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Messaggi del 14/09/2014

Dispiaceri amorosi

Post n°465 pubblicato il 14 Settembre 2014 da valerio.sampieri
 

Dispiaceri amorosi

Lei, quanno lui je disse: - Sai? te pianto... -
s'intese gelà er sangue ne le vene.
Povera fija! fece tante scene,
poi se buttò sul letto e sbottò un pianto.

- Ah! - diceva -je vojo troppo bene!
Io che j'avrebbe dato tutto quanto!
Ma ch'ho fatto che devo soffrì tanto?
No, nun posso arisiste a tante pene!

O lui o gnisuno!... - E lì, tutto in un botto
scense dar letto e, matta dar dolore,
corse a la loggia e se buttò de sotto.

Cascò de peso, longa, in mezzo ar vicolo...
E mó s'è innammorata der dottore
perché l'ha messa fôri de pericolo!

Trilussa

 
 
 

'A macedonia mia

Post n°464 pubblicato il 14 Settembre 2014 da valerio.sampieri
 

'A macedonia mia

Banana, pera, mela e 'na bricocca
le trovi sempre pronte a l'occasione,
pe' ffà la macedonia 'gni staggione,
de modo che nun viè 'na cosa sciocca.

La pesca, puro quanno è sciroppata,
fragola, kiwi e quello che tte garba;
la magni che tte cola su la barba,
specie si c'è er limone e è zuccherata.

Si ciài le noci, er côre nun te 'nganna:
tritale a pezzettini e butta drento
e pare che tte magnerai la manna.

Che ddichi der gelato de nocciola?
Si vvòi la crema, puro sei contento:
t'empi la bbocca e er côre se consola.

12 settembre 2014

 

Damme 'a macedoggna!

Io dico che la bbarba nun fa testo!
'N'esiste de lassamme propio fòra,
è 'r solo verso, giuro, che contesto,
'a macedonia e robba da siggnora!

Che ppoi ce leggo zucchero e limoni.
"Eh finarmente!" dico "qui s'abbonna".
Semo de carne mica semo cloni,
a la bontà io tengo sempre sponna.

Co' ccrema o cco' nocciola, me preparo,
acchiappo er mio cucchiaro preferito,
ciaggiungo 'n po' de panna e me la sparo.

Le devo da provà pure le noci;
me dicheno "so' bbone!". Io me 'nvito.
Si nne volete 'n po', 'nnate veloci!

Norma Giumelli
14 settembre 2014

 
 
 

L'illusi

Post n°463 pubblicato il 14 Settembre 2014 da valerio.sampieri
 

L'illusi

Un vecchio Sorcio anarchico, in un giro
de propaganda rivoluzzionaria,
chiese un aiuto a la Marmotta e ar Ghiro.
— Avemo da mannà tutto per aria!
— strillava er Sorcio — vojo fa' la guerra
a tutte l'ingiustizzie de 'sto monno,
a tutti li soprusi de la terra!
Quanno te svejerai, vecchia Marmotta
impastata de sonno? nu' lo sai
che la vita è una lotta?

— Nu' ne sento er bisogno!
— rispose la Marmotta insonnolita —
Perché me scocci l'anima? La vita
per me nun è che un sogno...

— E tu, compare Ghiro, nun te mòvi?
Perché nun canti l'Internazzionale?
Bisogna che te formi un Ideale
verso la luce de li tempi novi...

— Io — fece quello — poco me ne curo:
ché l'Ideale mio nun me lo formo
antro che quanno dormo.
Viva la faccia de restà a lo scuro!

— Allora — disse er Sorcio — annate ar diavolo,
poveri sognatori de mestiere,
che pe' paura de le cose vere
chiudete l'occhi e nun vedete un cavolo!
Ve compatisco, o stupide bestiole
ch'odiate er sole e che vivete senza
un filo d'esperienza...

— Ma state peggio voi, poveri illusi!
— je disse er Ghiro — voi che sete certi
de vince l'ingiustizzie e li soprusi!
Io, quanno sogno, tengo l'occhi chiusi:
ma quanno sogni tu, li tenghi aperti...

Trilussa

 
 
 

Villa Gloria 01-05

Post n°462 pubblicato il 14 Settembre 2014 da valerio.sampieri
 

Villa Gloria

Sonetti in dialetto romanesco, originali, — che dopo il Belli pare impossibile, — ha trovato modo di farne Cesare Pascarella. Già in quelli del Morto de campagna e della Serenata diè a divedere anni addietro la potenza che aveva a intuire e rendere la verità austera. In questi di Villa Gloria il Pascarella solleva di botto con pugno fermo il dialetto alle altezze epiche.

Tutto qui è vero: non è il poeta che parla, è un trasteverino che vide e fece: per ciò l'epos nasce naturale e non per convenzione, nella forma dialettale. Il trasteverino è uno egli stesso, ripeto, dei settanta; ha quindi un animo quale ci bisognava alla gran gesta; ha la osservazione profonda e sicura, per quanto commossa, delle cose e degli uomini; ha il cuore risoluto e pietoso: senza descrizioni, senza divagazioni, senza fantasticherie (ché non c'era tempo) ma tenendo conto di tutti i particolari (ché a tutto si doveva badare per vincere o per morire bene, un gruppo com'erano), egli racconta; e nella lontananza di diciotto anni l'ardore rimeditato e risentito dell'animosa sua gioventù gl'illumina del bagliore d'una fantasia severa il racconto; e in quel racconto, nel cospetto di Roma, fra il Tevere e l'Aniene, in quella campagna, con quei nomi, a quella stagione, dalle concitazioni del duro e muscoloso linguaggio la linea epica si solleva e si distende per i venticinque sonetti monumentale. Non mai poesia di dialetto italiano era salita a quest'altezza. Grandissima l'arte e la potenza del Porta e del Belli, ma in una poesia che nega, deride, distrugge: classica quanto si vuole l'arte del Meli, ma fuor della vita, in una Arcadia superiore. Scolpire la idealità eroica degli italiani che muoiono per la patria, con la commozione d'un gran cuore di popolo, con la sincerità d'un uomo d'azione, in poesia di dialetto nessuno l'aveva pensato, nessuno aveva sognato si potesse. Ho caro che la prova sia riuscita a questi giorni che paiono di abbassamento e che l'abbia fatta un romano.

1º luglio 1886.

Giosuè Carducci.

 

A Benedetto Cairoli.

I.

A Terni, dove fu l'appuntamento,
Righetto ce schierò in d'una pianura,
E lì ce disse: — Er vostro sentimento
Lo conosco e nun c'è d'avé pavura;

Però, dice, compagni!, v'arimmento
Che st'impresa de noi nun è sicura,
E Roma la vedremo p'un momento
Pe' cascà' morti giù sott'a le mura.

Pe' questo, prima de pijà er fucile,
Si quarcuno de voi nun se la sente
Lo dica e sorta fora da le file.

Dice: non c'è gnisuno che la pianta? —
E siccome gnisuno disse gnente,
Dopo pranzo partissimo in settanta.

Nota: che la pianta = che abbandona l'impresa

II.

E marciassimo fino a la matina
Der giorno appresso. Tutta la nottata!
A l'arba poi, fu fatta 'na fermata
Su l'erba zuppa fracica de brina.

Traversassimo un fiume de rapina,
Lassassimo la strada, e traversata
'Na macchia, se sboccò su 'na spianata
E venissimo in giù pe' la Sabina.

Dove che dietro a noi c'era pe' scorta
N'onibussetto tutto sganghenato,
Dov'uno ce montava un po' pe' vorta.

Pe' strada er celo ce se fece cupo,
E venne l'acqua che nun ci ha lassato,
Finché non semo entrati a Cantalupo.

Nota: fiume de rapina = torrente

III.

A Cantalupo, drento a 'na chiesola
Righetto ce divise in tre sezione,
E dopo avecce letto l'istruzione,
Fece: — Ripeto n'antra cosa sola:

Si fra voi c'è quarcuno che ciriola,
Lo dica e nun se metta soggezione.
—  Gnisuno arifiatò. Fece: — Benone!
Vedo che sete tutti de parola.

Ma perchè non ce sia gnisun intoppo
(È inutile a sta' a fa' mezze parole)

S'io morissi c'è l'antro che viè' doppo. —

E lì de novo tutti in marcia.
Arfine,
Caricassimo tutti le pistole
E a Corese passassimo er confine.

Nota: che ciriola = che tentenna

IV.

E a l'arba, mentre c'era un temporale,
'Rivorno da Firenze li cassoni
Dove c'erano drento li foconi
De quelli de la guardia nazionale.

Furno depositati in d'un casale
E dopo, assieme a l'antre munizioni,
Li portassimo drento a du' barconi
Presi da 'n capo-presa padronale.

Fatto er carico, sopra a 'gni barcone
Ce fu messa la legna e fu ridotto
Come quelli che porteno er carbone:

In modo ch'uno nun capisse gnente.
Poi dopo s'accucciassimo de sotto
E venissimo in giù co' la corrente.


Note:foconi = fucili vecchi, arrugginiti.
capo-presa = padrone dei barconi che navigano nel Tevere.

V.

Avanti a tutti, drento a 'na gozzetta,
Come stassero lì a guardà' er carbone,
C'ereno li Cairoli de vedetta;
E noiantri giù a fonno ner barcone,

Sentimio da la riva la trombetta
De le truppe der papa! A Teverone,

Verso notte, se scense e 'gni sezione
Fu dislocata drento a 'na barchetta.

E m'aricordo ch'una era tarlata
E che cór sego e co' li stracci pisti
Lì su la riva fu calatafata.

Dopo annassimo da li doganieri,
Li legassimo tutti come Cristi,
E furno fatti tutti prigionieri.

Cesare Pascarella
Tratto da: "Sonetti", Nuova ristampa, Casa Editrice Nazionale Roux e Viarengo, Roma-Torino 1906
 
 
 

A Nina

Post n°461 pubblicato il 14 Settembre 2014 da valerio.sampieri
 

A Nina

Che te penzi, Ninè, quer che m'hai detto
riguardo a tu' fratello, nun m'importa!

Tu se' rimasta pura, e er core in petto

batte, pensanno a te, come 'na vorta.

Tu se' innocente, tu, nun sarai morta
pe' me, come me dichi ner bijetto;

sarebbe proprio 'na gran cosa storta:

lassà pe' 'n'assassino, 'n'angioletto!

Si lui ha ammazzato, tutt'er disonore
ricasca su de lui! Le tu' parole

nun m'hanno fatto sentì male ar core!

Che te credi, che io c'abbia penzato
a quer ch'ài scritto? Eh, Nina, guarda er sole:

lui tocca er fango, embè, s'è mai sporcato?

Sergio Corazzini
Da Poesie Sparse

 
 
 

La matriciana mia

Post n°460 pubblicato il 14 Settembre 2014 da valerio.sampieri
 

La matriciana mia

Soffriggete in padella staggionata,
cipolla, ojo, zenzero infocato,
mezz'etto de guanciale affumicato
e mezzo de pancetta arotolata.

Ar punto che 'sta robba è rosolata,
schizzatela d'aceto profumato
e a fiamma viva, quanno è svaporato,
mettete la conserva concentrata.

Appresso er dado che jè dà sapore,
li pommidori freschi San Marzano,
co' un ciuffo de basilico pe' odore.

E ammalappena er sugo fa l'occhietti,
assieme a pecorino e parmigiano,
conditece de prescia li spaghetti.

Aldo Fabrizi

 
 
 
 
 

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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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