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Fuori l'aria sapeva di sera d'estate. Dentro, al primo impatto, si aveva l'impressione di respirare aria fresca, ma era l'umidità a confondermi. Le pareti ne erano intrise. Un infelice contrasto nel mezzo di tutto quello sfarzo barocco fatto di ghirigori dorati, decori nel marmo e paramenti setosi. Anche l'adipe fiera e compatta sotto la casula ricamata lo era. E le finte candele senza cassetta delle offerte, volendo. Tolta e incassata nel muro come una cassaforte. Tutto intorno cartelli con frecce e la parola OFFERTA giallo evidenziatore, a sicurezza che fosse ben visibile. Che fine hanno fatto le candele di cera? Ora per accenderle basta agire su un interruttore e magicamente s'illumina una fiamma di vetro. Erano tutte spente. Mi veniva la voglia di alzarmi dalla panca azionare tutte le levette e dare luce a quelle parole cantilenanti e ripetute come un mantra per inerzia. PadreNostro AveMaria - AveMaria PadreNostro. In tutto quel rituale su e giù dalla rigida seduta in legno graffiato, reso insopportabile dal mal di schiena, cercavo di dare un senso alle parole che echeggiavano fra quelle alte volte dagli affreschi sbiaditi e frustati da crepe. Non ci riuscivo. Mi sfuggivano. Non c'era verso di collegarle fra loro e di farne frasi con senso compiuto. Eppure erano pronunciate nella mia stessa lingua. Eppure ero concentrata. Determinata a dare un senso alla mia presenza in quel contesto a me così estraneo. Invano mi sono sforzata senza falsità alcuna in questo intento. Domandandomi se potesse bastare la consolazione circa la probabilità che solo pochi dei presenti stessero recitando con cognizione di causa. Prete compreso. Per i cui pensieri, nei momenti di misteriose pause in silenzio meditativo, avrei dato anche piu di un penny. Poi finalmente le uniche miracolose parole per me comprensibili e anelate per tutto il tempo. ANDATE IN PACE. Un doveroso segno della croce in rispettoso saluto e di nuovo fuori nella ormai buia e calda serata di questo giorno ormai quasi finito. Una sigaretta accesa sul sagrato e la considerazione che se questo gesto è servito a far star bene un'amica è stato giusto farlo. Anche se la sua utilità lì si esaurisce. Anche se, visto da un'altra prospettiva, potrebbe sembrare l'ora più blasfema di tutta la giornata.
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Al rientro a casa, (protetta da guardie armate), trovi a cena una dozzina di gnocche invitate da un tale che non conosci ma col quale ti senti al telefono una decina di volte al giorno. . . Perchè la storia delle escort è tutta una montatura a/nessuno ha mai parlato del lettòne di putin, bensì del lèttone di Putin, un abitante della Lèttonia in carne ed ossa che Putin è solito regalare ai suoi amici b/il lettone di Putin è un letto a castello, sotto toppo stretto e sopra troppo alto, io soffro di vertigini c/ci dorme sempre Bondi e se portassi qualcuna, sai che scenate di gelosia d/"aspettami nel lettone di Putin" è un risaputo modo di dire che significa "stai lontano da me, almeno la distanza da qui a Mosca". .
. . . by Mauro V. (forVendetta :-) ) . . .
( .... Anch'io .... http://static.repubblica.it/anche-io-ho-firmato/ ) |
. In top e boxer spalmata sul divano . occhi gonfi testa pesante voce di Ciotti e naso di Rubagotti ... Caz.. mi son presa il raffreddore! . E' sabato mattina Le finestre aperte sul cielo nero ventoso Cerco respiro nell'aria fresca e guardo i cartoni . in attesa di riprender conoscenza
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... E quando sono arrivata alla scrivania, e per tutto il giorno, non avrei voluto altro che tornare indietro... alle otto e quindici am, ... al posto in fila che occupavo dietro al pullman fermo davanti al municipio per caricare i passeggeri. Non importa se ero io la prima, proprio dietro l'ingombrante deretano in lamiera di quel bolso bruciastracci.. non importa se poi me lo sarei dovuto tenere davanti a ingolfarmi le nari e la vista. Non importa! L'importante era tornare a quell'istante prima in cui ho deciso, come al solito, di aspettare che non arrivassero auto dall'altra parte e superarlo. Perchè in quell'istante anche il picap in sosta ha deciso di buttarsi sulla strada. E per evitarlo ho stretto al punto da cozzare contro lo spigolo del corrierone smarmittato ormai al mio fianco. FANCULO Probabilmente un altro avrebbe guardato dallo specchietto retrovisore se l'autista faceva dei gesti, anche un calloso dito medio ci stava tutto , e poi comunque avrebbe accostato e sarebbe sceso per constatare i risvolti sulla carrozzeria del proprio mezzo. Io invece, imprecando al ritmo della radio, ho proseguito per la mia strada convinta che il rumore che avevo sentito fosse dipeso dallo specchietto retrovisore inverosimilmente piegato all'interno e praticamente incollato al finestrino. Di contro, nessuno strombazzava e nemmeno i vigili m'inseguivano a sirene in festa.. Poi al lavoro, nel parcheggio, ho capito che mi stavo sbagliando. O non si dava spiegazione a quel tremendo sfregio laterale che nemmeno la polvere, stile correttore sulle occhiaie, ne sfumava o confondeva l'effetto. L'effetto macchina rigata. Se solo avessi potuto tornare indietro... FANCULO FANCULO . . Le carte erano tutte impilate in mucchietti ordinati come le avevo lasciate ieri. Solo mi sembrava fossero lievitate nella notte. Oggi era il quarto giorno di lavoro dall'inizio del mese e, ieri, era dal giorno tre che non mi sedevo a quel tavolo. Le banche non vanno in cassaintegrazione. E hanno continuato imperterrite a sfornare cartastraccia per tutto il tempo. Ma questo il capo non lo capisce. E decide di gestire le assenze in ugual modo, equiparando l'aspetto amministrativo a quello produttivo. Il problema è che di questo passo, quando tornerò a fine mese, potrei avere la meglio su tutto quel cartame solo con un distruggidocumenti. Così prima di uscire, sono passata da Direttoressa e le ho detto: "Ciao, ci vediamo domani. Non timbro ma vengo ugualmente". FANCULO FANCULO FANCULO . Poi ho preso la mia AlPacina e son tornata a casa........ felice della giornata trascorsa
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Mi aspetta Cugina. A casa sua. Una tazza da prima colazione di slavargiato caffè cialoccato nel percolatore e due parole con lei, CuginaJunior - due poppe che alle mie fanno piripì e il telefonino al collo dal bip incantato - e Orlon, l'uomo più inculato del mondo,..quello che invoca gli elettrodomestici e il giorno dopo li trova davanti ai cassonetti in giro per la città, nel tratto dal posto di lavoro al raccordo per casa. ..L'uomo piu succube della catarsi post prandiale che io conosca. ..cui soccombe inesorabilmente ogni volta, abbioccandosi sopra la pelle della frutta nel piatto, seviziata dai mozziconi di sigaretta piantati nella polpa e una mano sulla guancia puntellata da un gomito trafitto da briciole a sostenere una testa ciondolante e deformandogli l'espressione in una stropicciata smorfia ridicola. ..ah!.. dimenticavo l'isterica cagnetta. .. che dal ringhiarmi contro senza tregua è arrivata, in questi ultimi nostri incontri, a leccarmi il piede che penzola dalla gamba accavallata per tutto il tempo che mi trattengo. Sorseggiando brodo nero fumando a profusione e conversando amabilmente con Cugina, l'unica presente nella stanza. .. . Salto sulla bici e vado. Non è ancora proprio buio. Una piacevole arietta accarezza la pedalata e mi da' sollievo persino all'anima. Tanto che per un attimo mi sento addirittura serena. Prendo la strada che passa dalla casa dei parents. E proprio quando sono sotto le loro finestre e sto per buttarci un occhio in un gesto istintivo, un bimbetto con la sua bici mi sbuca davanti all'improvviso, saltato fuori in volata dal palazzo di fronte. Rallento e appoggio le mani al manubrio. Ci guardiamo per un attimo. La sua testa mi arriva al ginocchio. I suoi occhioni scuri sopra una maglietta bianca mi guardano cercando d'indovinare la mia reazione. Allungo il passo lasciandomelo dietro e torno ai miei confusi pensieri. Ma non smetto di sentire alle mie spalle un faticato e ostinato ronzio. Torno a rallentare e giro leggermente la testa. Il moretto è piegato sulla sua mini bici verde e gialla spremuto in una forsennata pedalata nel cocciuto tentativo di raggiungermi. ..e di superarmi. "Stai facendo a gara con me?" .. Mi sorride senza perdere concentrazione nel suo sforzo rispondendomi di si con un cenno della testa. " E gara sia!" Gli ricambio il sorriso e accenno ad accelerare riguadagnando terreno. Lo faccio sgambettare per un paio di pedalate poi torno a rallentare e lascio che mi superi. "Hai vinto tu", gli dico quando mi è in fianco. Ho aspettato di rivederlo sorridere e ho svoltato a destra lasciandolo a sgommare nel piazzale della palestra. |
.. e l'intento represso Non si crede che ultimamente ho una fortuna sfacciata coi parcheggi. Prima o poi tutto questo finirà, ma intanto ne godo i frutti. Così anche questa mattina, come ieri, parcheggio proprio davanti alla clinica, all’ombra dei frondosi alberi che sfrizzicanti nel vento fresco del mattino s’impongono alti sulle strisce a lisca di pesce. Finisco la sigaretta, scendo chiudo e in dodici passi raggiungo le porte a vetri dell’ingresso. Salendo le scale sino a raggiungere il reparto al secondo piano penso che sono più contenta del fatto che questa volta Lui sia ricoverato qui e non in quell’altro ospedale divenuto ormai invivibile, malato e decrepito come i suoi fatiscenti casermoni dalle facciate sfregiate da crepe come rughe, e spero anche riescano in fretta a dimetterlo, sfebbrato e con la ferita che sta dando problemi completamente guarita, in modo da poter tornare alla completa autonomia…..e magari sistemarmi la bici, che dal giorno in cui ho sbattuto il pedale contro il panettone per un dietrofront improvviso, ha il carter rumoroso che ad ogni pedalata si lamenta con quel suono metallico di catena che sfrega. Sembra una vecchia affettatrice a manovella. Arrivo alla stanza e lo vedo arrotolato nel lenzuolo come una mummia, in posizione fetale e con gli occhi chiusi e decido di non svegliarlo. Sto per prendere l’ipod dalla borsa quando mi accorgo che ha alzato la testa nella mia direzione, così tolgo le mani dalla sacca smollando tutto il contenuto e gli sorrido. Ciao.. Pensavo dormissi Come stai? Ho male alle ossa e alle articolazioni e poi il piede è gonfio, lo vedi? Me lo mostra scostando il lenzuolo. Io per tutta risposta chiudo gli occhi strizzandoli in una smorfia di fobico disgusto, decisamente inappropriata ad un’equilibrata donna matura. ….Se lo fossi. Lui ride e scrolla la testa Ma.. Lo sai vero che un giorno la dovrai vincere sta cosa… Sì, lo so.. ma non oggi, dài…. Ritira il piede e si smuove i capelli in quel suo rituale gesto un po’ tic un po’ esigenza, mentre vorrei dirgli che per me è gia una fatica dover sopportare il suo compagno di stanza con quei tubi infilati in ogni cavità disponibile facendolo sembrare un gigantesco boccale di birra dalle mille cannucce. Per fortuna invece Lui cambia argomento e anch’io dimentico i tubicini, le bende e i punti della sua ferita sfuggiti per un attimo a quel non sguardo rifiutato. Gli tengo compagnia per un paio d’ore, chiacchierando e conversando piacevolmente, andando anche a sfiorare argomenti che non avrei voluto prendere in considerazione e che abilmente glisso, come ad esempio, come mai ho litigato con Minù o come va il lavoro. Rimarrei ancora del tempo ma la fame inizia a farsi sentire e devo ancora sbrigare un paio di cose, così gli chiedo se gli va di zampettare un pò e di accompagnarmi sino all’uscita. Davanti alle porte scorrevoli gli offro da fumare ma rifiuta, allora mi avvicino alla guancia per baciarlo e salutarlo. Ciao, allora… ci vediamo domani Sì,..certo…. E cosa fai oggi, adesso che vai a casa? L’amore, babbo. …. Faro’ l’amore per tutto il giorno Mah… le solite cose …. Beh… buona giornata, allora
Ripercorro i dodici passi, raggiungo l’auto metto in moto e parto.
E per tutto il viaggio, accidenti, ho pensato che sarebbe stato davvero bello tornare a casa e fare l’amore per tutto il giorno. Non so come ma mi sono svegliata già con questo assonnato pensiero in testa. Che ha preso sempre più forma e peso col passare delle ore. Appena in casa ho tolto scarpe e vestiti ho aperto le finestre tirato le tende e mi son tuffata a pesce sul divano realizzando che m'era passata la fame. Ho acceso una sigaretta.
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Questa sera sono invitata alla cena dei diciotto di Piccola e volevo confezionare il regalo con un fiore. Mentre mi vestivo per andare dal fiorista cercavo di ricordarmi la festa del mio diciottesimo. Mi venivano in mente altri ricordi di quel momento, come quello di essermi subito iscritta alla lista degli scrutatori, per esempio, o di aver pensato immediatamente alla patente.. ma non riuscivo a riportare la memoria proprio al giorno del mio compleanno, alla festa, a qualche particolare di quel giorno, insomma. Nel tempo speso per appoggiare il regalo vicino alla borsa, infilarmi qualcosa, pettinarmi, cercare gli occhiali da sole, prendere la borsa, la bici, pedalare sino al negozio, realizzare che avevo lasciato a casa il pacchetto, tornare indietro a prenderlo, ripercorrere nuovamente la strada e ancora non ricordavo come caspita avevo festeggiato quel giorno. Il fatto di esser nata in periodo di vacanze estive, spesso ha comportato che non potessi fare una gran baldoria, o non poteva esser condivisa con tutti gli amici perché magari la prima ad esser via da casa ero io. … Più tardi nel tempo sono addirittura arrivata a non celebrarne nemmeno piu’ l’evento. Ma ero sicura che a quei tempi ancora ci tenevo e in qualche modo dovevo per forza aver pensato di festeggiare un giorno che, questo lo ricordo, aveva un’importanza così solenne che ora, comprensibilmente, mi fa solo sorridere. Ma guardandomi con gli occhi della memoria di allora, tornavo a sentire tutta l’emozione per l’ingresso nel mondo degli “adulti”.. La fierezza orgogliosa di aver raggiunto la maggiore età… e l’innocente convinzione di avere il mondo fra le mani ... Lulù dei fiori con le sue veloci dita martoriate dalla manualità formava fiocchi e tagliava gambi e ancora io non mollavo l’osso, scandagliando ogni angolo del passato alla ricerca di un ricordo mentre la guardavo ultimarmi la confezione. Una piccola scatolina racchiusa nel verde delle foglie di una rosa avvolta in tulle colorato. Ho messo tre euro sul bancone, ho preso il fiore, la bici e ho pedalato sino a casa cercando di proteggerlo dal vento. E aprendo la porta, finalmente e all’improvviso mi è apparso un particolare di quel giorno, fisso in uno statico fermo immagine come una diapositiva impressa sulla parete. Ora mi ricordavo! E a poco a poco i momenti sono riaffiorati rilasciando una leggera scia delle sensazioni vissute in quel giorno ormai così lontano… I diciotto vengono e se ne vanno...come è normale che sia..
Ero al mare. Sull’adriatico. Con Scema&PiuScema ed i nostri rispettivi “fidanzati”. Era la prima vacanza in cui dichiaravo ufficialmente in casa di volerla trascorrere con un ragazzo. Ormai ero alla maggiore età, no?.. E ci sarei andata con qualcuno che conoscevano benissimo e del quale si fidavano. Non vedevo problemi di sorta. … E di fatto non ce ne sono stati ..anche se ancora oggi ricordavo ridendo e ancora un po’ stupìta l’infelice uscita in cui Lui si era esibito nel commentare il mio intento di dormire lontana da casa con un ragazzo. “Non so se la Costituzione Italiana prevede che due persone non sposate dividano lo stesso letto..” Esattamente queste parole…. Non ricordo, invece, la mia esatta risposta ma mi aveva meravigliata e divertita nel sentirla uscire dalla sua bocca. … Mai mi sarei immaginata di sentirgli dire una cozzaglia di stupidaggini simili che ero sicura Lui per primo sparasse consapevole di dire cose alle quali non credeva nemmeno Lui. … Va a sapere che gli era preso….. Sarà stato l’immaginarselo, ad avergli causato un corto. Mentre mettevo nell’acqua la rosa per mantenerla viva sino a questa sera, ho anche ricordato che Lei, telefonando all’albergatore suo conoscente, aveva fatto in modo di farmi trovare in tavola, a pranzo, un bouquet di fiori ed una torta. … Non ho ricordato molto altro. Non ho ricordato il regalo di Tarlo e nemmeno quello di Scema&PiuScema. Non ho ricordato il resto della giornata, il gusto della torta e nemmeno il profumo dei fiori…….
…. Solo una vaga sensazione di tiepida amarezza per le deluse aspettative riposte nei grandiosi eventi immaginati per quel giorno……………………. E per quella vacanza.
Il pacchetto invece, nel complesso, non è poi tanto male.
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Misono svegliata a mezzogiorno. E’ quasi sera e ancora devo smaltire la resurrezione. Non era mia intenzione annullare mezza giornata nel dimenticatoio delle ore dormienti ma al suono della sveglia ho deciso di prolungare il sonno che involontariamente mi ha portata sino ai rintocchi del campanile. Sono andata a letto tardi. Ieri sera sono uscita. Anche se poi, non è per quello che ho fatto le ore piccole. In realtà credo che alle undici ero già a formare la nuova conca sul divano di appena qualche mese. Buongustaia mi ha proposto un giro in piazza. Alla fine, gira di qua gira di là, col telefono all’orecchio si accorda con qualcun altro che li avremmo raggiunti. Passiono in arreso silenzio la sua sicurezza nell’intendere telepaticamente la mia buona disposizione a quest’ideona. E taccio anche il disappunto nel sapere che si va nel bar dove lavora Queen. In un attimo mi tornano in mente alcuni frammenti della nostra amicizia perdurata negli anni dall’infanzia a quel giorno di, ormai, una decina d’anni fa quando s’è frantumata in mille schegge di rabbia e lite sul marciapiede di quella strada esattamente di fronte al bar che stiamo raggiungendo. Quel giorno, come due infantili bambine capricciose, dopo un puerile battibecco isterico ci siamo voltate le spalle ognuna col proprio carico d’indignazione e offesa reciproca. Pensavo che il giorno dopo ci saremmo guardate in faccia scoppiando a ridere. Ma il giorno dopo e tutti i giorni a venire, in ogni occasione in cui cercavo il suo sguardo, trovavo in risposta la sua lunga coda di cavallo viola prugna che ciondolante fiera ai miei occhi seguiva il ritmo del suo giro di scatto della testa dall’altra parte. Ci restavo male ogni volta. Ma ogni volta tacevo. Non per orgoglio. Per rassegnazione. Son passati i mesi e gli anni. Incontrandosi sempre meno ma lasciando incostante nel tempo quell’ansia da situazioni sospese e disagio latente che si risveglia ad ogni sporadico incontro e ad ogni puntuale rifiuto di sguardo che Queen mi offre, lasciandomi ogni volta a metabolizzare la disillusa speranza di un incontro per una volta finalmente diverso. Tra un pensiero e un ricordo, mentre Buongustaia parla camminandomi al fianco, mi sfiora l’idea di dirle che non ho tutta quella voglia di andare in quel posto ma non mi va nemmeno né di stare a spiegare né di fare storie così alla fine non dico niente, cercando piuttosto di prepararmi a rivederla. Ormai sarà un anno che non la vedo. Considero che non sarà certo cambiato il suo aspetto.E’ come la Pravo. Immutato nel tempo. L’ultima volta aveva ancora il suo lungo fisico androgino e la sua lunga coda viola prugna legata stretta al centro della nuca. La sua falcata decisa, la sua voce severa, la sua risata sguaiata e il suo pesante trucco da drugqueen. Tolta tutta l’artificiosa artificialità, sarebbe (stata) una bella donna. Siamo intanto davanti al bar. Gli altri occupano due tavoli all’angolo del dehor. Ci avviciniamo e prendiamo posto rubando due sedie al vicino tavolo vuoto. Le consumazioni a metà sulla tovaglia in cotone blu mi ricordano che qui il caffè freddo shakerato è meritevole, offrendomi un’alternativa ad uno sbiadito te’ al limone. Ed è questo che sto dicendo a Buongustaia quando spunta Queen col marsupio al girovita e il piccolo blocchetto delle ordinazioni in mano. Alzo lo sguardo superando il ventre piatto, la sua terza sotto alla maglina e il suo collo dai primi segni di giovinezza andata, arrivando al suo viso da una strana espressione così diversa e così familiare al tempo stesso. Pensandoci ancora adesso, mi rendo conto che ancor prima di realizzare che, come previsto, non mi stava guardando, quello che piu’ mi ha lasciata senza parole è stato decifrare e focalizzare quel non so che di diverso ma di cosi uguale che vedevano i miei occhi nella sua faccia….. Le ordino il mio caffè freddo e lei mi chiede, senza alzare lo sguardo dal foglio, se con liquore o senza. E’ in questo momento che punto tutta l’attenzione sulle sue labbra, influenzata da un goffo modo di parlare che non le riconosco. .. Sembra che abbia dei punti in bocca. E allora capisco. Capisco che il mio smarrimento perso nel suo volto che stento a riconoscerle è da ricercarsi in due gonfie labbra deformi che come due camere d’aria si trasformano in una sgradevole smorfia ad ogni movimento, sconvolgendone l’espressione e la parola. Queen s’è rifatta le labbra! …. Senza riuscire a staccare la vista da quel teso turgido scempio le rispondo che ci vorrei dell’amaretto, nel caffè. ……. E quando già se n’è andata ancora una volta voltandomi le spalle senza degnarmi di un minimo sguardo, ho sempre e comunque davanti agli occhi quei due salsicciotti strabordanti silicone siringato. …… E di tutte le frasi che mi son rimaste come ogni volta serrate fra i denti, tipo “ma sai che son dieci anni che non ci parliamo” o “certo che siamo proprio due sceme, quando cresciamo” o piu semplicemente “vaffanculo, stronza”… la piu’ difficile da tenere a freno prima che mi scappasse tra le parole per favore amaretto e grazie è stata “MaCheCazzoHaiFatto, Oh Deficiente??!!” Le consumazioni le ha portate il cameriere e i soldi li abbiam lasciati agli altri quando, dopo qualche chiacchiera e due o tre risate, siam tornate verso casa. Queen non l’ho piu’ vista. Davanti al cancelletto, salutando Buongustaia, mentre infilo la chiave le dico “ma che cazzo ha fatto, quella deficiente??” …. Non potevo tenerla lì… spingeva dietro gli incisivi come un fastidioso filo d’insalata rimasto impigliato
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