Creato da: rivedelfiume il 26/06/2006
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DE PROFUNDIS

Post n°41 pubblicato il 04 Febbraio 2007 da rivedelfiume

Il calcio era uno degli sport più appassionanti del mondo.
Era; chè da noi il rush down è stato inesorabile, uno stillicidio. Dalle plusvalenze ai diritti televisivi, dai passaporti falsi alle telefonate di Moggi & c., un teatrino che ha degradato l'ambiente al punto che abbiamo potuto vedere la scorsa estate. Ma quella era solo la punta dell'iceberg, nascosto alla vista da una improvvida vittoria ai Mondiali. Si è alzata una Coppa sulla tolda del Titanic.
Ma il calcio in sé non è il male. La domanda (retorica) che martella il cervello, in questo tragico fine settimana: abbiamo visto che le società (ed i politici) condannano, ma poi gli stipendi milionari, le campagne acquisti, le cessioni, il merchandising, ecc.ecc. chi li paga?
Chi investe parte (alcuni, buona) del proprio stipendio in abbonamenti, allo stadio, nelle tessere prepagate per il digitale terrestre? Chi compra a carissimo prezzo sciarpe, cappelli e magliette originali? Chi organizza i pullman per le trasferte?  Potrebbe mai il calcio smuovere tutto ciò che smuove senza la "materia prima" umana che gioisce, si incazza, soffre e si ammala nella miglior tradizione dei reality?
Poi, a conferma del fatto, che ad essere marcio è il sistema, ecco -dopo le grida di dolore- il ritorno alla normalità:

ROMA - Niente sospensione dei campionati per il Centro Sportivo Italiano, il Csi, tranne per quei Comitati che hanno gia' aderito all'invito della Figc, dopo la morte del poliziotto a Catania. Su tutti i campi sara' osservato comunque un minuto di silenzio. Il Csi, in una nota, ha portato solidarieta' ai familiari di Raciti e del dirigente calabrese ucciso la settimana scorsa dopo una partita di Terza Categoria. "Il fenomeno nasce pravalentemente da un malessere giovanile. Bisogna lavorare con adolescenti e giovani". (Agi)

Ma quale malessere giovanile, adolescenza, ribellione: la piantiamo di fare i sociologi da quattro soldi? I padroni del calcio, negli ultimi anni, hanno modificato il campionato in funzione dei diritti televisivi, hanno ottenuto dai politici che i loro debiti fossero "spalmati" per evitare la bancarotta (nessuna azienda avrebbe mai potuto godere di tali privilegi), per pagare stipendi scandalosamente spropositati si sono trovati a raschiare il fondo del barile, hanno fatto pagare agli italiani i decoder per il digitale terrestre, così nessuna casa sarebbe rimasta sprovvista -a pagamento- della razione settimanale di serie A e ora cadono tutti dalle nuvole. C'è gente come Mosca e Biscardi che sulle premesse che hanno scatenato la violenza di venerdi ci ha costruito una carriera. E poi ci sconvolgiamo? Non si è mai investito in altro sport che non sia il dio pallone, e nell'ambito del dio pallone quasi tutti i soldi sono gestiti dalla Lega Calcio, che lascia all'enorme panorama dei dilettanti solo briciole. Un ambiente marcio e corrotto, protetto dagli stessi che hanno sigillato città intere, militarizzato stadi, imposto check-point, e tutto per una partita di calcio.
Quegli stronzi che avrebbero dovuto pretendere dal prefetto che la partita non venisse giocata, dov'erano venerdi? Dell'alto rischio si sapeva già, e visto che la gente non si porta bombe carta da casa, evidentemente l'intelligence che monitora la tifoseria organizzata non ha funzionato per niente, e le condizioni di sicurezza minime erano inesistenti.
L’esperienza in tema di ordine pubblico insegna che le manifestazioni a rischio si vietano, mentre le partite sono immuni a divieti.
La questione è che NON si può morire per una partita di calcio.
Il poliziotto, il carabiniere, l'agente è li a fare il suo lavoro, e se è lì insieme a tanti altri suoi colleghi non lo è certo per eccesso di scrupoli, ma proprio perchè le partite sono a rischio, e si sa. E quando uno è impiegato allo stadio sa bene che gli ultras, certi ultras, in determinate condizioni perdono completamente il controllo.  E non c'entra il disagio giovanile, la disoccupazione o l'ignoranza. O meglio, c'entrano, ma in un contesto dove le tragedie sono state troppe, da quando si disputano i campionati.
Una cosa è certa: non si è trattata di esplosione di violenza improvvisa (avevo letto dei timori per questo incontro, non a caso era stato anticipato) ed evidentemente qualcosa nella macchina organizzativa di chi doveva garantire l'incolumità di chi ha pagato il biglietto e voleva solo ed esclusivamente guardare una partita, non ha funzionato.
Non si tratta di addossare colpe ai singoli agenti, ma i vertici, invece di appellarsi ai soliti epiteti che leggiamo ogni qualvolta accada un fatto simile, devono spiegarci come ha fatto un dispiegamento di forze del genere a perdere il controllo della piazza antistante lo stadio (come si è chiaramente visto dalle immagini di Sky Tg 24).
Un mistero.
Non a caso il primo comunicato diramato dalla questura di Catania affermava che “gli scontri non sarebbero scaturiti da contatti tra le due tifoserie”. Suona un pò da "disclaimer", come dire "se gli scontri partono da una fazione violenta, volta solo ad agitare le acque non è colpa nostra".  Ma 10 o 100 "teppistelli"  -sono rimasto sconvolto a sentire certi 15enni- non possono aver messo in ginocchio un reparto intero della squadra mobile. Si parla di 1500 agenti impegnati…..Questo, comunque, sia chiaro, non assolve nessuno, nè giustifica niente, visto che i singoli rispondono ad ordini; e se non compiono violenze ingiustificate, non possono essere colpevoli di una eventuale strategia fallimentare organizzata dai vertici. Ma non ho sentito nessuno azzardarsi a chiedere al questore delucidazioni sull'organizzazione dell'ordine pubblico.
Infine, la reazione dei politici: potranno pure introdurre telecamere, controllo satellitare, ergastoli, esercito, aviazione, schedatura per ogni singolo tifoso; ma forse arrivati a questo punto (e non ci manca davvero molto..) c'è da chiedersi: lo stato di guerra serve a qualcosa? Cambierà il calcio? Non cambierà il calcio, e non cambierà gli ultras. Anzi.
Disintossicazione. Educazione. Rispetto.
E’stato giusto, finalmente, fermarlo questo "campionato più bello del mondo", se necessario anche per sei mesi o un anno, visto che da campioni del mondo non stiamo facendo una figura migliore degli hooligans degli anni 80. Anzi.
E se le società di calcio fallissero, se si trovassero davvero con le pezze al culo, non è detto sarebbe un male. Anzi.

 
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Il Principe sul pisello

Post n°40 pubblicato il 13 Gennaio 2007 da rivedelfiume

Capita di cadere dalla padella alla brace: ma, mentre con la tv accesa puo’ capitare ad ogni botta di spot di imbattersi in una casa irreale italiana, nel web uno non si aspetta di trovare una Casa Reale d’Italia. Invece, c’è. Ed è, nientemeno, che il sito ufficiale di casa Savoia, con tutte le sue sezioni, compresi messaggi alla Nazione firmati dai vari S.A.R. (Principi di Napoli e del Piemonte), comunicati stampa, indicazione degli Ordini Dinastici ed altri ammennicoli vari (tutti aboliti per legge dalla Repubblica Italiana, ovviamente…).

Ma l’icona, quella che troneggia in alto a destra ed assorbe completamente la nostra umile attenzione, è quella di S.A.R. Principe  di Piemonte e Venezia, in compagnia della sua giovane sposa. Il Nostro (non me ne voglia, Principe, ma io associo la sua faccia a quella delle olive che lei sponsorizzava; ma, deformazione culinaria, associo l’idea del sapore delle olive a quello del baccalà, in un piatto gustosissimo. Baccalà con le olive: così il cerchio si chiude con le giuste analogie) è protagonista di una pagina biografica grazie alla quale apprendiamo con gioia ed entusiasmo che “sin da bambino ha potuto contare sulle grandi doti umane, culturali e storiche della Regina d’Italia, Maria Josè, sua nonna, e dei genitori che sono sempre stati al suo fianco con amore, dedizione e supporto. Ed è proprio grazie all’ambiente famigliare unito e colmo di interessanti stimoli verso la crescita, non solo umana ma anche culturale e relazionale, che Emanuele Filiberto ha potuto basare il suo percorso di Principe di Casa Savoia.”

Al che, un maligno ripenserebbe (ma noi non lo facciamo) all’inchiesta di Potenza, e si chiede quali “stimoli verso la crescita” (e di cosa…) possa fregiarsi il S.A.R. padre, quello che per sessant’anni non ha potuto mettere legalmente piede in Italia e che adesso, a seguito delle note vicende giudiziarie, non puo’ allontanarsene…..non ci sono più le mezze stagioni, a volte neppure nella vita,.

Ma andiamo avanti nella lettura: dopo aver appreso che il Principe con le Olive “ha percepito la grande dignità, la regalità, il senso del dovere e di abnegazione” dal Nonno esiliato nel lontano Portogallo (nonno mitizzato al punto che “Lo stesso Re Juan Carlos di Spagna ha dichiarato di essersi ispirato a lui una volta divenuto Re di Spagna”, anche se nella mia ignoranza non credo che re Giancarlo abbia mai firmato leggi razziali o dichiarazioni di guerra) e questo nonostante “l’esilio in cui il giovane principe è stato costretto per trent’anni”: anni in cui, peraltro, con l’animo magnanimo dei Grandi della Storia, l’esilio stesso “ non è stato motivo di chiusura verso il suo paese, bensì è stato uno spunto per trovare modi e metodi sempre nuovi e vincenti per riuscire a trasmettere la propria immagine oltre le Alpi, quasi una sfida verso chi così ingiustamente e anacronisticamente gli negava il “Diritto dei Diritti” ossia la libertà di vivere nella propria nazione”. Chè a me non è mai apparso chiaro perché tutti quelli che sfasciano la Patria sono poi i primi a dichiarare di amarla, o a proclamarsene unici difensori, ma non avendo sangue nobile non lo capirò neppure mai. Ma andiamo avanti, imparando che Olivetto (è gentile, dai..) “è entrato nelle case degli italiani da tifoso della Juventus per divenire con il tempo un simbolo delle tradizioni e dell’amor di Patria”: dovendo scegliere e studiare le mie mosse, da veterointerista mi aggrappo ad aglio e crocifissi (o al limite, in versione country, ad una grattatina là dove non si addice)…Ma, del resto, come non provare, sotto sotto, un po’ di sana invidia nei confronti di chi puo’ vantarsi della “sua passione per la finanza (che) l’ha portato ad abbandonare gli studi universitari in architettura per lanciarsi coraggiosamente nel mondo bancario internazionale. L’acume di finanziere gli ha consentito di creare a soli ventisei anni il primo “fondo di fondi hedge” quotato alla Borsa di Zurigo”. Più che un Principe, un talismano vivente.

Ma è il finale che ha in sé il fascino perverso ed inquieto della morbosità: “Il suo approccio con la Patria è stato entusiastico, e comprendendo i disagi ed i tanti problemi di cui è afflitta, Emanuele Filiberto ha deciso di lanciarsi in una nuova sfida”. Al che uno lo immagina, dato il suo “acume di finanziere”, i suoi “modi e metodi sempre nuovi e vincenti”, impegnato, una specie di Bono regale (anzi, principesco) per trovare, quanto meno, la Pietra Filosofale; invece dobbiamo accontentarci di un suo, peraltro nobile “avvicinarsi agli italiani non solo tramite i media ma personalmente, impegnandosi a trovare soluzioni concrete ai gravi disagi che affliggono il Paese, in modo particolare la gioventù”.

Al che uno ripensa alle prodezze pedofile emerse nella inchiesta a carico di chi gli infuse ”interessanti stimoli familiari  e si pone un qualche dubbio; fortunatamente fugato dall’apprendere che tale impegno consiste nell’aver “fondato l’Associazione Valori e Futuro, con lui sono impegnati un gruppo di amici che credono nei valori fondanti della nostra Italia, la famiglia, il lavoro, l’ambiente, la solidarietà, la cultura e la storia, cercando di rilanciarli e di comunicarli alle giovani generazioni che sentono sempre di più in loro il senso di abbandono e che sono oramai senza punti di riferimento”.
Cosa sta realizzando in concreto questo “gruppo di amici” (un nome, una garanzia: Flavio Briatore)? Secondo notizie pescate qua e là in Rete, “Nel tempo libero, l'insaziabile Filiberto si trasforma in principe-manager e sforna 3mila felpe di lusso (250 euro) su cui riproduce il blasone, la corona e il nodo sabaudi. Se siete da quelle parti, potete trovarle da Biffi a Milano, da Giglio a Palermo, da Leam a Roma, da Russo a Capri. Le ha prodotte la Hydrogen Jeans di Noventa Padovana, l'azienda specializzata in abbigliamento "co.co.pro. oriented", famosa per le felpe Fiat e i capi a marchio Lotus e Lamborghini. Visto il successo del primo flash, per l'estate la collezione Savoia sarà arricchita da polo e giubbotti da vela. Già prenotati - cela va sans dire - da Saks 5th Avenue e Harrod's. " (da Dagospia).
In più, dato il blasone, Olivetto è anche testimonial delle calzature Alexander, marchio che attinge a piene mani dalla biografia del principinom  e che lo descrive in un modo che fa subito simpatia: "Collegio svizzero. Moglie francese. Nobiltà italiana".
Quindi, generazioni di giovini Italiani, sono corsi a buttare a fiume le Playstation, i lettori mp3, i cellulari, i cd dei Greenday o dei rappers, per sostituirli con barattoli di sottaceti, pagine dei settimanali popolari con l’effigie del S.A.R., quel sorriso che pare sempre ben disposto a fornire  interessanti stimoli verso la crescita”. Crescita si, ma del desiderio e  voglia di mollargli un paio di sonori ceffoni: potrebbero anche passare, in un eventuale processo a carico,  come forma di choc terapeutico.
Per il bene di S.A.R. e della Nazione intiera, Isole comprese.

Infine, un consiglio assolutamente spassionato per i vari gruppi antimonarchici sparsi per il mondo: deponete le armi, adottate Emanuele Filiberto, portatelo nel vostro paese e lasciatelo parlare.

Dovrebbe funzionare.

 
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Cacciar via la notte.....

Post n°39 pubblicato il 30 Dicembre 2006 da rivedelfiume

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Sulle bancarelle in piazza, vendono questi amuleti "cacciaspiriti".
Dovrebbero servire ad allontanare spiriti maligni e guai assortiti. Li ho fotografati per voi e ve li lascio qui, in regalo, in modo che ognuno possa essere tutelato contro ogni fatto, evento, pensiero negativo nell'anno che sta arrivando.
Auguri, abbracci e baci a tutti!
 
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Post N° 37

Post n°37 pubblicato il 23 Dicembre 2006 da rivedelfiume

IL PRESEPIO DEI SETTE ANNI
di Achille Campanile


Al presepio Luca cominciava a lavorare parecchi giorni prima di Natale e la preparazione di esso si svolgeva in un'atmosfera di guerra, del tutto in contrasto col carattere idillico della pia bisogna. Le prime scaramucce avvenivano quando, un paio di settimane avanti la Vigilia, si tiravan fuori gli accessori conservati dal Natale precedente. Tutti rotti o malandati. Bisognava far quasi tutto nuovo. Il che dava modo a Luca di tuonare contro il disordine della casa. Dopo di che s'aprivan le ostilità per la scelta del luogo.
I primi anni, questa era caduta su un angolo della stanza da pranzo, ma, in seguito alle proteste della mamma per gli sbaffi di pittura e gli strappi che poi restavano sul parato, il Presepio, snidato e incalzato di stanza in stanza fini in un angolo dell'anticamera dove, a causa della semioscurità del luogo, fu talvolta sommerso dai cappotti dei visitatori; i quali poi se ne andavano bianchi della farina che serviva a far la neve.
Terza operazione bellica: manu militari, Luca requisiva in cucina la spianatoia della pasta, che doveva servire da base al Presepio La cosa non avveniva senza le più alte strida della vecchia e combattiva fantesca, la quale tentava di contender l'oggetto al padrone, in un tira e molla che attingeva momenti d'alta drammaticità. Ciò perché, nonostante Luca assicurasse che, dopo il Presepio, avrebbe restituito intatto quell'accessorio indispensabile per la pasta fatta in casa, a cose avvenute la spianatoia tornava in cucina con una vasta zona verniciata in verde (prati) e irta dei chiodi serviti a fissare ponticelli, alberi e rocce; chiodi la cui sola vista, all'idea d'impastare a mani nude, faceva raggricciar le carni. La vernice verde era percorsa da serpeggianti strisce di vario colore, che rappresentavano le strade di grande comunicazione e i principali corsi d'acqua della Palestina. Ormai su quella spianatoia sarebbero venute soltanto lasagne verdi, a causa della vernice.
Il problema laghi veniva risolto col sistema degli specchietti, da Luca che, novello Paleocapa, riusciva a dotar la regione d'un sistema idrico mirabile. Poiché i laghetti fra il muschio erano di facile e bell'effetto, egli forse ne abusava un po', coi risultato di trasformare la zona di Betlemme e dintorni, notoriamente un po' arida, in una specie di regione dei laghi, quasi una Finlandia. Questo l'obbligava a dar la caccia a tutti gli specchietti di casa e particolarmente a quelli d'una servetta che poi, riuscendo monotona una regione di laghi perfettamente tondi o quadrati, doveva assistere con un leggero pallore alla rottura di quei fragili oggetti, di cui Luca, ridottili a pezzettini, si serviva anche per effetti di cascatelle.
Le rocce erano ottenute con l'acquisto, nella vicina cartoleria, d'un certo numero di fogli d'imballaggio e con l'uso di vecchi giornali che, appallottolati, ammucchiati e ricoperti dei suddetti fogli sapientemente spiegazzati, figuravano le montagne.
Provvedutosi alla sistemazione orografica, non restava che popolare il paesaggio. Come in tutti i Presepi, non era chiara l'ora, in quanto vi si, vedevano contemporaneamente gruppi che gozzovigliavano all'osteria mangiando spaghetti, talvolta con le mani, greggi che pascolavano, pecorelle nel chiuso addormentate, stelle in cielo, qualche donna che lavava i panni nel torrente. " A quell'ora? " direte. A quell'ora.
li Presepio era affollato di strani nottambuli se, come pareva doversi dedurre dalla presenza delle stelle, era notte: persone affacciate alla finestra, una ragazzina che guidava le oche con un giunco, un maialino che grufolava nel trogolo, una vecchia all'arcolaio, un contadino con l'asino, che andava evidentemente al mercato, un arrotino che arrotava, un panettiere che sfornava, un pizzaiolo che faceva pizze.
Insomma, si facevano cose che solitamente si fanno in ore diversissime l'una dall'altra. E tutto, meno che dormire. Quella era una notte in cui non dormiva nessuno, a eccezione di poche pecorelle. C'erano persino comari che conversavano da un balcone all'altro. E, cosa straordinaria, tra greggi e grotte, s'ergeva anche qualche sontuoso palagio con colonne e peristili, ma in parte già allo stato di rudere. Ed antri muscosi, e fori cadenti.
A confonder vieppiù le idee circa ora, contribuiva il contegno dei pastori, dei quali v'era una straordinaria quantità e varietà. Uno con la pecorella sulle spalle, un altro che portava sulla testa una piccola paniera con ricottine, un terzo steso a meriggiare con la siringa o il sufolo sulle labbra, un quarto che, benché per molti altri fosse notte fonda, faceva ostinatamente solecchio con la mano sulla fronte, a 'ripararsi dai cocenti raggi d'un sole, che non c'era.
Non mancavano un cacciatore col fucile e il cane, né qualche cane da solo, acciambellato o abbaiante, né giocatori di carte e di dadi all'osteria, sonatori di fisarmonica, zampognari. Nell'insieme, una specie di notte di San Giovanni.
A mezzanotte i ragazzi portavano in processione il Bambino Gesù, cantando in coro:
Tu scendi dalle stelle, o Re del Cielo, e vieni in una grotta al freddo e al gelo...
Da allora, ogni giorno i re Magi venivano spostati d'un pezzettino, in modo che mettevano esattamente quindici giorni a percorrere da un capo all'altro la spianatoia della pasta, dovendo arrivare all'imboccatura delle grotta sacra il giorno della Befana, coi doni (donde la tradizione dei doni della Befana, da Roma in giù molto più viva che quella dell'albero di Natale).
Disfatto il Presepio, all'indomani della Befana, i pupazzi venivano riposti per l'anno successivo.
La prima volta che fece il Presepio, Luca ignorava che, giusta una diffusa credenza, bisogna poi farlo per sette Natali di seguito, pena le più gravi disgrazie familiari; strano miscuglio di fede e di superstizione. Quando lo seppe, Luca impallidì. Non era un tipo scioccamente superstizioso, anzi non credeva a queste storie e lo proclamava altamente. Ma, dato il gran numero di guai che avevano sempre caratterizzato la sua esistenza, pensava fosse meglio non mettere, come suol dirsi, la salute in questione; meglio evitare. Cosi, continuò a fare il Presepio per sette anni.
La cosa andò liscia per i primi Natali, e precisamente finché egli fu sorretto dall'incondizionata ammirazione dei ragazzi, finché i suoi Presepi ebbero in questi un pubblico entusiasta. Ma, crescendo, essi cominciarono a poco a poco,a restar freddi, di fronte agli specchietti coronati di muschio, alla cometa ritagliata nella stagnola, e a manifestare, pur senza confessarlo, qualche scetticismo, nei confronti del cotone idrofilo e della farina in funzione di neve. Invano il padre cercava di galvanizzarli, di comunicar loro un entusiasmo che ormai non era più sincero nemmeno in lui.
" Guardate com'è bello questo pastore estatico " diceva. Era un'anima d'artista, un esteta e cercava di scoprire il bello anche in umili opere artigiane.
I ragazzi fingevano di ammirare, per fargli piacere, per non disincantarlo nei riguardi del Presepio. Ma alla fine furono costretti a gettar la maschera, si disinteressarono di esso e cominciarono addirittura, a un certo punto, a presenziare con fatica alle solennità familiari.
Cosi il padre, verso gli ultimi dei sette anni, finì per fare il Presepio da solo e quasi pro forma, per un cortese dovere, per non restare con lo scrupolo di non aver fatto tutto quanto fosse in suo potere al fine di scongiurare qualcuno almeno dei guai di cui la sorte gli fu sempre prodiga.
Approssimandosi il Natale, riacciuffava la spianatoia della pasta, ma senza la balda combattività d'una volta. Si capiva che ormai lo faceva a freddo. Ritirava fuori i vecchi pupazzi e li disponeva in fretta, a caso, perfino, molto approssimativamente, tanto per non saltare un'annata, sempre per quella storia dei temuti sette anni di guai. E si videro, talvolta, strani accostamenti: gallinelle nel chiuso e pecore nel pollaio, l'eremita che spuntava dal pozzo, un cammello all'osteria, il mendicante sul tetto, l'arrotino sul balcone e i re Magi nel torrente.
Inoltre, come s'è detto, da un anno all'altro più d'un pezzo si rompeva. Ma ormai visto il disinteressamento dei ragazzi, il padre non aveva più nessuna voglia di comperare pezzi nuovi. Cosi finirono per vedersi in casa Presepi sempre più affollati di pastori zoppi, osti con una gamba sola, o senza braccia; la cometa aveva la coda molto spelacchiata, l'asino l'aveva perduta addirittura, il bue era mutilato d'un corno, si vedevano cammelli a tre gambe e le persone all'osteria invano tentavano di portare alla bocca gli spaghetti, visto che erano senza testa. Di qualche pecora erano rimasti solo mezza pancia, o i quarti posteriori, e San Giuseppe somigliava a San Giovanni Decollato. Insomma, un Cottolengo.
__________________
AUGURISSIMI A TUTTI!!!

 
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La Sposa Americana

Post n°36 pubblicato il 09 Dicembre 2006 da rivedelfiume

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"Cubana" - Werner Seyfert

Quando iniziai a lavorare, l’impatto con Maurizio fu il classico motivo per domandarmi dove fossi finito. Una vita difficile, la sua: di chi, rimasto solo troppo presto, cerca appiglio in chiunque gli possa apparire credibile. Ragazze o donne, neanche a parlarne: cresciuto in paese, per Maurizio erano solo un buco, forse due tirando sul prezzo, da riempire. Cominciavano così le spedizioni serali in città, per comperarsi un po’ di sesso, alternativa alle serate nel cinema a luci rosse o a qualche vhs nelle serate in cui la nebbia fa muro, e non c’è bisogno di torrette e guardie ad impedirne la fuga.
In questo, vitale l’incontro in ufficio con Antonio, vecchio parà un po’ suonato, quello che sembrava, ai miei occhi, aver ispirato Grunf nei fumetti di Alan Ford.
A lui Maurizio doveva molto: la conoscenza col jazz classico, intanto. Cresciuto a pane e America, era diventato un fan di Glenn Miller, di Count Basie, di sir Duke, di Satchmo: quando io gli citavo la “mia” Billie, lui aveva quel sottile disgusto per una cantante “venduta al vizio”; e se arrivavo con Miles Davis sottobraccio, giù critiche, contro chi “aveva spezzato un sogno”.
De gustibus….
Ed il mito americano: i giubbotti alla Elvis, Rambo ed il revisionismo secondo il quale in Vietnam “ci volevano le palle”, o che il fascismo avesse perso la guerra per colpa dei Partigiani che facevano la spia (che poi eventulamente facessero la spia per gli americani, era un concetto troppo sottile per menti così semplici….).
La sua influenza su Maurizio fu tale da spingerli, un giorno, su un aereo per Cuba, paradiso del sesso a buon mercato. Ma mentre Antonio, consapevole di avere le spalle larghe, si limitava alla sua personale palestra dell’ardimento fisico, Maurizio commise un errore imperdonabile, in quel contesto.
L’errore si chiamava Consuelo: conosciuta nel quartiere più popoloso dell'Avana, quello della Piazza della Rivoluzione, dove abitava, in un palazzone popolare di 30 piani.  Fieramente orgogliosa del suo piccolo appartamento, in cui Maurizio si senti’ per la prima volta in vita sua, importante. Coccolato, vezzeggiato, sfamato in tutti i sensi, compreso quello del cibo: dove, mischiando un pesce spezzettato al riso, Consuelo sapeva creare un piatto che al palato di Maurizio sembro’ irresistibile almeno quanto le arti amatorie della cuoca.
Ed i suoi racconti, i sacrifici in costante aumento in tutte le famiglie,  che a Maurizio fecero balenare l’Idea.
Vieni via con me. In Italia. Farai la signora
Cosi’ inizio’ la rincorsa a carte, documenti, procacciatori di carte e documenti, di aderenze per evitare code od ottenere udienza, di qua e di là dell’Oceano, voli, aeroporti chiusi per nebbia o insolazioni e colpi di calore se arrivi vestito pesante, e scoprire il valore intrinseco della banconota come strumento di apertura di porte e portoni ben superiore a qualunque altra chiave.
Poi, l’ultimo ostacolo, l’incontro con la famiglia di Consuelo: mille dollari, due anni abbondanti di stipendio locale in cambio del nulla osta. Alla fine della corsa, cinquemila dollari per comperarsi una sposa.
L’arrivo al paesello, tra gli sguardi invidiosi delle altre spose, indisponibili a qualsiasi confronto fisico che le avrebbe viste perdenti, comunque; ed i maschietti improvvisamente rinvigoriti dalla apparizione, oltre che impegnati ad aguzzare la vista a cercare di indovinare quali delizie riempissero così adeguatamente jeans e maglioncini.
Perchè Consuelo, inutile dirlo, era bella, ma bella davvero. E bella la vita, per Maurizio: via le cassette, basta con l’auto per strada di sera, e chi se ne frega se c’è nebbia. Tanto Consuelo, bella e libera, altro che le altre. Persino più brava: il sesso vissuto liberamente, e senza il senso del peccato, si era rivelato un’arma vincente. Un uomo rinato, simpatico coi colleghi, cambiato anche fisicamente. Coi suoi 18 chili in meno in tre mesi.
Ma….
Sempre attento ai conti, all’occhio di Maurizio qualcosa non quadrava: l’arrivo di un aumento delle entrate di 18 euro – “a titolo assegni familiari”- al mese non giustificava il fatto che, anziché scendere, il conto corrente in posta cresceva. Questo nonostante il frigo fosse sempre pieno di carne pregiatissima e di pesce freschissimo, la dispensa traboccante di pane, torte e dolci, di bottiglie pregiate, chè a Consuelo piaceva bere, possibilmente bere bene. E non da sola.
Così, mentre Maurizio in ufficio approfondiva le circolari e le procedure, qualcun altro approfondiva la conoscenza delle abitudini e della mentalità caraibica, e la dolcezza dei suoi frutti.
Poco importava se al ritorno a casa la gente era passata dagli sguardi invidiosi a quelli commiserevoli, Maurizio era ancora sulle ali dell’entusiasmo. Il “mi saluti la Signora!” con sorriso percettibilmente ironico del farmacista, del macellaio, del bottegaio, del titolare della rosticceria “specialità pesce”, sembrava più un auspicio che uno sfottò.
"Il paese è piccolo e la gente mormora": fino al mattino della fatale comprensione, avvenuta tra i fumi dell’alcool di una festa in ufficio, complice, anzi Mercurio alato, un compaesano un po’ troppo loquace.
Maurizo piombo’ a casa, cosa vuoi che siano due ore di permesso di fronte al dubbio?
Certezza, povero lui: chè il farmacista facesse consegne a domicilio non era proprio frequente.

“Ma cosa ti importa se faccio un po’ di fisico? La alma è tutta tua, solo tua, hombre”.
Che fare?
Il suggerimento di scrivere al giornale non sappiamo come avvenne, ma quella volta la lettera sul “Venerdi” non sfuggi’ a nessuno, compresa la risposta di Aspesi che gli dava, in modo elegante, del fessacchiotto.
Neppure in paese sfuggi’, e i risolini lasciarono il posto alle risate grasse e stronze: chè di fronte al dramma di un cornuto, nessuno osa immaginare quanto male possa starci davvero. Soprattutto quando qualcuno fa le fotocopie dell’articolo e te le incolla in una notte di nebbia sui vetri della macchina.
Amara quella ripartenza per Cuba, nel silenzio, tra uno spintone alla sposa ed un calcio alla valigia. O era il contrario, non lo si seppe mai.
In compenso, fortunosa la scelta di divorziare a Cuba, dopo che la ricerca, presso san Google della Divina Informazione, aveva fatto suggerire al malcapitato che, divorziando in loco, la quota di alimenti da versare sarebbe stata al massimo di 30/40 dollari al mese.
Adesso Maurizio tutti i giorni consulta il cambio euro/dollaro, e ad ogni punto di euro in meno da versare gli si accende un sorriso sinistro. Ha ripreso le sue puntate in città, specialità carne dell’est. Si è abbonato ad una videoteca, e lo trattano coi guanti, ma solo dopo le 23.
E non ha smesso di sputare ogni volta che passa sotto la casa di Antonio: gli ha pure bucato le gomme della Audi, rigato la carrozzeria e spaccato un vetro, in una sera di nebbia.
Senza torrette né guardie.

 
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