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Messaggi di Dicembre 2016

Dei Pregiudizi

Post n°465 pubblicato il 08 Dicembre 2016 da lab79

Sono le 05:40 di mattina, ho poco tempo e ancora meno voglia di stare a pensare. Visto dall'esterno, probabilmente sembro uno di quei vecchi custodi delle biblioteche, polverosi come i libri a cui fanno la guardia, con gli occhiali penduli sulla punta del naso e in mano una matita che pare che stia per finire la propria vita utile, e invece come tutte le matite non finisce mai.

Probabilmente, visto dall'esterno, sembro uno che sta cazzeggiando.

Cosa che è vera, ma non del tutto. Scrivo (Scrivo queste esatte parole mentre dico di scriverle), e lascio caracollare la mia mente tra le pagine del libro che giace sul bordo dlla scrivania, e questa pagina che intanto sembrerebbe scriversi da sola, talmente poca l'attenzione che le presto.

Ma visto dall'esterno, tutto questo non si vede. Forse un osservatore attento noterebbe il continuo ticchettìo della tastiera, cosa insolita se invece si naviga su internet a tempo perso. Un osservatore esterno probabilmente si farebbe un'idea sbagliata di quello che sto facendo.

Ma non per cattiveria: per mancanza di informazioni.

Immaginando che debba per qualche arcano motivo farsi un'idea di quel che sto facendo, probabilmente procederebbe così:

  • Raccoglierebbe mentalmente tutte le informazioni che riesce a mettere insieme
  • Le confronterebbe con uno dei vari schemi mentali precedentemente confezionati, ed ora archiviati nella sua memoria.
  • Confronterebbe la situazione che si presenta ai suoi occhi, e trovato lo schema preconfezionato che più gli somiglia, emeterebbe la sua sentenza:
  • "E' un insospettabile fancazzista"

L'operazione non richiederebbe più di qualche secondo, e probabilmente porterebbe ad una conclusione sbagliata. Dato il risparmio di tempo (e l'utilità della questione), il rischio vale la candela. Certo, avrebbe giudicato per stereotipi, applicando pregiudizi. Ma è proprio a questo che servono i pregiudizi: a risparmiare tempo.

Non è cosa di poco conto. L'evoluzione ci ha dotato della possibilità di fare uso continuo della nostra esperienza, che non è altro che un archivio vago e disordinato di tutto quello che abbiamo incontrato sul nostro cammino. Questo archivio rappresenta un vantaggio in termini di tempo decisionale: se una situazione che affrontiamo somiglia a qualcosa che abbiamo già visto o sperimentato, probabilmente potremmo applicare la stessa soluzione che ha funzionato l'ultima volta. Oppure provarne una nuova, se quella non ha funzionato. Ai fini della sopravvivenza la capacità di decidere velocemente può fare la differenza: valutare quanto in fretta attraversare la strada basandoci sul modello della macchina che si avvicina può sembrare una cosa stupida da fare, ma la verità è che se quella che si avvicina è una Lamborghini è probabile che copra i 500 metri che la separano dal nostro corpicino inerme più velocemente di una Fiat Marea.

Certo, quando parliamo comunemente di pregiudizi pensiamo ad altro: i pregiudizi razziali sono uno degli esempi migliori da trattare sia per dimostrare la loro validità, che per confutarla.

Utiliziamo una situazione tipo: Verso il tramonto, una giovane universitaria attende presso la stazione il treno che la riporterà a casa. Nei pressi, un gruppo di giovani di colore la osserva di sottecchi. A questo punto, avrete notato che nella vostra mente si stanno già formando velocemente delle idee su quel che la ragazza dovrebbe fare (allontanarsi, cercare un posto più illuminato/affollato, ecc.) Il che è curioso, perché vi ho fornito davvero pochissime informazioni perché possiate farvi un'idea di quel che succede. Non vi ho detto per esempio se la stazione sia buia oppure ben illuminata, se sia affollata oppure ci siano soltanto le persone che ho citato. Se si tratti di una stazione in una località isolata, oppure nei pressi di una università. I ragazzi che la guardano potrebbero essere studenti a loro volta, magari suoi compagni di studi. Eppure nella nostra mente si sono messi in moto una serie di meccanismi di difesa, che valutano le poche informazioni ricevute e producono valutazioni veloci ed approssimative, ma non per questo inutili.

Il punto è proprio questo. Il nostro cervello è un meccanismo progettato per fare una cosa soltanto: prevedere il futuro. Per farlo, usa i pregiudizi come scorciatoie strategiche in modo da avere soluzioni pronte a portata di mano, accorciando così i tempi di reazione. Non tutte le scorciatoie portano nei giusti sentieri, e questo spesso dipende dal fatto che le premesse ai nostri ragionamenti (i pregiudizi) possono essere sbagliate. Vuoi per mancanza di informazioni, vuoi per errate convinzioni. I pregiudizi diventano un problema quando questi sono l'unica modalità di risoluzioni dei problemi che sappiamo maneggiare, e questo handicap peggiora se questi pregiudizi non sono aggiornati, o ancora peggio ci sono stati venduti dall'esterno, magari persino con scopi fraudolenti.

In quest'ultimo caso i pregiudizi diventano un problema sociale, in altre parole ci riguarda tutti. Perché siamo in presenza di una persona che non sa "leggere" e interpretare l'ambiente in cui vive, se non in base a convinzioni non sue che però hanno messo radici alla base del suo meccanismo di giudizio della realtà. E' come essere in presenza di un automobilista che non riconosce i segnali stradali o ignora il loro significato, ma guida in mezzo al traffico nell'errata convinzione di saperli interpretare in base a quel che ha sentito dire. E' ovvio che un automobilista di questo tipo rappresenti un pericolo per la sicurezza stradale. Non perché il soggetto in questione possa essere stupido (qui non si mette in discussione l'intelligenza di nessuno), bensi perché non avendo ricevuto l'educazione basilare per vivere nel suo habitat, non sa interpretare e dunque imparare correttamente dalle proprie esperienze. Vive, in pratica, all'interno di un'illusione, nella quale un mondo sbagliato complotta contro la sua sicurezza. Ora, sostituite la parola "Automobilista" del precedente esempio con la parola "Cittadino", e comincerete ad immaginare le conseguenze di questa situazione.

Ad onor del vero, c'è poco da immaginare. Basta guardarsi intorno. Uscendo di casa la mattina, passando dal bar a fare colazione, salendo sul tram. E se stiamo veramente attenti, potremmo notare queste conseguenze ancora più vicono a noi: tra le parole dei nostri amici, di chi siede con noi a tavola all'ora di cena. Nello specchio davanti anoi, quando ci laviamo i denti prima di andare a letto. Nessuno è immune dai danni provocati dall'illusione creata dai pregiudizi. Perché questi sono uno dei meccanismi di giudizio che più spesso usiamo per misurare il mondo: spesso costretti da un ambiente turbolento e spasmodico, in cui ci si chiede di reagire e di farlo velocemente. Viviamo nella cultura del rating: la pressione sociale che ci costringe a dare giudizi e valutazioni su qualunque cosa, il più rapidamente possibile, il più simile possibile a quella dei nostri simili. Pena l'irrilenvanza o peggio l'isolamento dal contesto sociale. E se questo meccanismo viene manomesso, come spesso succede, in modo fraudolento, corriamo il rischio di venire eterodiretti ad uso e consumo di chi ci vende certi pregiudizi, vivendo però nell'illusione di essere liberi ed autonomi.

 

 
 
 

Roma

Post n°464 pubblicato il 02 Dicembre 2016 da lab79

I turisti si scaldano sdraiati sui gradini delle chiese, come i piccioni asciugano le piume al sole autunnale di Roma. Gli uni e gli altri sono ormai impossibili da non immaginare a spasso per le piazze, tra i banchetti dei souvenir e i calendari che ritraggono una Roma mai esistita, se non nei film in bianco e nero di tanti anni fa. Io non sono da meno. Mio figlio siede davanti a me, le cuffie nelle orecchie ad ascoltare incuriosito l'audioguida che pronuncia parole che, per gran parte, gli sono ancora sconosciute. Mi guarda divertito mentre chiede: "Che cos'è un'abside?" a voce troppo alta, ed io sorrido e gli arruffo i cappelli morbidi, prima di rispondergli con le parole più semplici che ho. Ha compiuto tre anni, alla fine di quest'estate. Intanto la città cammina disordinata intorno all'autobus turistico con cui abbiamo scelto di passeggiare, e sembra aliena a tutti i tormenti che dicono si porti appresso. E' nei pomeriggi luminosi d'autunno, come un paio di giorni fa, che riesci a capire perché la chiamino "Eterna". Intuisci dunque che non è un epiteto temporale, forse più una suggestione di intangibilità, ché la città cammina come incurante della storia che l'attraversa e che non si ferma. Ma alla città non importa. Prosegue indolente tra i semafori del lungotevere e i vicoli che circondano Piazza dell'Orologio, in attesa che faccia sera e che i ristoranti aprano accoglienti la masnada di visitatori che si ostinano, nonostante l'estate sia finita, a venire fin qui.

Ed intanto il pomeriggio sposta le ombre dei monumenti sul selciato, e le vecchie pietre parlano tra di loro e nessuno intorno sembra starle ad ascoltare.  I mendicanti si accucciano cenciosi e dignitosi sulle panchine, e noi proseguiamo sempre più stanchi ed insofferenti a mio figlio che si ferma a saltellare tra le pietre antiche.  Il traffico prosegue senza sosta e senza destinazione apparente, e attraversiamo quasi per caso Via del Corso e suoi negozi isterici, Piazza Venezia e i suoi ricordi alteri, l'austero Altare della Patria e i Fori Imperiali, raggiungiamo l'Anfiteatro Flavio e poi saliamo di nuovo sull'autobus, vediamo quasi da lontano la Fontana di Trevi con un gelato in mano, e finiamo quasi per caso a salire la scalinata di Trinità dei Monti nel momento esatto del tramonto. Le gambe stanche ci spingono poi via da lì, alla ricerca infine di un taxi che ci riporti tra i vicoli ormai bui tra Piazza dei Coronari e Via del Governo Vecchio, e anche questo attimo fuggente in mezzo al traffico della sera diventa a modo suo una visita guidata, prima di rifugiarci impigriti da tanta bellezza nell'appartmento che abbiamo preso in affitto, contenti di cenare seduti sul letto davanti alla tv che mio figlio guarda avidamente.

Io non so dare un nome a tutto questo. Non saprei dire se sono stato felice, se mi sono divertito, se ho imparato qualcosa in più dell'ultima volta in cui sono stato a Roma. Ci penso un momento ancora, quando nel buio della sera e ormai sepolto sotto le coperte e la stanchezza mi crogiuolo nel pensiero che si, dopotutto, vorrei vivere così per sempre: nella fuggente sensazione di avere ancora una città da visitare, come se fosse la prima volta.

 

 
 
 

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