Creato da lost4mostofitallyeah il 04/03/2009
CON QUEL TRUCCO CHE MI SDOPPIA LA FOCE
 

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Messaggi di Ottobre 2016

IV

Post n°283 pubblicato il 27 Ottobre 2016 da lost4mostofitallyeah








L'Astice IV

Salimmo nell'appartamento spazioso che possedeva e fin dall'inizio il profumo di pulito mi prese alla gola. Compresi che era un rimasuglio del passaggio di Gianni. Lui e la sua mania dell'igiene. Si poteva dire che era lui la donna di casa anche dopo che si erano separati da tre anni: passava spesso da lì, facevano occasionalmente all'amore e poi lui si dava da fare a passare a brusca e striglia tutto il luogo, specialmente i due bagni. Era un rupofobo, una persona terrorizzata dalla sporcizia, e agiva di conseguenza. Tanto quanto Francesca era semplicemente ordinata lui era maniacalmente compulsivo e non abbandonava il luogo fino a quando non era splendente e tirato a lucido. Asia riconosceva subito il passaggio del padre e diceva tra il malizioso e il provocatorio: "è arrivato il babbo?" Ma ormai Francesca non ci faceva più caso. Malgrado il divorzio Gianni non era mai uscito veramente da quel bell'appartamento. Con la sua personalità decisa e il suo carattere forte si era imposto anche dopo la ribellione della sua ex moglie. Faceva irruzione in casa con un mazzo di rose e una bottiglia di veuve clicquot, qualche regalo per la ragazzina e tornava a imporsi come il sultano della situazione. La donna lo odiava per questo ma non riusciva a staccarsene; i suoi modi decisi e sbrigativi, il suo cavarsela in ogni situazione avevano fatto in modo che il legame fra di loro non si fosse mai spezzato del tutto. Lei continuava ad avere bisogno di lui: per lavoretti di manutenzione, per inghippi legali e burocratici e, chissà, forse anche per quel po' di amore a cui non si riesce mai a rinunciare. Ci sedemmo in salotto e lei mi versò un bicchiere di tequila insieme a una altro di acqua. Conosceva le mie abitudini ed era quello che ci voleva dopo un viaggio così stressante. Ingollai la tequila d'un fiato e poi il bicchiere d'acqua per attutire il colpo. Non rimpiansi nemmeno l'assenza di sale. Il calore colò nelle vene e mi fece stare meglio, un piacevole senso di quiete si impadronì delle mie membra mentre stavo ancora tutto vestito da viaggio sul divano. Potevo sentire il casino della musica di Asia e della sua amica provenire dalla stanza della ragazza, così come il parlare ad alta voce e lo spostare delle sedie. "Come l'ha presa?" Chiesi, appoggiando il cappello sul canapè. Francesca stava trafficando in cucina con gin e limonata e quando tornò aveva già la risposta pronta: "Oh, certo meglio di me. non la senti? Assomiglia a suo padre. Una lacrimuccia e poi si riparte. Spaventosamente cinica. Considera sé stessa, il mondo là fuori non esiste. Una spaventosa energia rivolta unicamente verso l'interno. Poi si era abituata a vederlo più raramente malgrado lui fosse ancora di casa, e le cose, anche quelle belle, dopo un po' stingono. Sapeva che mi ero vista ogni tanto con Andrea, e questo deve averla spinta a considerare sotto un altro punto di vista il rapporto con il padre genetico: se io mi permettevo delle brevi liaisons anche Gianni diventava uno dei pochi ma comunque acqua passata. Peccato che per me non sia stato così e che ci stia soffrendo come una bestia...Ma cosa fai ancora vestito, con il trolley e tutto? Mettiti comodo, là c'è la tua stanza. Sistemati e poi torna alla luce." Sorrisi e mi trascinai verso il mio provvisorio rifugio. Entrai, ed era una stanza per gli ospiti come si deve. Non troppo spaziosa ma confortevole. Aprii le finestre per il ricambio d'aria, poi mi spogliai e mi inoltrai nella micro doccia per un bagno tonificante. Sotto l'acqua tiepida ebbi di che riflettere a lungo: Una donna spezzata da un amore finito, una figlia che era il ritratto sputato del padre e un vecchio amico appena arrivato per portare il suo conforto laico e fraterno durante il periodo di lutto stretto. Mi sentivo spiazzato e fuori posto, non capivo precisamente quale fosse il mio ruolo e mentre le ultime gocce scivolavano dalla testa decisi mentalmente che non avrei fatto nulla se non osservare e comprendere, ero sicuro che altri avrebbero inscenato la tragedia al mio posto.







(Continua)









 
 
 

III

Post n°282 pubblicato il 24 Ottobre 2016 da lost4mostofitallyeah







L'astice III

Ci scambiammo un rapido bacio sulle guance e lei mise subito in moto per togliersi dal formicaio che brulicava intorno alla stazione e ci infilammo in piazza dei Cinquecento e poi su viale Enrico de Nicola e via Volturno. Dopo un po' eravamo sfuggiti alla strozza micidiale del centro della città eterna. Quando fummo in via XX settembre cominciò a parlare; prima a monosillabi quasi inseguisse una frase coerente da esporre con gentilezza, poi sempre più velocemente, con tutta l'urgenza di chi ha tenuto compresso i propri sentimenti troppo a lungo. "Vedi, Joe, ho saputo della notizia da una sua cugina. Nessuno della famiglia stretta che si sia degnato di avvertirmi. Sono stata trattata peggio di un vecchio calzino e ignorata. Eppure sai quanto ho voluto bene a Gianni, quante ne abbiamo passate nel bene e nel male. Ecco, non meritavo un simile atteggiamento. Un po' di rispetto per quella che era stata la moglie del loro figlio. Non lo nego: mi aspettavo una telefonata da Greta. Non subito, certo, ma con il passare dei giorni, e invece mi ritrovo una chiamata sulla segreteria telefonica che mi avvisa che l'uomo con il quale ho condiviso tanto è morto in un incidente stradale. Il modo peggiore per sapere le cose. Squallido! Assolutamente squallido!" Eravamo sulla via Salaria e Francesca iniziava a piangere, Io sino a quel momento non avevo spiccicato una parola. Ero travolto e stanco dopo tutto il viaggio. Girai la testa di lato per osservarla: i capelli castano chiaro da gorgone, gli occhi azzurri segnati da profonde borse, il visetto affilato e gentile giusto infiacchito da qualche piccola ruga, la bocca minuta ingentilita da un discreto rossetto, gli zigomi regolari e la piccola fronte perfettamente liscia. Mi dava tenerezza. Era bassetta e determinata, e mentre le lacrime sgorgavano dalle sue ciglia alternativamente non smettevo di pensare a quanto le volessi bene. Proprio non riuscivo a immaginarmi in un letto con lei e già vi intuisco lettori, a pormi la fatidica domanda: si può essere giusto amici di una donna con cui si condivide praticamente tutto? Così, immerso nei miei pensieri non mi ero accorto che eravamo arrivati al quartiere africano, dove lei abitava, in via Tripoli. Francesca mise la macchina nel piccolo parcheggio interno del condominio ma non accennò ad aprire la portiera. Non voleva farsi trovare da sua figlia Asia, undicenne in condizioni scarmigliate. Così si ricompose mentre mi lanciava occhiate birichine in tralice, quasi giocasse al vecchio trucco della seduzione. Era un atteggiamento naturale ma che non toccava né lei né me. Semplicemente avveniva ed era parte dell'eterno rapporto fra uomo e donna. Fui Io allora ad aprire la portiera dalla parte del passeggero mentre le dicevo: "Sai bene di non essere mai stata amata dalla famiglia di lui." Erano le mie prime parole e suonavano come un rimprovero. A lei caddero le braccia ma non venne meno la lingua: "Abbiamo combattuto contro tutto e tutti, poi, alla fine, lui ha ceduto. Ancora debbo capire perché si è messo con quella rumena. Voi uomini siete strani: proprio nel momento in cui sembravamo uscire dai guai, scopro che mi ha tradito. Anzi, me lo dice lui, tranquillamente. Sembra quasi che non riusciate a stare in una situazione di stabilità e amore, sentite il dovere di ficcarvi nei guai. Mi piacerebbe capirne la ragione." La ascoltai, poi, appoggiando la testa al finestrino le mormorai: "Si chiama cupio dissolvi. L'uomo rammenta molto bene le sue radici di cacciatore e guerriero e l'abitudine di morire in uno scontro per lui è inveterata. Pace, tranquillità, quiete non significano nulla se paragonati al turbine della pugna, all'adrenalina del rischio, l'uomo è un animale estremamente competitivo, deve conquistare spazi. Ma adesso andiamo. Tua figlia è in casa?" "Dove vuoi che sia? Ha undici anni. L'ho lasciata con un'amica, Petra, saranno nella sua stanza."







(Continua)









 
 
 

II

Post n°281 pubblicato il 18 Ottobre 2016 da lost4mostofitallyeah








L'astice II

Il viaggio fu abbastanza rapido con cambio batticuore alla stazione di Bologna. Tutti a correre per non perdere la coincidenza e maleducazioni assortite, poi la lunga distesa del nastro d'acciaio attraverso le colline toscane e le lievi alture delle campagne laziali. Il clima che si faceva più dolce e l'orizzonte che arrivava a toccare il sole, rimpicciolito come una palla da biliardo. Si poteva persino odorare il mare se si fosse voluto e la città eterna cominciava a dilatare le sue dita grassocce per accoglierci nella stretta. Ricordo l'immensa periferia urbana  ma le luci stavano già calando e quindi si distingueva solo il dipanarsi dei graffiti e delle ruvide casette ferroviarie, nonché il reticolo labirintico degli scambi con il loro inastarsi di precisione. Ho sempre adorato l'arrivo in una nuova città, più di quanto mi abbatta l'arrivederci alla mia origine. Ho un bisogno fisiologico di stimoli e nuove impressioni, caratteri diversi dei popoli e architetture sorprendenti o banali, purché diverse. è la mia maschera d'ossigeno, la mia bombola di scorta che inalo con voluttà e piacere. Non credo a chi mi sussurra che l'uomo si modifica poco nel corso della sua vita e rimane sostanziale prigioniero dei suo primi cinque anni. No...non vi credo. Ho vissuto sulla mia pelle il turbine creato da presenze nuove e inattese, sono stato deragliato da incontri che non avevo messo in conto e piacevolmente incantato da sorprese in forma umana nelle quali non avrei mai sperato a mente lucida. Ritirarsi nel guscio significa abbandonare ogni speranza, incartapecorirsi, lasciare perdere quella che è la prima caratteristica umana: la socialità. Siamo uomini in quanto capaci di cambiare di modificarci ed è un precipuo segno terrestre quello di diventare creta modificabile sotto il tocco altrui. Riconoscere la propria friabilità ed essere pronti a gettare la corazza dei pregiudizi e delle prevenzioni  quando un soffio gentile alita su di noi e ci dona nuova vita. Così ero allestito a sentirmi mentre imboccavamo il giusto sentiero per Roma Termini e, sferragliando, ci accingevamo a concludere la nostra corsa. Quando, fra stridore dei freni e oscillazioni ci apprestavamo a scendere dal convoglio una vibrazione di rapida gioia mi percorse tutto, come all'inizio delle grandi avventure. Ero arrivato! E la babele di quella Metropoli era pronta a rapirmi e ad insegnarmi nuovi, inattesi linguaggi. Scesi con il sole negli occhi malgrado fosse già calato da un paio d'ore. Spinsi il mio trolley con decisione sino a uno degli ingressi dov'ero d'accordo di aspettare Francesca e mi misi in attesa. Concionare di civiltà multiculturale può sembrare tronfio e da tromboni ma in quei momenti ebbi l'esatta impressione di essere al centro di un fuoco dal quale si dipanavano molteplici lingue: sikh, cingalesi, cinesi, giapponesi, nigeriani, ghanesi, marocchini, algerini, pakistani, indiani, filippini, senegalesi, siriani, libici mi ruotavano attorno insieme ad alcune brutte grinte locali e agli usuali tossici in opera di questua. Era tardi e la stazione cominciava comunque ad assumere una grinta poco raccomandabile con il trascorrere di ogni minuto. Non mi allontanavo un attimo dal mio trolley e posavo lo sguardo curioso sui personaggi del crepuscolo che iniziavano a popolare il posto: clochard con i carrelli della spesa, ubriaconi, borseggiatori, pattuglie di polizia, corpi di vigilanza privata, ultimi ritardatari, gruppetti di giovinastri in cerca di rogne e me stesso piazzato come un palo telegrafico poco innanzi ai gradini che digradavano sulla grande piazza colma di clacson. Ad un tratto mi giunse una telefonata che mi implorò di spostarmi verso una tavola calda thailandese alla mia sinistra. Era Francesca e in poco minuti ero al sicuro dentro la sua utilitaria in tripla fila.






(Continua)







 
 
 

I

Post n°280 pubblicato il 17 Ottobre 2016 da lost4mostofitallyeah









L'astice

Gianni era morto. Schiantato con la sua piccola SMART fortwo cabrio sull'Aurelia, Là dove i lavori stradali erano segnalati ossessivamente ma non abbastanza per lui. Aveva preso il volo lungo un dosso e s'era catapultato in mezzo ai campi, schiacciandosi come una scatoletta. C'erano volute sei ore per tirare fuori quello che restava della sua alta e malinconica figura dalle lamiere. Francesca m'aveva telefonato alle quattro di notte mentre sognavo che il mio vecchio paesino era stato invaso dagli extraterrestri. Le avevo risposto insonnolito e intontito mentre lei inondava il pavimento di lacrime e l'aria di singhiozzi. Non riuscì a dire nulla e la lasciai parlare con la voce rotta. Parlava di tutto: che Gianni non era un drogato, che era impensabile un colpo di sonno all'ora dell'incidente etc. etc. La sua tesi, chiara e tonda, era che avesse avuto l'intenzione di suicidarsi e che, alla fine avesse realizzato il suo progetto. Riuscì a interromperla solo dopo quindici minuti di lamenti altissimi: "Ma Francy, non eri tu a dirmi che talvolta tirava pesante di cocaina e che soffriva di deprivazione del sonno?" "Chi?" Urlò di rimando "Chi ti ha propinato simili stupidaggini? OK, gli è capitato (come a tutti) di fare qualche cazzata ma s'era messo in riga negli ultimi tempi. Si dedicava al giardinaggio, allenava una squadra di pulcini di football, Usciva pochissimo e solo per i corsi di liscio." Tutto il passato, più o meno turbolento, era alle spalle. Il Gianni che avevo conosciuto anch'Io era un flebile ricordo del passato. Già il passato. Mentre Francesca insisteva a martellarmi i timpani con il suo giusto dolore  la memoria andava al marzo di tre anni prima, quando, inforcata la freccia rossa ero piombato nella città eterna con il mio bagaglio. Lei e Gianni erano ampiamente separati da due anni, ma, come spesso succede nei grandi amori (o negli amori che non sanno riconoscersi piccoli) continuavano a giocare a rimpiattino. A rincontrarsi, a rimettersi insieme, a lasciarsi, a fare l'amore saltuariamente, a scheggiarsi, odiarsi e amarsi. Io ero reduce da una balzana storia con una ragazza di Lauregno, mezza tedesca, e non mi parve vero di prendere la palla al balzo e fiondarmi verso Roma per liberare il cervello dall'apatia, dalla noia e dall'insicurezza. Sentivo forte il bisogno di ficcarmi nei guai proprio mentre lasciavo dietro la schiena una relazione asfittica e grottesca, fatta di rari incontri e di altrettanto rada felicità. Francesca l'avevo conosciuta su una delle piattaforme per blogger e avevamo legato istantaneamente. Lei era un fiume in piena, un tornado, un uragano tropicale. Io la ascoltavo e mettevo in fila le parole giuste. Mi raccontò tutto della sua vita in dieci minuti di scambi epistolari e poi per altri trenta si dava mazzate in testa per la sua dabbenaggine. "Io l'ho tirato su dalla merda" infieriva sulla tastiera "Poi, un bel giorno, mi ha confessato di avermi tradito con Eva, una mia amica rumena. è scoppiato il macello e l'ho cacciato da casa a calci nel culo strepitando lungo tutte le scale. Nemmeno gli ho dato il tempo di portarsi via nulla che non fosse la sua auto (all'epoca possedeva una opel astra). Ha sgommato ed è scomparso alla mia vista mentre Io crollavo sul divano frantumata. Ma lasciamo perdere le mie magagne, tu che fai nella vita?" Le raccontai del mio lavoro presso il museo del risorgimento a Trento e di come avessi alcuni blog su cui pubblicavo le mie liriche. Ero un tipo tranquillo ma insoddisfatto. Mi occupavo delle scolaresche che giungevano al castello e di regolarne la burocrazia di viaggio. Però ambivo a qualcosa di diverso. Ricordo, allora avevo 37 anni.








(Continua)








 
 
 
 
 

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