Giorni di lutto questi per la Repubblica italiana. Dopo Andrea Camilleri – omaggiato oltremodo dalla Rai per il successo della Fiction Montalbano, ma di fatto è stato solo un simpatico e produttivo scrittore – e Luciano De Crescenzo – molto meno ricordato, malgrado abbia reso accessibile a tutti la Filosofia e la Mitologia greca – se ne è andato un altro personaggio di rilievo: Francesco Saverio Borrelli.
Borrelli non era uno scrittore, eppure, metaforicamente parlando, ha scritto pagine importanti della nostra malmessa Repubblica. Nelle vesti di Procuratore della Repubblica di Milano all’epoca di Mani pulite. Aveva 89 anni.
Francesco Saverio Borrelli guidava un team di eccellenza: Antonio Di Pietro, Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo e Francesco Greco. I quali da due anni conducevano una inchiesta che, partita col famoso arresto dell’imprenditore Mario Chiesa al Pio Albergo Trivulzio di Milano, disvelò un sistema di corruzione spaventoso. Sebbene, tutto sommato, noto a tutti. Ma fino a lì andato avanti, perché, come dicono i nostalgici dell’Italia anni ‘80 “mangiavano tutti”.
Dc e Psi caddero sotto i colpi delle inchieste giudiziarie. Pci e Msi, invece, sotto quelli della Storia. Apparendo di fatto sbiadite nostalgie anacronistiche.
Le nuove generazioni politiche nacquero già con un DNA corrotto, oltre che una ignoranza politica di fondo. Perché i vecchi politici rubavano, certo, ma quanto meno avevano spessore e preparazione. Nonché senso dello Stato.
Ma torniamo a Francesco Saverio Borrelli e vediamo perché quella occasione fu persa.