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Strani giorni

Post n°405 pubblicato il 17 Novembre 2015 da lab79
 

I miei ricordi di Parigi sono inevitabilmente romantici.

Eppure non ero che un ragazzino, diciasette anni appena, la prima volta che la visitai. Ed ero talmente ignaro delle cose del mondo da credermi innamorato, e non saprei dire davvero se di lei oppure del me stesso innamorato di lei. Banalità, ricordi qualunque come quelli di chiunque abbia avuto almeno una volta quell'età. Parigi splendeva di primavera, di una primavera piovosa e grigia; eppure se rovisto tra i miei ricordi vi trovo solo il sole, come l'istante in cui un raggio di luce vagabondo ci illuminò fin dentro l'animo, tra i colori scintillanti della vetrata della Sainte-Chapelle. Ricordo vagamente la coda per salire sulla torre campanaria di Notre Dame, la visita tra le fondamenta della cattedrale, la Senna pigra che scivolava e della cui corrente non riuscivo a capire la direzione. Vanneggiamente adolescenziali, ma non ero di certo il solo. Tre classi insieme affrontarono il lungo viaggio in autobus fino alla capitale francese, con l'incertezza della nostra conoscenza approssimativa della lingua da mettere alla prova, e l'intento di imparare se non a cavarcela un po' da soli, almeno a sapere a chi e come chiedere aiuto. Non credo che ci fossero davvero altri propositi da portare a termine, in quei viaggi. Ma erano belli, tanto da essere forse l'unico ricordo davvero piacevole che mi sono portato via da quegli anni.

Di quel tempo non conservo fotografie.

Venne poi il momento di ritornarvi, ormai adulto e un po' più consapevole del posto che occupavo nel mondo. E fu un soggiorno lungo una settimana, anche questa volta, nei pressi della Gare du Nord: un appartamentino intimo come se ne vedono soltanto nei vecchi film francesi, al sesto e ultimo piano di una palazzina senza ascensore, con vista sopra i tetti del quartiere, fino alla collina di Montmartre. Ci svegliavamo la mattina con un caffé caldo tra le lenzuola sfatte dalla stanchezza gioiosa della nostra quotidianità, con indosso ancora il languore dei nostri sogni. Eravamo ancora amanti, e i nostri sogni erano diversi. Parigi si prestava ad essere sognata ad occhi aperti, allora.

Adesso la nebbia scende alla finestra.

E come sembrano lontani, quei tempi, e quelle illusioni. L'illusione adolescente dell'amore, l'illusione quasi infantile della pace. Ora sono adulto, e so che cosa è vero, e che cosa no. So che l'amore non si conosce, e non si conosce nemmeno la pace. In loro assenza sono nato, e cresciuto, e se per un momento mi sono illuso, è stato soltanto perché ero un ragazzo, e sapevo sognare. Ora il sordo battito delle bombe alle porte risuona di nuovo famigliare, e ritornano i ricordi di quando non sapevo perché si moriva, ma sapevo che si moriva, e non avevo ancora dieci anni. Ora quella nebbia ha raggiunto i luoghi in cui mi ero scoperto felice, come il suono della sveglia che risuona fin dentro nei sogni, per riportarci alla realtà.

Il mondo non è mai stato davvero diverso.

Certo, oggi la città pullula di sirene, di polizia in stato di allerta, di tensione e di guerra. Certo, sembra di vivere una situazione senza precedenti. Ma non è così. Non si illuda chi riporta tra la gente comune l'orrore. La storia, e le città come Parigi o Roma che questa storia l'hanno cullata e vezzeggiata, l'hanno sempre conosciuto l'orrore. La storia non è altro che orrore, orrore in ogni dove; sulla corrente leziosa di un fiume che sgorga dal cuore dell'africa e del mondo, tra i campi coltivati a riso e concimati a morti dell'indocina, tra le nebbie delle montagne in cui si moriva a centinaia e nessuno ricorda, nessuno ricorda. Negli angoli delle città in cui scoppiavano bombe senza padrone, e nessuno sa. Nelle carte scambiate fra le cancellerie del mondo, firmate e vidimate e che ancora oggi segnano sulle mappe del mondo e nella vita di milioni di persone i motivi delle loro sofferenze, e nessuno sembra sapere perché. La storia è orrore, perché ci ostiniamo a ignorarla, e dimenticarla. Ci rifiutiamo di capirla.

Nessuno si illuda.

L'orrore non porrà fine alla storia, né alla vita. Torneranno giorni lieti, e la primavera brillerà su Parigi, e altri adolescenti si innamoreranno, e non sapranno dire se di lei, o se di se stessi innamorati di lei. E si illuderanno che tanto orrore non li riguardi, che i loro sogni saranno al sicuro dal mondo, e che con i loro sogni potranno renderlo migliore. Avranno torto, certo. Lo scopriranno e si dispereranno, ma neppure questo porrà fine al mondo.

Verrà sempre un altro giorno.

E la storia continuerà a scriversi da sola sulle pagine del mondo, e nessuno ricorderà, nessuno saprà, nessuno saprà perché.

 

(Eppure c'è un istante in cui il cuore di chi viene ferito da tanto orrore brilla di luce propria. E sembra illuminare il mondo, per un momento ancora. E ti sembra di capire che questa volta forse non sarà di nuovo la stessa storia. Eppure c'è un istante in cui, fra tanto dolore, ti sembra di sentirti vivo. E di poter sperare di restarlo abbastanza a lungo da consegnare a tuo figlio, chissà, un mondo migliore.)

Strani giorni - Franco Battiato (L'imboscata, 1996)

 

 

 
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