Cronache da Absurdia

Una narrazione a puntate e molto altro ancora

 

 

 

 

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Tutti i marchi, immagini, suoni o animazioni, sono copyright dei rispettivi proprietari. In questo blog ho usato spesso immagini e video prelevati in altri siti o ricevuti via e-mail: se qualcuno dovesse vedere qualcosa di proprio e volesse essere nominato o non volesse vedere il proprio operato qui, mi avverta e provvederò a toglierlo.

 

 

La teoria del complotto di David Icke

Post n°42 pubblicato il 24 Giugno 2009 da panenero
 

 “Quando, alla fine, il popolo si ribellò alle dittature reali e aristocratiche, le famiglie […] entrarono nella politica e in tutte le altre istituzioni di potere, per andare avanti ed espandere il proprio controllo dietro il pretesto di parlamenti “eletti”, di governi, di attività bancarie e commerciali […] Questo genere di controllo nascosto è molto più efficace di una dittatura condotta  apertamente, e il termine “democrazia” viene utilizzato per occultare la vera struttura del potere. Il controllo evidente, una dittatura che si può vedere, ha sempre una vita limitata, perché alla fine ci sarà una contestazione e una ribellione contro di essa. La gente sa di essere controllata e da chi. Il controllo nascosto, che non si può vedere, identificare o prendere di mira, può andare avanti in eterno, se non viene svelato, perché non ci si ribella a qualcosa di cui non si conosce l’esistenza. E’ una prigione senza sbarre, o meglio, senza sbarre di cui siate consapevoli. Le persone che pensano di essere libere non si lamenteranno di non esserlo”.

 

Vorrei che mi diceste che ne pensate di questa “teoria del complotto” di David Icke (persona che reputo molto acuta, fisse rettiliane a parte). Potrebbe esserci un fondo di verità in tutto questo?

 

 
 
 

L'attualità di Spinoza

Post n°41 pubblicato il 17 Giugno 2009 da panenero
 

“Il fine dello Stato è quello di liberare dalla paura, e non di dominare […] Lo Stato dovrebbe essere laico, e dovrebbe essere garantito il diritto a vivere la fede come un fatto esclusivamente privato, interiore. Gli unici veri obblighi sanciti dalla Bibbia sono la pratica della giustizia e l’amore per il prossimo; gli articoli di fede sono solo strumenti del potere per indurre all’ubbidienza le masse”.

 

- Baruch Spinoza    

 
 
 

Respira Hans, respira

Post n°40 pubblicato il 14 Giugno 2009 da panenero
 

Avevo affittato una camera all’hotel Presidential. Quarto piano, stanza n° 418. Dalla finestra potevo comodamente tenere sotto controllo i movimenti del mio obbiettivo, il transessuale amico della Controsenso che conta. Abitava nell’attico del palazzo di fronte.

Era da due giorni che osservavo i suoi spostamenti; annotavo scrupolosamente orari di entrata e di uscita. Mi sembrava di essere tornato a scuola. Eseguivo i miei compiti con costanza e diligenza.

Il tipo si alzava non prima di mezzogiorno, e alle due del pomeriggio iniziava a “ricevere”. Dava il via alle danze, insomma. Nel suo appartamento era tutto un gran andirivieni di gente altolocata, top manager in completi da cinquemila MUR [la Moneta Unica Regionale. Un MUR corrisponde a circa un Euro; N.d.A.], banchieri, uomini in vista, faccendieri vari. A volte anche qualche donna. Samantha si concedeva una piccola pausa intorno alle diciannove/diciannove e trenta. Poi usciva. C’era sempre un’auto blu che lo aspettava sotto casa. Lui ci saliva sopra, andava a fare qualche “visita a domicilio” e non tornava mai prima delle cinque del mattino.

Non era un bersaglio facile. Il palazzo in cui abitava, un grande edificio dalla ricca facciata neo-rinascimentale, disponeva ovviamente di un servizio di portineria attivo ventiquattro ore su ventiquattro.

O lo stendevo lì, sul marciapiede, non appena scendeva dalla macchina, oppure mi toccava escogitare un modo per intrufolarmi fin dentro il suo appartamento, magari approfittando di un momento di distrazione del custode. L’idea di chiedere un appuntamento in qualità di “cliente”, invece, non mi sembrava particolarmente buona. Quella di Samantha era una clientela selezionata: non conoscendomi, avrebbe probabilmente rifiutato l’incontro.

No, non era per niente un “lavoro” facile. Anche perché il palazzo in cui abitava era dotato di telecamere di sorveglianza, sia all’interno che all’esterno. Agire di giorno era praticamente impossibile, una vera follia. Un suicidio. La zona era parecchio frequentata. Come ogni quartiere chic in ogni angolo del globo, del resto. Di giorno erano i fashion victims a farla da padroni: il viale alberato lungo cui era ubicato il Presidential era pieno zeppo di negozi di abbigliamento che vendevano le ultime collezioni delle firme più esclusive della moda. Quando calava il sole, poi, erano i molti localini di tendenza, ristoranti, pub e pizzerie, ad attirare fiumi di persone.

Stacco gli occhi dal binocolo: sono le sette di sera e, puntuale, Samantha sale sull’auto blu che è venuta a prenderlo.

Mi è venuta fame. E mi sento stanco. Molto stanco. O meglio, stufo. Stufo di questo lavoro di merda. Di questa vita.

E’ strano, non mi era mai capitato prima. O quantomeno, non con la stessa intensità.

Mai come ora mi sono sentito così prossimo ad abbandonare la mia professione. A farla finita con tutti questi cadaveri, e magari anche con questa società insulsa. Sì, vorrei chiudere con il mondo intero. In fondo, mi basterebbe infilarmi in bocca la canna della pistola e premere il grilletto. Puntare la mia fidata Wolfen .38 contro me stesso, contro il suo padrone! No, me ne mancava il coraggio!

Ebbene sì, ero costretto ad ammetterlo: era molto più facile uccidere che uccidersi.

Però ero anche stufo di respirare l’odore del piombo, di sentirmi addosso, sulla pelle, l’appiccicaticcio del sangue della vittima di turno.

Le mie vittime, già. A quanto ammontavano, ormai? Non avrei saputo dirlo con esattezza; era da tempo che avevo perso il conto.

C’era stato quel tale, quel ricco industriale dell’Est che, resosi conto di essere ormai prossimo a morire, mi aveva supplicato in ginocchio di lasciarlo vivere, di risparmiarlo. Disse anche che se non lo avessi ucciso mi avrebbe ricoperto d’oro. Gli risposi che era un po’ tardi per le trattative. Si mise a piangere come un bambino. L’odore acre del piscio aveva aggredito le mie narici. Se l’era fatta addosso per la paura e io, in un impeto di bontà, decisi di non prolungare oltre le sue pene e premetti il grilletto.

Poi era stato il turno di quella soubrette che aveva cercato di lusingarmi con il sesso: veramente una bella ragazza, non c’è che dire, ma io ero agli inizi della mia carriera, e avevo bisogno di soldi.

Ne sono seguiti molti altri: alcuni neppure me li ricordo, altri invece sì, ma in modo confuso, indistinto.

L’unico che ho ben presente, e che probabilmente non dimenticherò mai, è quell’uomo che uccisi a Sbando [ricca cittadina industriale di Absurdia; N.d.A.]: accadde nella sua villa, davanti agli occhi sgomenti dei suoi due bambini piccoli. Il tipo assomigliava in maniera impressionante a mio padre. In quell’occasione commisi uno sbaglio, un grosso sbaglio: pensavo che i marmocchi si trovassero con la ex-moglie della mia futura vittima, e invece erano lì, con lui. Avevo fatto male i miei calcoli, ero sempre strafatto, a quell’epoca, e avevo confuso il sabato con la domenica. Ma ormai ero in ballo, e mi toccava ballare…

 

Decido di uscire a prendere una boccata d’aria fresca. Giunto all’aperto, avverto come una vertigine, riesco a rimanere in piedi a fatica.

Mi faccio un giro per l’affollatissimo centro, rumori diversi si fondono insieme in un confuso ronzio, ho come la sensazione che i miei piedi affondino nell’asfalto: quando giungo infine dinnanzi al Türkisch Pub mi sembra di essere stato in cammino da un tempo infinito. Entro e ordino la mia cena. Seduto davanti ad un ottimo panino kebap, mi metto a meditare. Decido che questo di Controsenso sarà il mio ultimo “lavoro”. Voglio farla finita con il killeraggio, una volta per tutte.

 

Mi aspettavano nella mia camera d’albergo. Non feci neppure in tempo ad accendere la luce. Uno di loro mi afferrò saldamente sotto le ascelle, bloccandomi la schiena contro il suo petto; un altro mi infilò in bocca un fazzoletto di stoffa appallottolato, affinché non mi mettessi ad urlare.

Poi iniziò a colpirmi ripetutamente, al corpo e al viso. Erano pugni precisi. E violenti, molto violenti. Al terzo montante al fegato sentii un conato di vomito salirmi su per la trachea. La mia fronte era tutta imperlata di sudore. Respiravo a fatica a causa dei numerosi colpi ricevuti, e il fazzoletto che mi avevano cacciato in bocca certo non facilitava le cose. Presi a tremare come una foglia, e quello giù ad infierire sul mio corpo. Terminati i pugni, fu la volta dei calci… Passò un’eternità, poi le due braccia che mi tenevano fermo scivolarono via da sotto le ascelle, e io caddi a terra come un sacco di patate. Ero tutto indolenzito e non riuscivo a muovermi.

“Per questa volta abbiamo usato le buone, stronzo, ma la prossima non te la caverai così facilmente. Sappiamo perché sei qui, ed entro domani ti vogliamo fuori dai coglioni. Rinuncia alla tua missione e tornatene buono buonino a casa, se ci tieni alla pelle”. E per assicurarsi che afferrassi bene il concetto, mi assestarono un altro paio di calci all’addome.

Mi raggomitolai su me stesso, come a voler tornare nel grembo materno. Mi costò parecchia fatica togliermi il fazzoletto di bocca. Provai a respirare a pieni polmoni. Non era facile, la cassa toracica mi faceva un male cane. Sentivo il mio cuore battere come un tamburo. Inspirai profondamente un paio di volte, poi svenni.     

 
 
 

La barzelletta della lotta contro la fame nel mondo

Post n°39 pubblicato il 05 Giugno 2009 da panenero
 

E’ terribile

il rumore dell’uovo sodo che si rompe su un banco di zinco

è terribile quel rumore

quando si agita nella memoria dell’uomo che ha fame

è terribile anche la faccia di quell’uomo

la faccia dell’uomo che ha fame

quando si guarda alle sei del mattino

nella vetrina del magazzino

[…]

e dietro quella vetrina

quei patés quelle bottiglie quelle conserve

pesci morti protetti dalle scatole

scatole protette dalle vetrine

vetrine protette dai poliziotti

poliziotti protetti dalla paura

quante barricate per sei stupide sardine…

[…]

 

[Jacques Prevert, da Una Lauta Colazione]

 

 

 
 
 

Un po' di sana educazione civica

Post n°38 pubblicato il 02 Giugno 2009 da panenero
 

 
 
 
 
 

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Un blog di: panenero
Data di creazione: 13/02/2009
 

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