FRATTAGLIE

..utopiche elucubrazioni di una mente istintiva

 

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FRATTAGLIE

Frattaglie di sogni spezzati,
utopie disperse di un sole
salato e lontano,
come luce pallida
e grigia
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che sgorga dal cuore.

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a raccolta
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che ancora resiste,
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Elucubrazione sul quant'altro

Post n°83 pubblicato il 21 Febbraio 2008 da allievadelgabbiano
 

Sono pedante e noiosa, lo so. Non ci posso fare nulla. Mal sopporto ormai di ascoltare quotidianamente, purtroppo soprattutto attraverso i mezzi di comunicazione, una lingua italiana sempre più bistrattata, nella quale sono pressoché spariti i congiuntivi e che sta perdendo il fascino di parole dal suono meraviglioso a scapito di troppi termini, soprattutto stranieri, che sembrano molto più “di moda”, quasi che dicendo “brainstorming” ci troveremo ad un tavolo a scambiare idee geniali in una tempesta di cervelli illuminati, anche se siamo dei veri imbecilli.

Ma quello che provoca in me una vera e propria idiosincrasia è l’uso del termine “quant’altro”, una locuzione più abusata del prezzemolo, fino a poco tempo fa solo nella lingua parlata, ora, purtroppo, anche in quella scritta, a malinteso intento, forse, di mostrare una capacità di stile articolato e colto.

Scusate, non ce la faccio, è più forte di me: non lo sopporto proprio questo termine. Mi trovai l’anno scorso in una riunione per la definizione di un progetto formativo destinato a laureati; io, da tecnico, dovevo fornire i contenuti delle lezioni, la psicologa incaricata della selezione dei candidati al progetto le metodiche formative. Non riuscii a contare i “quant’altro” zampillati dalla sua bocca, ma ricordo di essere uscita con la convinzione di aver capito soltanto che c’era altro di cui parlare, solo che non ebbi davvero  la capacità di cogliere di cosa si trattasse.

Quando sento un “quant’altro” automaticamente mi viene l’eritema ed ho forte l’impressione che il mio interlocutore, nel tentativo di usare un linguaggio forbito, in realtà non abbia molto da dirmi di essenziale o stia cercando di rigirarmi con le parole utilizzando a, tal fine,  questo termine che, a mio modo di sentire, non è altro che un brutale troncamento di un concetto.


Ciò che davvero mi spaventa è che questa locuzione ha una forza spaventosa, si diffonde come un  virus contaminando persone che non ne hanno mai fatto uso e si infiltra nei loro discorsi, banalizzandoli. Le parole sono magia: esprimono concetti, convinzioni, ideali. I “quant’altro” sono generalizzanti e privi di originalità, l’antitesi ad un concetto specifico, un grande sacco in cui infilare qualsiasi cosa, un’espressione approssimativa, appendice sciatta al discorso.

Insomma…so di essere una rompiscatole, ma quando mi imbatto in un “quant’altro” mi pongo sulla difensiva: e se non si trattasse solo di superficialità espressiva ma di una vera e propria patologia infettiva della nostra splendida lingua italiana?

 
 
 

Elucubrazione sulla dimenticanza

Post n°82 pubblicato il 18 Febbraio 2008 da allievadelgabbiano
 

Si era sentita bella ed aveva avuto grandi sogni di gloria. In attesa di chi l’avrebbe prescelta, si era immaginata di entrare a far parte di qualche colorata festa, protagonista di sensazioni e colori. Quando, finalmente,  erano andati a prenderla, aveva avuto la conferma a ciò che pensava: era bella, giovane, soda, dall’aria sana ed irresistibile con quella sua carnagione abbronzata e tra tante sue simili non poteva esserci competizione.

Il viaggio fu scomodo, a dire il vero, sballottata in quello strano mezzo di trasporto pieno di tipi particolari, ma all’arrivo fu posta in una bella stanzetta climatizzata, un po’ freschina per lei, forse,  ma si sa, il freddo conserva bene, e non si preoccupò molto, tenendo particolarmente alla sua immagine.

Trepidante pensava…oggi sarà il mio giorno. Buio nella stanza, ogni tanto una piccola luce faceva capolino e vicino a lei passavano strani e variopinti personaggi di ogni tipo, nessuno però che sembrasse particolarmente attento o interessato alla sua presenza. Un giorno dopo l’altro, una luce dopo l’altra, si sentiva sfiorire.

La sua bella carnagione cominciava a perdere la lucentezza di un tempo, sembrava sbiadirsi, ma, cosa assai più grave, la sua pelle un tempo idratata e setosa stava diventando secca e raggrinzita. Ancora una lucina…si specchiò nella parete e, terrorizzata, non si riconobbe…una rada peluria bianca stava spuntando su di lei. Seppe allora che la sua essenza vitale era finita, con tutte le ricchezze che, da giovane aveva portato con sé.

Oggi ho dato una degna sepoltura a quella povera carota dimenticata nel mio frigorifero.

 
 
 

Elucubrazione su "i maschi e le femmine"

Post n°81 pubblicato il 10 Febbraio 2008 da allievadelgabbiano
 

Avremo avuto credo sette, o al massimo otto anni io ed A, mio fratello gemello. A quell’epoca eravamo ancora una cosa sola, dove andava uno andava l’altro, quello che faceva lui lo facevo io, e viceversa. Una sinergia costruttiva, direi.

Non siamo mai stati particolarmente timidi nei confronti dei nostri coetanei, forse perché questo essere due, diversi, ma in stretta simbiosi, ci faceva in un certo senso sentire più forti. Lui era piccino, esile, capelli scuri, carnagione olivastra, due enormi occhi nocciola che ti guardavano con curiosità e divertimento. Io più rotondetta, e all’epoca molto più alta,  con gli occhi verdi un po’ più insicuri dei suoi, con il viso da bambolotto incorniciato dai capelli biondi, ingannavo forse un po’ con il mio aspetto dando l’impressione di essere più debole di quanto fossi in realtà.

E poi non mi serviva, allora, essere molto forte. C’era lui a difendermi, era il mio cavaliere! Ricordo, quando all’asilo le maestre insistevano a dividere i maschi dalle femmine con delle panchine poste trasversalmente in palestra: e lui, come un marine, varcava questi blocchi mai sufficientemente presidiati per venire da me, che lo accoglievo con la gioia di chi ha ritrovato una parte di sé che qualcuno insisteva a non capire fosse impossibile allontanare.

Frequentavamo le elementari presso un collegio di suore. I miei genitori avevano fatto questa scelta nell’intento, credo, di garantirci una migliore preparazione rispetto a quella che avremmo potuto ricevere nella scuola del nostro paese: mio padre, di formazione cattolica, forse credeva di più anche nel fatto potessimo ricevere una buona educazione religiosa, mentre la mamma, di famiglia socialista, forse aveva dato maggiore importanza al fatto che quello fosse allora l’unico istituto che faceva l’orario continuato, tenendo i bimbi fino alle 16, e per  lei, che lavorava insieme a papà, era forse più facile gestire contemporaneamente l’attività e le sue quattro agitatissime creature.

Quel giorno, durante la ricreazione, i bambini, mio fratello compreso, decisero di fare una gara di sputi. Io, ovviamente, facevo parte della squadra. Stranamente nessun bambino si lamentava mai del fatto che io non fossi “uno di loro”: ero con A. e questo bastava per essere inserita in tutti i giochi che lui faceva e nella cerchia delle sue amicizie, con lo stesso senso di appartenenza. Ovviamente valeva il contrario e nessuna delle mie amiche si era mai lamentata se A. giocava con noi ad elastico o aveva trovato strano se provava con me a ricamare gli imparaticci a punto croce che le suore ci davano per “diventare delle brave donnine di casa”. Era come se tutti gli individui al di sotto dei dieci anni ci vedessero davvero come un essere unico ed interscambiabile, senza minimamente stupirsi di questa nostra interazione.

La gara di sputi si svolgeva in giardino, su un piccolo pianoro rialzato dove c’era una piccola grotta con la madonna di Lourdes. No! Dai…forse non eravamo molto eleganti, ma rispettosi si, non si sputava verso la madonnina, ci mancherebbe: era tanto bellina e sorrideva sempre, non ci dava l’impressione stessimo facendo una brutta cosa, anzi, ci sembrava divertita. Spalle alla grotta, si sputava a turno, e si segnava con un pezzetto di carta la lunghezza del lancio. Vinceva chi riusciva a fare i due tiri più lunghi.

Arrivò suor Zita…non per difendermi eh…ma dovevate vederla…di tutte le suore che ci piacevano proprio lei doveva “beccarci”: ora che sono grande posso dire che, probabilmente, quella donna aveva dei seri problemi personali ed una chiara tendenza all’isterismo ma allora  tutti la vedevamo solo come un cerbero da cui stare il più possibile lontani.

Scandalo! Una gara di sputi! Davanti alla madonnina! Tutti in classe, di corsa e oggi niente merenda…ma tu (lo disse con disgusto, ma mi sembrò allora anche...come...uno sputo)! Tu meriti una punizione molto più severa perché sei una bambina  e le bambine non devono fare queste cose, non diventerai mai una brava signorina, nessuno ti vorrà mai sposare da grande perché ti comporti come un maschiaccio. Due settimane senza ricreazione, in classe, a scrivere “sono una signorina” sulla lavagna. “Se lei sta in classe ci sto pure io”, disse A. prendendosi in cambio una tirata di orecchie e per risposta un “ lo decido io che cosa fai tu, vai con i tuoi compagni”.

Tornare a casa quella sera fu faticoso…entrambi sapevamo di avere fatto un gioco che non avrebbe reso orgogliosi i nostri genitori e già questo bastava per farci sentire sufficientemente in colpa. Parlammo con loro, l’abbiamo sempre fatto, per fortuna, raccontando l’accaduto per filo e per segno, e ci prendemmo la nostra bella sgridata e la giusta predica sul fatto che loro cercavano di educarci al meglio e di riflettere se, con tutti i giochi da fare, quello fosse proprio indispensabile ed opportuno. Non ci punirono, ma vi assicuro che i loro rimproveri e, soprattutto, gli sguardi che li accompagnavano, erano molto più convincenti di qualsiasi punizione avrebbero potuto infliggerci.

La mattina seguente, stranamente, ci accompagnò a scuola mio padre e prima di entrare in classe andammo tutti e tre dalla Superiora (che razza di nome!) un donnone enorme che stava rintanata in un buio ufficio quasi tutto il giorno. Ci sedemmo e sentii mio padre dire delle parole che mi resero infinitamente orgogliosa di lui e che non ho mai più dimenticato.

“Madre, io le ho affidato la formazione dei mie figli. Non sono un maschio ed una femmina. Sono due persone. Se sbagliano lo fanno come individui, ed è giusto che siano puniti, ma entrambi, e nello stesso modo. Io e mia moglie cerchiamo di farli crescere rispettosi degli altri e delle regole, ma uguali, non sono diversi perché di sesso diverso, sono diversi solo per le loro particolari peculiarità che li rendono individui.  Spero davvero di non dover  più tornare da lei perché sono stati trattati in modo diverso. Se devo pensare che è questa l’educazione che riceveranno qui non potrò fare altro che trovare un altro istituto che mi dia maggiori garanzie.”

Lo vidi proprio come un essere luminoso, in quel momento, grande ed invincibile: uscendo dal buio ufficio mi sembrò di camminare due centimetri sopra la terra.

 
 
 

Elucubrazione di alchimia, cucina e sensiby LaStregaFelice

Post n°80 pubblicato il 27 Gennaio 2008 da LaStregaFelice
 

Sono sempre stata attratta dai colori in generale e, in particolare, da quelli che si sviluppano durante le alchimie culinarie. Il colore giallo dorato, che richiama persino il calore del sole, ha sempre stimolato i mie sensi e non capii questa attrazione fin quando mia nonna Giselle mi spiegò, che tra i mie avi, c’era stata anche la ninfa Smilace.

Qualche cosa non mi tornò allora, dato che, per quel poco che i miei studi mi avevano insegnato, il nome di ninfa sarebbe dovuto derivare dal termine latino “nubere”, ossia prendere marito, che per quel che potevo saperne,  indicava appunto, una fanciulla vergine. Invecchiando, mi resi conto di altre cose e di come l’apparente nubilato non necessariamente comporti anche l’assenza di una prole e della relativa discendenza.

Comunque sia, la mia ava Smilace, come le sue colleghe ninfe (ben diverse dalle attuali ninfette) era una semplice mortale se non per l’aspetto, molto più simile a quello di  una dea, e per essere destinata a vivere una vita estremamente lunga.

Un giorno, accanto al bosco ove la ninfa viveva, passò un uomo, un tale Crocus, che, vedendola, rimase folgorato dalla sua avvenenza e se ne invaghì. Certo il tipo non era una meraviglia della natura, leggermente incurvato, una evidente tendenza alla calvizie, un ventre non proprio teso, aveva tuttavia quel bel sorriso messo in evidenza da un grazioso pizzetto brizzolato e Smilace, che era davvero aggraziata come una fata, si innamorò di lui e lo ricambiò teneramente.

Peccato che la ninfa fosse la favorita del dio Ermes. Voi capite, a nessun uomo piace essere cornuto, ma ad un dio…a quando egli si accorse che i due qualche cosa dovevano pur aver combinato (e questo spiega anche la prole che ne discese), trasformò il povero giovane in un bulbo e  Smilace nella pianta sempreverde del tasso.

Ora il bulbo altro non era che quello da cui si origina un bellissimo fiore i cui pistilli, bene prezioso, consentono grandi alchimie in cucina, ossia quello dello zafferano.

Libri e testimonianze affermano che fu proprio il  bel colore dei pistilli a colpire la fantasia dei nostri antenati:  vesti e  veli,  come  testimonia  lo  scrittore latino Ovidio nell’Arte  di Amare, erano  tinti  color  zafferano  e  molti  cosmetici  e  medicinali  si ottenevano dal fiore prezioso.

Ma quello che vorrei raccontarvi oggi è come le magiche alchimie culinarie vengano alla luce per gioco e per sorriso, e per farlo utilizzerò un’altra storia.


Era il settembre del 1574


I lavori per la fabbrica del Duomo erano cominciati ormai da quasi duecento anni ed alle spalle della cattedrale nascente era nata una variopinta comunità,  una città a tutti gli effetti, costituita da portici e ricoveri nei quali vivevano falegnami, marmisti, scultori, carpentieri e vetrai  giunti da tutta Europa.


Valerio di Fiandra, maestro vetraio di origine belga, era stato incaricato di portare a termine alcune vetrate, e, per ottemperare a tale gravoso compito, aveva portato con sè i migliori tra i  suoi aiutanti, uno dei quali spiccava per la sua particolare abilità e destrezza.

Il segreto del giovane consisteva nella straordinaria dote di saper miscelare e dosare i colori, ottenendo risultati sorprendenti e, per ottenere questo effetto, egli era uso aggiungere un pizzico di zafferano all'impasto per il vetro tanto che, proprio a causa di questa sua abitudine, era stato soprannominato "Zafferano" e così, ancora oggi, è ricordato.


Tutti canzonavano il ragazzo per questa sua abitudine, sostenendo che non fosse quello il motivo delle tonalità ottenute, ma un semplice gesto scaramantico.

Arrivò il giorno in cui la figlia del suo maestro decise di sposarsi ed il giovane Zafferano decise di restituire con una burla tutti gli sberleffi che Valerio ed i suoi amici gli avevano fatto in quegli anni. Non ci volle molto a corrompere il cuoco... e…ecco che la polvere gialla, per una volta, finì nel risotto invece che nell’impasto per il vetro.

Lo stupore dei commensali durò solo fin quando le piccole molecole aromatiche non giunsero alle loro avide nari e fin che i loro occhi non furono catturati da quel colore dorato ed irresistibile.

Certo, lo scherzo giullaresco di Zafferano non ebbe l’esito anelato, in compenso, però nacque il risotto alla milanese.

 
 
 

Elucubrazione sulle etichette

Post n°79 pubblicato il 24 Gennaio 2008 da allievadelgabbiano
 

Allora…non vorrei essere polemica, ma il mio lavoro non è scrivere nel blog, è un altro, e, tra le varie attività che svolgo, c’è anche quella di redigere le etichette dei prodotti alimentari.

Ma sapete cosa voglia dire scrivere qualche cosa che, per intero, nessuno leggerà mai, o che magari leggerà ma non capirà? Si prova una forma di totale impotenza, lo giuro.


Io me lo immagino tutti quelli che mi hanno mandata a quel paese (tanto per usare eufemismi da bon ton) sostenendo di aver provato a leggerle ma di averle trovate  incomprensibili! E’ umiliante. Ore ed ore a cercare di essere il più chiara possibile, e alla fine, non si capisce nulla.


Tutte quelle “E” seguite da numeri che sembrano il delirio di un grafomane isterico e quei paroloni…acidificanti, e passi, edulcoranti, ormai sanno tutti che sono…ma antiagglomeranti? Emulsionanti? Esaltatori di sapidità? Gelificanti? Stabilizzanti? Ci sono persino i coadiuvanti tecnologici, accidenti a loro.


E le percentuali? Avete mai fatto caso alle percentuali? No? Un vero incubo! Nocciole (3,5 %)…sembra una sciocchezza. Ma io ci ho messo due giorni per calcolare quante cavolo di nocciole ci stavano in quell’intruglio.


E all’ordine ponderale decrescente? Che è sta’ roba? Beh…sarebbe semplice. Per la legislazione italiana gli ingredienti in etichetta devono essere scritti da quello presente in quantità maggiore a quello in quantità minore. Quindi, se leggo sull’etichetta di un Wurstel “ingredienti: acqua, carne di suino …ecc, ecc” un piccolo dubbio mi viene, e se poi, per sbaglio, provo a cuocere il piccolo mostriciattolo nel forno a microonde, ove l’acqua evapora più velocemente della luce, ho anche la triste conferma e mi ritrovo con un minuscolo oggetto grinzoso e rinsecchito che richiama vagamente il sesso post coito di un ottuagenario.

Già mi sento piuttosto inutile ed impotente, per cui, vi prego, fatemi questo grande favore: sforzatevi di leggerle bene queste cavolo di etichette, fatelo per me che le scrivo con amore per cercare di dirvi “questo va bene…” oppure: “lascia perdere vah, che è meglio…”.


E se proprio volete mangiare la yogurt alla frutta senza fare la fatica di aggiungerla voi a parte, controllate almeno che la frutta ci sia davvero e lasciate perdere quelli che contengono aromi e coloranti, che io di vacche che producono latte con l’E124 mica ne ho ancora conosciute!

 
 
 

Elucubrazione di un uomo

Post n°78 pubblicato il 22 Gennaio 2008 da allievadelgabbiano
 

Mi chiamo Giacomo, ho 50 anni e sono dirigente amministrativo presso una multinazionale. Non che il mio lavoro in sé possa dirvi qualche cosa di particolare, ma, da qualche parte, dovevo pur cominciare a presentarmi.

Non mi apro agli altri, non confido i miei problemi, non l’ho mai fatto…non ne sono capace.

Sono un uomo, non solo nel senso genitale del termine. Mi sento una persona corretta, intellettualmente onesta, irresistibilmente attratta da coloro che provano forti emozioni e sono capaci di manifestarle, anche se, a me, questa seconda parte riesce forse meno bene.  Sono in grado di assumermi le mie responsabilità e di mantenere fede agli impegni presi; l’ho fatto per tutta la vita. Ottempero ai miei doveri verso gli altri…verso le persone che hanno investito su di me e che io, talvolta, pur se involontariamente, ho deluso.

Vivo una vita strana, che sento mia soltanto in parte. Lavoro, il più delle volte con un certo entusiasmo, ed organizzo il mio tempo libero in funzione di altri, rimandando la mia vita a giorni in cui mi sentirò in diritto di viverla, senza sapere se mai arriverà quel tempo e senza riuscire a  trovare lo stimolo per pretenderla. E continuo a pagare.

Pago sensi di colpa che, assiduamente, racconto a me stesso di non voler più subire, pago debiti impagabili, e lo faccio con gli interessi, pur di evitare testardamente di ammettere che, forse, non sia umano riuscire sempre a gestire tutte le situazioni. Non riesco ad accettare che la mancanza del sorriso sul volto  delle persone che amo e che ho amato possa, anche in minima parte, essere causata delle mie azioni e dei miei desideri e di ammettere che, se gli altri non stanno bene, non è necessariamente, o solamente, una mia precisa responsabilità; e così  rimango, apparentemente imperturbabile,  imprigionato in questo gioco di ruoli,  ove sono padre, ex marito ma ancora coniuge, ex amante ma ancora debitore, sempre figlio.

In ognuno di questi ruoli sono perfettamente immedesimato, fin quando passo a quello successivo. E innalzo barriere, per tenere ben separate tutte le facce di questa mia vita. Raramente dedico un po’ di  spazio anche a me stesso, ma poi, inevitabilmente, arrivo al punto che le persone con cui interagisco chiedono qualche cosa di più, e, di nuovo, mi fermo, faccio un passo indietro, per ritrovarmi al punto da cui ero partito. Non perchè lo voglia, più semplicemente perché in questa vita così compartimentata, non rimane abbastanza per qualche cosa di nuovo.

Insomma, in fondo do a tutti  quelli che contano nella mia vita quello di cui hanno bisogno: a tutti, tranne che, forse, a me stesso.

Ho conosciuto una donna, un tipo un po’ difficile, forse, ma che sembra molto attratta da me. Chissà lei come mi vede…

 
 
 

Elucubrazione sui binari paralleli

Post n°77 pubblicato il 20 Gennaio 2008 da allievadelgabbiano
 

Avevo iniziato con gioia 
quel viaggio ricco di speranza
tenevo la tua mano e sentivo
la mia vita pulsare.

Arrivò la salita
e solo allora mi accorsi
che ci muovevamo su binari paralleli
vicini, ma troppo lontani.

Il tuo bagaglio, oltremisura pesante,
rallentava il cammino
ti chiesi di condividerlo con me
ma non ne fosti capace.

Il mio cuore correva
il tuo fardello frenava
lasciasti la mia mano
ed i miei occhi, colmi di lacrime,
non seppero più dove guardare.

Mi manchi.

Nuvole nere, all’orizzonte.
 

 
 
 

Elucubrazione sul grande freddo

Post n°76 pubblicato il 20 Gennaio 2008 da allievadelgabbiano
 

"Come va la tua vita?".
"D'incanto. E la tua?".
"Non d'incanto".
"Oh, si dice la verita?".

Non riuscivo a dormire questa notte, cosa strana davvero per me, lo ammetto, ma non riuscivo a prendere sonno. Così dopo essermi rigirata più volte sotto il piumone ed aver fatto scappare la micia che, stufa di farsi coccolare, voleva giustamente abbandonarsi tra le braccia del buon Morfeo, ho rivisto un film, non so se per la seconda o terza volta, “Il grande freddo”.

Mi ricordo che avevo guardato questo film in un’ottica più “politica” meditando sui rimpianti e sui i rimorsi di quel gruppo di ex contestatori scelti dal regista per rappresentare il destino di un'intera generazione, protagonisti e testimoni delle metamorfosi impietose prodotte dalla storia. Il non comprendere o ricordare se il loro slancio combattivo fosse un vero sentire o soltanto una moda a cui uniformarsi, li aveva portati a quello che erano: persone insoddisfatte, che avevano abbandonato i propri ideali scambiandoli con grandi compromessi, rimuovendo la propria coscienza politica per sopravvivere alla disillusione.

Ma questa notte, forse anche a causa del mio sentire attuale, il freddo polare della vita dei protagonisti mi è entrato fin nelle ossa diventando più personale e meno legato all’affresco di una generazione che pone mille domande senza suggerire risposte. E ho riflettuto. Confrontarsi dopo quindici anni con persone che hai sentito amici, che ai tempi dei liceo, pur diversi da te, erano accomunati  da mille ideologie supportate e rese indimenticabili dalle canzoni ma che, in un modo o nell’altro, invece di vivere una vita vera, continuano, malinconicamente, a rimpiangere i tempi passati, fingendo gli stessi impeti e le stesse passioni.

Alex si è tagliato i polsi e gli altri si ritrovano per commemorarlo, cercando di convincere, forse innanzi tutto sé stessi, di riuscire a nascondere, sotto maschere espansive, inquietudini colme di amarezze. In un ambiente asettico agiscono in realtà personaggi chiusi ciascuno nella propria immensa solitudine; tutti si sforzano di soffrire per la morte dell’amico, ma, in realtà, ognuno si duole per il vuoto interiore che si porta dietro.

Un “come siamo” invece di un “come avremmo voluto essere”. E così, cullata dalla meravigliosa colonna sonora, tra Rolling Stones, Aretha Franklin, Percy Sledge, Beach Boys, Temptations e Procul Harum, ho pensato che posso sorridere, perché la mia vita oggi è migliore di quella di vent’anni fa, perché, per qualche strano motivo, non ho mai considerato di rimpiangere i tempi andati, ma di combattere per migliorare quelli a venire, arricchendo, contemporaneamente, me stessa.

Quando morirò spero sarò riuscita a sentirmi  il più simile possibile a quella che avrei voluto essere, e non rimpiangere quello che sono stata.
Con il cuore volto al futuro, mi sono finalmente addormentata.

 
 
 

Elucubrazione sui nipoti

Post n°75 pubblicato il 19 Gennaio 2008 da allievadelgabbiano
 

Sono appena tornata da una cenetta a casa dei miei dai quali mia sorella e mia cognato hanno “posteggiato” le creature per permettersi il “lusso” di un romantico fine settimana, evento che accade, più o meno, ogni sei mesi e pertanto, suppongo, piuttosto anelato.

Bea e Betta sono uno spettacolo della natura, come tutti i bambini, forse, ma non saprei dire se il mio cuore di zia single le veda in modo davvero obiettivo. Fatto sta che, probabilmente, l’attrazione smisurata che io ho verso di loro si riflette nella loro esagerata verso di me, cosa che comporta, inevitabilmente, un totale e vicendevole interscambio di giochi e parole  nelle ore che trascorriamo assieme.

Io sono la zia dei disegni, dei giochi matematici, degli indovinelli e delle barzellette…ma sta diventando sempre più dura perché lentamente esaurisco gli argomenti e tra un po’ mi toccherà studiare per non deluderle. Per quanto riguarda le barzellette poi, tolte quelle politiche e quelle volgari, sta diventando un vero incubo!

Fatto sta che questa sera, mentre Bea insisteva a tavola per farsi raccontare da me l’ultima barzelletta ed io mi scervellavo per recuperare nei meandri della mente qualche cosa di raccontabile, mio papà  dice: “ti ricordi quella del nonno? C’è De Gasperi…”.

E Bea rivolgendosi a me con fare curioso: “ma zia…cosa sono i gasperi?”.

Finalmente, qualche cosa di davvero divertente!

 
 
 

Elucubrazione sull'attenzione

Post n°74 pubblicato il 18 Gennaio 2008 da allievadelgabbiano
 

Mercoledì mi ha chiamato un amico chiedendomi come stessi. Gli ho risposto che non era un bel periodo. Lui mi ha detto: “Guarda che tu hai tutte le risorse che ti servono, l’hai già dimostrato un sacco di volte. Se le cose non vanno, volta pagina”. Ridendo gli ho risposto: “ Si ma ho finito le pagine”.

Ieri sera, nella buca delle lettere, ho trovato una busta che a sua volta conteneva un piccolo libricino con le pagine tutte bianche.

 
 
 
 
 
 

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