Napoli

tutto quello che riguarda la città partenopea

 

CONTATTA L'AUTORE

Nickname: nonsolonero
Se copi, violi le regole della Community Sesso: M
Età: 62
Prov: VE
 

AREA PERSONALE

 

INFORMAZIONE DELL'AUTORE.

Questo blog è creato grazie alle conoscenze dell'autore e alle tante notizie e immagini che egli assume anche dal WEB.

Pertanto, se qualcuno intendesse vietare la riproduzione su "Napoli tutto quello che riguarda la città partenopea" di qualche foto coperta da diritti di copyright, lo può fare segnalandolo alla casella di posta claudiogalderisi@libero.it e sarà immediatamente rimossa.

 

FACEBOOK

 
 

ULTIMI COMMENTI

ciaoooooo
Inviato da: ospite
il 26/02/2020 alle 14:38
 
ciaoooooo
Inviato da: pincociccio
il 26/02/2020 alle 11:23
 
vorrei
Inviato da: pincociccio
il 26/02/2020 alle 11:22
 
ciao
Inviato da: pincociccio
il 26/02/2020 alle 11:22
 

Inviato da: VAMOSAGANAR
il 02/02/2020 alle 03:11
 
 

DAL BLOG DI "BELLA CIAO"

«Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque é morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì  O giovani, col pensiero, perché lì é nata la nostra Costituzione.»

 

'O RANCO.

'O ranco.

L'ata notte 'nu ranco m'ha pigliato
d'int'a coscia 'nu nervo s'è 'nturzato;
e che dolore c'aggiu 'ntiso pe' chillu ranco
aggio ditto: - Obbi' lloco: mò jetto 'o sanghe!

M'aggio stiso a panza a sotto,
m'aggio levato a cuollo 'a cuperta,
sentevo 'o core ca quase me scuppiava,
me stevo fermo e 'o dulore nun passava.

Allora aggio penzato 'e m'aiza'
e buon'aggio fatto, me so miso a zumpa'.
'O dolore, pareva ca se ne steve jenne
mentr'je me mantenevo 'e llucche 'nganne.

E dint''o scuro, piglianno cunferenza c''a nuttata,
ll'uocchie mie, senza vule', una vutata
jettene a guarda' 'ncopp''o comodino
addo' sta 'na fotografia cu' tte che me tenive 'nzino.

Sarrà stato 'o fatto ca me tenive 'ncopp''o core
ma a me se ne ghiuto tutt''o dulore.
Ma n'ato ranco mo' me piglia 'mpietto
ogni vota che me guardo 'sto ritratto.

Claudio Galderisi

 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Giugno 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
          1 2
3 4 5 6 7 8 9
10 11 12 13 14 15 16
17 18 19 20 21 22 23
24 25 26 27 28 29 30
 
 
Citazioni nei Blog Amici: 55
 

'O CIURILLO

Tu si' comm'è nu' ciurillo appena fritto
che 'mmocca è 'ssapurito quando è cuotto
e mentre m' 'o magno e 'o stregno 'mmiez' 'e diente
chiudo 'll'uocchie e penzo a 'tte e so' cuntento.

Ciurillo mio chi si' je nun 'o ssaccio
saccio sulo che te chiammo ammore.
'Na lagrema me scenne 'ncopp' 'a faccia
pe 'stu ciurillo che m'astregne 'o core.

Claudio Galderisi

 

VICINO 'O MARE.

Taggia purta' vicino 'o mare,
addo' se sente addore,
addo' l'acqua pare ca se mette appaura
e j' a murì pe' ncopp' 'a rena.

T'aggia purta' là addo' stanno 'e scoglie
addo' l'acqua sbatte forte
e, jenne annanze e arrete,
'e veste e 'e spoglie.

Te voglio purta' là addo' tira 'o viento
che t'arriva dint' 'e capille
e t' 'e sposta annanz' 'a ll'uocchie
pecché t'ha da fa' dispietto.

Te voglio purta' 'e notte
quando ce sta 'a luna
grossa, chiena e argiento
ca se specchia 'nfaccia a te.

Te voglio purta' 'e juorno
quando ce sta 'o sole
e dint' 'a ll'uocchie tuoje
se vede 'o mare attuorno a me.

T'aggia purta' vicino 'o mare,
t'aggia tene' pe' mmane,
t'aggia dicere ddoje cose
pe nun te lassà cchiù.

Claudio Galderisi

 

FRASI E DETTI 3

Tanti galli a canta' e nun se fa maje juorno.

Indica le difficoltà che si incontrano laddove, in un insieme di persone, anziché far parlare uno rappresentativo di tutti, parlano in tanti. Questo comporta solo confusione e facili contraddizioni fra gli stessi componenti del gruppo.

 

 

Le chiese di Napoli: Santa Teresa a Chiaia.

Post n°216 pubblicato il 19 Aprile 2012 da nonsolonero
 

Arrivando con la linea n.2 della metropolitana e scendendo a Piazza Amedeo, ci si ritrova subito nella piazza di arrivo che si apre signorile ed elegante, in una zona di Napoli sempre molto bella e da visitare. Proprio in Piazza Amedeo, si possono scendere alcuni gradini e ritrovarsi nella breve ma intensa "passeggiata Colonna", centocinquanta metri di negozi raffinati, piante, lampioncini immersi in un vicoletto pittoresco che sbuca in via Vittoria Colonna.

Proprio percorrendo quest'ultima, sulla sinistra, dopo pochi passi, ci imbattiamo in una chiesa monumentale meravigliosa: Santa Teresa a Chiaia.

La chiesa, con l'annesso noviziato dei Carmelitani, venne edificata tra il 1620 e il 1625 grazie al lascito del nobile Rutilio Collasino. In origine venne chiamata Santa Teresa Plaggie o anche Santa Teresa Burghi Plaggie, toponimo che evidentemente faceva richiamo alla posizione del sito, all'epoca molto più vicino al mare di quanto non sia oggi.

Tra il 1650 e il 1662 il complesso venne prima demolito e poi ricostruito con i fondi donati da molti napoletani (tra gli altri la nobildonna Isabella Mastrogiudice e i vicerè Oñate e Bragamonte). I lavori vennero affidati all'architetto Cosimo Fanzago. Altri rifacimenti vennero realizzati nel XVII secolo, in seguito ai danni subiti nel terremoto del 1688 e risale proprio a questo intervento la trasformazione della originaria facciata fanzaghiana in piperno e muratura, con la scala a doppia rampa, che fu coperta da una decorazione a stucco.

La rampa attuale è stata costruita alla fine del secolo scorso, quando il tracciato di via dei Mille troncò il primitivo scalone.

La chiesa è una stupenda testimonianza barocca realizzata su un livello superiore rispetto a quello stradale. L'ingresso è costituito da un portale completamente in bronzo affiancato da due nicchie con all'interno delle statue e sormontate da medaglioni.

La facciata, possiede una ricca decorazione in stucco ed è su tre livelli: nel secondo e nel terzo sono presenti snelli pinnacoli che raffigurano lo sviluppo verticale dell'edificio di culto.

L'interno è a croce greca e sull'altare è collocata la statua della santa alla quale il tempio è dedicato: Teresa. Fu lo stesso Fanzago a realizzare l'opera.

La chiesa è ricca di tele e le principali sono: L'infanzia di Maria, Il riposo dalla fuga in Egitto, San Pietro che appare a Santa Teresa e San Pietro d'Alcantara mentre sta confessando Santa Teresa tutte opere del grande Luca Giordano.

 
 
 

I palazzi di Napoli: Palazzo Como.

Post n°215 pubblicato il 10 Marzo 2012 da nonsolonero
 

Siamo nel XIV secolo e, il mercante napoletano Angelo Como, acquistò alcuni suoli da un certo Francesco Scannasorice e, vi fece costuire la propria dimora. Una dimora che divenne subito un punto di riferimento per la città, per il suo stile, la sua eleganza, la sua architettura.

Oggi, la dimora di cui parliamo, la incontriamo a metà percorso dell'attuale via Duomo, provenendo dalla cattedrale, sulla destra: il suo stile è inconfondibile e non ci si può non soffermare per ammirarla. Il progetto venne affidato ai settignanesi che eseguirono il lavoro su un disegno, si pensa, di Giuliano da Maiano. All'interno vi lavorarono numerosi artisti e operai addetti alla fabbrica che rivestirono le strutture con piperno e marmo.

Dopo una cessione alla chiesa di San Severo al Pendino che lo utilizzò come chiostro della chiesa stessa, Palazzo Como, nel XIX secolo, fu trasformato in una fabbrica di birra dall'acquirente austriaco Antonio Mennel; altri locali dello stesso edificio, furono invece adibiti ad archivio storico del Regno delle due Sicilie.

Poi, per i lavori del risanamento di cui abbiamo già parlato in un post precedente, venne presa in considerazione l'ipotesi di abbattere il palazzo perché era prevista la realizzazione del taglio di Via Duomo. Si opposero in tanti e si optò per lo spostamento dell'edeificio. In pratica, Palazzo Como, fu smontato letteralmente e ricostruito venti metri più dietro, consentendo il passaggio dell'attuale rettilineo di Via Duomo. L'opera fu affidata agli ingegneri Eduardo Cerrillo, Carlo Martinez e Alberto Pedone. Gli interni vennero completamente rifatti e la struttura tutta, guadagnò la posizione centrale e importante che tutt'ora possiede in città.

La facciata è su tre livelli: il basamento, il pianterreno con bugne rustiche e il piano nobile con bugne lisce. Il portale marmoreo è centrato e rende simmetria alla facciata; le finestre sono poste a pendenza diversa e sono adornate da cornici in piperno.

Il cortile rinascimentale interno, da accesso alle scale che portano al Museo Civico Gaetano Filangieri, inaugurato nel 1888.

Gaetano Filangieri junior, principe di Statriano, propose all’allora sindaco di Napoli Girolamo Giusso, di conservare in Palazzo Como le opere di sua proprietà. Il principe donò la sua magnifica raccolta d’arte al comune di Napoli in quarto parte di un progetto di un Museo Artistico industriale ispirato ai più famosi della Francia, dell’Inghilterra e anche a quello italiano di Torino.  L’eterogeneità  delle collezioni, che annoverano oltre 2000 prodotti artistici, più di 10000 medaglie e monete, libri, pergamene e documenti d’archivio, è stata menomata dal bombardamento del 1943, durante il quale buona parte dei pezzi è andata distrutta.

Nei vari ambienti, sistemati ancora secondo la moda tipica degli ultimi anni dell’800, risaltano in particolare la collezioni di armi occidentali ed orientali risalenti al periodo compreso tra il XV e il XIX secolo, pastori,  il busto di Ferdinando IV di Borbone di Antonio Canova, il pavimento risalente al 1882, con gli stemmi e le iniziali dei Filangieri, i dipinti di Bernardino Luini, tra cui “S. Prassede” e quelli dello Spagnoletto, "Testa di San Giovanni Battista”  e “Santa Maria Egiziaca”.

Si annovera, altresì, una meravigliosa collezione di porcellane costituita da 393 pezzi delle migliori fabbriche italiane ed europe e quella di ceramiche provenienti da Meissen, Zurigo, Sevres, Vienna e, ovviamente dalla Real Fabbrica di Capodimonte; sono raccolti, inoltre, ricami e merletti siciliani del XVI secolo e paramenti liturgici del ’600 e del ’700; nel 1984 la collezione numismatica di Filangieri è stata arricchita dai 3280 pezzi della collezione Bovi – Mastroianni.

 
 
 

Lo scalone d'onore del Palazzo Reale.

Post n°214 pubblicato il 28 Gennaio 2012 da nonsolonero
 

Chi visita il Palazzo Reale di Napoli, dopo aver varcato l'imponente accesso, si ritrova prima in un grande cortile a pianta quadrangolare, poi si appresta a raggiungere i piani superiori dove potrà ammirare le meravigliose sale oggi allestite a museo.

Per fare ciò dovrà, per forza di cose, salire i gradini dello scalone d'onore, una meraviglia archirettonica creata grazie all'ingegno di artisti veri e al gioco di luci e colori, di marmi e stucchi, con le aggiunte di statue e sculture, di finestre e lucernari, di archi e volte.

Mentre saliamo, ci soffermiamo sui dettagli e, come spesso capita in queste circostanze, ci chiediamo come si può riuscire in tanta precisione e in tanta bellezza.

Era il 1837: un violento incendio divampò a Palazzo Reale devastandolo. Cosicché, i Borbone decisero di abbattere il vecchio palazzo vicereale e realizzare al suo posto un giardinetto e una serie di grandi vetrate che illuminassero la nuova scala d'accesso al piano nobile.

Il giardino prospiciente Piazza San Ferdinando (l'attuale Piazza Trieste e Trento), fu recintato da una cancellata in ferro e al centro di esso fu piazzata una statua raffigurante l'Italia. il tutto serviva come scenografia allo scalone monumentale così come l'aveva concepito Gaetano Genovese che lo progettò.

In origine fu un altro architetto, Francesco Antonio Picchiatti, a costruire lo scalone ma, fra il 1838 e il 1858, venne modificato appunto dal Genovese con una aggiunta di gusto tardoneoclassico, così come appare oggi.

Egli, aprì cinque vetrate direttamente sul giardino e inserì marmi policromi e statue, incorniciate da stucchi sagomati.

Tutta la struttura, si sviluppa su uno spazio molto più ampio di quello precedente e fu pensata per utilizzarla sia per le funzioni laiche che per quelle religiose. Lo scalone presenta un "invito" centrale e rampe simmetriche e si apre in un ambiente luminosissimo e imponente di ispirazione neoclassica. La scala è in marmo bianco e si sviluppa con una prima gradinata di sagoma ellittica, posta al centro dell'invaso che prima abbiamo definito invito; essa, poi, prosegue con due rampe simmetriche dirette ai due bracci paralleli del vasto ambiente superiore.

Lateralmente, nella parte superiore, stipate in quattro nicchioni, vi sono grandi sculture in gesso che alludono alle virtù del re e della regina: a destra abbiamo le personificazioni della Fortezza e della Giustizia, a sinistra la Clemenza e la Prudenza in vesti femminili.

Non c'è che dire: davvero magnifico. Ci soffermiamo, arrivati su, a guardare di nuovo tutto l'insieme per godere della magniloquente struttura scenografica che si impone per spazialità e luminosità, prima di iniziare a visitare il Palazzo.

 
 
 

Colori, vita e storia di Piazza Carità.

Post n°213 pubblicato il 18 Dicembre 2011 da nonsolonero
 

Oggi, torniamo a passeggiare per una zona storica e centrale della città: ci ritroviamo, infatti, a ridosso di Via Roma e andiamo a guardare più da vicino un'altra importante piazza che interrompe, come altre, il percorso di questa importante arteria. Per chi, ad esempio, mediante la ferrovia circumflegrea o la Cumana, scendendo alla fermata capolinea di Montesanto, attraversa il colorato e vivacissimo quartiere omonimo, si ritrova, poi, ad approdare in una bella e luminosa piazza, Piazza Salvo d'Acquisto, meglio conosciuta come Piazza Carità (o largo della Carità e nel ventennio fascista piazza Costanzo Ciano).

Siamo, come già cennato, nel cuore del centro storico, a ridosso della Pignasecca e dei Quartieri Spagnoli, nonché all'inizio dell'omonimo Rione Carità che venne riveduto nella sua estensione tra gli anni trenta e cinquanta del secolo scorso secondo i piani di rinascita edilizia del regime fascista e della giunta Lauro.

In antichità, questo luogo, era un ritrovo mercatale dove vi si smeciavano prodotti commestibili e questo donava alla piazza, già allora, un'atmosfera sempre viva perché brulicante di persone dedite agli affari e alle merci. Poi, nel '500, fu eretta la Chiesa di Santa Maria della Carità che oggi possiamo ammirare con le fattezze di una chiesa dell'800 perché ristrutturata in quel periodo secondo le scuole di pensiero che allora predominavano.

Nello stesso secolo, il mercato che si svolgeva nella piazza, fu drasticamente ridimensionato per poi essere spostato per lasciare spazio, nel 1887, al monumento dedicato a Carlo Poerio, scolpito da Tommaso Solari. Monumento che, insieme ad altri, fu spostato in occasione della visita di Adolf Hitler a Napoli nel 1938 e collocato in piazza San Pasquale a Chiaia e mai più mosso da lì. Magra consolazione il fatto che la statua si trovi proprio nella piazza in cui termina la via intestata al Poerio.

In compenso, piazza Carità, fu adornata dal discusso monumento ad un altro eroe, Salvo D'Acquisto, opera della scultrice napoletana Lidia Cottone. Questo, venne inaugurato nel 1971 alla presenza dell'allora presidente del consiglio Emilio Colombo. Si decise di rinominare la piazza in onore del vice-brigadiere eroe nazionale, ma la decisione non fu mai ratificata. Per questo molti napoletani, credendo di essere corretti, chiamano ancora oggi erroneamente piazza Carità piazza Salvo D'Acquisto. Bisogna aggiungere che all'eroico e indimenticabile carabiniere, fu intitolata una strada dell'Arenella, tra via Matteo Renato Imbriani e Piazza Enrico De Leva, dove abitava la famiglia.

Comunque, Piazza Carità, nel periodo fascista, subisce grandi rinnovamenti architettonici e altre aggiunte che la resero, poi, molto simile a come siamo abituati a vederla oggi: fu, infatti, eretto il palazzo dell'INA dove sorgeva quel che rimaneva del mercato di commestibili. Altri progetti, prevedevano lì la costruzione del Palazzo della Provincia che, però, fu poi costruito nella vicina Piazza Giacomo Matteotti. Come già cennato, Piazza Carità nel periodo fascista fu intitolata fino alla caduta del triste regime, a Costanzo Ciano, genero del Duce.

Il monumento a Salvo D'acquisto

La prevista fermata della linea 1 della metropolitana che avrebbe avuto lo stesso nome della piazza, in seguito alla variante del percorso che avrebbe portato la linea 1 a piazza del Municipio, venne spostata più a sud, tra Via Toledo e Via Armando Diaz, all’altezza del Palazzo della BNL. Nonostante ciò, la piazza è interessata dalla costruzione di opere tecniche di supporto alla stazione e alle gallerie che la raggiungono. Questi lavori sono stati terminati di recente dopo quasi sei anni, e hanno donato alla cittadinanza una piazza ordinata e rinnovata nell’arredo urbano, già riqualificato in occasione della pedonalizzazione di via Toledo, ma compromesso dai cantieri aperti pochi anni dopo.

Piazza Carità vede incrociare nel suo slargo, oltre a Via Toledo, che la interseca verticalmente, a partire da nord in senso orario, via Mario Morgantini, via Cesare Battisti, costruita nell’ambito del primo risanamento della zona, Via Giuseppe Simonelli. Quest'ultima, anticamente veniva chiamata vico Chianche alla Carità, per via delle chianche (cioè le panche) su cui i macellai esponevano le loro carni. Vi sfociano, infine, via San Liborio e via Pignasecca.

A nord-est, in via Morgantini c’è l’ingresso alla caserma Pastrengo, una volta parte del complesso monastico di Monteoliveto. Ad est il già citato palazzo dell'INA, mentre dall’altra parte della piazza si ergono due importanti palazzi: palazzo Mastelloni e palazzo Trabucco (questo precisamente in via San Liborio), oltre alla Chiesa di Santa Maria alla Carità. Al centro della piazza, sorge l'ormai accettato monumento a Salvo D'Acquisto.

 
 
 

Il passaggio segreto che portava al mare.

Post n°212 pubblicato il 26 Novembre 2011 da nonsolonero
 

Il ventre di Napoli è sempre stato ricco di sorprese che hanno consentito nel corso degli anni, di far tornare alla luce meraviglie dell'antichità, splendide dimore, resti di mura e di strade. Anche i recenti lavori della metropolitana, continuano a subire rallentamenti proprio per questi motivi che, se restano tali, sono motivi più che validi.

L’associazione culturale “Borbonica Sotterranea” ha lavorato per vari anni per liberare dalle macerie e mettere in sicurezza uno dei più suggestivi percorsi sotterranei dell’antica capitale del Regno delle Due Sicilie, proprio dietro Piazza del Plebiscito: stiamo parlando del Tunnel Borbonico. Un percorso meraviglioso che nulla ha a che vedere con gli altri itinerari sotterranei della città.

Per accedere al Tunnel i visitatori passano nella sala di quello che fu fino a poco tempo fa uno studio veterinario. Si avrà modo di vedere nell'ambiente sistemate ancora le gabbiette murate per i “pazienti”. Poi, una scritta indica “Rifugio” e scendendo lungo una scala a chiocciola scavata nel tufo si arriva nel primo grande incavo sotterraneo.



La scala conta novanta gradini; è meravigliosamente lavorata a mano e presenta delle piccole nicchie per le candele. Fu riempita con le macerie dei palazzi bombardati durante la seconda guerra mondiale e oggi è stata rimessa a nudo. Una volta giù si arriva nell'antico percorso dell'acquedotto Carmignano (1627-1629) che rimase in funzione fino a fine ‘800. Si tratta di cisterne immense scavate nel tufo a colpi di scalpello i cui segni sono ben visibili sulle pareti.

Un ferro di cavallo porta fortuna e il giallo paglierino del tufo accolgono il visitatore. Le eruzioni dei Campi Flegrei e il vento che ne trasportarono l'enorme quantità di materiale più di 10.000 anni fa, hanno prodotto l'immensa e consistente presenza di tufo nel sottosuolo partenopeo. La sua resistenza statica è ottima e lo si scava con facilità. Tutte le cisterne sono comunicanti tra loro e verso la superficie grazie ad un sistema di pozzi. Questo intricato sistema sotterraneo era tutto un via vai dei cosiddetti pozzonari, gli addetti alla manutenzione che scendevano nei pozzi aggrappandosi ad una serie di piccoli gradini scavati nelle pareti.



Le cisterne presentano un rivestimento di malta idraulica bianca per impermeabilizzare e per dare più luminosità agli ambienti sotterranei dotati di una luce fioca. Alle pareti vi è ancora qualche traccia dell’impianto elettrico aggiunto quando queste cavità furono trasformate in rifugi antiaerei. Napoli fu letteralmente martoriata dai bombardamenti per via del suo porto. Una bomba, una volta, centrò fatalmente una di queste cavità ed esplose all’interno della cisterna, uccidendo tutte le duecento persone che vi si erano rifugiate.

“NOI VIVI” è la scritta a carboncino a ricordo dei momenti di angoscia durante uno degli allarmi aerei. La data riportata è il 26 aprile 1943, allarme delle 13,20. Oggi è possibile grazie ad un gruppo di appassionati e intraprendenti geologi ripercorrere un tracciato inusuale dove la storia della città è ben visibile.

Ferdinando II, detto il re Bomba a causa della sua stazza massiccia, iniziò delle opere di rimaneggiamento di questa parte del ventre di Napoli al fine di collegare il Palazzo Reale con la Caserma di via Morelli, già via della Pace, e garantirgli una via di fuga in caso di disordini. L’opera, però, restò incompiuta con l’arrivo dei Savoia.

Dopo aver attraversato delle volte degne di una cattedrale di mattoni e tufo, il percorso termina con la visita di quello che fu un deposito giudiziario di automobili. I cimeli arrugginiti sono un’interessante testimonianza della storia della motorizzazione e un sapiente sistema d’illuminazione rende dei rottami degli oggetti affascinanti.

Una lode va, di cuore, a un gruppo di ragazzi che, infaticabili, hanno scavato e ripulito tutto il tunnel e i suoi numerosi ambienti, hanno estratto quintali di rifiuti e macerie varie, hanno risistemato tutto il percorso, ricostruito usando i pezzi originali che rinvenivano durante la ripulitura. Oggi, grazie a loro, Napoli può offrire ai suoi visitatori, un altro grande e affascinante momento di storia e di cultura, nonché qualche riflessione sui tragici momenti della seconda guerra mondiale.

 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: nonsolonero
Data di creazione: 31/01/2007
 
 

ULTIME VISITE AL BLOG

viterboingegneriataiscianando.pironebis.ch.erasmomephydonatellatamburellomaremontytony1956bgiancarlo.fargnoligennarogiordano43adippefedafadorettadgl0kratosdgl11andlivio
 

CHI PUò SCRIVERE SUL BLOG

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 

VOCCA

Vocca rossa comm' 'a 'na cerasa
ca me pare 'nu fazzoletto 'e raso,
vocca che tira 'e vase a mille a mille,
che me fa canta' comm' è n'auciello.

Me faje canta' tutt' 'e canzone,
me faje sentì chino 'e furtune.
Vocca, ca me fa sbattere cchiù forte 'o core
quando me chiamme cu 'na parola sola: ammore.

Claudio Galderisi

 

DINT'A LL'UOCCHIE.

S'je te guardo dint'a ll'uocchie
belli, verdi e chiene 'e luce
je ll'auso comme specchie.

Chillo sguardo ch'è 'na freccia
chelli ciglie senza trucco
dint'o core fanno breccia.

Je te voglio tene' stretta
'e te' voglio sentì addore.

Fino a dimane, senza fretta,
voglio sta' cu tte a fa' ammore.

S'je te guardo dint'a ll'uocchie,
me succede all'improvviso,
ddoje parole nun l'accocchie;

ma me basta nu surriso,
nu surriso cu chist'uocchie
e me trovo 'mparaviso.

Claudio Galderisi

 

A MIO PADRE.

Se n'è gghiuto ormai ca so' nov'anni
e so' nov'anni ca è comme stesse 'cca'.

Se n'è gghiuto suffrenno e cu ll'affanni
'e 'na vita intera passata a fatica'.

Nun aggio fatto a tiempo a salutarlo,
a lle dicere, pe' l'urdema vota, "addio!",

e stu' pensiero pe' mme è comm' 'a nu tarlo
ca fatt' 'o fuosso dint' 'o core mio.

Però dint' 'a 'stu core 'nce stanno pure astipati
tutt' 'e ricordi che maje se ponno cancella'.

'Nce sta' l'espressione tutta mortificata
'e quanno mammema 'o faceva arraggia';

'nce sta 'o sorriso sotto a chillu baffetto
ca te faceva ridere pure si nun vulive;

'nce sta' chill'ommo, anche dal bell'aspetto
ca teneva sempe quanno se vesteva.

E chi 'o ssape mo' overo che me dicesse
si putesse turna' pe' n'attimo a parla',

si 'stu munno accussì fatto lle piacesse
o si se ne turnasse ambresso a parte 'e lla'.

E m'arricordo ancora e chella vota,
je piccerillo, cu 'na pizza mmano, mmiez' 'a via,

isso che diceva: "te vurria fa 'na foto".
Mai 'na pizza fuje accussì chiena 'e nustalgia.


Claudio Galderisi
(19 marzo 2007)

 

FRASI E DETTI.

E chesto te piace 'e fa'.

E' una espressione tipica per sottolineare un comportamento usuale, ancorché ripetitivo, della persona alla quale ci si sta rivolgendo, evidenziandone quindi la tendenza al godereccio a danno di altra attività più redditizia.


Quanno vid''o muorto, passaci che piede pe' 'ncoppa.

Il proverbio mette in guardia dall'essere troppo altruista e consiglia, in circostanze di una certa gravità, di farsi i fatti propri, per evitare di essere accusato ingiustamente.


Rispunnette a copp''a mano...

Espressione che manifesta l'immediatezza di una risposta a tono, durante una discussione.


Quanno si' 'ncudine, statte e quanno si' martiello, vatte.

Il proverbio consiglia di accettare gli insegnamenti e le eventuali sottomissioni quando si è allievi. Se mai si diventerà maestri o insegnanti si dovrà adoperare la stessa grinta nei confronti di altri.


A chisto ce manca sempe 'o sordo p'appara' 'a lira.

Si usa nei confronti di chi non da' mai l'impressione di avere tutto quello che gli serve per portare a termine un qualsiasi progetto.


Attacca 'o ciuccio addo' vo' 'o padrone.

Cerca di accontentare sempre i voleri del padrone.


'Na vota è prena, 'na vota allatta, nun' 'a pozzo mai vattere.

Il detto viene adoperato per indicare l'impossibilità di poter fare qualcosa, per le scuse ripetute e ripetitive, di chi dovrebbe aiutarti nell'operazione.


Fattella cu chi è meglio 'e te e refunnece 'e spese.

L'invito è a frequentare persone che si ritengono migliori di se stessi al fine di acquisirne i pregi e le virtù, anche sostenendo i costi dell'operazione, considerato il sicuro ritorno personale, sotto l'aspetto umano e formativo.


Ogni scarpa addiventa scarpone.

Purtroppo ognuno invecchia e questo, lo si dovrebbe tenere sempre bene a mente.


A chisto ce manca qualche viernarì.

Ci si esprime così nei confronti di chi assume atteggiamenti e comportamenti non sempre ritenuti ortodossi e che consentono, invece, di identificare nel soggetto una certa familiarità con istituti di recupero mentale.


Me pare 'nu speruto 'e carna cotta.

Si dice così di persona che dà l'impressione di desiderare sempre qualcosa, anche quelle che difficilmente può non avere. Si pone quindi in una condizione tale da apparire come un soggetto che vorrebbe avere, non tanto quello che non ha, ma quello che hanno gli altri.


Secondo me, tu si gghjuto ca' capa 'nterra.

Frase che si adopera nei confronti di chi, con il suo comportamento, dimostra di non essere al meglio delle sue capacità psico-fisiche nonché mentali.

 

FRASI E DETTI 2.

So' gghiuto pe' truva' aiuto e aggio trovato sgarrupo.

Lo dice chi, trovandosi in una situazione complicata, cerca conforto in qualcuno con l'intenzione di risollevarsi moralmente. Con sommo stupore scopre, invece, che la persona alla quale si è rivolto vive una condizione ancora peggiore della sua, cosa questa che causa il suo definitivo scoramento.


Chi 'nfraveca e sfraveca nun perde maje tiempo.

Chi si dà da fare nel tentare e ritentare di risolvere un problema o di portare a termine un lavoro, difficilmente impiega male il suo tempo.


S'ha 'dda' mantene' 'o carro p''a scesa.

Bisogna fare adesso dei sacrifici per poter poi raccogliere gli attesi e meritati risultati positivi.


Va e vvene p' 'a sciassa che tene.

Si comporta così, chi è mosso da uno strano e frettoloso andirivieni che non produce nulla di costruttivo. Ragion per cui costui, viene assimilato a chi, in preda a spasmi diarreici, occupa ripetutamente, a intervalli più o meno regolari, la stanza da bagno.


Vott' 'a pretella e nasconne 'a manella.

Si dice di persona birichina e furbetta che riesce a mascherare molto bene le sue malefatte, mimetizzando tutte le eventuali prove che potrebbero incolparlo.

 


'E perzo chesto, chello e Mariastella.

A furia di tirar troppo la corda, spesso si finisce col perdere, sia quello che si tentava di conquistare, che quello che già si possedeva.


Cu 'n'uocchio guarda 'a gatta e cu n'ato frije 'o pesce.

Vale per chi è impegnato contemporaneamente nello svolgimento di due o più mansioni. L'attenzione, ovviamente, risulta ripartita e, di conseguenza, indebolita in ognuna delle operazioni. Questo può comportare un risultato non sempre ottimale o, comunque, non rispondente alle aspettative.


'E vuttato a mare 'll'acqua sporca cu tutt''a criatura.

Espressione limpidissima che si adopera nei confronti di chi, semplicisticamente, affronta un argomento senza utilizzare i dovuti distinguo e, pur riuscendo a individuare ciò che risulta esecrabile, non riesce a dividere da questo ciò che va salvato. Si ritrova il senso di questo detto nell'italianissimo "hai fatto di tutta l'erba, un fascio".


Da quando è morta 'a criatura, nun simme cchiù cumpari.

Lo si usa quando, venendo a mancare alcuni presupposti, si ha l'impressione che, i rapporti intessuti precedentemente con altri soggetti, si siano indeboliti al punto da ridurre drasticamente le frequentazioni fra gli interessati.

 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963