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« Dalle marionette a ShakespeareTua moglie era una bugiarda »

Un cuore semplice

Post n°478 pubblicato il 28 Aprile 2008 da kiblyn

Un cuore semplice


Un cuore semplice
è una perfetta esemplificazione - quasi un caso da manuale - di come la
qualità dell'interpretazione non basti a sostenere uno spettacolo se
non funziona il testo, se non funziona la regia, o se entrambi gli
elementi si rivelano insufficienti. In questo monologo Maria Paiato
è brava, bravissima, forse persino più brava che in altre occasioni: la
sua bravura diventa però addirittura irritante nel momento in cui viene
applicata a un copione che sciorina sentimentalismo a piene mani, ma
neppure per un attimo riesce a dare la vaga sensazione di trasmettere
un significato, di riflettere un'autentica emozione.

A chi sarà
venuta l'infelice idea di spingere l'attrice a cercare di ricalcare i
caratteri di un personaggio che le ha dato successo, la Maria Zanella,
attingendo a questo racconto di Flaubert? Portata in palcoscenico, la
storia dell'ingenua campagnola che diventa la domestica di una ricca
signora, e passa la sua intera vita nella casa di quest'ultima
assistendo alla morte dell'amata figlia di lei, poi del proprio nipote
stroncato dalla febbre gialla nelle Americhe, poi dell'adorato
pappagallo Lulù - con l'intermezzo del suo unico uomo che sposa
un'altra - si trasforma in un monotono catalogo di disgrazie, uno
sterile esercizio di retorica del cordoglio.

La vicenda non è
solo priva delle più elementari risorse teatrali, statica, ripetitiva,
priva di una qualsiasi progressione drammatica in virtù della quale
l'azione, prima o poi, trovi uno sbocco, uno scarto rispetto alla
situazione di partenza: è soprattutto costruita su una serie di effetti
melodrammatici di un anacronismo quasi offensivo, che tanto più risalta
se inserito in una rassegna, come questa del Teatro Franco Parenti -
che si intitola "Racconto italiano" e vuole riflettere sulla nostra
società di oggi. Avrà qualcosa a che fare con la nostra società di oggi
il pappagallo Lulù che si trasforma alla fine nella colomba dello
Spirito Santo?

Alle prese con una simile materia, la Paiato adotta uno stile di recitazione cui forse solo il leggendario Ermete Zacconi
- quello che andava nei manicomi a studiare le turbe e le convulsioni
dei pazzi - si sarebbe volentieri abbandonato: agonizza, tossisce, ha
le visioni, rantola come il Firs di Renzo Ricci nel finale del Giardino dei ciliegi.
Ovviamente, da artista di talento, lo fa benissimo. Ma proprio in
quanto artista di talento si assume una scomoda responsabilità: questo
sfoggio di istrionismo, assecondato dalla pallida regia di Luca De Bei, non è innocuo, riporta il pubblico a dei cliché ottocenteschi che sono regressivi, fuori dalla storia.



di Renato Palazzi

 
 
 
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Alma ausente

No te conoce el toro ni la higuera,
ni caballos ni hormias de tu casa.
No te conoce el niño ni la tarde
porque te has muerto para siempre.

No te conoce el lomo de la piedra,
ni el raso negro donde te destrozas.
No te conoce tu recuerdo mudo
porque te has muerto para siempre.

El Otoño vendrá con caracolas,
uva de niebla y montes agrupados,
pero nadie querrá mirar tus ojos
porque te has muerto para siempre.

Porque te has muerto para siempre,
como todos los muertos de la Tierra,
como todos los muertos que se olvidan
en un montón de perros apagados.

No te conoce nadie. No. Pero yo te canto.
Yo canto para luego tu perfil y tu gracia.
La madurez insigne de tu conocimiento.
Tu apetencia de muerte y el gusto de su boca.
La tristeza que tuvo tu valiente alegría.

Tardará mucho tiempo en nacer, si es que nace,
un andaluz tan claro, tan rico de aventura.
Yo canto su elegancia con palabras que gimen
y recuerdo una brisa triste por los olivos.

Di

Federico García Lorca
 

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