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Post n°2192 pubblicato il 13 Luglio 2014 da gratiasalavida
Presumo che amassero la vita. Anzi, ne sono certa. Tutti i ragazzi poco più che adolescenti amano la vita, e quei quattro ragazzi, di cui ho impressi nel ricordo gli occhi vispi e i sorrisi da bambini appena appena cresciuti, molto probabilmente la amavano. Probabilmente erano innamorati. O forse no. Forse ancora non avevano conosciuto la ragazza che ti fa battere forte il cuore, la cui sola vista ti mozza il respiro. Probabilmente erano cresciuti in fretta. Vivere in un'area dove la guerra è perenne non ti permette di crogiolarti a lungo nella inconsapevolezza dell'infanzia. Probabilmente erano cresciuti in fretta, ma senza perdere quella freschezza di sguardo, quella luce viva negli occhi che rende gli adolescenti di tutto il mondo bellissimi. Bellissimi anche quando magari non sono belli nelle fattezze. Quei quattro ragazzi erano belli. Anzi bellissimi. E probabilmente cercavano di vivere la loro vita nel migliore dei modi possibili, come sempre si cerca di fare quando la vita è sul punto di sbocciare e offrire i doni più preziosi. Gli adolescenti vivono sempre nell'aspettativa dei doni preziosi che la vita tiene in serbo per loro, anche quando si ha la consapevolezza di vivere in un'area di guerra. Credo che il fatto di vivere in un'area dove la guerra è perenne, anzi, amplifichi l'amore per la vita e le aspettative sulla vita. Un dono reso ancora più prezioso dall'incalzare della morte. Gli adolescenti non pensano mai alla morte. Avranno avuto, quei quattro ragazzi, i loro momenti di malinconia, di fragilità, di paura, di incertezza. Perché l'adolescenza è un'età in cui la luce piena è venata talora di ombre. Tanto più in un'area ove le ombre lunghe della guerra rischiano, in ogni momento, di dilagare nel campo del possibile e dell'auspicabile, che è il campo aperto ove si spiegano e si dilatano i sogni a occhi aperti degli adolescenti. Quattro ragazzi bellissimi. Non ho scritto tre israeliani e un palestinese. Ho scritto "quattro ragazzi". Sono convinta che se si fossero potuti incontrare in un campo neutro, il campo aperto del possibile e dell'impossibile, ove si spiegano e si dilatano i sogni a occhi aperti degli adolescenti, di tutti gli adolescenti della terra, se si fossero potuti incontrare, si sarebbero piaciuti. Sarebbero andati insieme, tutti e quattro, in cerca di ragazze. Avrebbero gioocato insieme a calcio, o a ping pong. Avrebbero ascoltato la stessa musica, magari. E avrebbero ballato insieme, fino a stordirsi. Fino a notte fonda. E magari si sarebbero innamorati tutti e quattro della stessa ragazza. E si sarebbero picchiati, come spesso accade tra gli adolescenti, quando si picchiano per rivalità in amore. E poi avrebbero dimenticato il motivo per cui si erano picchiati. E sarebbero andati a bere una birra insieme. Come spesso capita, tra gli adolescenti. Presumo, anzi, ne sono certa, che quei quattro ragazzi amassero tenacemente la vita. Sono stati uccisi, quei quattro ragazzi, in nome di una guerra perenne. Chi li ha uccisi non ha avuto alcun riguardo per la loro età, per i loro visi freschi di ragazzini appena sbocciati all'adolescenza, per i loro sentimenti. Chi li ha uccisi, da una parte e dall'altra, voleva un pretesto per costringere una guerra perenne a impennarsi in una parabiola ascendente. Se quei ragazzi avessero saputo di morire per diventare il pretesto utile a incrudelire una guerra già fin troppo crudele, credo sarebbero morti due volte. L'amarezza, li avrebbe uccisi, prima ancora che la mano dei carnefici. Pace. Una parola forte. Una parola forte che sicuramente trovava accoglienza nelle pieghe segrete dei sogni più reconditi di quei quattro ragazzi. Nel campo aperto dei sogni, anche l'impossibile trova accoglienza. Nel campo aperto dei sogni, ne sono certa, trovava accoglienza anche il sogno impossibile di una pace possibile. Quei quattro ragazzi sono morti, massacrati da mani guidate da menti che hanno perso la capacità di sognare. Quando si guarda alla realtà con occhi resi opachi dalla incapacità di sognare, la realtà diviene un ambito ristretto, così miserabilmente ristretto da sembrare un budello. In un budello non ci sono orizzonti da guardare. In un budello si diventa ciechi. Mi piacerebbe. Mi piacerebbe che ai morti fosse concesso di parlare. Quei quattro ragazzi non ci sono più. La guerra, invece, c'è ancora e vive una fase di espansione. E quei ragazzi, divenuti pretesto per incrudelire la guerra, sono morti due volte. Perché, ne sono certa, se ai morti fosse concesso di parlare, quei quattro ragazzi morti proferirebbero una sola parola. Pace.
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