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Un blog creato da Wonderwife il 22/09/2010

The Good Wife

avventure semiserie di una moglie perfetta (e di sinistra)

 
 

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Era una settimana buia e tempestosa...

Post n°48 pubblicato il 31 Gennaio 2011 da Wonderwife
 
Foto di Wonderwife

Che brutto inizio di settimana! Nei prossimi giorni sarò costretta a trascurare il blog e soprattutto voi. Poca presenza e ancora minori visite con le quali ricambiare le vostre: la vita ha le sue regole, ovvero se non consegno due lavori, non solo non mi pagheranno mai, ma si contenderanno il mio corpo, gli uni per chiuderlo nella segreta del ciclostile gettando via la chiave, gli altri per darlo in pasto agli squali che popolano il loro dipartimento marketing.
Se invece riesco a sopravvivere, il prossimo fine settimana potrò tornare qui e raggiungere W.h. in terra pugliese, e questi premi finali mi spronano a travestirmi da pennivendola 24 ore al giorno.
Poiché, ne sono certa, nessuno di voi mediterà il suicidio per questo, spero di ritrovarvi tutti al mio ritorno.
L'immagine (meglio dire il francobollo) che vi lascio è uno dei miei ultimi scatti fotografici, fate conto che sia io, in procinto di salpare verso le acque turbinose che mi aspettano.

Sventolate i fazzoletti mentre afferro i remi... a prestissimo, miei cari 

 

 
 
 

Un valore irrinunciabile

Post n°47 pubblicato il 29 Gennaio 2011 da Wonderwife
 
Foto di Wonderwife

Niente ironia e niente sorrisi, questa volta. Solo una riflessione che vorrei condividere.

A proposito degli stralci di conversazione intercettati (come evitarlo, nessuno parla d’altro), delle storie più o meno credibili di infanzie infelici – quando non addirittura abusate – e della presenza, intuita e non, di tristi familiari vampiri, mi sono chiesta che razza di futuro attenda le giovani cortigiane del premier.

Non parlo di futuro prossimo, quello è garantito dai cospicui travasi ai quali hanno potuto assistere i loro conti in banca, e da un’avvenenza che intanto aprirà loro altre porte.

Ciò a cui mi riferisco è la loro maturità.

Se penso a queste Cenerentole trasformate in finte principesse, non da una Fata madrina amorevole, ma da un vecchio e disgustoso Mago dai discutibili poteri, e se immagino il momento in cui arriveranno a un’età in cui i bilanci (non quelli fatti di numeri a sei zeri) diventano un’esigenza fisiologica non sempre gradita, allora non riesco a figurarmi altro che vecchie donne infelici e piene di rimpianti, che avranno condiviso parte della vita con uomini dallo spessore morale pari al loro, e punite dall’inevitabile sfregio di una grottesca chirurgia estetica. Donne che nessuno avrà potuto privare di ciò che non possiedono neppure oggi: la dignità.

Per me, e per tutte quelle come me – grazie al cielo siamo ancora tante – è un grido, adesso, questa dignità. È un bene di cui siamo orgogliose e che ci teniamo stretto, contro il sonno della coscienza che miete sempre più vittime. Noi che non abbiamo mai cercato carità pelosa, favori, intercessioni di potenti, anche quando (chissà quante volte) ci siamo trovate “in difficoltà”.

Tutto ciò che abbiamo ottenuto e che otterremo sarà frutto del nostro impegno, della nostra abilità, delle nostre rinunce e, per le più fortunate, dell’appoggio di chi ci ama indipendentemente dalla nostra taglia o dalla nostra età anagrafica.

Cerchiamo con pazienza, ogni giorno, tassello dopo tassello, di costruire un mosaico al compimento del quale ognuna di noi potrà dire che in fondo ne valeva la pena.

Questo facciamo, senza cercare scorciatoie, denaro facile, ribalte e lustrini: teniamo alta la nostra dignità.

 

p.s. Ho promosso su FB un’iniziativa alla quale hanno aderito tante "amiche": sostituire la propria foto del profilo con quella di una donna che riteniamo, oggi o in passato, aver rappresentato la femminilità come un valore. Per dimostrare che essere donna è un valore e un impegno, e che come diceva la grande Simone de Beauvoir “una donna libera è l’esatto opposto di una donna leggera”.

 
 
 

L'importanza della lingua

Post n°46 pubblicato il 25 Gennaio 2011 da Wonderwife
 
Foto di Wonderwife

Stamattina cominciare la giornata è stata dura, e non per la pressione bassa. Quando è suonata la radiosveglia, insieme alle canzoni ho ascoltato come ogni mattina il giornale radio, e per potermi alzare ho dovuto raccattare da terra, insieme alle pantofole, anche la mia autostima.

Il Maniaco delle Telefonate in Diretta ha colpito ancora: ieri sera, tra un insulto e l’altro all’indirizzo di Gad Lerner (che per lo stupore e la rabbia ha arrotolato ulteriormente il gomitolo delle sue erre), ha trovato il tempo per decantare le doti della signora Minetti.

È lì che ho capito di essere una nullità.

Chi potrà più definirmi Wonderwife, quando uno dei requisiti di eccezionalità è essere di madrelingua inglese?

Avevo ottimi voti nella materia, e sul lavoro e all’estero me la cavo più che bene, ma la madrelingua è irraggiungibile.

Ho pensato di emigrare a Londra fra un paio d’ore e viverci per i prossimi trent’anni. Ma ne vale la pena? Essendo fin da ora fuori dalla fascia di età presa in considerazione dal Fottitore Lampo, figuriamoci se potrà trovarmi eccezionale e degna di carriera politica quando sarò ultraottantenne.

Lui sarà ancora vivo, perché è l’Unto del Signore e del Popolo, e perché la percentuale di silicone, botulino e materiali elevatori presenti nel suo corpo supererà di gran lunga quella dell’acqua. Mentre io sarò una vecchia decrepita, che secoli prima qualcuno avrebbe potuto definire un donnino da prendere in considerazione, se non fosse stato per via della lingua.

Eh, sì… la lingua è importante! E lo dice uno che se ne intende.

Però, mi sorge un dubbio, qualcuno ha spiegato a Membrolo che essere di madrelingua inglese non significa rispondere “oh, yes” se ti chiedono un blowjob?

 
 
 

La durata del tempo

Post n°45 pubblicato il 19 Gennaio 2011 da Wonderwife
 
Foto di Wonderwife

Qualcosa nel cromosoma Y della Wonderfamily sfasa la percezione del tempo.
Come unica proprietaria dell’accoppiata vincente XX (e quando mi riesce, pure della tripletta XXX …)   mi tocca vivere con l’occhio al quadrante, giusto per mantenere una parvenza di vita normale.
Per il pranzo del sabato o della domenica, se stiamo in casa, ci si mette a tavola secondo il fuso orario di Capo Verde, quando il resto della città è alla fine dell’abbiocco postprandiale, e i più temerari sono già in fila al cinema. Una regolata riusciamo a darcela solo se arrivano a pranzo le wondernonne, che altrimenti ci svengono sulla tovaglia.
Questo accade non perché i due XY si alzino  tardi, ma perché nella wonderhome germinano in continuazione urgenze tecnologiche inderogabili, più o meno come nel laboratorio di Archimede Pitagorico.
Così i due si attivano con grande profusione di porco qui e porco là… mi ha perso tutti i file… perché ‘sta presa non funziona… com’è che non si resetta… dove è finita la bustina dei cacciaviti piccoli…, e altre comunicazioni che ho imparato a ignorare. Mi riconnetto solo all’immancabile okfattotuttoapostofunziona, il corrispettivo del butta la pasta dell’era pre-tecnologica.
Ultimamente, anche La Suocera  ci ha messo del suo, con il videoregistratore nuovo incautamente regalatole per Natale.  Ok, mi dice W.h., ci andiamo sabato mattina. Ma scusa, dico io, perché non di pomeriggio,  così c’è più tempo? Ma no, risponde lui, tanto in un’ora andiamo e torniamo.
Ok, partiamo (e qui riconosco il mio errore: aver seguito W.h. nella missione di salvataggio, previo l’inserimento in forno – spento – di una teglia di lasagne).
Ormai anche per far funzionare un cellulare bisogna avere meno di venticinque anni e/o possedere minimo una laurea in ingegneria spaziale,  quindi passati gli ottant’anni imparare ad usare un qualsiasi apparecchio richiede molto più che un’orandiamoetorniamo.
Dopo l’ennesimo tentativo di spiegare quale fosse il pulsante da premere per accendere il videoregistratore, abbiamo concordato di posticipare la lezione, La Suocera ha smesso di maneggiare i tre telecomandi come un apprendista giocoliere del circo Medrano, e siamo tornati tutti alla wonderhouse per pranzare prima che la civetta cominciasse a stridire.
Tanto, ho pensato, vedendo che tardiamo Wonderson avrà preparato la tavola e acceso il forno. Illusa…
Aprendo la porta, scopro che la zona pranzo si è trasformata in teatro di posa. Vedo nell’ordine, due cavalletti con flash, treppiede con macchina fotografica, puntata sul tavolo da gioco con partita di poker in corso, due tonnellate di fiches multicolori. E su tutto, W.s. che inquadra il tappeto verde.
Raggiunto dal mio sguardo omicida, dichiara: un minuto, tolgo e preparo la tavola.
Mentre accendo il forno a manetta e lavo l’insalata, W.h. mi si avvicina e con l’innocenza di un bambino propone: che dici, guardo adesso il tubo del lavandino che perde?
Bergson, prima di elaborare le sue teorie sulla durata del tempo, deve essere passato di qua. Ma io ero troppo impegnata a tener d’occhio l’orologio per accorgermene…

 
 
 

Amore e Bugie

Post n°44 pubblicato il 18 Gennaio 2011 da Wonderwife
 
Foto di Wonderwife

Al telefono, si sa, è più facile raccontare bugie, o gonfiare i fatti per mettersi in bella mostra. E che cosa desidera una donna se non poter essere ritenuta una puttana di prim’ordine fin dalla più tenera età?

Per questo le sgarzole poppute che andavano e venivano da Arcore senza alcun controllo gettano fango telefonico su un vecchietto che al sesso non ci pensa manco per niente.

Lui vuole solo circondarsi di eleganza, bellezza e brillanti conversazioni. A pagamento.

Ma siccome al giorno d’oggi le brave ragazze non interessano a nessuno, le perfide ninfette mentono e raccontano di imprese erotiche da basso impero, così i loro genitori possono tirare un sospiro di sollievo: le pargole sono pronte per un brillante avvenire in politica o nello spettacolo, tanto ormai non fa differenza.

E noi creduloni, magistrati in primis, tutti a parlare di escort e orge… ma quando mai? Si trattava di un circolo Pickwick aperto anche alle donne: il padrone di casa deve aver pensato che di circolo maschile manco a parlarne, se non si vuole incorrere nelle ire della ministra delle Pari opportunità. E poi, non è che Apicella, Fede e soprattutto Lele Mora diano l’idea di poter discutere così su due piedi di fenomenologia dello spirito…  Meglio prendere qualcuno fresco di studi, meglio se ancora in età da liceo e proveniente da un Paese dove la vita fa mediamente schifo, così fai del bene chi ha bisogno di aiuto e hai anche una visione più ampia del pensiero filosofico.

Come dite? Le ragazze erano vestite da infermiere e da poliziotte? Ma la cultura è fatta di simbologie! Accudimento e protezione, non sono forse queste due elementi imprescindibili dalla femminilità? Il mecenate voleva sottolineare come quest’ultima rimanesse intatta pur disquisendo di massimi sistemi.

Quanta ingiustizia nei confronti di questo uomo illuminato che ha a cuore amore ed eleganza in egual misura. Ha dovuto giurare sui suoi figli e divulgare urbi et orbi un fidanzamento, che invece va rigorosamente tenuto nascosto, lo sanno tutti fin dai tempi di don Rodrigo!

Spezza il cuore…

E se vi dicono che i figli si stanno toccando nel frattempo tutto il toccabile, e che la fidanzata sta tentando di togliersi il costume da coniglio e di uscire dal cilindro nel quale l’hanno incastrata fino ad oggi, per favore, non credeteci: sono tutte bugie!

 
 
 

Un'offerta speciale

Post n°43 pubblicato il 15 Gennaio 2011 da Wonderwife
 
Foto di Wonderwife

Già dal parcheggio capisci che la situazione è critica, quando ti tocca salire al quarto piano per trovare un posto. Il supermercato di venerdì significa volersi far del male. Peggio se è momento delle insidiose offerte speciali.

Le corsie sono la materializzazione del concetto di caos. Più che un supermercato, una pista di autoscontro.

Il rischio di femori fratturati è altissimo, soprattutto per le vecchiette con il cappellino a marron glacé, quelle che procedono con lo sguardo perso e lo sprint di una tartaruga pluricentenaria, e che ti verrebbe voglia di far sedere nel seggiolino del tuo carrello pur di farle arrivare incolumi al lontanissimo approdo delle casse (ma solo se non hai fretta, altrimenti accarezzi più facilmente l’idea di una raffica di bazooka risolutoria).

Nella coda interminabile alla cassa, davanti a me, una coppietta che la terza età deve averla superata da un pezzo. Li guardo per un bel po’, non solo perché non ho altro da fare, ma perché sono fragili e teneri come due passeri sul ramo di un albero.

Minuscola lei, poco più alto ma curvo lui (possono essere i nonni di Frodo), e senza un particolare fuori posto. Ordinati, precisi nei piccoli  movimenti incerti,  bisbigliano tra loro, guardandosi in volto quando si parlano, e più di una volta sorridono.

Nel carrello niente di superfluo, con la piccola eccezione di una scatola di cioccolatini, forse per un regalo o, spero, da condividere tra loro, uno per sera, davanti alla tivù.

La coda procede lentissima, lei forse è stanca, perché lui le batte delicatamente la mano tra le spalle, come per confortarla.

Si intuisce che da tempo immemorabile ciascuno di loro è l’orizzonte dell’altro, tanto si somigliano nei gesti e nelle espressioni. Ma ciò nonostante, dopo una vita passata insieme, non si guardano, si vedono. E non si limitano a sentirsi, si ascoltano.

Chissà quante volte le mani sottili di lei, adesso deformate dall’artrite e solcate da grosse vene azzurre, si sono alzate a sistemargli il colletto della camicia appena stirata, o ad accarezzargli il viso; quante volte si saranno reciprocamente consolati; quanto avranno condiviso, nella morbida accoglienza dei corpi non ancora spigolosi e contorti, un’intimità sempre più profonda; quante volte lui le avrà offerto il braccio e l’avrà sorretta per scendere dal marciapiede. Sono certa che avvenga tuttora, anche se ormai non si capisce bene chi sorregga chi.  

Come tutti, avranno passato momenti neri nella loro lunga vita, ma sembrano averlo fatto insieme e insieme esserne usciti, continuando a far scorrere nella clessidra i piccoli riti quotidiani.

Magari sarà stato un matrimonio terribile, ma qualcosa mi dice che non è stato così. E mi piace pensare che il prossimo ostacolo sul cammino l’affronteranno ancora insieme, con i loro piccoli passi cauti, preoccupati solo di non perdere il ritmo comune.

Raccolgo da terra un pacchetto di pastina sgusciato a tradimento dal loro carrello e glielo porgo. Mi ringraziano chiamandomi “signorina”, con la riconoscenza di chi alla gentilezza altrui non è più abituato. In silenzio, con un sorriso, li ringrazio io, per ciò che inconsapevolmente mi hanno offerto: uno scorcio di vita che mi ha riconciliato con la stessa. Un’offerta preziosa, inattesa e gratuita proprio qui, fra pile di scatole di pelati e il beep ininterrotto del lettore di codici a barre.

 
 
 

Patologie (per la serie “A noi, Ionesco ci fa una pippa")

Post n°42 pubblicato il 13 Gennaio 2011 da Wonderwife
 
Foto di Wonderwife

 

La Madre Svaporata mi accoglie sul divano, con la voce da gramaglie, e un sospetto di lacrima incipiente:

- Mi ha telefonato la zia Adele

- Ah, sì? E come sta?

- Lei bene…

- Perché, chi è che sta male?

- Lo zio Nino, ti ricordi il cugino di secondo grado di papà?

- Vagamente, che cosa gli è successo?

- È morto

- Come morto? E di che?

- Non so, la zia Adele non è stata chiara…

- Be’, non potevi chiedere?

- Non mi sembrava carino

- Mamma, lo zio Nino aveva almeno 90 anni, di che cosa avevi paura, che ti dicessero che è morto saltando la cavallina con una ventenne?

- Sempre la solita, non hai rispetto neanche per i morti

- …

- Comunque la zia ha detto che c’entrava l’alzaia

- L’alzaia?! Ma scusa, non era su una sedia a rotelle? Che ci faceva sul Naviglio?

- Ma che cosa c’entra il Naviglio adesso? La casa di cura era sul lago…

- Un’alzaia sul lago?! Sul fiume, forse…

- Ma va’, era sul lago! L’alzaia può venire dappertutto!

- Come venire? L’alzaia sta ferma, ce l’avranno portato, anche se non capisco a far cosa.  È stato un incidente?

- Ma figurati! Quale incidente! Era in ballo da anni, la zia dice che negli ultimi tempi non riconosceva più neanche il figlio…!

- Mamma… sei sicura che la zia Adele abbia detto alzaia e non Alzheimer?

- Sì, che sono sicura, ha detto proprio così.

- Comunque si chiama Alzheimer, mamma, lo zio Nino aveva l’a-l-z-a-i-m-e-r!

- Quando fai così non ti sopporto, guarda che anche se sono vecchia, non sono mica scema!

- Vabbe’, mamma, adesso vado a preparare la cena, che tuo nipote deve prendere un antinfiammatorio, e quello va preso a stomaco pieno.

- Che cos’ha?

- Un mal di schiena che non riesce a star dritto, il dolore gli prende perfino il testicolo…

- Il testicolo??

- Eh, sì… gli era già successo una volta, povero… un male tremendo.

- Bah…

- Bah, cosa?

- Soffro anch’io di mal di schiena forte, e mai avuto male al testicolo!

Ha ragione lei, l’alzaia può venire dappertutto.

 

 
 
 

Più che saldi... traballanti!

Post n°41 pubblicato il 12 Gennaio 2011 da Wonderwife
 
Foto di Wonderwife

Mai stata il tipo che si posiziona sul blocco di partenza, in posizione cane da punta, per scattare appena lo starter nazionale dà il via ai saldi di stagione.
Quando vedo qualcosa che mi piace, se è alla portata delle mie tasche, prendo provo  pago. Più o meno in sei minuti netti, strisciata della carta di credito compresa.
Il che è praticamente impossibile nei nuovi negozi, quelli con cui ci hanno colonizzato gli ispanici.
Non so che cosa mi abbia spinto ad entrarci, se non la curiosità femminile per l’allettante connubio “carino ma non caro”,  e il fatto che ero in anticipo di mezz’ora su un appuntamento. Ma dopo averlo fatto credo che la prossima volta affronterei più volentieri un attacco di herpes simplex.
La temperatura interna è quella di una spiaggia tunisina a ferragosto, e non importa se fuori ci sono 3 gradi e tu sei intabarrato di conseguenza. Ti togli tutto quello che la decenza permette e te lo carichi addosso, come una croce pagana, perché di via crucis si tratta.  Cerchi una giacca? Devi percorrere dai mille ai duemila metri quadri rovistando in settantasei file diverse perché le giacche sono sparse ovunque, da una mente sadica che ha distribuito i capi con la stessa logica con la quale noi butteremmo il riso agli sposi.
Ufficialmente sono negozi di abbigliamento, ma io sospetto che siano allevamenti in batteria per una nuova specie femminile con DNA modificato, il cui habitat naturale è l’assenza di logica.
La prerogativa di queste antropoidi è muoversi con sicurezza in un caos, certamente studiato a tavolino, nel quale io mi perdo. Fammi vedere più di tre modelli contemporaneamente e tutto si fonde in una massa multicolore indistinta.
Ma già che ci sono… scovo nell’ordine un tailleur pantalone nero con la giacca a soprabito, una giacca beige col collo a scialle e cintura in vita, e  un pantalone color sabbia. Leggo le taglie: 36 a caratteri cubitali e poi un elenco di cifrette che mi fanno sapere a che cosa corrisponde in sette paesi, tranne che in Italia. Cerco la 42 e mi trovo in mano un tendone da circo, per rivestire di color sabbia una stazza tre volte la mia. Chiedere delucidazioni al bodyguard di colore che mi controlla dal suo metro e novanta di ebano non mi pare il caso. Eh, sì... c'è pure un buttafuori (o meglio buttadentro se cerchi di fare la furbetta sul genere Wynona).
Chiedo aiuto a una cyborg che esala profumo ad ogni passo e che scansiona con occhio allenato tutto lo scaffale. Con voce impersonale mi informa che se cerco una 42 devo prendere la 38 ma per me – occhiata di un nanosecondo -  meglio la 36. Esperta di shopping o laureata in matematica?
Cerco i camerini perché sto per esaurire la riserva di sopportazione.
In mezzo alla sala, davanti a uno specchio alto come l’Empire state building, un' antropoide-madre osserva la sua miniatura contorcersi per entrare in un vestito che non riuscirà mai a chiudere, intanto per passare il tempo litigano furiosamente. Aspettare di entrare in camerino no?
Ma quando finalmente approdo ai salottini (?) di prova capisco il perché: fila di ventidue persone, in attesa di passare attraverso una specie di forca caudina, in cui ti contano i vestiti e ti danno un contrassegno col numero dei capi che devi provare. Massimo sei. Stanno giusto bloccando una mutante che pretendeva di entrare in camerino con …DICIANNOVE capi. Roba che la tiravano fuori da lì per il prossimo natale, frolla al punto giusto per sdraiarsi su un vassoio di lenticchie!
Mentre valuto la possibilità di mollare tutto e fuggire, si sparge la voce che ai camerini al piano di sotto non c'è fila. "Ma è il reparto uomo" obbietta una spilungona molto fashion. "Ecchissenefrega!" è la risposta poco fashion delle sue due complici. Le tre si scapicollano di sotto.
L’immancabile dubbiosa, con maschio al seguito, fa il balletto vado-non-vado. Poi decide di mollare lì il partner a farle da palo e di andare a tastare la situazione di sotto. Sparisce. La fila si assottiglia, l'uomo si innervosisce, la cerca al cellulare, lei non risponde, lui sibila un "cretina" neanche tanto sottovoce e se ne va. Una storia d'amore distrutta dallo shopping.
Finalmente guadagno uno dei venti camerini le cui tende fruscianti fanno intuire il frenetico lavoro di svestizione-vestizione all’interno.
Ci saranno 30 gradi e io ho la nausea. L’impietosa luce al neon del camerino rivela quanto segue: la giacca beige fa a pugni col pantalone, il collo a scialle mi fa sembrare la cantante mora degli Abba, il soprabito del tailleur un pastore protestante dallo sguardo molto incazzato, il mio adorato rossetto chiaro una affetta da anemia mediterranea.
Restituisco il mal tolto e, traballando, abbandono il negozio.
Mai piazza del Duomo mi è sembrata così bella.

 
 
 

Peace on the road

Post n°40 pubblicato il 11 Gennaio 2011 da Wonderwife
 
Foto di Wonderwife

Guidare mi piace, anche se mi ostino a ignorare ogni più piccolo particolare che riguardi il mezzo. Un secondo dopo aver passato l’esame di guida (nel Pleistocene, anno più, anno meno) le candele sono tornate ad essere un romantico sistema di illuminazione, l’albero a camme una sconosciuta specie di vegetazione equatoriale e i cavalli esemplari fra i più nobili e affascinanti tra le specie animali.
La mia competenza tecnica si limita all'identificazione del foro in cui infilare la pompa del carburante, e che le quattro ruote siano un po’ più toniche di una scamorza grigliata. Tutto questo è motivo di compatimento e sconsolati scuotimenti di testa da parte di tutta la frangia maschile di casa. Mi salva solo la qualità della guida sulla quale non possono eccepire. Loro malgrado.
Sarà per questo disinteresse che l’auto è per me solo qualcosa di più veloce (e dispendioso) delle mie gambe per spostarmi da un punto all’altro. E sarà per questo disinteresse che, anche motorizzata, resto uguale a me stessa, senza mettermi le dita nel naso, sparare lo stereo a palla e trasformarmi in una stuntwoman sul set di Cannonball. Per la maggior parte della gente (uomini in primis), l'abitacolo dell'auto diventa invece la cassa di risonanza di tutte le peggiori nevrosi che sono costretti a occultare nel corso della giornata.
Gli anziani, ai quali avrebbero dovuto ritirare la patente almeno da dieci anni, procedono cauti nel delirio delle ore di punta, con il cappello regolamentare anche in agosto, e vengono colti da catalessi stuporosa agli incroci, guardando fisso in avanti, forse in attesa di una schiera di angeli che sollevi la loro macchina e la traghetti al di là del periglioso crocicchio.
Poi ci sono quelli che, fermi al semaforo, urlano e gesticolano furiosi, nonostante stiano viaggiando da soli. Se qualche anno fa li avresti etichettati come “pronti per la neuro”, adesso sai bene che si tratta di gente che usa il vivavoce come se fosse davanti ad un videocitofono. Per noi italiani la mimica è tutto.
I tamarri, invece, non paghi della tremenda croce che già portano inconsapevoli sulle spalle, vogliono gridare il loro stato a tutto il mondo, e viaggiano con i finestrini abbassati, la canottiera di rete e la canzone nazional-popolare a decibel stratosferici, lanciandoti occhiate lascive mentre tentano di superarti a destra, giusto per farti vedere “quanto ce l'hanno lungo”.
Il top, però, sono gli incazzati. Quelli che già si alzano la mattina con un ettolitro di bile che gli sciacquetta lo stomaco e che se solo, disgraziatamente, avessero un porto d'armi contribuirebbero volentieri alla selezione naturale. Generalmente sono uomini, guidano da schifo, e odiano le donne. Soprattutto le donne che guidano. Stamattina ne ho incontrato uno. Su una vecchia auto color cacca-di-piccione, non chiedetemi il modello perché non li distinguo. L'ho visto troppo tardi. L'interminabile fila prima di me, forte del diritto di precedenza, l'aveva inchiodato al suo posto già da qualche minuto. Ma io ero troppo addormentata per essere gentile e farlo passare nonostante il mio diritto sancito dal triangolo. Del resto la mia unica preoccupazione era di non finire nel portabagagli di quello davanti, visto il continuo stop-and-go del traffico mattutino. Ma il tipo decide che deve passare, a costo di sfasciare un' auto. La mia. Detto fatto: mi punta il fanale anteriore sinistro, ingrana la prima e parte a tavoletta. Per fortuna i miei neuroni dormivano ancora, così l'istinto (normalmente in vacanza perpetua) ha potuto avere il suo momento di gloria. L'ho evitato sterzando, ma non abbastanza per consentirgli di passare. Il tentativo frustrato ha avuto su di lui l'effetto di una muleta rossa per un toro andaluso. Il collo come un fascio di gomene, le froge fumanti e gli occhi sfrittellati sul parabrezza, mi ha urlato:“Puttanaaa!!!”
Omuncolo ignorante, senza fantasia, e per niente trendy, visto che ormai l’epiteto ha subito un upgrade. Certo, gridare “Escort” non avrebbe la stessa efficacia, e potrebbe essere scambiato per l’invocazione a una macchina vintage… Comunque, perché rispondere? L’ho fissato con un sorriso da madonna preraffaellita. Poi Nostra Signora dei Semafori ha miracolosamente sbloccato la mia fila, evitando che la portiera sinistra mi venisse sfondata dalla macchina color cacca-di-piccione. 
Se  Lennon avesse guidato per le strade di Milano una mattina qualunque, non avrebbe mai scritto Give Peace a Chance.

 
 
 

Forrest Gump(erson)

Post n°39 pubblicato il 10 Gennaio 2011 da Wonderwife
Foto di Wonderwife

Se è vero che siamo i cartoni animati di Dio, quest’ultimo deve essere proprio un gran burlone.

A un certo punto della mia vita avevo deciso che mi ero stufata di fare la freelance, avrei voluto tornare a un lavoro più stabile, che mi permettesse di stare in mezzo ad altre persone, anziché scrivere come un monaco benedettino tecnologico nell’intimità della mia casa. Sapevo anche che se ci fossi riuscita, ci sarebbero stati giorni in cui mi sarei voluta sparare all’idea di lavorare di nuovo in un ufficio, dove probabilmente avrei dovuto far ricorso a tutta la pazienza che ancora mi resta per non stramaledire la metà delle persone che avrei avuto intorno. Ma, come dico spesso, si desidera sempre ciò che non si può avere. Con i chiari di luna che ci affliggono di questi tempi, e la mia età non certo verdissima, il desiderio è rimasto tale, fino ad essere sostituito da uno ancora più forte: Wonderhusband e io abbiamo cominciato ad accarezzare un progetto di lavoro che ci avrebbe consentito, alla lunga, di tornare a vivere sotto lo stesso tetto, e questo è un desiderio davvero degno di  una vera good wife!

Ma la legge di Gumperson (legge non scritta ma confermata dalla vita) non sbaglia mai: la probabilità che una cosa si realizzi è inversamente proporzionale alla sua desiderabilità.  Il che significa anche il contrario, quando una cosa non la desideri ci sono alte possibilità che accada.

Infatti, ora che non ci pensavo proprio più, mi è stato offerto un lavoro stabile, allettante, che però renderebbe irrealizzabile – almeno per un bel pezzo – il progetto coniugale. E adesso?

La vita è una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita…

 
 
 
 

"E' TARDI, è TARDI!" DICE IL BIANCONIGLIO...


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