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Uno stupido racconto (1)

Post n°134 pubblicato il 14 Aprile 2012 da lab79
 

Vabbè. Ci provo.

Questo racconto ha 12 anni, compiuti da poco. E' ormai un ragazzino. Avendolo riscoperto da qualche giorno, ho deciso di pubblicarlo qui, poco per volta, correggendo soltanto i palesi errori d'ortografia che avevo commesso. Lo pubblicherò poco per volta, perchè a mio parere è un tantino pesante a leggersi, anche se credo sia stato scritto in modo da essere letto tutto d'un fiato. Tant'è. Ovviamente, trattandosi del suo esordio, vi chiedo di essere clementi nelle critiche, ma sopratutto vi chiedo di farle, se possibile: non che possa migliorare più di tanto (ho intenzione di lasciarlo più o meno così com'è, testimonianza delle sciocchezze che scrivevo allora), ma credo che gli possa fare piacere sapere di essere letto.

Credo che come introduzione possa bastare. Eccolo.

Uno stupido racconto

 

C'era il cielo bianco e buio, e il silenzio fasullo delle nostre città. Seduto sulla sua poltrona, lo ascoltava con attenzione e incuriosito terrore. Ogni muto ricordo si spezzava al solo sentire i passi isterici dell'uomo fuori dalla sua finestra, le sirene della polizia e delle ambulanze che correvano, scendevano e salivano, si avvicinavano e si allontanavano. Passi, qualche voce, la voce banale e argentina di una ragazzina. Chissà se l'aveva mai conosciuta, la sua bambina.  A giudicare dalla voce, avevano quasi la stessa età. Un cane abbaiava, il Tram correva sul pavé.  Avrebbe voluto alzarsi, andare in cucina e bere un bicchiere d'acqua, accovacciarsi e dormire. Si sentiva stanco, avrebbe voluto chiudere gli occhi solo per un attimo. Ma decise di non fare nessuno sforzo, di starsene li a guardare il giornale polveroso appoggiato sul tavolo. Si ricordò di essere curioso di sapere  come erano andate le sue ultime scommesse. Non lo faceva spesso, quindi non si riteneva un "giocatore", ma ogni tanto si divertiva a pensare di poter vincere qualcosa, anche se non ne aveva certo bisogno. Ma il giornale era datato ventisei maggio. Forse era troppo tardi, non valeva nemmeno  la pena di guardare. Sentì il rumore -fastidioso- del postino che, senza spegnere il motore, forse senza nemmeno scendere dallo scooter, infilò la posta nella fessura. La sentì cadere contro il pavimento. Una era sicuramente una cartolina, era caduta più velocemente dell’altra, e il rumore contro il pavimento era stato più rigido di quanto non sia quello di una normale lettera. Era strano ricevere cartoline ad Ottobre. L'altra busta doveva riguardare sicuramente il telefono. Non squillava più da circa un mese. Non aveva mai ricevuto troppe telefonate, per la verità, ma negli ultimi tempi gli era capitato di sentirsi un po’ solo. Era strano che non ne fosse abituato. Ma la compagnia della sua piccola prigioniera aveva fatto sentire un po’ più lieve quella solitudine. La sua vocina provenire dalla stanza da letto, dalla cucina, dal salotto, magari mentre scendeva le scale o mentre leggeva uno dei -tanti- libri della biblioteca senza il benchè minimo interesse, forse solo con un pizzico di curiosità. Curiosità che alla sua età era più che giustificata. Forse la cartolina era sua. Era curioso di sapere se si trattava di quello. E per la prima volta negli ultimi mesi, sentì qualcosa di vivo nello stomaco, un formicolio d'inquietudine. No, per quel giorno aveva provato troppe emozioni. Il sole stava uscendo di casa, se mai ci era entrato. Ne sentiva la mancanza, in fondo erano mesi che non usciva di casa. E la notte lo sorprese immerso in quel pensiero. E quella notte era più fredda delle ultime, ma d'altra parte ottobre camminava con passo fermo e deciso, era giusto aspettarsi un pò più di freddo, forse anche qualche goccia di pioggia. Chissà, magari persino la neve. Si chiese se avrebbe visto la neve, quell'inverno, ma non seppe darsi risposta. La finestra alla sua sinistra era chiusa e lontana, e le tende gli impedivano la vista. Ma qualcosa dentro di lui lo convinceva che , se l'avesse voluto, la neve l'avrebbe vista lo stesso.

(Continua)

 

 
 
 
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