FRATTAGLIE..utopiche elucubrazioni di una mente istintiva |
SIATE GENTILI
Quando non diversamente segnalato, i testi (ad eccezione della poesia "Frattaglie" scritta da un carissimo amico), i disegni e le fotografie presenti in questo blog sono di proprietà delle autrici.
Se vi piacciono, usateli pure, ma abbiate la cortesia di citare i nick.
Grazie. allievadelgabbiano & LaStregaFelice
GIOCO LETTERARIO
FRATTAGLIE
Frattaglie di sogni spezzati,
utopie disperse di un sole
salato e lontano,
come luce pallida
e grigia
di un pianto
che sgorga dal cuore.
Frammenti chiamati
a raccolta
da un raggio
che ancora resiste,
che segue l'istinto
infinito
di ricomporre
i frammenti di un sogno.
LASTREGAFELICE
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Nickname: allievadelgabbiano
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Sesso: F Età: 58 Prov: NO |
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ULTIMI COMMENTI
Sono pedante e noiosa, lo so. Non ci posso fare nulla. Mal sopporto ormai di ascoltare quotidianamente, purtroppo soprattutto attraverso i mezzi di comunicazione, una lingua italiana sempre più bistrattata, nella quale sono pressoché spariti i congiuntivi e che sta perdendo il fascino di parole dal suono meraviglioso a scapito di troppi termini, soprattutto stranieri, che sembrano molto più “di moda”, quasi che dicendo “brainstorming” ci troveremo ad un tavolo a scambiare idee geniali in una tempesta di cervelli illuminati, anche se siamo dei veri imbecilli. Ma quello che provoca in me una vera e propria idiosincrasia è l’uso del termine “quant’altro”, una locuzione più abusata del prezzemolo, fino a poco tempo fa solo nella lingua parlata, ora, purtroppo, anche in quella scritta, a malinteso intento, forse, di mostrare una capacità di stile articolato e colto.
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Si era sentita bella ed aveva avuto grandi sogni di gloria. In attesa di chi l’avrebbe prescelta, si era immaginata di entrare a far parte di qualche colorata festa, protagonista di sensazioni e colori. Quando, finalmente, erano andati a prenderla, aveva avuto la conferma a ciò che pensava: era bella, giovane, soda, dall’aria sana ed irresistibile con quella sua carnagione abbronzata e tra tante sue simili non poteva esserci competizione. |
Avremo avuto credo sette, o al massimo otto anni io ed A, mio fratello gemello. A quell’epoca eravamo ancora una cosa sola, dove andava uno andava l’altro, quello che faceva lui lo facevo io, e viceversa. Una sinergia costruttiva, direi. |
Sono sempre stata attratta dai colori in generale e, in particolare, da quelli che si sviluppano durante le alchimie culinarie. Il colore giallo dorato, che richiama persino il calore del sole, ha sempre stimolato i mie sensi e non capii questa attrazione fin quando mia nonna Giselle mi spiegò, che tra i mie avi, c’era stata anche la ninfa Smilace. Era il settembre del 1574
Lo stupore dei commensali durò solo fin quando le piccole molecole aromatiche non giunsero alle loro avide nari e fin che i loro occhi non furono catturati da quel colore dorato ed irresistibile. Certo, lo scherzo giullaresco di Zafferano non ebbe l’esito anelato, in compenso, però nacque il risotto alla milanese. |
Allora…non vorrei essere polemica, ma il mio lavoro non è scrivere nel blog, è un altro, e, tra le varie attività che svolgo, c’è anche quella di redigere le etichette dei prodotti alimentari. Ma sapete cosa voglia dire scrivere qualche cosa che, per intero, nessuno leggerà mai, o che magari leggerà ma non capirà? Si prova una forma di totale impotenza, lo giuro. Io me lo immagino tutti quelli che mi hanno mandata a quel paese (tanto per usare eufemismi da bon ton) sostenendo di aver provato a leggerle ma di averle trovate incomprensibili! E’ umiliante. Ore ed ore a cercare di essere il più chiara possibile, e alla fine, non si capisce nulla. Tutte quelle “E” seguite da numeri che sembrano il delirio di un grafomane isterico e quei paroloni…acidificanti, e passi, edulcoranti, ormai sanno tutti che sono…ma antiagglomeranti? Emulsionanti? Esaltatori di sapidità? Gelificanti? Stabilizzanti? Ci sono persino i coadiuvanti tecnologici, accidenti a loro. E le percentuali? Avete mai fatto caso alle percentuali? No? Un vero incubo! Nocciole (3,5 %)…sembra una sciocchezza. Ma io ci ho messo due giorni per calcolare quante cavolo di nocciole ci stavano in quell’intruglio. E all’ordine ponderale decrescente? Che è sta’ roba? Beh…sarebbe semplice. Per la legislazione italiana gli ingredienti in etichetta devono essere scritti da quello presente in quantità maggiore a quello in quantità minore. Quindi, se leggo sull’etichetta di un Wurstel “ingredienti: acqua, carne di suino …ecc, ecc” un piccolo dubbio mi viene, e se poi, per sbaglio, provo a cuocere il piccolo mostriciattolo nel forno a microonde, ove l’acqua evapora più velocemente della luce, ho anche la triste conferma e mi ritrovo con un minuscolo oggetto grinzoso e rinsecchito che richiama vagamente il sesso post coito di un ottuagenario. Già mi sento piuttosto inutile ed impotente, per cui, vi prego, fatemi questo grande favore: sforzatevi di leggerle bene queste cavolo di etichette, fatelo per me che le scrivo con amore per cercare di dirvi “questo va bene…” oppure: “lascia perdere vah, che è meglio…”. E se proprio volete mangiare la yogurt alla frutta senza fare la fatica di aggiungerla voi a parte, controllate almeno che la frutta ci sia davvero e lasciate perdere quelli che contengono aromi e coloranti, che io di vacche che producono latte con l’E124 mica ne ho ancora conosciute! |
Mi chiamo Giacomo, ho 50 anni e sono dirigente amministrativo presso una multinazionale. Non che il mio lavoro in sé possa dirvi qualche cosa di particolare, ma, da qualche parte, dovevo pur cominciare a presentarmi. Non mi apro agli altri, non confido i miei problemi, non l’ho mai fatto…non ne sono capace. Sono un uomo, non solo nel senso genitale del termine. Mi sento una persona corretta, intellettualmente onesta, irresistibilmente attratta da coloro che provano forti emozioni e sono capaci di manifestarle, anche se, a me, questa seconda parte riesce forse meno bene. Sono in grado di assumermi le mie responsabilità e di mantenere fede agli impegni presi; l’ho fatto per tutta la vita. Ottempero ai miei doveri verso gli altri…verso le persone che hanno investito su di me e che io, talvolta, pur se involontariamente, ho deluso. Vivo una vita strana, che sento mia soltanto in parte. Lavoro, il più delle volte con un certo entusiasmo, ed organizzo il mio tempo libero in funzione di altri, rimandando la mia vita a giorni in cui mi sentirò in diritto di viverla, senza sapere se mai arriverà quel tempo e senza riuscire a trovare lo stimolo per pretenderla. E continuo a pagare. Pago sensi di colpa che, assiduamente, racconto a me stesso di non voler più subire, pago debiti impagabili, e lo faccio con gli interessi, pur di evitare testardamente di ammettere che, forse, non sia umano riuscire sempre a gestire tutte le situazioni. Non riesco ad accettare che la mancanza del sorriso sul volto delle persone che amo e che ho amato possa, anche in minima parte, essere causata delle mie azioni e dei miei desideri e di ammettere che, se gli altri non stanno bene, non è necessariamente, o solamente, una mia precisa responsabilità; e così rimango, apparentemente imperturbabile, imprigionato in questo gioco di ruoli, ove sono padre, ex marito ma ancora coniuge, ex amante ma ancora debitore, sempre figlio. In ognuno di questi ruoli sono perfettamente immedesimato, fin quando passo a quello successivo. E innalzo barriere, per tenere ben separate tutte le facce di questa mia vita. Raramente dedico un po’ di spazio anche a me stesso, ma poi, inevitabilmente, arrivo al punto che le persone con cui interagisco chiedono qualche cosa di più, e, di nuovo, mi fermo, faccio un passo indietro, per ritrovarmi al punto da cui ero partito. Non perchè lo voglia, più semplicemente perché in questa vita così compartimentata, non rimane abbastanza per qualche cosa di nuovo. Insomma, in fondo do a tutti quelli che contano nella mia vita quello di cui hanno bisogno: a tutti, tranne che, forse, a me stesso. Ho conosciuto una donna, un tipo un po’ difficile, forse, ma che sembra molto attratta da me. Chissà lei come mi vede… |
Avevo iniziato con gioia |
"Come va la tua vita?". Non riuscivo a dormire questa notte, cosa strana davvero per me, lo ammetto, ma non riuscivo a prendere sonno. Così dopo essermi rigirata più volte sotto il piumone ed aver fatto scappare la micia che, stufa di farsi coccolare, voleva giustamente abbandonarsi tra le braccia del buon Morfeo, ho rivisto un film, non so se per la seconda o terza volta, “Il grande freddo”. Mi ricordo che avevo guardato questo film in un’ottica più “politica” meditando sui rimpianti e sui i rimorsi di quel gruppo di ex contestatori scelti dal regista per rappresentare il destino di un'intera generazione, protagonisti e testimoni delle metamorfosi impietose prodotte dalla storia. Il non comprendere o ricordare se il loro slancio combattivo fosse un vero sentire o soltanto una moda a cui uniformarsi, li aveva portati a quello che erano: persone insoddisfatte, che avevano abbandonato i propri ideali scambiandoli con grandi compromessi, rimuovendo la propria coscienza politica per sopravvivere alla disillusione. Ma questa notte, forse anche a causa del mio sentire attuale, il freddo polare della vita dei protagonisti mi è entrato fin nelle ossa diventando più personale e meno legato all’affresco di una generazione che pone mille domande senza suggerire risposte. E ho riflettuto. Confrontarsi dopo quindici anni con persone che hai sentito amici, che ai tempi dei liceo, pur diversi da te, erano accomunati da mille ideologie supportate e rese indimenticabili dalle canzoni ma che, in un modo o nell’altro, invece di vivere una vita vera, continuano, malinconicamente, a rimpiangere i tempi passati, fingendo gli stessi impeti e le stesse passioni. Alex si è tagliato i polsi e gli altri si ritrovano per commemorarlo, cercando di convincere, forse innanzi tutto sé stessi, di riuscire a nascondere, sotto maschere espansive, inquietudini colme di amarezze. In un ambiente asettico agiscono in realtà personaggi chiusi ciascuno nella propria immensa solitudine; tutti si sforzano di soffrire per la morte dell’amico, ma, in realtà, ognuno si duole per il vuoto interiore che si porta dietro. Un “come siamo” invece di un “come avremmo voluto essere”. E così, cullata dalla meravigliosa colonna sonora, tra Rolling Stones, Aretha Franklin, Percy Sledge, Beach Boys, Temptations e Procul Harum, ho pensato che posso sorridere, perché la mia vita oggi è migliore di quella di vent’anni fa, perché, per qualche strano motivo, non ho mai considerato di rimpiangere i tempi andati, ma di combattere per migliorare quelli a venire, arricchendo, contemporaneamente, me stessa. |
Sono appena tornata da una cenetta a casa dei miei dai quali mia sorella e mia cognato hanno “posteggiato” le creature per permettersi il “lusso” di un romantico fine settimana, evento che accade, più o meno, ogni sei mesi e pertanto, suppongo, piuttosto anelato. |
Mercoledì mi ha chiamato un amico chiedendomi come stessi. Gli ho risposto che non era un bel periodo. Lui mi ha detto: “Guarda che tu hai tutte le risorse che ti servono, l’hai già dimostrato un sacco di volte. Se le cose non vanno, volta pagina”. Ridendo gli ho risposto: “ Si ma ho finito le pagine”. Ieri sera, nella buca delle lettere, ho trovato una busta che a sua volta conteneva un piccolo libricino con le pagine tutte bianche. |
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