Creato da lab79 il 05/02/2010

TheNesT

a place called home

 

Messaggi di Giugno 2015

A scienza certa

Post n°384 pubblicato il 27 Giugno 2015 da lab79

Guardando tra le pagine di internet, leggo spesso post scritti o dedicati alle mamme ("Solo le mamme possono capire!" "Se siete mamme, condividete!". Onestamente, quelli dedicati o scritti dai papà sono sempre di meno. Ma ci sono, non credete). E certe volte li guardo con gli stessi occhi con cui li guardavo io stesso, un paio di anni fa, quando ancora non ero papà. E vi giuro, mi chiedo in quale parte della strada mi sono perso, in quale punto sulla via di Damasco c'era l'uscita per l'Illuminazione e come ho fatto a non vedere il cartello. Perché questi genitori sembrano aver capito tutto di come va il mondo, sembrano essersi riempiti improvvisamente della saggezza dei propri padri, averla arricchita con la propria personale pedagogia e con le proprie affinatissime conoscenze psicologiche, ed ora allevano pupetti che sono la quintessenza della bambitudine, sani e puri e lìmpidi e lucenti, pronti a posare per la prima pagina di Bimbi Sani e Belli.

Ecco, no.

Io me ne resto seduto sul tappetto, a guardare il mio di piccolo demonio che divora la sua fetta di pizza intanto che ciondola la testa al ritmo della musica, mentre in tv Marty McFly scopre l'inquietudine di dare appuntamento alla propria madre adolescente nel 1955. E' cresciuto, lo vedo con i miei occhi e me l'ha detto il pediatra, ma la verità è che non so come. La mattina gli diamo il buongiorno e un po' di latte, facciamo colazione insieme, almeno questo momento è tutto nostro, e poi via di corsa, ad ognuno i propri doveri, ad ognuno i propri impegni. Arriva poi l'ora della pappa, e il suo piatto si riempie e qualche volta si svuota, qualche volta no. E il sonno lo prende quando si fa pomeriggio, e poi una sgambettata al parco, sempre se si può e se il tempo lo permette. Poi arriva Venerdì sera, e allora che pizza sia, e un pezzo di Ritorno al Futuro, che con lui seduto a un metro da noi adesso ha tutto un altro significato. Ma non so quale, so solo che è diverso.

Lui intanto cresce.

Non so come possa accadere, e credo che non lo sappia nemmeno lui. Ma a nessuno importa. Tentiamo di addormentarlo, di nutrirlo, di insegnargli sempre cose nuove, insomma, di farlo crescere; ma la metà delle volte non sappiamo cosa stiamo facendo, e l'altra metà non sappiamo se lo stiamo facendo nel modo giusto. E a coloro che hanno avuto la pazienza di leggermi fino a qui, vi svelo un segreto: Nessuno lo sa.

Ci rendiamo a malapena conto di stare al mondo, corriamo incontro al futuro e raccontiamo agli altri di riuscire a vederlo, e che è radioso perché la nostra strada è certa, la nostra strada è giusta. Ma non è vero. La vita la viviamo camminando all'indietro, lo sguardo al passato e le spalle cieche al futuro, e se evitiamo di cadere nei burroni è soltanto perché i nostri piedi ci avvisano un momento prima che siamo sul bordo del baratro. E altro che saggezza: è con l'incoscienza dell'essere vivi che ci mettiamo un altro essere umano sulle spalle, e gli raccontiamo quello che crediamo di aver capito del mondo.

Mio figlio intanto dorme e sogna, ed io me ne resto qui, nel buio della terra, a fantasticare di essere il capitano del Kontiki che attraversa il mare, senza sapere a scienza certa se basti seguire le stelle per poterlo fare.

 

 
 
 

Lungo termine

Post n°383 pubblicato il 24 Giugno 2015 da lab79

 

"Ma questo lungo termine è una guida fallace per gli affari correnti: nel lungo termine siamo tutti morti."

John Maynard Keynes , da "A Tract on Monetary Reform", ch. 3, 1923

(…a ripensarci, il punto è proprio un altro. Similmente alla satira, alcune frasi, usate in contesti diversi da quello in cui sono nate, possono essere usate per svelare l’assurdo dietro cui si nasconde l’intuizione di una risposta. Se “Nel lungo periodo siamo tutti morti” sembra suonare come un memento-mori , in realtà forse non è altro che l’intuizione che l’impulso a provare qualcosa di nuovo, pur nell’ovvio rischio delle sue conseguenze, valga la pena di essere assecondato…)

 
 
 

High five

Post n°382 pubblicato il 12 Giugno 2015 da lab79

Uno di loro si alza dal tavolo, visibilmente brillo. Si avvicina barcollante al bancone del ricevimento, intanto che io scrivo e con la coda dell'occhio lo vedo avvicinarsi. Si appoggia al bancone, col sorriso ebete e la mano tesa verso di me. Io smetto di scrivere, per un momento, e sposto lo sguardo su di lui senza muovere la testa. Devo aver sollevato il sopracciglio sinistro, e piegato l'angolo sinistro del mio sorriso all'insù, nell'espressione più sarcastica che ho.

-"High Five!" mi dice entusiasta. Resto immobile qualche secondo, poi allungo la mano infastidito, e gli rispondo:

-"High five...and goodnight."

Quello si fa una risata, e col passo sghembo se ne va.

Da quando sono diventato così?

Me lo chiedo quasi subito, ancora in piedi e nel palmo della mano il ricordo tattile del palmo ruvido della sua mano, da operaio in trasferta. Gli altri suoi colleghi ridacchiano sguaiati, mal seduti sulle poltrone della hall, con una birra in mano. Da quando? Questo non è un lavoro particolarmente gratificante, non c'è un progetto da portare a compimento, un risultato evidente da mostrare con orgoglio al prossimo. "Questo l'ho fatto io!", un riscontro concreto che lasci un segno nell'esistenza. Nemmeno la sensazione di aver fatto davvero la differenza, di aver cambiato la vita di qualcuno. Qualche rara volta ci si trova un grazie di tutto, detto con più trasporto del solito, per un aiuto dato o per aver semplicemente semplificato la permanenza di una persona entro queste mura. Tutto qua. Il mio lavoro si svolge giorno per giorno, e durante la notte si disgrega, arrivando a esaurimento, il senso del lavoro fatto durante il giorno. Il mio lavoro consiste in un quotidiano ordinario, e nel fare di tutto perché rimanga tale, e non diventi mai un'emergenza.

Eppure per qualche anno ne ho trovato il senso, e una soddisfazione. C'é molto da imparare, ancora oggi che lo faccio da più di quindici anni. Ma non ne vedo più il motivo.

Da quando sono diventato così?

Ho lasciato perdere molte passioni, nel corso degli anni. Ma non sono state una grande perdita. Non le chiamerei nemmeno passioni: passatempi, forse, è il termine migliore. La lettura, la scrittura, l'ascolto della musica. L'emozione infantile di seguire una partita di calcio con trasporto,  le uscite a zonzo con gli amici. Non c'è più tempo, c'è altro da fare, non sono cose serie. Tutto vero. Ma con cosa le ho sostituite?

Intanto la notte scorre fuori dalla porta, il temporale infuria, soffia e piove così forte che un paio d'ore dopo è già tutto finito. Gli ultimi ospiti sono andati a dormire, la televisione è spenta, l'aria condizionata sospinge discreta l'aria appena rinfrescata. I frigoriferi ronzano, le mie dita battono sulla tastiera a raffiche di poche parole per volta, più per il gusto di lasciarle andare, che con l'intenzione di scrivere qualcosa di leggibile.

Ed ecco che la notte è svanita.

Per mia fortuna si sveglia un cielo coperto, ma non minaccioso. Ripenso alla sciagurata idea di venire a lavoro in Vespa, e valuto l'idea di disfarmi anche di quella. Giocattolo sfizioso ma inutile, e allora faccio l'elenco delle cose che nella mia vita rispondono a queste caratteristiche, chiedendomi quanto ancora posso spogliare la mia vita dai suoi orpelli, potendola chiamare comunque vita.

Da quando sono diventato così?

 
 
 

Irrilevante

Post n°381 pubblicato il 07 Giugno 2015 da lab79

L'ultimo temporale ha sfiorato questa sponda del mondo, di notte. Ma alla fine, per oggi, ha desistito dal suo intento. Domani chissà. Domani magari rivedrò le lucciole, come stasera e come non ne vedevo da anni, inseguirsi a frotte tra il buio degli alberi, apparentemente al sicuro dal mondo.

Quali altri pensieri? Lascio scorrere la notte in mezzo alle dita, intanto che la gente entra e resta qua, intanto che la gente saluta e se ne va. Quali altri pensieri? Il futuro non conta, in questo mondo: c'è solo un'alba che conta e sta per arrivare, c'è solo una notte che passa ed è questa, E' tempo presente che si sgretola senza che nulla possa essere fatto per evitarlo. Il futuro non esiste, in questo mondo. Persino le funzioni di questo lavoro non hanno futuro. Registro documenti che domani verranno archiviati, avvio procedure che domani verranno liquidate, in quel vortice di burocrazia spicciola con cui siamo abituati a scandire i giorni della nostra esistenza.

Non ho piani, né pensieri per il futuro.

(Eppure in fondo al cielo, in un angolo dell'orizzonte che a malapena scorgo, il temporale si abbatte con i suoi fulmini, e le sue nuvole cariche di pioggia. Perché la vita ha una sua storia, che fa a meno della mia, e della quale io sono testimone, e testimone soltanto. E per quanto la mia solitudine possa sembrare ineluttabile, nei confronti del mondo è insignificante)

 

Pearl Jam - Insignificance (Binaural, 2000)

 

 
 
 

In fuga

Post n°380 pubblicato il 01 Giugno 2015 da lab79

La fine del Giro d'Italia e l'inizio del Tour de France sono i veri indicatori dell'inizio dell'estate. La visione della corsa dall'alto dell'elicottero, e il passare dei paesaggi che hanno una storia che in qualche modo si intreccia alle vicende tremendamente umane del ciclismo che una volta l'anno, per qualche istante, sfreccia su quelle strade. Da quando ero ragazzo l'insieme di tutto questo ha avuto il fascino di un sogno agonistico che avrei voluto provare di nuovo, e che non ho mai più avuto l'opportunità di sentire. Non fraintendetemi: la mia non è una passione sfrenata per il ciclismo, sport bellissimo, che però conosco troppo poco. E' proprio il fascino della corsa, che non vive solo di se stessa ma anche del mondo che attraversa. Come se si portasse via un pezzettino della storia del luoghi che percorre, lasciandone in cambio uno più piccolo, che però certe volte può assumere l'aflatto epico di una gloria che va oltre il semplice gesto atletico, per diventare talvolta persino leggenda. 

Ecco, forse è questo il segreto fascino di certi sport. L'andare oltre il gesto, come si suppone debba fare l'arte, alla ricerca di qualcosa di più umano dell'arte che invece anela il divino, qualcosa che resti scritto da qualche parte nella terra, finché ci saranno uomini a leggerlo. Qualcosa che ha a che fare con l'ancestrale ragione dell'uomo che cammina sul mondo, e lo cambia e forse nemmeno sa perché. 

Nel ciclismo inoltre c'è l'epica del viaggio, degli ostacoli da aggirare o persino da scavalcare, titane le montagne che si frappongono fra l'uomo e la sua meta, odissee in sedicesimo alla cui fine il più delle volte non si trova altro che la sconfitta, ma una sconfitta molto più umana, alla quale partecipano tutti tranne il vincitore, che lo resterà per oggi ma già domani, chissà, potrebbe percorrere l'ultimo chilometro della propria gloria, per poi doverla cedere a qualcun altro. E' la fragilità della vittoria che mi affascina, e la fragilità dei vincitori ancora di più. Perchè non è altro che un momento di tregua nell'esistenza dei vinti, che tali sono e tali restano per tutta la vita ad eccezione di un momento soltanto, in cui stravolti dalla fatica attraversano la sottile linea del traguardo, desiderando forse che non ci siano altri traguardi da tagliare. Ma dura un momento soltanto, perché nella vita e nelle corse non esiste un altopiano tanto accogliente da tentarci a restare per sempre.

 

 
 
 

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