Marx si racconta. Da: Prefazione a “Per la Critica dell’Economia Politica”, 1859.

Nel 1857-58, Marx  aveva compilato  alcuni quaderni riguardanti questioni economiche che vennero pubblicati con il titolo Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica noti anche più brevemente come Grundrisse e pubblicati soltanto nel 1939-41 dall’Istituto Marx-Engels-Lenin di Mosca. L’anno successivo, il 1859, Marx diede alle stampe presso l’editore Franz Gustav Duncker di Berlino, che le pubblicò in mille copie, le parti concernenti l’analisi della merce e del denaro contenute in quell’opera, con il titolo Per la critica dell’economia politica, a cui fece precedere una prefazione di cui riportiamo le parti eminentemente biografiche.

[…]

La mia specialità erano gli studi giuridici, ma io non li coltivavo se non come disciplina subordinata, accanto alla filosofia e alla storia [1]. Nel 1842-43, come redattore della Rheinische Zeitung [2], fui posto per la prima volta davanti all’obbligo, per me imbarazzante, di esprimere la mia opinione a proposito di cosiddetti interessi materiali. I dibattiti della Dieta renana sui furti forestali [3] e sullo spezzettamento della proprietà fondiaria, la polemica ufficiale che il signor von Schaper, allora primo presidente della provincia renana, iniziò con la Rheinische Zeitung circa la situazione dei contadini della Mosella [4], infine i dibattiti sul libero scambio e sulla protezione doganale, mi fornirono le prime occasioni di occuparmi di problemi economici. D’altra parte, in un’epoca in cui la buona volontà di “andare avanti” era di molto superiore alla competenza, si era potuta avvertire nella Rheinische Zeitung una eco, leggermente tinta di filosofia, del socialismo e comunismo francese. Mi dichiarai contrario a questo dilettantismo, ma nello stesso tempo, in una controversia con la Augsburger Allgemeine Zeitung [3], confessai senza reticenze che gli studi che avevo fatto sino ad allora non mi consentivano di arrischiare un giudizio indipendente qualsiasi sul contenuto delle correnti francesi. Fui invece sollecito nell’approfittare dell’illusione dei gerenti della Rheinische Zeitung, i quali credevano di poter far revocare la condanna a morte caduta sul loro giornale dandogli una linea più moderata, per ritirarmi dalla scena pubblica nella stanza da studio [4].

Il primo lavoro intrapreso per sciogliere i dubbi che mi assalivano fu una revisione critica della filosofia del diritto di Hegel, lavoro di cui apparve l’introduzione nei Deutsch-französische Jahrbücher [3] pubblicati a Parigi nel 1844. La mia ricerca arrivò alla conclusione che tanto i rapporti giuridici quanto le forme dello Stato non possono essere compresi né per sé stessi, né per la cosiddetta evoluzione generale dello spirito umano, ma hanno le loro radici, piuttosto, nei rapporti materiali dell’esistenza il cui complesso viene abbracciato da Hegel, seguendo l’esempio degli inglesi e dei francesi del secolo XVIII, sotto il termine di “società civile”; e che l’anatomia della società civile è da cercare nell’economia politica. Avevo incominciato lo studio di questa scienza a Parigi, e lo continuai a Bruxelles, dove ero emigrato in seguito a un decreto di espulsione del sig. Guizot. Il risultato generale al quale arrivai e che, una volta acquisito, mi servì da filo conduttore nei miei studi, può essere brevemente formulato così: nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi s’erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura. Quando si studiano simili sconvolgimenti, è indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione, che può essere constatato con la precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo. Come non si può giudicare un uomo dall’idea che egli ha di se stesso, così non si può giudicare una simile epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa; occorre invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale, con il conflitto esistente fra le forze produttive della società e i rapporti di produzione. Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza. Ecco perché l’umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione. A grandi linee, i modi di produzione asiatico, antico, feudale e borghese moderno possono essere designati come epoche che marcano il progresso della formazione economica della società. I rapporti di produzione borghese sono l’ultima forma antagonistica del processo di produzione sociale; antagonistica non nel senso di un antagonismo individuale, ma di un antagonismo che sorga dalle condizioni di vita sociali degli individui. Ma le forze produttive che si sviluppano nel seno della società borghese creano in pari tempo le condizioni materiali per la soluzione di questo antagonismo. Con questa formazione sociale si chiude dunque la preistoria della società umana.

Friedrich Engels, col quale, dopo la pubblicazione (nei Deutsch-französische Jahrbücher) del suo geniale schizzo di critica delle categorie economiche, mantenni per iscritto un continuo scambio di idee, era arrivato per altra via (si confronti la sua Situazione della classe operaia in Inghilterra [4]), allo stesso risultato cui ero arrivato io, e quando nella primavera del 1845 si stabilì egli pure a Bruxelles, decidemmo di mettere in chiaro, con un lavoro comune, il contrasto tra il nostro modo di vedere e la concezione ideologica della filosofia tedesca, di fare i conti, in realtà, con la nostra anteriore coscienza filosofica. Il disegno venne realizzato nella forma di una critica della filosofia posteriore a Hegel. Il manoscritto [5], due grossi fascicoli in ottavo, era da tempo arrivato nel luogo dove doveva pubblicarsi, in Vestfalia, quando ricevemmo la notizia che un mutamento di circostanze non ne permetteva la stampa. Abbandonammo tanto più volentieri il manoscritto alla rodente critica dei topi, in quanto avevamo già raggiunto il nostro scopo principale, che era di veder chiaro in noi stessi. Dei diversi lavori sparsi in cui esponemmo al pubblico in quel periodo, sotto questo o quell’aspetto, i nostri modi di vedere, menzionerò soltanto il Manifesto del Partito comunista, redatto in comune da Engels e da me, e un Discorso sul libero scambio da me pubblicato. I punti decisivi della nostra concezione vennero indicati per la prima volta in modo scientifico, benché soltanto in forma polemica, nel mio scritto Miseria della filosofia [6], pubblicato nel 1847 e diretto contro Proudhon, ecc. La pubblicazione d’una dissertazione, scritta in lingua tedesca, sul Lavoro salariato [7], in cui raccoglievo le conferenze tenute da me su questo argomento nella Associazione degli operai tedeschi di Bruxelles, venne interrotta dalla rivoluzione di febbraio e dalla mia espulsione dal Belgio che ne seguì.

La pubblicazione della Neue Rheinische Zeitung [8] nel 1848 e nel 1849 e i successivi avvenimenti interruppero i miei studi economici, che poterono essere ripresi soltanto a Londra nel 1850. L’enorme quantità di materiali per la storia dell’economia politica che sono accumulati nel Museo britannico, il fatto che Londra è un punto favorevole per l’osservazione della società borghese, infine la nuova fase di sviluppo in cui questa società sembrava essere entrata con la scoperta dell’oro dell’Australia e della California, mi indussero a incominciare di nuovo dal principio, e a studiare a fondo, in modo critico, i nuovi materiali. Questi studi mi portavano da sé, in parte, a discipline in apparenza molto lontane, sulle quali dovetti indugiare per un tempo più o meno lungo. In particolare, però, il tempo di cui disponevo mi venne ridotto dalla necessità imperiosa di lavorare per un guadagno. La mia collaborazione, che dura ormai da otto anni, al primo giornale anglo-americano, la New York Tribune [9], provocò una straordinaria dispersione dei miei studi, dato che non mi occupo che per eccezione di giornalismo propriamente detto. Gli articoli che scrivevo sui principali avvenimenti economici in Inghilterra e sul continente formavano però una parte così importante del mio lavoro, che fui costretto a familiarizzarmi con dei particolari pratici che escono dal terreno della scienza dell’economia politica propriamente detta.

Questo schizzo nel corso dei miei studi nel campo dell’economia politica deve solamente servire a dimostrare che le mie concezioni, in qualsiasi modo si voglia giudicarle e per quanto coincidano ben poco con i pregiudizi interessati delle classi dominanti, sono il risultato di lunghe e coscienziose ricerche.

Sulla soglia della scienza, come sulla porta dell’inferno, si deve porre questo ammonimento:

Qui si convien lasciare ogni sospetto
Ogni viltà convien che qui sia morta.

Karl Marx

Londra, gennaio 1859

NOTE

[1] Marx si era iscritto dietro stimolo e suggerimento del padre alla facoltà di Giurisprudenza prima a Bonn, dall’ottobre 1835 al luglio 1836, e poi a Berlino dall’autunno del 1836 sino a marzo 1841. A quanto sembra quest’indirizzo di studi non era molto gradito da Marx e lo si può notare notando come già il suo primo piano di studi di Bonn, le materie giuridiche pur prevalenti, conteneva anche anche corsi di mitologia, letteratura greco-romana, storia dell’arte, ambiti umanistici che si sarebbero poi dilatati enormemente con il suo trasferimento all’università di Berlino.
[2] Gazzetta renana di politica, commercio e industria, quotidiano democratico uscito a Colonia dal 1° gennaio 1842 al 31 marzo 1843. Dal 15 ottobre 1842 Marx ne fu redattore capo. La Renania, dal 1797 al 1815, era stata una “Répubblique sœur” con il nome di Repubblica Cisrenana a seguito dell’occupazione militare della Francia napoleonica e assumendone quindi a modello le istituzioni. Dopo il Congresso di Vienna fu annessa al Regno di Prussia. Nella primavera del 1842 entrarono a farvi parte numerosi giovani hegeliani, Max Stirner, ad esempio, vi pubblicò Il falso principio della nostra educazione e Arte e Religione. Il 16 novembre Friedrich Engels visitò gli uffici del giornale prima di recarsi in Gran Bretagna e vi incontrò Marx per la prima volta. Poco tempo dopo inviò dalla Gran Bretagna una serie di articoli sulle condizioni della classe operaia inglese che successivamente furono pubblicati in volume con il titolo The Condition of Working Class in England (La condizione della classe operaia in Inghilterra).
Marx pubblicò su questo giornale moltissimi articoli, il primo dei quali, molto importante, e risalente al 5 maggio 1842, contro la censura del governo prussiano uscì anonimamente con lo pseudonimo “un renano” (Osservazioni di un cittadino renano sulle recenti istruzioni per la censura in Prussia). Esso era stato scritto in realtà tra gennaio e febbraio dello stesso anno per gli Annali tedeschi di Arnold Ruge. In esso Marx denunciava la mancanza di razionalità ed eticità dello Stato prussiano, come avrebbe invece dovuto essere secondo la concezione hegeliano da lui condivisa. Gli articoli di Marx trovarono una risposta positiva tanto da far aumentare il numero di copie vendute che passarono dalle 885 dell’agosto 1842 alle 1820 del novembre e alle 3300 del gennaio 1843.
[3] Marx intende riferirsi ai dibattiti alla Dieta in cui si stava discutendo dell’abolizione dell’antico diritto tradizionale che riservava ai poveri la possibilità di raccogliere la legna caduta nei boschi dei proprietari privati. Nel suo articolo Dibattiti sulla legge contro i furti di legna, scritto per l’occasione, Marx denunciò, così come aveva fatto in occasione sull’adozione della legge sulla censura, la natura non soltanto non razionale ed etica dello Stato prussiano,  e cioè di non di essere affatto rappresentante dell’intera società come teorizzava Hegel, ma di essersi ridotto a guardiano degli interessi egoistici di ceto. Gli articoli sulla legge contro i furti di legna furono scritti  da Marx e pubblicati anomimi anch’essi sui numeri 

nell’ottobre del 1842 e apparvero anonimi sui numeri 298, 300, 303, 305 e 307 (25, 27, 30 ottobre, I e 3 novembre 1842) del quotidiano di Colonia Rheinische Zeitung (Gazzetta renana) con il titolo Verhandlungen des 6. Rheinischen Landtags. Von einem Rheinldnder. Dritter Artikel. Debatten über das Holzdiebstahlsgesetz (Le discussioni alla sesta dieta renana. Secondo un renano. Terzo articolo. Dibattiti sulla legge contro i furti di legna). Il testo è tratto dalle Opere complete di Marx ed Engels, a cura di Mario Cingoli e Nicolao Merker (Roma, Editori Riuniti, 1980, pp. 222-264). Le note, tra parentesi quadra, sono collocate nel testo.

[4] Marx si riferisce al fatto che interessandosi sempre più alle concezioni ideologiche e politiche più radicali, aveva contribuito in tal modo ad attirare l’attenzione della censura verso il giornale. Il governo, infatti, con decreto del 19 gennaio 1843, ne ordinò la soppressione. Il 17 marzo 1843, nella speranza di salvarlo dalla chiusura, Marx diede le dimissioni ma il 31 marzo esso cessava le pubblicazioni.


[] Gazzetta generale di Augusta. Quotidiano diretto da G. Kolb, ebbe più tardi una parte importante nella polemica Marx-Vogt.
[] Annali franco-tedeschi. Uscirono a Parigi un anno dopo la soppressione della Rheinische Zeitung da parte del governo prussiano (1843). Per il dissidio tra Marx e Ruge, che ne erano gli editori, la pubblicazione cessò dopo il primo fascicolo.
[4] Pubblicata a Lipsia nel 1845.
[5] L’Ideologia tedesca.
[6] Scritto in francese da Marx nel 1846-47.
[7] Lavoro salariato e capitale fu pubblicato in articoli editoriali dalla Neue Rheinische Zeitung a partire dal 4 aprile 1849.
[8] Nuova gazzetta renana, quotidiano democratico, uscito a Colonia sotto la direzione di Marx nel 1848-49.
[9] Organo democratico-borghese americano fondato nel 1841. Marx vi collaborò dal 1851 e, dal 1855, ne divenne l’unico corrispondente dall’Europa.

Marx si racconta. Lettera al padre, 1837; Da: “Opere”, vol. I, pp. 8-17.

Lettera al padre

Berlino, 10 novembre 1837

Caro Padre! Ci sono momenti della vita, che si piantano come regioni di confine davanti ad un tempo trascorso, ma al tempo stesso indicano con precisione una direzione nuova. In un tale punto di passaggio ci sentiamo spinti a considerare con l’occhio aquilino del pensiero il passato e il presente, per attingere così la coscienza della nostra reale posizione. Si, la stessa storia del mondo ama un tale sguardo retrospettivo e si osserva, ciò che poi le imprime spesso l’apparenza della retrocessione e dell’arresto, mentre essa si getta soltanto sulla poltrona, per comprendersi, per penetrare spiritualmente la propria opera, l’opera dello spirito. Ma in tali momenti l’individuo diviene lirico, perché ogni metamorfosi è in parte canto di un cigno, in parte ouverture di un grande nuovo poema, che cerca di procurarsi un contegno in colori lucenti, ancora confusi; e tuttavia noi vorremmo elevate un monumento a ciò che si è una volta vissuto; questo deve riguadagnare nel sentimento il posto che ha perduto dal punto di vista dell’azione, e dove troverebbe un asilo più sacro che nel cuore dei genitori, il giudice più benevolo, colui che più profondamente s’interessa a noi, il sole dell’amore il cui fuoco riscalda il centro più intimo dei nostri sforzi! Come potrebbe qualcosa di odioso, di biasimevole, ottenere la sua composizione, il suo perdono, altrimenti che diventando la manifestazione di uno stato essenzialmente necessario? Come potrebbe lo spesso sfavorevole gioco del caso, dello smarrimento spirituale, essere sottratto almeno al rimprovero di un cuore mal fatto? Se dunque, alla fine di un anno vissuto qui, io getto uno sguardo indietro sugli avvenimenti di esso e cosi rispondo, mio caro Padre, alla Tua così cara, cara lettera da Ems, mi sia consentito di esaminare la mia situazione, come io considero la vita in generale, quale espressione di un agire spirituale che modella la sua forma in tutte le direzioni, nella scienza, nell’arte, nelle situazioni private.

Quando Vi ho lasciato era sorto per me un nuovo mondo, il mondo dell’amore, e di un amore, certo, all’inizio ebbro di struggimento, privo di speranza. Anche il viaggio verso Berlino che, altrimenti, mi avrebbe incantato al massimo grado, mi avrebbe sollevato alla contemplazione della natura, mi avrebbe infiammato di gioia di vivere, mi lasciò freddo, anzi mi mise straordinariamente di malumore, perché le rocce che io vedevo non erano più aspre e più fiere dei sentimenti della mia anima, le grandi città non più vive del mio sangue, i tavoli delle osterie non più sovraccarichi, non più indigeribili dei pacchi di illusioni che io portavo, e l’arte infine non era bella come Jenny.

Giunto a Berlino, ho rotto tutti i legami che avevo avuto fino allora, ho fatto di malavoglia rare visite e ho cercato di immergermi tutto intero nella scienza e nell’arte. Secondo quello che era allora lo stato del mio spirito la poesia lirica doveva essere necessariamente il primo argomento, perlomeno il più gradevole, il più immediato, ma, come comportavano la mia situazione e tutto il mio sviluppo anteriore, questa poesia era puramente idealistica. Un al di là altrettanto lontano quanto il mio amore, divenne il mio cielo, la mia arte. Ogni realtà svanisce, e tutto quel che svanisce non trova limiti, attacchi contro il presente, sentimento espresso in maniera prolissa ed informe, niente di naturale, tutto costruito a partire dal mondo della luna, la piena opposizione di ciò che è e di ciò che deve essere, riflessioni retoriche invece di pensieri poetici, ma forse anche un certo calore del sentimento e un lottar alla ricerca di vivacità caratterizzano tutte le poesie dei primi tre volumi che Jenny ha ricevuto da me. Tutta l’ampiezza di unostruggimento che non vede limiti si dibatte in forme molteplici e fa del «far poesia» («Dichten», condensare) una «effusione» («Breiten», effondere). Ora, la poesia poteva e doveva essere solo un accompagnamento; io dovevo studiare giurisprudenza e mi sentivo spinto soprattutto a lottare con la filosofia. Le due tendenze furono unificate in modo tale che in parte trattai Heineccius, Thibaut e le fonti del tutto acriticamente, solo scolasticamente(cosi per esempio tradussi in tedesco i due primi libri delle Pandette), in parte cercai di attuare una filosofia del diritto nel campo del diritto. Come introduzione feci precedere alcune frasi metafisiche e portai questa infelice opera fino al diritto pubblico, un lavoro di circa 300 fogli… Soprattutto risaltava qui in modo assai fastidioso la stessa opposizione della realtà e del dover essere che appartiene all’idealismo e che era la matrice della susseguente inutile, falsa partizione. In primo luogo veniva quella che io avevo benignamente battezzato metafisica del diritto, cioè principi, riflessioni, determinazioni concettuali, separata da tutto il diritto reale e da ogni forma reale del diritto, come accade in Fichte, solo, in me, in modo più moderno e più carente di contenuti. Inoltre vi era la forma non scientifica del dogmatismo matematico, in cui il soggetto si muove intorno alla cosa, raziocina di qua e di là, senza che la cosa stessa si dia forma come una ricca entità in sviluppo, come una entità vivente; questo era fin dall’inizio un ostacolo per la comprensione del vero.

Il triangolo lascia che il matematico costruisca e dimostri, rimane pura rappresentazione nello spazio, non si sviluppa a niente di ulteriore, lo si deve portare vicino a qualcos’altro, allora assume altre posizioni, e questa diversità, applicata allo stesso soggetto che viene trasportato, dà a questo diversi rapporti e diverse verità. Al contrario nella concreta espressione del mondo vivente del pensiero, come è il diritto, lo Stato, la natura, tutta la filosofia, qui l’oggetto deve essere ascoltato nel suo sviluppo, partizioni arbitrarie non possono essere introdotte, la ragione della cosa (Dinges) stessa deve svolgersi progressivamente come una entità in sé contraddittoria e trovare in sé la sua unità. Come seconda sezione seguiva poi la filosofia del diritto, cioè, secondo la mia concezione di allora, la trattazione dello sviluppo del pensiero nel diritto positivo romano, come se il diritto positivo nel suo sviluppo di pensiero (intendo dire non le sue determinazioni puramente finite) potesse essere in generale una qualsiasi cosa diversa dalla formazione del concetto giuridico, che già la prima parte doveva comprendere. Avevo per dipiù diviso ancora questa sezione in dottrina formale e dottrina materiale del diritto, di cui la prima doveva descrivere la pura forma del sistema nella sua successione e nella sua connessione, la partizione e l’estensione del sistema; la seconda invece doveva descrivere il contenuto, il concretarsi della forma nel suo contenuto.

Un errore, che io ho in comune con il signor Savigny, come più tardi ho trovato nella sua dotta opera sulla proprietà, solo con la differenza che egli chiama determinazione concettuale formale «trovare il posto che prende quella determinazione concettuale e la dottrina nel (fittizio) sistema romano»; e determinazione materiale «la dottrina del positivo, ciò che i Romani hanno aggiunto ad un concetto così fissato»; mentre io ho inteso per forma architettonica necessaria delle formazioni del concetto, per materia la necessaria qualità di queste formazioni. Il difetto stava in ciò, che io credevo che l’una potesse e dovesse svilupparsi separata dall’altra, e così non ottenevo alcuna forma reale, ma una scrivania con cassettini in cui poi gettavo della sabbia. Il concetto è, certamente, ciò che media tra forma e contenuto. In uno svolgimento filosofico del diritto l’uno deve dunque venir fuori nell’altro; la forma può essere certamente solo il procedere del contenuto. Così dunque giunsi ad una partizione, quale l’argomento poteva delinearla al massimo per la facile e superficiale classificazione, ma lo spirito del diritto e la sua veritàscomparivano. Tutto il diritto si divideva in contrattuale e non contrattuale. Mi permetto di presentare qui, per una migliore rappresentazione in forma concreta, lo schema (del mio lavoro) fino alla partizione dello ius publicum, anch’esso elaborato nella parte formale.

 

I.ius privatum

I.ius publicum ius privatum

a)Del diritto privato contrattuale condizionato,

b)del diritto privato non contrattuale incondizionato.

A.Del diritto privato contratto condizionato

a) Diritto personale. b) Diritto sulle cose. c)Diritto personalmente materiale. a) Diritto personale

I. Dal contratto oneroso,

II. Dal contratto di garanzia

III. Dal contratto vantaggioso.

I. Dal contratto oneroso

2. Contratto di società (societas).

3. Contratto di appaltamento (locatio conductio).

3. Locatio conductio.

1. In quanto si riferisce alle operae.a) Vera e propria locatio conductio (non s’intende né il dare a nolo nell’appaltare romano!). b) mandatum.

2. In quanto si riferisce all’usus rei. a) Sui terreni: Usufructus (anche non nel significato puramente romano). b) sulle case habitatio.

I I. Da! contratto di garanzia1. Compromesso o contratto di comparazione. 2. Contratto di assicurazione.

III. Da contratto vantaggioso. 2. Contratto di approvazione.

1. Fidejusso. 2. Negotiorum gestio. 3. Contratto di donazione. 1. donatio.

2. gratiae promissumb) Diritto sulle cose.

I. Dal Contratto oneroso.

2. permutatio stricte sic dicta.1. vera e propria permutatio.

2. mutuum (usurae).

3. emptio venditio.

II. Dal contratto di garanzia.pignus

III. Da contratto vantaggioso.

2. commodatum.

3. depositum. 

Devo riempire oltre i fogli con cose che io stesso ho respinto? Partizioni tricotomiche attraversano il tutto, il quale è scritto con stancante prolissità e si abusa nel modo più barbaro delle rappresentazioni (giuridiche) romane, per farle entrare a forza nel mio sistema. D’altro lato così ho acquistato piacere e sguardo sintetico nei riguardi della materia, almeno in un certo modo. Alla conclusione del diritto privato, materiale io vidi la falsità del tutto, che nello schema fondamentale è vicino a quello kantiano, nello svolgimento se ne allontana completamente, e di nuovo mi divenne chiaro che non ci si dovesse addentrare nella materia senza filosofia. Così ho potuto ancora una volta gettarmi con buona coscienza nelle sue braccia, e ho scritto un nuovo sistema fondamentale metafisico, alla cui conclusione fui costretto ancora una volta a riconoscere l’assurdità e l’assurdità di tutti i miei sforzi precedenti.

Intanto mi ero fatta la consuetudine di prendere appunti da tutti i libri che leggevo, dal «Laocoonte» di Lessing, dall’«Erwin» di Solgers, dalla storia dell’arte di Winckelmann, dalla storia tedesca di Ludens, e di scribacchiarvi accanto delle riflessioni. Al tempo stesso traducevo la Germania di Tacito, i libri tristium di Ovidio e cominciavo a studiare in privato, cioè su grammatiche, l’inglese e l’italiano, cosa in cui non ho finora ottenuto nulla; lessi il diritto criminale di Klein e i suoi Annali e tutte le più recenti opere letterarie; certamente queste ultime le leggevo a parte. Alla fine del semestre cercai di nuovo le danze delle Muse e la musica del satiro, e già in quest’ultimo quaderno che Vi ho inviato, l’idealismo passa attraverso l’umorismo sforzato («Scorpion e Felix»), attraverso un fallito dramma fantastico («Oulanem»), finché alla fine si rovescia del tutto e trapassa in pura arte formale, per lo più senza oggetti capaci di ispirare, senza vivace movimento di idee.

Eppure queste ultime poesie sono le uniche in cui mi sia balenato di fronte improvvisamente come per un colpo di bacchetta magica – oh! il colpo fu al principio tale da sbalordire- il regno della vera poesia come un lontano palazzo di fate, e tutte le mie creazioni si dissolsero nel nulla. Che in queste molteplici occupazioni nel corso del primo semestre molte notti dovevano essere passate vegliando, molte battaglie dovevano essere combattute, molte eccitazioni interne ed esterne dovevano essere patite, che io alla fine non ne uscivo molto arricchito, che intanto avevo trascurato natura, arte, mondo, che avevo perso gli amici, questa riflessione sembrò farla il mio corpo; un medico mi consigliò la campagna e così per la prima volta capitai, attraversata tutta la lunga città, fuori della porta verso Stralow. Non sospettavo che io là avrei maturato una robusta saldezza del corpo, da un essere anemico, languente quale ero.

Un velo era caduto, il mio sacrario era distrutto, e nuovi dei dovevano essere introdotti. Dall’idealismo, che io, detto di passata, confrontavo e avvicinavo al kantismo e al fichtismo, giunsi a questa esigenza: cercare l’idea nel reale stesso. Se gli dei avevano vissuto prima sulla terra, ne erano ora diventati il centro. Avevo letto frammenti della filosofia di Hegel, la cui grottesca melodia rupestre non mi era piaciuta. Ancora una volta volli immergermi nel mare, ma con la ferma intenzione di trovare la natura spirituale altrettanto necessaria, concreta e solidamente fondata quanto la natura fisica, di non esercitare più l’arte della finzione, ma di portare la pura perla alla luce del sole.

Scrissi un dialogo di circa 24 fogli: «Cleante, o del punto di partenza e necessario progresso della filosofia». Qui si congiungevano in certo qual modo arte e scienza, che si erano del tutto staccate, e come un robusto viandante ho proceduto nell’opera ad uno sviluppo filosofico-dialettico della divinità, in quanto questa si manifesta come concetto in sé, religione, natura, storia. Lamia ultima frase era l’inizio del sistema hegeliano e questo lavoro, per il quale acquistai una certa conoscenza della scienza naturale, di Schelling, della storia,che mi causò infiniti mal di capo e che fu scritto (poiché doveva essere propriamente una nuova logica) in modo tale che anche adesso posso appena tornare a pensarci, questo mio figlio prediletto, allevato al chiaro di luna, mi porta come una falsa sirena nelle braccia del nemico. Dal dispiacere non potei pensare assolutamente nulla per alcuni giorni; come un pazzo correvo qua e là e nel giardino lungo le acque sporche dello Spree «che lava le anime e annacqua il tè», andai persino ad una partita di caccia con il mio padrone di casa, corsi a Berlino e volevo abbracciare ogni mendicante.

Poco più tardi mi sono rivolto a studi soltanto positivi, allo studio della «Proprietà» di Savigny, di Feuerbach e del diritto criminale di Grolmann, del De verborum significatione di Cramer, del sistema delle Pandette di Wcning-Ingenheims, di Mulenbruch:Doctrina Pandectarum, su cui studio ancora a fondo; infine di singoli titoli, seguendo il Lauterbach: il processo civile e soprattutto il diritto canonico, di cui ho letto quasi per intero nel corpus la prima parte, la Concordia discordantiumcanonum di Graziano, traendone degli appunti; come pure ho letto l’appendice, le Instituziones del Lancellotto. Poi tradussi in parte la Retorica di Aristotele, lessi il De augmentis scientiarum del famoso Bacone di Verulamio, mi occupai molto di Reimarus, il cui libro «Delle inclinazioni artistiche delle bestie» ho meditato con grande piacere, giunsi ad occuparmi anche di diritto tedesco, principalmente in quanto studiai i capitolati dei re franchi e i rescritti papali. Dal dolore per la malattia di Jenny e per i miei lavori intellettuali inutili e falliti,dal dispiacere, che mi consumava, di dover fare nei confronti del mio idolo una figura che mi era odiosa, caddi ammalato, come Ti ho già precedentemente scritto, caro Padre.

 

Ristabilitomi, bruciai ogni poesia e ogni abbozzo di novelle etc. Nell’illusione di non poter continuare in ciò, di cui non ha finora, per la verità, fornito ancora alcuna prova contraria. Durante la mia malattia avevo conosciuto da capo a fondo Hegel, e insieme la maggior parte dei suoi seguaci. Attraverso diversi incontri con amici a Stralow, capitai in un Doktorklub in cui erano alcuni liberi docenti e il mio più intimo amico di Berlino, il dott. Rutenherg. Qui, ndla discussione, si manifestò qualche opinione contraria, ed io mi legai sempre più saldamente alla odierna filosofia del mondo (Weltphilosophie), da «li avevo pensato si sfuggire, ma ogni clamore era ammutolito, un vero furore di ironia mi assalì come poteva accadere con molta facilità dopo tanta negazione. Vi si aggiunse il silenzio di Jenny, ed io non ho potuto avere pace finché non avessi acquisito, con alcune cattive produzioni come «La visita», la modernità ed il punto di vista della odierna opinione scientifica. Se forse, caro Padre, non ti ho esposto chiaramente tutto quest’ultimo trimestre, né sono entrato in tutti i particolari, ed ho anche cancellato tutte le sfumature, perdona il mio desiderio di discorrere del presente. Il signor Chamisso mi ha inviato un biglietto del tutto insignificante in cui mi annuncia che «si dispiace che l’Almanacco non possa utilizzare i miei contributi, perché è stampato già da molto tempo». Me lo mangerei per la rabbia. Il libraio Wigand ha inviato il mio progetto al dotto Schmidt, editore dell’esercizio commerciale Wunderschen, il quale commercia in buon formaggio e cattiva letteratura.

Accludo qui la sua lettera; il secondo non ha ancora risposto. Nel frattempo non abbandono in nessun caso questo progetto, specialmente perché tutte le celebrità estetiche della scuola hegeliana hanno promesso la loro collaborazione per intervento del Professor Bauer, che gioca tra di esse un grande ruolo, e del mio coadiutore dotto Rutenberg. Per quel che concerne, mio caro Padre, la questione della carriera amministrativa, ho fatto recentemente la conoscenza di un certo assessore Schmidhinner, il quale mi ha consigliato di passare all’avvocatura, dopo il terzo esame giuridico, in qualità di Justitiarus; ciò che mi sarebbe andato tanto più, in quanto io realmente preferisco, di tutta la scienza amministrativa, la giurisprudenza. Questo signore mi ha detto che egli stesso e molti altri hanno fatto carriera in tre anni fino al rado di assessore del Tribunale provinciale superiore di Miinster in Vestfalia, la qual cosa non sarebbe difficile, s’intende con molto lavoro, perché qui le tappe della carriera non sono rigidamente fissate come a Berlino ed altrove. Se più tardi ci si laurea essendo già assessore, vi sono anche maggiori probabilità di poter entrare subito come professore straordinario, come è successo al signor Gürtner a Bonn, che ha scritto un’opera mediocre sui codici provinciali e per il resto è conosciuto solo per il fatto di parteggiare per la scuola giuridica hegeliana. Magari, mio caro, ottimo, Padre, fosse possibile parlare di tutto ciòdirettamente con Te! Lo stato di Edoardo, gli affanni delta cara mammina, il Tuo malessere, per quanto sia da sperare che non sia forte, tutto mi ha fatto desiderare, anzi rende quasi necessario che io mi precipiti da Voi. Sarei già li, se non avessi dubitato proprio del Tuo permesso, della Tua approvazione. Credimi, mio caro, amato Padre, non mi spinge nessuno scopo egoistico(sebbene, sarei certo felice di rivedere Jenny), ma è un pensiero che mi spinge, e che non posso esprimere.

Sarebbe per me sotto qualche riguardo persino un duro passo, ma come scrive la mia unica, dolce Jenny, queste considerazioni cadono tutte insieme di fronte all’adempimento di doveri che sono sacri. Ti prego, caro Padre, come anche Tu puoi decidere, di non mostrare questa lettera, o almeno questo foglio, alla madre dell’angelo. Il mio improvviso arrivo potrebbe forse risollevare quella grande, splendida signora. La lettera che ho scritto a mammina è stata redatta molto prima dell’arrivo del caro scritto di Jenny, e così ho scritto senza volerlo forse troppe cose che non sono affatto o sono molto poco opportune. Nella speranza che a poco a poco si disperdano le nuvole che si sono fermate sulla nostra famiglia, che sia permesso anche a me di soffrire e di piangere con Voi e di dimostrare forse vicino a Voi la profonda, intima partecipazione, l’immenso affetto, che io spesso ho potuto esprimere casi male; nella speranza che anche Tu, caro, sempre amato Padre, esaminando la forma del mio sentimento, proiettata in modo molteplice di qua e di là, voglia perdonare, se ogni tanto sembra che il cuore abbia sbagliato, mentre lo spirito in lotta lo soffocava, nella speranza che presto Ti ristabilisca completamente, così che io stesso Ti possa stringere al mio cuore e possa sfogarmi fino in fondo. Tuo figlio che ti ama sempre.

[A cura di Massimo Cardellini].

[1] Il manoscritto reca qui una parte non decifrabile, probabilmente due frammenti di parola cancellati. [Nota di M. Rubel]

Karl Marx, F. Engels Werke, Ergänzungband, Erster Teil, Berlin 1968, pp 3-12.

La Lettera fu pubblicata per la prima volta, con un’introduzione della figlia Eleanor su Die Neue Zeit XVI 1897. In italiano apparve per la prima volta nel numero 1 di “Marxiana”, bimestrale diretto da Enzo Modugno, gennaio/febbraio 1976. Ora in: Opere di Marx – Engels, vol. I, pp. 8-17.