Creato da claudia.sogno il 20/02/2010

Amina Narimi

con la fragilità che io immagino degli angeli quando spostano tra i fiori un buio d'aria

 

 

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Tu Tun

Post n°771 pubblicato il 12 Maggio 2012 da claudia.sogno
 

Ci piaceva la casa perché oltre ad essere spaziosa e antica (ora che le case antiche soccombono alla più vantaggiosa liquidazione dei loro materiali) conservava i ricordi dei nostri bisavoli, del nonno paterno, dei nostri genitori e di tutta la nostra infanzia. Ci abituammo, Irene ed io, a persistervi da soli, cosa che era una follia perché in quella casa potevano vivere otto persone senza darsi fastidio(..)Tolte le attività del mattino, trascorreva la giornata facendo lavori a maglia sul sofà o in camera sua. Non so perché tessesse tanto, credo che i lavori a maglia siano per le donne il grande pretesto per non fare niente. Irene non era così, ordiva sempre cose necessarie, golf per l'inverno, calze per me, liseuse e sottovesti per lei. Qualche volta tesseva una sottoveste e poi la disfaceva in un momento perché qualcosa non le piaceva; era divertente vedere nel cestino il mucchio di lana increspata che si rifiutava di perdere la sua forma di poche ore. Il sabato ero io che andavo in centro a comprarle la lana; Irene si fidava del mio gusto, era contenta dei colori e non dovetti mai restituire alcuna matassa. Profittavo di queste uscite per fare un giro nelle librerie e domandare inutilmente se c'erano novità di letteratura francese. Dal 1939 non arrivava niente di importante in Argentina. Ma è della casa che mi interessa parlare, della casa e di Irene, perché io non conto. Mi domando che cosa avrebbe fatto Irene senza i lavori a maglia. Si può rileggere un libro, ma quando un pullover è finito non si può ripeterlo impunemente. Un giorno trovai l'ultimo cassetto del comò di canfora pieno di scialletti bianchi, verdi, lilla. Erano in naftalina, appilati come in una merceria; non ebbi il coraggio di domandare a Irene cosa pensasse di farne. Non avevamo bisogno di guadagnarci da vivere, tutti i mesi arrivavano i soldi della campagna e il denaro aumentava. Ma Irene si svagava solo con i lavori a maglia, dimostrava un'abilità meravigliosa e a me fuggivano le ore guardandole le mani simili a ricci argentei, ferri in su e in giù e uno o due cestini a terra dove si agitavano costantemente i gomitoli. Era bello. Come potrei dimenticare la distribuzione della casa. La stanza da pranzo, una sala con arazzi, la biblioteca e tre grandi camere da letto rimanevano nella parte più interna, quella che guarda su Rodríguez Peña. Solo un corridoio con la sua massiccia porta di rovere isolava quella parte dall'ala frontale dove si trovavano un bagno, la cucina, le nostre camere da letto e il living centrale, con il quale comunicavano le camere da letto e il corridoio. Si entrava nella casa attraversando un atrio con maioliche, e la porta finestra dava sul living. Di modo che si entrava attraverso l'atrio, si apriva il cancello e si passava nel living; si avevano allora sui due lati le porte delle nostre camere da letto, e di fronte il corridoio che conduceva nella parte più interna; continuando per il corridoio, si oltrepassava la porta di rovere e più oltre cominciava l'altro lato della casa, oppure si poteva girare a sinistra proprio davanti alla porta e proseguire per un corridoio più stretto che portava in cucina e in bagno. Quando la porta era aperta ci si accorgeva subito che la casa era molto grande; altrimenti dava l'impressione di uno di quegli appartamenti che si costruiscono adesso, fatti per muoversi appena; Irene ed io vivevamo sempre in questa parte della casa, quasi mai oltrepassavamo la porta di rovere, salvo che per fare le pulizie, perché è incredibile quanta terra si accumuli sui mobili. Buenos Aires sarà una città pulita, ma lo deve ai suoi abitanti e non ad altro. C'è troppa terra nell'aria, appena soffia un po' di vento si palpa la polvere sui marmi delle consolle e fra i rombi dei centrini di macramè; è una vera fatica toglierla bene con il piumino, vola e resta sospesa in aria, un momento dopo si deposita di nuovo sui mobili e sui ripiani. Lo ricorderò sempre con precisione perché fu semplice e senza particolari inutili. Irene stava lavorando a maglia in camera sua, erano le otto di sera e all'improvviso mi venne in mente di mettere sul fuoco il bricco del mate. Mi avviai per il corridoio fino a trovarmi davanti alla porta di rovere che era socchiusa, e stavo girando verso la cucina quando sentii qualcosa nella sala da pranzo o nella biblioteca. Il suono arrivava indistinto e sordo, come il rovesciarsi di una sedia sul tappeto o un soffocato sussurro di conversazione. Lo udii anche, nello stesso momento o un secondo più tardi, in fondo al corridoio che andava da quelle stanze alla porta. Mi gettai contro la porta prima che fosse troppo tardi, la chiusi di colpo appoggiandomici con il corpo; fortunatamente la chiave era infilata dalla nostra parte e inoltre feci scorrere il grande chiavistello per maggior sicurezza. Andai in cucina, scaldai il bricco, e quando fui di ritorno con il vassoio del mate dissi a Irene: - Ho dovuto chiudere la porta del corridoio. Hanno occupato la parte in fondo. Lasciò cadere il lavoro a maglia e mi guardò con i suoi gravi occhi stanchi. - Ne sei sicuro? Annuii. - Allora, - disse raccogliendo i ferri, - dovremo vivere da questo lato. Io preparavo il mate con molta cura, ma lei tardò un istante a riprendere il suo lavoro. Ricordo che stava facendo una sottoveste grigia; mi piaceva quella sottoveste. I primi giorni ci sembrò penoso perché entrambi avevamo lasciato nella parte occupata molte cose che amavamo. I miei libri di letteratura francese, per esempio, erano tutti nella biblioteca. Irene sentiva la mancanza di certe tovagliette, di un paio di pantofole che le tenevano tanto caldo in inverno. Io rimpiangevo la mia pipa di ginepro e credo che Irene pensasse a una bottiglia di Esperidina oramai antica. Frequentemente (ma questo accadde solo nei primi giorni) chiudevamo qualche cassetto dei comò e ci guardavamo con tristezza. - Qui non c'è. Ed era una cosa in più di tutto quel che avevamo perduto all'altro lato della casa. Ma ne fummo anche avvantaggiati. Le pulizie furono talmente semplificate che anche alzandoci tardissimo, alle nove e mezzo per esempio, non erano ancora suonate le undici che già ce ne stavamo con le mani in mano. Irene si abituò a venire con me in cucina e ad aiutarmi a preparare il pranzo. Ci pensammo bene, e decidemmo così: mentre io preparavo il pranzo, Irene avrebbe cucinato piatti da mangiare freddi la sera. Ce ne rallegrammo perché è sempre seccante dover abbandonare le proprie camere sul far della sera e mettersi a cucinare. Adesso ci bastava la tavola in camera di Irene e i piatti freddi. Irene era contenta perché le restava più tempo per lavorare a maglia. Io mi sentivo un po' smarrito senza i libri, ma per non rattristare mia sorella presi a sfogliare la collezione di francobolli di papà, e questo mi servì ad ammazzare il tempo. Ci divertiamo molto, ciascuno occupato nelle cose sue, quasi sempre riuniti nella camera d'Irene, che era più comoda. A volte Irene diceva: - Guarda il punto che mi è venuto. Non ti sembra il disegno di un trifoglio? Un momento dopo ero io che le mettevo sotto gli occhi un quadratino di carta affinché ammirasse il valore di un francobollo di Eupen-et-Malmèdy. Stavamo bene, e a poco a poco cominciavamo a non pensare. Si può vivere senza pensare. (Quando Irene sognava ad alta voce io mi svegliavo subito. Non mi sono mai potuto abituare a quella voce da statua o da pappagallo, voce che viene dai sogni e non dalla gola. Irene diceva che i miei sogni erano fatti di grandi scossoni che qualche volta facevano cadere la coperta. Le nostre camere da letto erano divise dal living, ma di notte si sentiva tutto nella casa. Ci sentivamo respirare, tossire, presentivamo il gesto che conduce all'interruttore della lampadina, le mutue e frequenti insonnie. A parte questo, tutto era silenzioso nella casa. Di giorno, solo i rumori domestici, lo strofinio metallico dei ferri da cucito, uno scricchiolio nel voltare le pagine dell'album filatelico. La porta di rovere, credo di averlo già detto, era massiccia. Nella cucina e nel bagno, che erano contigui alla parte occupata, ci mettevamo a parlare a voce più alta oppure Irene cantava qualche ninna-nanna. In una cucina c'è troppo rumore di stoviglie e bicchieri perché altri suoni vi irrompano. Quasi mai permettevamo lì il silenzio, ma quando tornavamo alle camere da letto e al living, allora la casa si faceva silenziosa e in penombra, camminavamo persino più piano per non darci noia a vicenda. Credo fosse per questa ragione che di notte, quando Irene cominciava a sognare ad alta voce, io mi svegliavo subito). È quasi come ripetere la stessa cosa, salvo le conseguenze. Di notte mi viene sete, e prima di andare a letto dissi a Irene che andavo in cucina a prendere un bicchiere d'acqua. Dalla porta alla camera da letto (lei lavorava a maglia) udii il rumore in cucina; forse nella cucina o forse nel bagno perché il gomito del corridoio spegneva i suoni. Irene fu colpita dal modo brusco con cui mi fermai, e venne accanto a me senza dire una parola. Restammo ad ascoltare i rumori, notando distintamente che provenivano da questa parte della porta di rovere, nella cucina e nel bagno, o nello stesso corridoio, dove incominciava il gomito quasi al nostro fianco. Non ci guardammo neppure. Strinsi il braccio di Irene e la feci correre con me fino alla porta finestra, non ci voltammo indietro. I rumori si udivano sempre più forti ma sempre sordi, alle nostre spalle. Chiusi d'un colpo la porta e restammo nell'atrio. Ora non si udiva nulla. - Hanno occupato questa parte, - disse Irene. Il lavoro a maglia le pendeva dalle mani e i fili arrivavano fino alla porta e vi si perdevano sotto. Quando vide che i gomitoli erano rimasti dall'altro lato lasciò cadere il lavoro senza guardarlo. - Hai avuto tempo di portare via qualcosa? - le domandai inutilmente. - No, niente. Restavamo con quel che avevamo indosso. Mi ricordai dei quindicimila pesos nell'armadio della mia camera da letto. Troppo tardi ormai. Poiché mi era rimasto l'orologio da polso, vidi che erano le undici di sera. Cinsi con un braccio la vita di Irene (credo che lei stesse piangendo) e uscimmo in strada. Prima che ci allontanassimo, ebbi pietà, chiusi bene la porta d'entrata e gettai la chiave nel tombino. Che a un povero diavolo non venisse in mente di rubare e di entrare in casa, a quell'ora e con la casa occupata.

 

Frequentemente (ma questo accade solo nei primi giorni)

- Qui non c'é-

Ed era una cosa in più di tutto quel che avevamo perduto all'altro lato della casa

.. ...

Tu Tun

fece il tombino alle chiavi

3 volte il rimbalzo danzò

 

 

 

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Commenti al Post:
AngeloQuaranta
AngeloQuaranta il 12/05/12 alle 14:32 via WEB
è sempre un'emozione aggirarsi tra i tuoi post, un abbraccio Angelo
 
 
claudia.sogno
claudia.sogno il 12/05/12 alle 22:29 via WEB
ohh,Senor ricambio quell'abbraccio che sai a tritarti le controcostole perchè non passi mai!!!
 
frabonvi
frabonvi il 13/05/12 alle 19:56 via WEB
Credo che quello che la occupa pian piano tutta la casa sia il non conosciuto, lo sconosciuto, l' estraneo. La casa è il corpo di Irene e del fratello, che sono una cosa sola. Le chiavi non so..
 
 
claudia.sogno
claudia.sogno il 13/05/12 alle 23:08 via WEB
credo si abbandoni una casa stuprata da chiasso e rumori,tutt'altro che suoni..una "casaperta" violata che pian piano si fa "casachiusa"..fino al lascito..le chiavi al tombino
 
   
frabonvi
frabonvi il 13/05/12 alle 23:37 via WEB
" NESSUNO" in fondo occupa la casa, il lettore non lo vede, non lo legge, neanche i protagonisti vedono chi occupa la casa. nessuno li scaccia, nessuno li spinge via. "NESSUNO" e' quello che non si vede e che forse c'e' e forse non c'e'.
 
     
claudia.sogno
claudia.sogno il 14/05/12 alle 00:39 via WEB
è quell'essenziale invisibile agli occhi che si fa chiaro al sentire,come ai ciechi puoi spiegare i colori,è vero NESSUNO ugualmente vede,c'è per me quel che a te manca ma anche viceversa..forse
ho una casa senza porte che si fonda sulla fiducia e sul rispetto,mano a mano che l'intimità è violata il respiro si fa più sottile,fino a svanire..ma questo è solo un mio pensiero,dopo le undici di sera,poco più
 
lontradelbosc
lontradelbosc il 13/05/12 alle 22:54 via WEB
L'ho riletto con piacere questo fantastico racconto.
Libri che uno tira l'altro, come le ciliegie che stanno per arrivare, grazie BellaSogno!
E legare con uno spago la chiave alla cinta dei jeans?
 
 
claudia.sogno
claudia.sogno il 13/05/12 alle 23:09 via WEB
ho legato tutta la strada..!!!
Ciao LdB..sempre magica,sei
 
   
lontradelbosc
lontradelbosc il 14/05/12 alle 08:45 via WEB
Trattengo il respiro per non far volare i fiori di luna, nell'immagine qui sotto, che musica! Ciao mattiniera!
 
adam_selene1
adam_selene1 il 16/05/12 alle 07:35 via WEB
Buongiorno Claudia. E' bellissimo quel racconto, l'idea della casa stuprata è assolutamente pertinente. CASA è noi stessi, il nostro posto, un intrusione nella casa è un'intrusione in noi stessi... E forse l'abbandono altro non è che l'abbandono di un tempio, prima che si prendano anche la nostra anima, facendo in modo che nessun altro possa più entrare. Dentro di noi.
 
 
claudia.sogno
claudia.sogno il 16/05/12 alle 10:59 via WEB
La maggior parte degli stupri,delle violenze avvengono in famiglia,così ho come avvertito quei rumori inconfessabili della casa occupata,il concetto di familiare-unheimlich- insegna Freud,è a un tempo conosciuto e ignoto,affabile e respingente,perturbante in una parola. Così come gli undici decimi della vista anche i sette ottavi della musica rendono sincopata la percezione C'è sempre un segno,l'orientamento che salva l'anima e la vista,pur nell'ombra di un cespuglio debole,che salva la voce dal farsi grido,nello scatto dell'orecchio,nell'eleganza di un'immagine Sono nata nel deserto,possono cambiar terra e colore ai mattoni ma non il mio orientamento ad amare
 
   
Utente non iscritto alla Community di Libero
Goccia nel deserto il 16/05/12 alle 16:33 via WEB
In ogni deserto, a ben guardare,
si trova - c'è! - sempre un cespuglio.
Uno scrigno di pace. Conforto
per mente e anima.
Personale salvezza. Fonte inattesa
di rose e di giorni, fiero
di donarsi sino ad esaurirsi
felice.
Piccolo a volte, discreto e immobile,
non urla i suoi frutti, si può
non notarlo.
Diviene però, oasi senza fine
se la Perfetta, nel suo vagare lo sfiora,
poggiando su di esso lo sguardo.
Se, accogliendo l'invito tracciato,
sulla sabbia primitiva del Tempo,
dal destino di un nome, la Perfetta
svela l'arrivo ed il principio del viaggio.
Il Bene più vero, tace. Ma la sua eco,
penetra i cuori più aridi, come eterea
goccia immortale.
 
     
claudia.sogno
claudia.sogno il 16/05/12 alle 21:44 via WEB
la perfetta ha una sciabola molto leggera e molto affilata,ha un'elsa brillante formata da un 8 come intrecciata a un tronco,l'aveva comprata da un Kubaci,un furbo dalla pelle chiara che teneva il suo mercato sotto il noce vicino alla sua Zigulì Quel giorno cercava il bracciale di Kalomela,comprò la sciabola,Perfetta tra i perfetti,diretta dalla città del sale Tuzla al tempio di Yeravan,siamo in Maggio e le sere sono calde come d'estate,anche la pioggia è tiepida Se ti metti in strada potrai riconoscerla,ha una ferita fresca sul polso sinistro,come un tatuaggio,è stato un soldato,quando Perfetta ha attraversato il suo sguardo,d'istinto,per paura. Eppure sembra accaduto tanto tempo fa,ma il tempo è una plastilina talmente elastica che può diventare qualunque cosa. Ancora oggi faccio tana nelle coperte la notte per leggere della Perfetta,finchè la pelle si fa sottile e si arrotola piano nel buio una goccia immortale
 
     
Utente non iscritto alla Community di Libero
Goccia via via via il 17/05/12 alle 17:37 via WEB
Ho "incontrato" la Perfetta, tra le dune di un romanzo che emana bellezza, ed il suo 'odore', dolce e penetrante, non si lava dai miei pensieri.
[...] Quel sangue è di una giovane donna che viene da un lontano paese. Il suo paese è così lontano, che nessuno che non venga di lì sa neppure che esiste. Quella donna è così bella, che quando l'ho vista ho pensato che poteva anche non essere vera. Non esistono solo le cose vere. [...] Ecco, la Perfetta cammina nella ghiaia sul ciglio di quella strada. Forse ha dormito in una delle case abbandonate sulla strada principale; forse non ha dormito per niente. Ma cammina come l'ha vista camminare Zingirian: eretta e noncurante. Se qualcuno dovesse offrirle un passaggio, o del té, se dovesse chiederle se le serve qualcosa, risponderebbe niet. [...]
La Perfetta ha incontrato la chiesa adatta alla sua preghiera e gli va incontro. [...] La Perfetta ha familiarità con la morte e con il dolore; non può essere arrivata fin qui senza averli già incontrati e conosciuti. [...]
Mi sono accostato ancora. Erano due occhi. Grigi, celesti, viola. Era un segno rosso e profondo che segnava lo zigomo e il collo dalla parte del cuore. Ed erano tre luci. Il mio corpo le ha coperto il cielo, ma sono rimaste tre luci. Si spargevano tenui come la luce delle lanterne cieche nel prato dei bambini. Era viva. Era la bellezza. [...] Si è portata la mano sugli occhi, la mano con ancora il pezzo di stoffa stretto fra le dita. Ha socchiuso le labbra e ha parlato: “Ne phrogaj menja”. Ne phrogaj menja. Come: non mi toccare. Ma io l'ho toccata. Lei ha lasciato che lo facessi. Le ho preso il viso tra le mani.
Pensavo di mettermela in una tasca e di portarla in salvo. Pensavo di fare come se fosse una rondine. Era tutto quello che sapevo fare. Non si poteva. Era la Perfetta. [...] Ecco, ho pensato come ultima cosa, si è avverata la profezìa. Era un pensiero che non significava niente. Credo che mi fosse venuta in mente la battuta di un film di quando ero bambino ... a quel tempo felice avrei voluto ardentemente che la mia adorata Cleopatra finisse così. Che Richard Burton se la prendesse sulle spalle e la portasse via, lontano dal suo tragico destino, mentre una voce dal cielo diceva con l'inconfondibile timbro di Orson Welles: “Ecco, si è avverata la profezìa”.


Poi, in altri deserti di asfalto e solitudine ho sperato e creduto di ammirare la Perfetta, non lei, ma la sua immagine sognata, evocata e disegnata in uno sguardo orgoglioso di donna. Altrettanto perfetta. Ma dicono, sia armata, oltre che di sciabola, pure di Beretta! ... Quindi, pur se goccia immortale, me ne vò di gran fretta!!! ^__*
 
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