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Il federalismo arma contro la malavita
Camorra a Milano
Il nostro giornale ha pubblicato una inquietante inchiesta sulla presenza delle organizzazioni criminali nell’area milanese. Si racconta in maniera puntuale un fenomeno che è genericamente conosciuto per impressioni ampiamente diffuse, sensazioni generali ed esperienze dirette soprattutto negli ambienti professionali e commerciali. Nella diffusione delle organizzazioni mafiose anche in Padania, e in particolare nell’area milanese, qualcuno vede quasi una sorta di “normalizzazione”, di eliminazione di un’area di anomalia rispetto a comportamenti ormai consolidati nel resto della penisola. Sembra quasi un concreto elemento di unificazione nazionale anche in termini malavitosi: camorra, mafia, ‘ndrangheta eccetera non sono più organizzazioni legate solo a certi territori ma si stanno estendendo a macchia d’olio su tutta la Repubblica. Qualche inguaribile patriota potrebbe vederci il sigillo definitivo della unità nazionale, finalmente raggiunta non tanto nella cultura e nei comportamenti virtuosi ma in quelli malavitosi. E in effetti, a ben vedere, non si tratta neppure di una tragica casualità perché un legame assai concreto fra l’unità d’Italia e alcune organizzazioni criminose è scolpito nella storia. In particolare è stata la spedizione garibaldina a sdoganare mafia e camorra, a dare loro una sorta di patente di italianità. Questa è appena meno evidente nel caso della mafia, che pure aveva prestato alla causa garibaldina alcune teste pensanti e un bel po’ di picciotti, almeno nella parte iniziale della spedizione. Sodalizio riservato, non ha fatto molto chiasso in proposito e ha silenziosamente utilizzato il processo risorgimentale per fare un salto di qualità ambientale, passando da fenomeno essenzialmente agrario a struttura meglio radicata anche in ambito urbano e – soprattutto – negli ambienti del potere politico.
Assai meno riservata, anche per il contesto geografico e culturale da cui proviene, la camorra ha platealmente mostrato i propri legami tattici e, tramite i “buoni uffici” di don Liborio Romano (che la sera del 6 settembre 1860 era ministro di polizia di Francesco II e il mattino del giorno dopo titolare dello stesso incarico nel governo garibaldino), ha assicurato a Garibaldi un pacifico e caloroso ingresso nella città ancora presidiata dai soldati del re e ne ha in seguito garantito l’ordine pubblico conseguendo una serie di vantaggi economici diretti e “indiretti”. Dopo una lunga marcia di avvicinamento, oggi anche la camorra si sta creando un suo spazio lombardo (mafia e ‘ndrangheta è un po’ che si danno da fare attorno all’edilizia e alla finanza) e può farlo perchè evidentemente ci sono connivenze, mancati controlli, omissioni o una certa “apertura” anche da parte di chi deve sorvegliare, ma anche perchè è radicalmente cambiata la componente sociale lombarda e in particolare milanese. Milano non è più solo una città di padani e lo si percepisce con estrema chiarezza nelle strade, consultando gli elenchi telefonici e i nomi sui citofoni. C’è gente da ogni dove mescolata in un melting pot che ha anche lati positivi ma che si è creato troppo rapidamente per costruire una rete sociale consolidata ed efficiente, fatta di consapevolezza di appartenenza e di mutua solidarietà.
Se un tempo i Milanesi – come diceva maliziosamente Scarfoglio – erano gente “che tirava solo al quattrino”, lo facevano all’interno di schemi sociali solidi, rapporti identitari chiari e di un robusto contorno di correttezze formali e sostanziali, frutto di secoli di buon governo e di ordine solidamente garantito. Oggi le organizzazioni criminali grandi e piccole non devono affrontare nessuna rete di solidarietà popolare o precise resistenze identitarie capaci di scoraggiare i comportamenti criminali. Una migliore condizione potrebbe rinascere solo con un consolidamento sociale e, soprattutto, con la riappropriazione del potere da parte di comunità coese in un sistema di ampie autonomie. Hanno un bel dire i difensori dello Stato centralizzato e dei suoi presunti vantaggi, ma una polizia e una magistratura locali, fortemente radicate in una struttura di larghe libertà federali potrebbero controllare molto meglio il territorio. Una disseminazione di poteri creerebbe ostacoli di ogni genere al dilagare della criminalità che ora ha buon gioco nell’ampia prateria priva di steccati e di veri controlli che è la Repubblica “una e indivisibile” e anche di più in un mondo sempre più globalizzato dove il solo freno alle attività criminose delle organizzazioni “storiche” è rappresentato dalla concorrenza di mafie straniere ancora più agguerrite e crudeli.
Il localismo premierebbe i comportamenti virtuosi togliendo l’acqua dell’indifferenza e dello spaesamento apolide in cui guazza la criminalità post-moderna. L’autonomia e l’indipendenza, assorbendo davvero e “localizzando” gli immigrati, rimetterebbero di fatto strutture come la camorra in una condizione di estraneità, di palese forestierato che renderebbe loro più difficile la vita, sia per il controllo più puntuale del territorio che per la naturale repulsione di gente che anche nei momenti più bui della sua storia non ha conosciuto fenomeni di criminalità organizzata. La Padania ha avuto nel suo passato frotte di banditi di strada (alcuni anche famosi), ma non ha mai dovuto affrontare strutture malavitose organizzate e connivenze diffuse nella società. Neppure la leggendaria Ligera, che aveva regole e codici propri ma nessuna gerarchia. Neanche nei momenti di peggiore sottomissione politica o di depressione economica le comunità padane si sono lasciate andare a collateralità diffuse nei confronti della criminalità come quelle rivelate dagli agghiaccianti numeri pubblicati da L’Opinione: non sono nate mafie sotto gli spagnoli o camorre sotto gli austriaci. Non ce ne sarebbero neppure oggi se la Lombardia e le altre comunità potessero gestire la propria autonomia e le proprie risorse anche in termini di controllo del territorio e dei comportamenti delittuosi. A molti non piacerà ammetterlo, ma la malavita organizzata è un prodotto del centralismo italiano e solo una vera riforma federalista può bloccare la sua espansione.
fonte :L'Opinione di Gilberto Oneto
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