Creato da claudia.sogno il 20/02/2010

Amina Narimi

con la fragilità che io immagino degli angeli quando spostano tra i fiori un buio d'aria

 

 

E li chiamo i miei Amici

Post n°933 pubblicato il 14 Novembre 2013 da claudia.sogno
 

C’è un linguaggio totale

che continua a propagarsi

dove  sbuca d’improvviso la tua assenza

con Istanti di pienezza

sulla baia dei cipressi

la potente melodia di una rientranza

sulla strada, c’è il rumore originario

il nesso che mi lega e ti allontana

da una soglia che separa e torna a unire

la percezione del paesaggio al suono

cogliendo nel colore  dello sfondo noi

l’anima di una gioia lancinante,

il gemito, dei cipressi senza braccia,

che dona il compimento del brusio

l’intimità del canto che si spiega  nel respiro

-siamo nell’assenza delle immagini il silenzio-

 

Vivono in disparte in cima al campo

prossimi ciascuno all’altro,  un corpo solo

in mezzo a loro il buio impenetrabile

può attraversarti di una luce commovente

che non puoi dimenticare. E questo avviene

E li chiamo i miei Amici

come avessimo una mano sola

nella comunione. Siamo così.

Ci ascoltiamo. raccolti a sera

se chino il capo una pena si fa grande,

se lo innalzo

comprendo la loro forza dentro il vento

a celebrare quello che han vissuto-

se li tocchi iniziano a parlare

coi profumi- con un canto

per non smarrirmi anch’io dico di me

delle  ore coi pianeti nella stanza

di quel dolore. Quando chiedono di Te,

nel principio e nella fine,

si sostengono l’un l’altro

sfiorandomi la solitudine, solenni,

come fossi  dentro di loro e  in ogni tronco

la preghiera della sera, un dramma, il compimento

le loro braccia insieme, un Padre Nostro, nulla

e un piccolo anello inesauribile di sillabe

fino a sentire  il loro sonno sul mio petto.

Allora vado Via  fino a domani.

 

alla pieve del pino

 
 
 

Socchiudo gli occhi a pagina cinquanta..

Post n°932 pubblicato il 14 Novembre 2013 da claudia.sogno
 

Appoggiati al muro e muti

tra due suoni

fedeli al duro accordo

di sanare le parole

rafforzando la grazia dell’ascolto

pur temendone il dolore

in quel silenzio

gli odori sono usciti dalle porte

Un muro inerte- dici che saremo

che sarà faticoso nelle stanze

contando i tuoi respiri

ricordare  del bacio ad Istanbul.

All’incrocio con Dalgic Cikmazi

socchiudo gli occhi a pagina cinquanta

nello spazio di un piccolo Museo

dell’innocenza, l’epifania intoccabile

di un miracolo più ancora

cadendo al muro giura

sulla promessa estrema-

con il petto lavato tra le pietre-

dischiude la sua accoglienza e il tempo

infine non fa male

Come una mano potrebbe aprire un origami

ci ha sconvolto così

il vuoto spazio dell’amore

il velo irripetibile

fino a dove ci siam spinti

levava le parole di ogni giorno e ora

la sera viene sopra, a poco a poco,

al Nostro primo tacere, da un lato nuovo

chiudimi pure gli occhi,  io vedrò

come un fratello col mio cuore

a vita nuova amarsi

il museo dell'innocenza

Orhan Pamuk- Masumiyet Müzesi

 
 
 

Per entrare ancora chiari nei colori

Post n°931 pubblicato il 14 Novembre 2013 da claudia.sogno
 

Sono lunghi anni di Vento

che fanno spargere il mattino

la luce custodita dentro gli occhi

-luce antica di una nube sui telai-

che illumina la mente naturale

uscendo dal sè ,come la rosa

nell’armonia con il creato e l’anima

sul fondo dell’occhio trasparente

come membra nelle membra del diluvio

nelle celle persistono le immagini,

anche dopo la scomparsa del frastuono

la disgiunzione del tempo nel diorama.

 

esposto sulla neve al boscovecchio

dopo il Ponte lungo lo scalone

ti accoglie un frammento luminoso,

nell’universo inquieto  come un volto,

tra volti ebraici che non si possono fermare-

tramonta l’uno e l’altro sorge lento

dei settantadue  trattenuti nella gola-

o come l’acqua, mai per caso, che diventa

qualcos’altro col Vapore, con un salto

flottano a urli nel buio delle palpebre

i pigmenti con la canapa  e i pennelli

mentre Lui corre al petto  dei viventi

suggerendo eternità a perdifiato

nel sangue, nel sudore del ricordo,

ci camminano di fianco i nostri morti

respirando, come in sogno io li porto

dove gli occhi ritornano puliti

per entrare ancora chiari  nei colori

Joseph Mallord William Turner

Luce e Colore – La mattina dopo il diluvio

 
 
 

Diversamente pelle e congiunzione

Post n°930 pubblicato il 11 Novembre 2013 da claudia.sogno
 

È un centro così forte che colpisce
l’incomparabile incertezza, un Dio futuro
di tutte le forme, un bosco un tempio
il vento, vivo in assenza della pelle
di volta in volta con un gesto delicato
dove mi abbracci fuori  mi sei dentro
ciò che il corpo dice,  se lo sfioro
-come faccio con la luce intorno gli alberi-
una lacrima sale verso il viso e
coincide con il tempo dei pensieri
dove il Tempo è fermo a immaginare
dove stiamo ora?” – Al centro. Le domande
sono i  brevi movimenti della pelle

” E tu?”- ed io, se dici una
parola lunga, se mi accarezzi ,
se la terrai vicina alle tue mani
le farai sentire il tuo piacere sentirà ;
tra  quello che puoi dare e che potresti
e quanto la distanza sia rispetto
a loro, non ci salva che l’a_ more
-quel più di ogni giorno che rinnovi-
per quel sentiero che rasenta l’assoluto
miele eleusino di api trasparenti
che discendono la soglia. delle Rose
la forma che fa pieno il vuoto è l’estasi
nel Centro della vita, è la rugiada
spoliazione e  sposa
,
nel tragitto silenzioso verso il sole,
di un fiume in piena luce sul tuo viso,
che distilla nella sete il desiderio
che fluisce senza fine in altre acque,
nel seno della voce, è un golfo sacro
diversamente pelle e congiunzione
.

Dicono che il mare accoglie il mare
così dai nostri sensi custoditi
-nel graduale che ci spoglia fino al salmo-
giungendo dentro un fiore la radice
è il centro che dilata dove cresci
dove entri con a more e ribes bianco

 

emilio_1206998110_coming_out_of_darkness_70x100_oil_acrylic1

 

sfiorami i tuoi occhi, se lo puoi,
dì loro che li amo in quel che “vedo“,
non per quel che so dietro la schiena,
dove avviene il gesto in fine sera

aspetta  solo San Nicola l’ora
della neve per danzare con gli amici
una donna e poi quell’altra ancora

più in alto siede, dov’è l’oscurità
che senza mani e volto ci risponde
,
nel reciproco sfiorarsi  nelle rose
che piano si avvicinano all’interno.

                                    Opere di Emilio Merlina

 
 
 

Tra l'acqua e il legno ti ho incontrato

Post n°929 pubblicato il 08 Novembre 2013 da claudia.sogno
 

Alef  Bet Ghimel

Dio l’Altro- Noi

che portiamo l’acqua dal deserto

nella terza lettera dell’alfabeto

C’è un canale buio sotterraneo

che sbuca nella piccola cappella

di Quinta da Regaleira

appena fuori Sitra

È lì che ho ricordato di Zakor -

da un’acqua tra le rocce rosa

la propria parte dolce  e

Femmina, per l’unione dei gameti

fecondando fino ad esserti la sposa

Un fiato caldo dal deserto, l’Uomo,

risalito da quel pozzo, in cui sará

-dopo le statue dei guardiani

contendenti la conchiglia dei midolli-

spina dorsale, e battezzato

                                           Adam

sei alla luce  e quasi non ti accorgi

dell’orma tua più grande .della vergine.

nel percorso immacolato del compiuto

nella grotta dell’inizio

e di te stesso

nel ritorno non “ricordi” ?

Ti fai sposo. Le montagne

son di nuovo le montagne

Così ti ho sentito  risalire,

appena fuori Sitra,

supina ad aspettare,

dal tallone verso  le caviglie

incrociando sopra il cuore

per raggiungere la gola

pulsare al  canto interno 

dell’occhio luminoso

penetrarmi dal cervello fino al cielo

Sei nel foro delle lacrime Del mare

il radicale insieme della madre

unendo ciò che crea con chi nutre

Alef

Fai ponte tra l’istinto e il razionale

il due che dividendo non separa:

è il battito: il tuo bet che m’innamora 

l’alternanza con l’opposizione

il movimento che più amo di Zakor

l’inclinazione intima di un uomo

le disposizioni a donna del suo cuore

Su quella linea di separazione,

tra l’acqua e il legno ti  ho incontrato

nella mia propria pelle contro il seno

s’è chiuso il cerchio con le spalle

di Quinta da Regaleira sul tuo viso

 

 

Quinta da Regaleira,
vista da Gruta do Oriente para o Lago da Cascata.

Sintra, Portugal

 
 
 

La spinta che diffonde quando è 0ra

Post n°928 pubblicato il 05 Novembre 2013 da claudia.sogno

Ritmi fratture segni e torni indietro

al confine di dicembre col Rosario

imparata dal seme lentamente

tranne il Mistero della messe

che muore per dar vita. È tutto qui

la nostra fragilitá come dimora

nel farsi  preghiera muove l’aria

nella debolezza cova un fuoco

un gris-gris per la buonasorte

dal goccio di saliva trattenuto

quando afferravi Qui

                             ciascuna rosa

 

Così trasformiamo queste cose

con gli occhi aperti di animali, volti

nelle loro pupille calde come bimbi

nelle lacrime rese di contemplazione

consegnate  una a una  nel lavacro

per i semi ancora verdi sopra l’ll  cuore

e dentro le ossa Implori di tornare

dove hai nascosto Rilke tra le crepe

nella casa abbandonata come tempio

tra gli alberi da frutto e il loro peso

” Puoi ancora piangere.. -Ti chiedo-

ripetere le stesse cose ?”

 

Sino a rendere pesanti gli occhi
                                 come frutti

ho bisogno di te giorno per giorno_

_tutti ugualmente lontani da quel Dio-

di ora le tue mani bianche

sono la pianta e l’Angelo soltanto

la rugiada che non conosco. Aiutami

come in sogno alla sorgente antica

dov’è l’Amore che matura gli occhi-

alla legge del giorno di coraggio

la passione della Notte di Novalis

prima di addormentarmi

nel Libro delle Immagini, anche Tu

sei maternità 

tra l’intimo dell’acqua e il secchio

la coppa che raccoglie la sua origine

nel medesimo silenzio che ci unisce

al Parto.  io sento la tua sorte

dal nulla che ci attornia

le terre emerse

la spinta che diffonde quando è Ora

 
 
 

Rimani dove posso raggiungerti.. ...

Post n°927 pubblicato il 03 Novembre 2013 da claudia.sogno
 

 

Per il bosco Così leggera

Ti ho nascosto sulle spalle

Finisci con il fuoco- pensavo-

Incominci per il sole

Colore e luce

Incorniciano la notte

Voci notturne

Silvane

Nel verso lungo

spezzato insieme

Nel ritrarsi di mia madre

Si esprime l’infinito

Nel contrarre spazio

L’urna

Accudisce il Vuoto

Dal punto indivisibile e inesteso

Si misura con l’anima l’attesa

Nel muovere in avanti il suo per.dono

 

Tra l’anca e l’osso sacro

Mi rimetti in piedi

Con le fontanelle ancora aperte come mani

Che l’Uomo vide per la prima volta appartenergli

e si capì Persona: esserci

nella mia stanza. Domini

come il Monte Ida

la piana di Mesarà di Creta

il vaso con la dedica di Athena

 

Coi  gesti morbidi del bianco

Colmi di anticipazione

La chiarità dell’occhio il suo contorno

Nella curva dei capelli

Strugge lo sguardo e sei seduta

Dalla vista alla visione

Col viso avido di stelle

Ti chiedevo Amore

Da dove viene

Tutto questo chiarore

Dopo l’oscurità

Me lo hai detto per i morti :

 “ Rimani

Dove posso raggiungerti

Per lo spostamento

È per questo che seguito a tornare

Per i tuoi boschi “

 

 
 
 

Dal fango come a Djennè

L’altro versante non si addormenta

dove risiede l’Altro schieramento

il suono feroce degli occhi chiari

.l’ottava bassa che ritorna.

nel reciproco pensiero umani

ciò che resta di loro :

sa come aprirsi nell’inferno

il Canto degli Angeli

 

viene da lì il corpo

che entra ogni notte. insieme

si rifà

dal primo abbraccio la carne

cresce come una farfalla nel fiume

dei Fiumi

per ricominciare dal fango, come a Djennè

con falde di terra cruda bagnata

come un mattone come legante e fasci

dei nostri rami curvi di quercia, dei tigli

a tenere la dilatazione che piove

che dilava ogni notte

che erode la grande Moschea

protetta dalle sue mura, dal delta del Niger-

 

giocandoci dentro possiamo

impastando con l’acqua, e Noi

rimescolare l’argilla in continuo_

                                               _bambini

preparando le scale di legno alle mani

grandi che stendono il nuovo

strato di pelle concreta e fragile assieme,

come la Casa di Ise in Giappone, sacra.

Fino al desiderio di Filemone e Bauci

Ci alzeremo in piedi come le spighe,

nel giorno del fidanzamento, dorati

per l’unione delle forze. nelle anime

uniti per il tronco. Fratelli

sulla soglia del tempioVecchio

commossi

come un Canto di Natale.

 

AFRICA_MALI_LA_MOSCHEA_DI_DJENNE_P1010202_2_

 

 
 
 

Quando smuovi i miei capelli corti..

Post n°925 pubblicato il 21 Settembre 2013 da claudia.sogno
 

 

Martin Hudáček- Monumento ad un bambino mai nato

 

                                                        

 

Una figlia tra le più fragili ritorni

  madre

mi pieghi nelle lacrime del quarzo

di ogni notte attesa confessione

trasparente da un mondo all’altro

placenta lucida. la colpa. senza carne

dai piedi il sangue alle tue mani

è sempre fresco di perdono

quando tocchi appena  le mie pietre

che non sanno divenire pane-       le ferite

un anno e un filo troppo breve di esercizi-

nella gola stessa in cui  respira l’anima

stretta tra le dita. cristalline

ci riconosciamo.  nel mistero

             .apprendistato di frontiere all’invisibile.

nel matrimonio di silenzi

in ogni angolo di casa e del giardino

-tra lampi di luce insostenibile

e ancora il rosso nella mente-

incorporea quiete, come nei boschi,

ci elargisce l’aria insieme

quando smuovi i miei capelli corti

 

 
 
 

Come un dolore perfetto

Post n°924 pubblicato il 21 Settembre 2013 da claudia.sogno
 

Ho allungato la strada di casa

per fare minore la notte

fin su alla Rocca di Badolo,

dalla mia quercia, a toccare

se trattiene ancora il calore del giorno

Vedessi che bella che è

con le punte illuminate

non sai dove finiscono i rami

ed hanno inizio le stelle.

 

Sono scesa dall’auto sfilando via la giacca

pungeva l’aria pochi passi..poi non più

tutta la schiena era contro, dentro di Lei

che chiedeva: “Come va con il dolore, l’anima?

 

Come poggiare all’orecchio una conchiglia

se spingi forte la schiena contro la quercia di Badolo

puoi sentire addosso la carne di tutto il cielo di Herat e le stelle

ti vengono contro senza dolore. Non so dire di più,

ma non è meno di così. chi ami, se solo sapesse

a che ora una quercia preme a quel modo la schiena

se aprisse a quell’ora ognivolta  i palmi delle sue mani

troverebbe parole indicibili e chiaro negli occhi. incessante

un taglio.un dito dopo l’altro. sulle mani

“ ti amo”. come un dolore perfetto.

Quanti calici di parole ancora

vergini troveranno

nelle tracce degli anelli

che non sono state

proferite. Com’è forte la carne

dov’è debole l’anima

nella foresta sacra!

 
 
 

LA PREGHIERA DI NARIMI

 

VERRAI

 

SORGIVA

 

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