Satine Rouge

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Achtzehn und neunzehn

Post n°686 pubblicato il 22 Febbraio 2011 da Satine_78
 

Ovvero: come ti può capitare un'altra volta nella vita (e nello stesso giorno) di incontrare (quasi) per caso uno dei tuoi idoli.

Davos, Canton Grigioni, 11 febbraio 2011, circa le sette e mezza di sera.

Manca poco all'Eisgala.

I cancelli dell'arena aprono alle sette e lo spettacolo inizia alle otto, secondo quanto scritto sul biglietto d'ingresso.
In base ai miei canoni standard, dunque, io dovrei trovarmi davanti all'entrata almeno alle sei e mezza. Le sei sarebbe anche meglio.
Se non si fosse capito, ho una lieve tendenza ad arrivare in anticipo ovunque (pur sapendo che in genere tutti gli altri arrivano in ritardo), figuriamoci ad un appuntamento simile.

Peccato che ci sia un piccolo dettaglio da sistemare: la cena. Fosse per me ne farei anche a meno, ma non posso far morire di fame l'Eroe, che già deve subirsi uno show di pattinaggio.
E che, soprattutto, deve filmare lo spettacolo.

Per non rischiare di arrivare troppo tardi, quindi, calpesto alcuni miei principi morali ed entro in un posto che, in circostanze normali, avrei evitato come il conte Dracula evita l'aglio: il ristorante della società hockeystica di Davos.

Argh! Gli hockeysti che rovinano il ghiaccio con le loro frenate e ti passano di fianco a ducento all'ora rischiando di farti ribaltare mentre stai provando un tre di valzer! Vade retro!
Però il locale è proprio dietro la Vaillant Arena, quindi, mangiando lì (senza mettere troppa fretta all'Eroe, che altrimenti mi tira un centrone - o peggio decide di sabotare la videocamera),  poi posso fiondarmi dentro al palazzo del ghiaccio immediatamente e arrivare quasi entro i limiti canonici stabiliti dalle mie abitudini squilibrate.

La cena è abbastanza veloce (per fortuna! Son già le sette passate, è tardissimo!), scappo abbastanza in fretta dal locale degli hockeysti, giurando che non capiterà mai più di venir meno ai miei principi morali, o che capiterà solo in altre circostanze eccezionali come questa. E poi, mica ero l'unica: il locale era pieno di gente che aveva i bilgietti per l'Eisgala. Con questo, la mia coscienza pattinistica se sta zitta per un po'.

Finalmente si entra.

Ci strappano il biglietto, poi ce lo ricontrollano un paio di volte: in tutti i casi, a svolgere il compito ci sono ragazzini che avranno sì e no quindici anni.
Mi domando se in Svizzera sia legale il lavoro minorile, poi penso a quello che fanno ultimamente le minorenni in Italia e decido di lasciar cadere l'argomento, rilevando che, anche in questo caso, è meglio la Svizzera.

Arrivati davanti alla pista, ci troviamo schierata una guarnigione di zelanti addetti all'accompagnamento degli spettatori al proprio posto: secondo me non ce ne sono così tanti neanche alla Scala di Milano.
In genere, tendo ad evitare di farmi indicare dove devo sedermi:  non tanto perché, dopo aver lavorato in un cinema quattro anni e mezzo, tra file e poltone mi ci so anche orientare, più che altro perché mi reputo abbastanza capace di intendere e di volere per saper leggere una lettera e un numero scritti sul mio biglietto e ritrovarli identici su una sedia in sala.
Qui però sembra che non ci sia modo di svicolare: appena ci avviciniamo, una tipa guarda i biglietti che ho in mano e inizia a blaterare in tedesco mentre ci invita (costringe) a seguirla verso i nostri posti.
Seguiamo la tipa che continua quello che è, a conti fatti, un monologo. Io non rispondo nulla per vari motivi: primo, perché gli svizzeri parlano un tedesco incomprensibile, una specie di lingua a parte, o dialetto, che dir si voglia, secondo perché c'è musica diffusa per tutto il palazzo del ghiaccio, terzo perché c'è in giro gente e quindi casino, quarto, perché il mio tedesco è davvero meno del minimo sindacale. Quindi, in soldoni, non capisco una mazza di quello che sta dicendo.
Quando mi accorgo che siamo vicini ai posti assegnati (ho ancora ben presente in testa la mappa dell'Arena che ho visto su internet quando ho preso i biglietti), la tipa si gira blaterando ancora qualcosa, allora io annuisco e le dico: "Achtzehn und neunzehn", che poi sarebbe "18 e 19", cioè i numeri dei nostri posti.
La tipa sorride felice, neanche le avessi fatto nella sua lingua tutto un discorso filosofico sulla poetica di Goethe. Forse soddisfatta, decide di lasciarci in pace e di tornare indietro per perseguitare qualche altro spettatore. Saperlo che bastava così poco per farla sparire, le dicevo "achtzehn und neunzehn" prima.

Mentre mi sto organizzando per sedermi - Wow, c'è l'opuscolo sullo spettacolo, peccato sia tutto in tedesco - ehi, c'è pure la coperta, ma non fa così freddo, ho visto di peggio - dove metto la borsa? - l'Eroe mi apostrofa così:
"Dai, qui ci penso io, tu vai a chiedere l'autografo a quel signore lì dietro".

Siccome il Neurone Eustorgio è irreperibile dal pomeriggio (probabilmente sta conversando con il Dottor Spock a bordo dell'Enterprise), da quando, cioè, ho incontrato Stéphane Lambiel, non capisco subito: alzo lo sguardo inebetita, vedo una persona che si sposta e mi lascia libera la visuale di altre due persone sedute poco dietro, vicino ad un corridoio che, da quanto avevo già dedotto osservando la mappa dell'Arena, porta presumibilmente agli spogliatoi dei pattinatori (ecco perché ho scelto proprio questi posti!).

Se fino ad un secondo prima pensavo di avere qualche possibilità di un recupero di Eustorgio in tempi brevi, mi devo ricredere: dopo questo colpo, immagino che abbia salutato anche il Dottor Spock e sia andato ad unirsi all'Alleanza Ribelle della Principessa Leia contro il malvagio Imperatore Palpatine.

Senza Eustorgio, continuo a guardare incantata il signore dietro di me.

Evgeni Plushenko.

E stavolta non posso nemmeno avere dubbi sul fatto che sia lui, come mi è successo questo pomeriggio con Stéphane, perché non sono stata io a vederlo per prima, ma l'Eroe.
Io posso anche avere una visione di Evgeni seduto dietro di me, ma l'Eroe, se proprio deve immaginare di vedere una persona di nazionalità russa e con i capelli biondi, presumo che preferirebbe optare per Natasha Stefanenko, quindi sono tranquilla: è davvero lui.

Evgeni è seduto di fianco ad una ragazza bionda, che presumo sia la sua seconda moglie, ha l'aria un po' annoiata - se non scazzata - e si guarda in giro.

Recupero la penna - speriamo che ora scriva al primo colpo - e la Moleskine - perché non trovo mai la pagina con l'autografo di Stéphane? Voglio far firmare Evgeni di fronte! Cazzo, non c'è più, me lo sono sognato... ah, no eccolo!

Stavolta vado da Evgeni a colpo sicuro (e senza alcun dubbio sulla lingua da usare: visto che non so il russo, non ho altra scelta che l'inglese): "Can I have your autograph, please?" (devo averla già detta questa frase, oggi...).
Evgeni firma, la penna scrive (UFF, meno male!), lo ringrazio, lui fa un cenno con la testa e io torno a sedermi al mio posto.

A questo punto, sembrerebbe tutto normale, non fosse altro che io, prima, durante e dopo l'autografo, tremo dalla testa ai piedi e non in senso metaforico.
Avete presente quelle tipe nella pubblicità dei massaggiatori elettonici, quelle alle quali mettono due fasce a rulli sulle chiappe e poi fanno partire il walzer della cellulite? Cioè, loro la cellulite non ce l'hanno, perché sono modelle e non hanno nemmeno bisogno di quei rulli sul culo per rassodarlo, però il concetto è quello: tremo come una di loro, solo che non ho le fasce a rulli sul culo (in compenso ho la cellulite e me ne vanto).

Mi riprendo giusto in tempo per lo spettacolo, controllando però saltuariamente la Moleskine per assicurarmi che i preziosissimi autografi non svaniscano come le scritte fatte con l'inchiostro simpatico. Per fortuna, ho usato una normalissima Bic e quindi ci sono ancora.

Questa è stata davvero una giornata incredibile, da ricordare e raccontare negli anni a venire, per molto, molto, molto tempo.

Mi rimane soltanto un dubbio.

Secondo voi, per compensare una simile doppia fortuna con la C maiuscola avuta nel giro di quattro ore, quanti secoli di sfiga mi toccherà scontare d'ora in poi?

 
 
 
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