione psico – affettiva del parto, tenendo presente che il potere decisionale dei genitori rimane insostituibile ed insormontabile e che nessun atto sanitario può essere legittimamente imposto, richiedo che eventuali interventi, terapie e procedure mediche attive sia su di me che sul mio bambino mi vengano preventivamente spiegate (anche in caso di urgenza) e che il consenso finale spetti a me ed a mio marito.

Il travaglio

Vorrei avere la possibilità di muovermi liberamente, camminando a mio piacimento e assumendo le posizioni in cui sentirmi a mio agio;
Vorrei poter contare sulla costante e continua presenza e supporto di mio marito e dell’ostetrica;
Desidero non essere sottoposta a monitoraggio continuo, se non effettivamente necessario;
Vorrei poter mangiare e bere durante il travaglio se ne sento il bisogno;
Vorrei poter fare un bagno o una doccia, nel caso ne sentissi il bisogno;
Chiedo di non subire clisteri e rasatura del pube;
Chiedo che le membrane non vengano rotte artificialmente, se non in caso estremo;
Non voglio che il travaglio venga accelerato con flebo, gel o altro;
Non voglio somministrazione di anti-dolorifici o sedativi;
Desidero che venga rispettato il mio diritto ad un travaglio in ambiente protetto ed intimo, nel quale io mi possa esprimere liberamente, senza troppi elementi di disturbo, per questo vorrei che il travaglio si svolgesse in una atmosfera adatta alle sue necessità fisiologiche: dunque in semioscurità, silenzio, privacy, clima caldo;
Vorrei che le visite interne fossero ridotte al minimo indispensabile e che prima di effettuarle mi venga chiesto il permesso;
Desidero sentirmi libera di affrontare il dolore con vocalizzi, urla o altro.

Il cesareo
 se si arrivasse a valutare l’eventualità di un taglio cesareo desidero che prima mi siano spiegate nel dettaglio le motivazioni, dopo averle ottenute concederò l’eventuale consenso;
 anche in caso di cesareo d’urgenza desidero ricevere un’anestesia non totale che mi permetta di vedere il neonato appena uscito dalla pancia;
 desidero che il bambino venga trattato nella maniera più delicata e dolce possibile;
 vorrei che il bambino, se in condizioni di salute normali, venisse consegnato immediatamente al padre o alla persona che mi accompagna per essere poi consegnato a me non appena concluso l’intervento.

La fase espulsiva
 desidero poter scegliere la posizione che mi sembrerà più adeguata al momento dell’espulsione. Gradirei non sentirmi obbligata a partorire in posizione litotomica;
 desidero che tra la fine della dilatazione e l’inizio della fase espulsiva sia rispettata la fisiologica fase di transizione. Non voglio essere costretta a spingere a comando senza lo stimolo essenziale del “riflesso di eiezione del feto”;
 vorrei che la stanza, al momento del parto, fosse silenziosa, minimamente illuminata e ben riscaldata, e che le persone presenti fossero solo l’ostetrica dell’ospedale, il padre del bambino e l’ostetrica che mi accompagna;
 vorrei poter evitare qualsiasi intervento ostetrico operativo o invasivo (uso di ventosa, forcipe, manovra di Kristeller, etc:).

L’episiotomia
 non vorrei subire l’episiotomia: l’ostetrica potrà aiutare il mio perineo a dilatarsi naturalmente, assecondando la mia voglia di spingere ed eventualmente aiutandomi con olii e/o pezze calde. Preferisco, ammesso che questo accada, una piccola lacerazione spontanea.

Il secondamento e l’approccio al neonato
 gradirei che il bambino mi venisse consegnato immediatamente dopo l’espulsione e che ogni eventuale azione, su di me e su di lui, sia posticipata alla fine del secondamento e/o altro momento più opportuno;
 chiedo che il cordone ombelicale sia lasciato intatto fino all’espulsione della placenta;
 desidero attendere la fine del secondamento nella posizione che mi è più congeniale;
 desidero che si aspetti l’espulsione della placenta secondo i tempi fisiologici e senza somministrarmi farmaci per velocizzare l’espulsione;
 chiedo che al bambino sia praticata l’aspirazione oro-faringea solo se necessaria;
 ogni manovra o somministrazione di farmaci al bambino desidero che venga eseguita su consenso dei genitori e chiedo che la primaria assistenza neonatale sia effettuata accanto a me.

La degenza
 durante la degenza preferirei che il mio bambino rimanesse sempre con me, a meno che non sia io a chiedere il sostegno delle puericultrici;
 desidero che il bambino non sia immediatamente lavato, ma lasciato con il suo odore e ricoperto della vernice caseosa, prezioso elemento per la sua salute, che la sua pelle assorbirà naturalmente;
 nel caso sia io che il bambino fossimo in buona salute mi riservo di chiedere la dimissione precoce, nelle ore immediatamente successive al parto.

L’allattamento
 voglio essere libera di attaccare mio figlio al seno fin dai suoi primi istanti di vita, per tutto il tempo che mamma e bambino desiderano, contando sul massimo supporto e sostentamento del personale ospedaliero;
 conto sul fatto che a mio figlio non vengano somministrate sostanze quali latte artificiale, soluzione glucosata o succhiotti: in casi estremi, per l’aggiunta di latte, richiedo che si tratti di quello che potrò estrarre dal mio seno con un tiralatte.

Vi ringrazio anticipatamente, certa di trovare la Vostra comprensione e collaborazione, fiduciosa che le mie richieste saranno accolte, potendo disporre liberamente del mio corpo in questa esperienza così unica, intima, intensa e naturale che è il partorire.

Luogo, data e firma

Letto approvato e sottoscritto dal papà del nascituro