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Perché non divenne barone di Gianni Mazzei

Post n°186 pubblicato il 18 Settembre 2007 da scrittocolpevole
 

Già pregusta, entrando in macchina, di  metterle, appena arrivati in quel luogo appartato, le mani nelle mutandine per sentire l’odore caldo dell’intimità che si apre e chiude come occhio dilatato. Poi lei, con esperti movimenti, passerà, repentinamente, un’energica e voluttuosa carezza, dalla gamba al membro, per saggiarne il turgore, senza farlo esplodere: e avrà allora voglia di toccarle i capezzoli, denudandola della bianca camicetta e sentire l’ardore profondo dei suoi baci.
La macchina, una Alfa Romeo bordeau, sfreccia per le strade cittadine, dirigendosi verso il lungomare, attratta dall’odore della salsedine che inebria alla stessa stregua del chiaro di luna e del respiro profondo del mare: chissà, anche le parti inanimate che ci circondano, che vivono con noi hanno desideri, voluttà, di cose che corrodono con forza e in modo irrimediabile. Come l’amore.
Ora, essa, la macchina che ha sentito i brividi del mare, come l’uomo in cerca di libertà nel gridìo salmastro del gabbiano, si ferma, paga delle sue sgommate che non hanno impensierita per niente lei, la ragazza statuaria, ma anzi l’hanno divertita.
“Anche tu sei irruente e veloce come la tua auto?” gli dice, passandogli la mano sul petto nudo e peloso.
Non risponde egli se non con rapidi gesti che le tolgono la camicetta e ne mostrano un seno, perfetto, tondo, sodo come una pietra.
L’auto si è fermata, senza accorgersene, non nel piccolo spazio prospiciente a strapiombo sul mare a riparo da occhi indiscreti: la foga di lui l’avrà guidata verso case disabitate e quindi ugualmente sicure per il loro convegno, molto prima però del luogo convenuto mentalmente.
Punge l’aria piacevolmente, specie dopo tanti giorni di afflizione del cuore e della mente, per le miserie della politica e gli egoismi degli uomini.
E’ tornato da poco dal Kossovo, per una spedizione umanitaria: distruzione, odio e morte vista con gli occhi, quando, attraversando il ponte sul fiume, una granata ha colto il suo amico a fianco, dilaniandolo e anche la sua carne ha provato schegge vive di dolore e di sangue.
Lei, ora, in questa quiete di città sonnacchiosa e tranquilla dell’opulento mondo occidentale più che un’evasione, un capriccio, è un riaffermare la vita, con rabbia, dolore, come quando, e se ne ricorda all’improvviso, fece l’amore con la sua compagna, dopo anni di distacco se non addirittura indifferenza fisica, la sera in cui venne seppellito suo padre; e fu amore furioso, pauroso come le vertigini della morte e della precarietà di ogni cosa.
Lei lo guarda con occhi curiosi mentre la spoglia e bacia i suoi capezzoli, i suoi seni, duri talmente che a fare pressione su di essi, è la mano a modificarsi e non le sue appetitose e rotondeggianti voluttà.
Dinnanzi all’imprevisto, piccolo o grande che sia, l’uomo tende a disorientarsi, a fermarsi a tirarsi indietro: è come se, non essendo più la vita esprimibile in binari consueti, lei ci sfuggisse di mano e non fosse più gestibile.
Specie in amore, quando l’elemento più consueto per il maschio è il senso del possesso, e quindi del conosciuto per non sentire contrarietà e perplessità che lo possano bloccare.
Stasera egli ne avrebbe già diverse per sentirsi a disagio e non solo per quel seno duro e indistruttibile ai suoi baci e carezze furiose.
Nella sua mente, in modo inavvertito,  mentre egli, aiutato abilmente da lei che intuisce che non è andato mai a donne, le strappa i pantaloni per sentire l’odore forte dell’intimità che arriva fino alla testa, si accumulano granelli di sabbia che offuscano la lucentezza rabbiosa del suo desiderio: le scene di distruzione appena viste in quella parte martoriata del mondo, il luogo dell’incontro che non ha le vertigini a strapiombo del mare, e… alzando lo sguardo, allorché il suo dito è catturato in modo ritmico dalla fica calda di lei, le finestre chiuse di un palazzo che conosce bene, quello del suo professore universitario, di cui in mattinata ha rifiutato di diventare assistente.
“Cazzo… Proprio qui? “ gli scappa di dire, mentre le sue mani, impaurite e ardite da quella  morsa come chele di granchio della intimità di lei che si apre e chiude con ritmo regolare, cercano un varco prima che la sua spada vittoriosa e solenne se ne possa impossessare.
Il suo pensiero, come vento improvviso, ha cambiato direzione e se prima era impetuoso per spingere l’imbarcazione aumentandone velocità e l’ebbrezza dell’approdo vicino, ora crea ostacoli, ne spezza le vele, disorienta l’equipaggio, l’allontana dalla riva sospirata.
“E dove allora, pivello?” fa lei, divertita ma non tanto avvertendo che il turgore del suo membro comincia a scemare. “Se sarai all’altezza, la sodezza del mio culetto potrà conoscere il furore... diciamo” afferma, ormai sconfortata, a lui che sente vuote parole senza avvertire del fiasco ormai imminente in quella che sarebbe dovuta essere una serata di amore.
Il suo membro ha ammainato ormai la sua bandiera, come la mattina  il suo pensiero si era afflosciato di entusiasmo a vedere quella scena, disgustosa e di estrema sottomissione.
Hegel, di cui stava finendo la tesi per il dottorato, gli aveva insegnato che  la mente procede nella sua conquista della conoscenza in funzione della libertà dello spirito, assoluto o personale che fosse: la filosofia per lui, studente proveniente da una zona sperduta del Sud che aveva subito angherie storiche e ancora le subiva nel quotidiano anche domestico tra uomo e donna, voleva dire riscatto, orgoglio della propria indipendenza, camminare a testa alta, con l’unico titolo nobiliare della libertà di pensiero e del comportamento.
Quel professore, presso la cui abitazione l’auto del mancato godimento, si era fermata l’aveva accolto senza etichetta, senza la fredda distanza tra il barone universitario e uno studente, anche se di belle speranze: l’intimità mentale, l’immediatezza del rapporto era stato come vedere lei, sorridente, piena di vita, all’angolo dell’università e che aveva accettato l’invito di lui per un appuntamento che si annunciava piccante come i peperoncini della sua terra che insaporano oltremodo le cose, rendendo appetitose anche quelle che ad un palato raffinato possono far storcere il naso.
Lei era una pietanza divina, mai vista prima e che bisognava mangiare tutta, finanche le briciole, tanto il suo corpo era ingordo.
Come la sua mente era assetata di sapere, era stimolata, emozionata, da quell’ambiente così semplice, così umano, così hegeliano in cui, da studente timido e spaurito, era entrato, attratto e aiutato dal fascino  del professore che ora gli stava chiedendo se volesse fare il suo assistente.
Non doveva fare il suo essere salti di gioia, capriolare come i delfini, toccare il cielo a simile proposta, come  aveva fatto il suo corpo, sbavando, a sentire il sì compiaciuto di quella ragazza, bionda, slanciata, con seni marmorei, rimorchiata pochi momenti fa?
Mente e corpo, anche se con linguaggi diversi ed autonomi, si esaltano in modo assoluto di emozioni supreme e si influenzano, per cui, almeno a lui succedeva così, se era attratto da una mente di donna, come lo sguardo catturato in un pozzo profondamente azzurro, era voglioso di precipitare  tra le sue braccia, a conoscere freneticamente i suoi segreti, anche se il suo corpo non fosse perfetto, sinuoso, abbagliante come la sua mente.
Ed ora, con menti separate e corpi scissi, gli avveniva la  nemesi, il disastro, il flop, tanto più duro per un giovane alla sua prima esperienza.
“Va là, imbranato e frocio” gli ronza ancora nella mente l’espressione sprezzante di lei, mentre apre lo sportello dell’auto, chiama un taxi per  rientrare e guarda con commiserazione quel suo membro ancora fuori, nudo, piegato, come spiga di grano vuota al passare inesorabile del vento.
I suoi seni duri, di pietra, che non si modificavano alle sue carezze vogliose e la sua intimità  che gli aveva catturato il dito, in modo ritmico ed esperto, dinnanzi alla passione del suo corpo diventano freddi, inespressivi, indifferenti, senza quel calore umano che emana una ruga, una smagliatura che sia però animata da un’emozione, da un’attenzione, da un sentimento.
Gli era successo come la mattina: dinnanzi all’apparire improvviso del primo assistente che con fare untuoso, e quasi genuflesso  diceva al professore (e lui accettava, avallava tale rito ed atteggiamento come atto dovuto!) che ormai il capitolo sulla fenomelogia di Hegel era completato, la sua mente si era ritirata, quasi con disgusto nei meandri reconditi per dimenticare tali nefandezze, così il suo corpo di fronte alla bellezza, senza anima di lei.
Quella sera aveva capito una cosa fondamentale: potere, possesso non sono in sintonia con la libertà dello spirito e della mente.
E così la carriera universitaria subì la brusca interruzione come il suo membro verso il segreto giardino di lei.

 
 
 
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IL PIEGHEVOLE

il pieghevole

 

Un nuovo foglio di letteratura e arte nasce in Calabria, frutto della collaborazione tra Giovanni Spedicati, editore della Mongolfiera, Maria Credidio, responsabile della Biennale di Arte Contemporanea Magna Grecia di San Demetrio Corone, Salvatore La Moglie, scrittore, Gianni Mazzei, narratore, saggista e poeta, Salvatore Genovese, scrittore e poeta, Paolo Pellicano e Alfredo Bruni, de La Colpa di Scrivere.

 

Il comitato dei curatori è composto da: Mimmo Aloise, Alfredo Bruni, Romilda Ciardullo, Salvatore Genovese, Gianni Mazzei, Paolo Pellicano.
 

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