Creato da DolceA0 il 28/04/2006
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L’amico di famiglia è un cammino dentro la vita di un uomo che è sarto di professione e usuraio per tradizione familiare.
Solo, con una madre malata e immobilizzata provvede ai bisogni degli altri con i suoi capitali, chiusi in mille cassette di sicurezza di una banca.
Alla terza opera (L’uomo in più del 2001 e Le Conseguenze dell’amore, del 2004) Paolo Sorrentino ci propone un argomento piuttosto attuale, appunto quello dell’usura e dell’universo di questo usuraio.
Brutto, sporco e cattivo, il protagonista Giacomo Rizzo, .qui repellente fino all’inverosimile (e di più) è sempre in scena e offre una interpretazione molto adeguata del personaggio disegnato per questo film. E’, come nell’opera precedente, un uomo molto solo in cerca di un amore. Ma diversamente dal protagonista di Le conseguenze dell’amore, dove tutto si svolgeva in una linda Lugano, qui si sente il puzzo di necrosi e del malaffare. E già si capisce che non ci saranno chances per lui in quella direzione
Il film scarta tutte le seduzioni del realismo che la storia offre e si affida, nella messa in scena, alla poetica della metafisica, del simbolismo con punte di iperrealismo. L’ambientazione a Latina e sulle spiagge di Sabaudia è mutuata dai quadri di De Chirico (la figura del protagonista che saltella ripetutamente tra i porticati incombenti di Latina).
I numerosi simboli presi in prestito, e riadattati, fanno pensare a Bunuel (la suora che cammina per strada con la parabola in mano) oppure alle atmosfere Lynchiane (il ballo nella sala dei cow-boy) a tanti western (le persone sotterrate con la testa fuori dalla sabbia).
Se solo Sorrentino avesse scelto di raccontare in modo più diretto, il film, avrebbe avuto anche un valore di denuncia al consumismo e ai finti bisogni indotti che la società ci propina continuamente. Mentre l’impressione è stata di grande artifizio, di uno stile fine a se stesso, che ha raffreddato la vicenda, sospendendola in una irrealtà raggelata verosimile e somigliante al reale cui si riferisce ma che in effetti risulta una sorta di parodia più o meno tragica. E quando la tragedia poi fa capolino (e anche quil il regista si affida ai simboli della luce) non c’è catarsi, perché l’eroe è in fondo, un eroe di cartone.
Nonostante una curatissima sceneggiatura, una buona colonna sonora, un’interpretazione sorniona di Fabrizio Bentivoglio e carica di aggressività di Laura Chiatti, l’effetto finale è stato quello di aver visto tante piccole clip, slegate tra loro.
Il film in concorso a Cannes 2006 ha diviso la critica. Io sono dalla parte dei
Voto 5+
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