Creato da scrittocolpevole il 15/02/2007

LA COLPA DI SCRIVERE

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l'IRONIA DI MIO PADRE di Alfredo Bruni

Post n°5 pubblicato il 15 Febbraio 2007 da scrittocolpevole
 

                       

 

         il soffitto della stanza si abbassava. le pareti si restringevano sempre di più. mio padre stava seduto a destra. mio zio Tony a sinistra. il fuoco al centro, ardeva nel caminetto. ma riscaldava poco. come un caminetto fasullo. io purtroppo ero seduto davanti a loro. e dovevo starci ancora un’ora.

“adesso ti fai chiamare Max?!” disse mio padre.

“quando capita,” dissi io.

“cos’è, un nome latino?” disse mio zio che era stato professore.

“!” annuii con la testa. “non so,” dissi.

squillò il telefono. qualcuno rispose. era Eva. che chiamava dall’altro mondo. convenevoli. i soliti. tuo padre. tua madre. niente di nuovo. unica novità è morto il serpente. è caduto dall’albero con una mela in bocca. in frantumi, in mille pezzi. tutto fasullo, il serpente e la mela. da uno spicchio di soffitto, il sole tentava di entrare. inutilmente. girò ed entrò dalla finestra.

“il lavoro come va?” parlava sempre mio padre. lo zio si limitava a fare l’eco.

“cercano sempre d’incularti.” un’altra stretta al cuore. sempre più piccola diventava la stanza. la fiamma e il sole restarono indifferenti.

“tuo figlio come sta?”

“già, è vero, come sta il piccolino?” fa eco lo zio.

“è giù con la madre, adesso sale.”

passa un minuto. è più lungo dei soliti minuti.

il sole entrava dalla finestra. il piccolino e la madre entrarono dalla porta. anche la nonna caduta in letargo per il diabete, si destò. la nonna si addormentava sempre, dopo un buon pranzo, cioè tutti i giorni.

il piccolino salutò tutti. “nonni, ho vinto una medaglia,” disse.

la nonna: “bravo”.

lo zio: “ma non c’è nemmeno la pergamena!”.

il nonno (mio padre): “una volta eravate in due a vincere medaglie, in famiglia. ma da quando tuo padre si è trasferito, non esiste più”. voleva essere una battuta ironica, come al solito ne venne fuori una battuta mortale.

“vedi, adesso mi conoscono anche in America, negli Stati Uniti,” dissi senza alzare la voce.

nessuno ci fece caso. si sentivano i cervelli che lavoravano come calcolatrici. quanto guadagni? quanto ti considera la gente? quale futuro puoi dare a tuo figlio? quanto, quale, dove, perché! datele voi le risposte se ne siete capaci!

l’aria incominciava a scarseggiare. era normale, col fuoco acceso e quelle calcolatrici al lavoro.

fuori non mi aspettava niente di meglio. ma almeno il soffitto non mi sarebbe caduto addosso.

“anche Giuda era una brava persona,” dissi.

“Giuda, quello del film di Zeffirelli?!” disse mio padre. voleva essere una battuta spiritosa, ma come al solito era una battuta schifosa.

“dove sto adesso, la televisione si vede male.”

“c’era da aspettarselo,” disse mio padre.

“chiama un tecnico,” disse mio zio.

mia madre non disse niente, perché dormiva. ma lei vedeva solo telenovele. e anche la cognata, la moglie dello zio. appunto proprio in quel momento, davano una telenovela e la zia la stava guardando. mia madre continuava a dormire.

erano arrivati al punto esatto in cui Giuda bacia Cristo per tradirlo. era una telenovela religiosa.

se Giuda non l’avesse tradito, a Cristo l’avrebbero ammazzato lo stesso. la storia sarebbe stata uguale. unica differenza:  nessuno si sarebbe mai chiesto se Giuda era in buona fede. una domanda che resterà senza risposta.

io pensavo che Giuda, era un altro di quelli, che c’erano cascati. voleva costruire il partito, per salvare il mondo, Cristo voleva salvare il mondo, abolendo i partiti. tutta qui la differenza. tutti e due hanno fatto una brutta fine.

mio figlio mi aveva chiesto la sera prima – certe volte parlavamo, qualche volta cercavo pure di giocarci – mi aveva chiesto: “perché nasciamo, facciamo tanto per crescere, per apprendere, per costruire una casa, e poi dobbiamo morire?”. è la maestra di religione, e il parroco pure, che terrorizzano mio figlio, con l’idea del castigo. castigo e morte viaggiano quasi sempre insieme. un giorno o l’altro me li inculo tutti e due. non il castigo e la morte, ma la maestra e il parroco.

quando ho fatto la stessa domanda – avevo la stessa età – a mio padre, lui non c’era, era assente. ho dovuto arrangiarmi da solo. dopo qualche anno ho iniziato a farmi le seghe, l’animale s’era svegliato, ma io non ne sapevo niente. ho recuperato negli anni successivi.

non che le risposte che ho dato a mio figlio, gli abbiano tolto i dubbi, ma insomma qualcosa gliel’ho detta. viviamo per lasciare una traccia. se c’è la morte, il mondo deve sopravivere, e noi collaboriamo a farlo. e altre cose così, gli ho detto. ma nemmeno io ero del tutto convinto. se decidessimo di lasciarci morire, verrebbero quelli con la bombola d’ossigeno e il cibo nelle flebo, e ci farebbero resuscitare. lasciarsi morire è sbagliato, ci direbbero, altrimenti chi va a votare.

ecco, questa cosa è così, il fatto di lasciarsi morire, non va bene se la fai da solo. o la fanno tutti, o niente. e poi ci sono i partiti da votare.

comunque io non ne sarei capace. voglio sempre sapere se il giorno dopo piove o c’è il sole. quindi aspetto che venga da sola, la morte intendo. la curiosità è più forte della merda che la società regala a mani larghe. credo che anche mio figlio incominci a pensarla in questo modo.

entrarono i soldati, presero Cristo di peso e lo trascinarono via.

e dai, iscriviti al partito. forza, rinnega quello che hai sempre detto. coraggio, convertiti a noi, ti daremo anche un lavoro. Giuda intanto era scappato. trovò chiusa la sezione del partito. erano andati tutti al processo. allora decise di impiccarsi. tutto per 30 denari, nemmeno un millesimo di quanto guadagna il suo capo!

la nonna (mia madre) incominciò a russare. la cognata la svegliò. mi veniva da scoreggiare, ma dovetti trattenermi.

“adesso che hai deciso di fare?” chiese mio padre.

“fare che cosa?”

“quell’esame per la promozione.”

“quanto mi danno in più?”

“una trentina di denari, meno le trattenute.”

“ci penso. ma prima voglio vedere come va a finire il processo. ho anche spedito un libro l’altro ieri. aspetto la risposta.” il sole bussava alla finestra, voleva svegliare mia madre che aveva ricominciato a russare.

“peccato. tutta quella carta sprecata. e i francobolli,” disse mio padre. voleva essere un’altra battuta. una battuta molto ironica. ma era solo un’altra delle stronzate che produce il mondo. e poi ci lamentiamo che i figli vengono male.

“non avresti tanti problemi, se mi avessi dato ascolto,” disse lo zio che era del ‘18 e cercava qualcuno per la vecchiaia.

“mah!” disse mio padre. proprio in quel momento crocifiggevano Cristo in televisione, dopo una pubblicità di orologi al quarzo. proprio in quel momento la casa incominciò a tremare. il sole si nascose non so dove. la terra si aprì e sprofondammo.

quando ci svegliammo, eravamo dall’altra parte del mondo. ma le case, la società, il paesaggio, tutto era uguale. cambiava solo il fatto che qui la notte era giorno e il giorno era notte. il sole era tramontato. la luna si godeva il gelo della notte. quella era l’ora delle puttane. ci saremmo dovuti abituare.

mi alzai e decisi di andarmene via.

Alfredo Bruni

 

 
 
 
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Un nuovo foglio di letteratura e arte nasce in Calabria, frutto della collaborazione tra Giovanni Spedicati, editore della Mongolfiera, Maria Credidio, responsabile della Biennale di Arte Contemporanea Magna Grecia di San Demetrio Corone, Salvatore La Moglie, scrittore, Gianni Mazzei, narratore, saggista e poeta, Salvatore Genovese, scrittore e poeta, Paolo Pellicano e Alfredo Bruni, de La Colpa di Scrivere.

 

Il comitato dei curatori è composto da: Mimmo Aloise, Alfredo Bruni, Romilda Ciardullo, Salvatore Genovese, Gianni Mazzei, Paolo Pellicano.
 

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