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Fine di un'era Pop

Post n°475 pubblicato il 21 Gennaio 2017 da lab79
 

 

Si è conclusa oggi, di fatto, un'era. D'altronde, non si può definire diversamente la conclusione di un mandato (Un doppio mandato, in effetti) durato ben otto anni, sulla poltrona più influente tra le democrazie del mondo. Non è soltanto un bagno di retorica: anche questa fa parte dei riti sociali a cui attinge la nostra società (E ne parlo al singolare perché, de facto, la nostra è una singola società più volte declinata geograficamente), ma in questo caso l'utilizzo sfacciato del termine "Era" va al di là di eventuali intenzioni liriche. La linea di demarcazione fra quello che è stato e quello che sarà è troppo netta per passare inosservata, e sto a malapena parlando di politica.

Quello a cui mi riferisco è il modo in cui i riti della più stabile delle grandi democrazie siano specchio di come va il mondo. Le tendenze populiste, isolazioniste e reazionarie sono, a quanto pare, la naturale risposta alla globalizzazione che ormai da una ventina d'anni sta ridefinendo il mondo in cui viviamo.  Che queste tendenze ne siano la soluzione, è tutto da dimostrare.  Così come da dimostrare è anche la totale  estraneità di questi nuovi leader rispetto agli "influencer" che fin qui hanno fatto sentire il loro peso nel momento in cui c'era da definire la direzione in cui far marciare il mondo. Niente complottismi. Queste "forze" sono alla luce del giorno, spesso abbastanza chiare da poter essere distinte ad occhio nudo anche da chi, come me, vi getta un'occhiata distratta di tanto in tanto.  I gruppi macroeconomici sono quelli la cui influenza è più facile da distinguere: gruppi finanziari, produttori di beni, fornitori energetici e non per ultimi, corporazioni di gestione del traffico di informazioni. Se state pensando a banche, aziende industriali, energetiche e a giganti come Google e Facebook, pensate bene. Ma nei gruppi che ho nominato vanno inclusi soprattutto entità nazionali e sovranazionali che agiscono nei mercati alla pari dei privati, condizionandone scelte di consumo e quindi modalità di produzione e distribuzione. Fondi di investimento nazionali, oligopoli di produzione (come quella petrolifera), grandi società informatiche: tutti loro funzionano e ragionano come singoli privati, ma non sono esenti dalle ambizioni delle nazioni in cui hanno sede o a cui devono risposte. Se il XX° secolo è stato il secolo delle nazioni, il XXI° non segna di certo la loro fine: semmai è emblema di come queste si siano evolute in entità che sanno superare senza difficoltà l'ostacolo basso delle frontiere.

Ed è curioso come sia proprio "frontiere" uno dei termini che più sembra aver acquisito attualità, dopo decenni in cui, almeno in Europa, sembravano destinate a svanire. La verità è che proprio contro l'ostacolo delle frontiere va a cozzare il secondo gruppo di forze che determinano l'andamento della Storia del mondo, troppo "concrete" per immaginare di superare le frontiere con un balzo. Queste sono le forze sociali, che siano divise per questioni etniche, religiose, demografiche. L'immigrazione economica e più drammaticamente quella forzata dalle guerre conoscono il dolore del proprio impatto contro i muri e i fossati delle frontiere, che cercano di superare in virtù dei loro numeri. Ed il fatto che questi eventi abbiano meno forza di abbattere confini rispetto alle forze economiche ci dice molto della struttura e del funzionamento del nostro mondo.

E le entità politiche che iniziano questa nuova era avranno da guidare (o farsi condizionare da) queste forze.  E lo faranno nel solco che esse stesse hanno scavato per raggiungere la predominanza: un solco che divide i corpi sociali di cui sono espressione in modo netto tra amici e nemici, e sigilla questi sottogruppi rendendoli poco permeabili, statisticamente stabili e omogenei, e forse per questo più "domabili". Esempio ne sia, per restare negli Stati Uniti, la profonda divisione fra repubblicani e democratici: poco inclini i rispettivi elettori a cambiare casacca, ingessando di fatto le possibilità di cambiamento. Divisioni similari le si trova anche in Italia: basta leggere gli slogan e i modi di comunicazioni dei diversi gruppi politici, passati ormai dall'evidenziare le differenze fra i vari movimenti, all'evidenziare le differenze fra i propri elettori e quelli degli altri. Il risultato è la polarizzazione delle posizioni, il loro irrigidimento statistico e la conseguente impossibilità di spostare equilibri consolidati e spesso paralizzanti. Non sono poche infatti le tornate elettorali che dividono gli elettori in due macrogruppi quasi equivalenti, divisi da pochi punti percentuali, rendendo allettante l'idea di strutture di governo più rigide che garantiscano stabilità, come se si avesse timore di non essere in grado di affrontare e gestire le instabilità naturali della storia.

Non voglio dilungarmi in analisi che non solo non sono in grado di argomentare adeguatamente, ma di cui non saprei nemmeno dimostrare la validità. La mia è più una sensazione, vaga come un presagio che però riguarda più il presente, che il futuro. Il ritratto dello Zeitgeist, se mi passate la similitudine.

Resta il fatto che oggi è finita un'era: fondamentalmente pop, legata più all'immagine di un sogno realizzato, che non alla sua vera realizzazione. Chi sia stato per la storia degli Stati Uniti e del mondo il presidente Obama, è presto per dirlo. Ben otto anni di mandato non sono bastati a definirlo: e questo dice forse qualcosa della sua capacità di far sembrare le cose diverse, piuttosto che di averle davvero cambiate. Il segno di un personaggio (o dell'evento della sua esistenza) nella storia sta nella resistenza dei suoi atti al logorìo del tempo. Come degli imperatori romani abbiamo memoria nei bianchi monumenti che ancora oggi definiscono i nostri paesaggi, o di più ancora nelle nostre abitudini, altrettanto si deve dire di chi siede sulla poltrona più pesante di questo nostro mondo odierno, o almeno di quello che ne resta.

 

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Commenti al Post:
hieronimusb
hieronimusb il 21/01/17 alle 10:59 via WEB
Tempo fa evevo scritto un post "Imparare dalla Storia per non Rivivere la storia", almeno mi pareva si chiamasse così , in cui sostenevo che andando a rileggere ciò che c'è stato anche solo un secolo fa, potrebbe aiutare a non cadere negli stessi equivoci e non commettere gli stessi errori.
Il grido di Trump oggi "America First", riecheggia il "Deutschland uber alles" di Hitler ed il motto leghista "prima il nord" è sulla setssa falsariga.
L'idea che rinchiudersi nei propri confini possa essere il mezzo per conservare e addirittura incrementare il proprio benessere è tanto sbagliata quanto allettante per le menti semplici, pronte a farsi condurre per la cavezza dal caporione di turno che ha il solo interesse per arrivare al potere, ma nessuna idea di cosa fare dopo.
Certo c'è un cambiamento di schieramenti, nel regno unito non c'è più Churchill e la May sembra la sorella di Salvini quanto a sparate e la Russia è una presenza fin troppo inquietante.
Sbagliare ad identificare il proprio nemico è l'errore strategico più grave, ma in fondo il mondo è sopravvissuto a tutte le guerre e da ogni situazione tragica , pur con gli stessi dolori di un parto, si transita verso un'era migliore.
Resta il fatto che se gli americani pensano che un miliardario con un orribile senso estetico, con un ego immenso e circondato da persone rapaci possa fare i loro interessi c'è fortemente da dubitare della loro salute mentale, ma in fondo mettono pure l'ananas sulla pizza.
 
 
lab79
lab79 il 22/01/17 alle 01:33 via WEB
Pur vedendo dei parallelismi inquietanti tra il "America first" e il "Deutschland uber alles", intravedo più il presagio di un'America che si ritira dal mondo, lasciando spazio all'influenza della Russia sull'Europa e della Cina sul resto del mondo che si affaccia al pacifico, e abbandonando il Medioriente a se stesso. Non riesco a capire se sia semplicemente il salire di una marea isolazionista che sempre ha fatto parte della tradizione statunitense, oppure un vero e proprio abdicare al ruolo di "gendarme" della terra. Per restare all'Europa, il montare dei movimenti che si fanno portavoce di queste stesse spinte isolazioniste trova una sponda forte nell'elezione di Trump, e cercano logicamente di cavalcarne l'onda. Se davvero siano tanto forti quanto le loro voci alte, ce lo diranno i prossimi appuntamenti elettorali. (Avendo qualche parente negli stati uniti, mi sono chiesto anch'io se davvero pensino che Trump risolverà davvero i loro problemi. L'impressione che ho avuto è che, come in Italia con Berlusconi, nessuno davvero credesse a quello che dice. Semplicemente dice quel che la gente vuole sentirsi dire, e la gente (pur sapendo che nulla di quel che promette verrà fatto) sceglie di credergli: è più una vendetta contro l'establishment che ha finora guidato il paese. Scegliendo di ignorare il fatto che questa persona sia espressione di quello stesso establishment.)
 
   
hieronimusb
hieronimusb il 22/01/17 alle 09:40 via WEB
Questi voti contro l'establishment si possono sintetizzare con la classica metafora del marito che si taglia i cosiddetti per far dispetto alla moglie, il che porta a riflettere sull'idiozia complessiva delle masse dove la l'intelligenza generata dalla somma dei cervelli è inversamente proporzionale alla loro quantità
 
arw3n63
arw3n63 il 22/01/17 alle 14:47 via WEB
Mah! Le dichiarazioni e i progetti di Trump sono preoccupanti....staremo a vedere come si evolverà il suo progetto isolazionista e nazionalista.Comunque sì dev'essersi conclusa un'era e la storia nel tempo tende a ripetersi :-)
 
 
lab79
lab79 il 25/01/17 alle 15:02 via WEB
Rassicuranti non sono. Per alcuni mesi ancora, avrà carta bianca: quando sarà finito il giro di transizioni ancora in corso in Europa(Probabilmente per la fine del 2017) si capirà se sarà davvero questo il percorso che segnerà la sua presidenza, oppure se in qualche modo sarà costretto a passi indietro.
 
lab79
lab79 il 25/01/17 alle 15:03 via WEB
(Per inciso: l'isolazionismo a cui faccio riferimento è proprio quello americano precedente alla II guerra mondiale, e spezzato proprio dall'attacco a Pearl Harbour.)
 
 
arw3n63
arw3n63 il 27/01/17 alle 19:46 via WEB
Per questo trovo preoccupante il programma di Trump per il futuro e la costruzioni di muri... siccome la storia tende a ripetersi e nel tempo ci si dimentica del passato.
 
   
lab79
lab79 il 31/01/17 alle 04:15 via WEB
La conferma alle tue preoccupazioni ce l'abbiamo in questi giorni: raramente ho visto tanto caos e così poca reattività dal governo americano, come se non vi fosse un progetto a lungo termine. Persino negli immediati giorni dopo gli attentati alle torri gemelle, le azioni dell'amministrazione Bush erano prevedibili. Magari non condivisibili, né tantomeno auspicabili. Ma prevedibili.
 
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