“All’alba del 2 novembre 1975 veniva trovato, abbandonato nel vasto squallore dell’idroscalo di Ostia, a pochi chilometri da Roma, un corpo esanime, un “sacco di stracci” come lo ha definito una testimone oculare, un uomo martoriato, con le ossa spezzate e il volto tumefatto quasi irriconoscibile. La testa fracassata dalle bastonate, il corpo straziato dalle ruote di un’automobile…” (tratto da Il Castoro di Serafino Murri)
Siamo nelle vicinanze del mare e quella testa e quel corpo sono di Pier Paolo Pasolini, poeta, romanziere, filologo, critico e regista cinematografico, ma soprattutto colui che ha ridato un volto alle periferie romane, le cosiddette borgate, e voce al sottoproletariato urbano, restituendogli dignità e ragione di esistere. Regalando emozioni e momenti di vita vera. Ed è stato trucidato su una specie di campo di calcio abbandonato, a lui che piaceva così tanto giocare a pallone…
“È morto un poeta – urlò Moravia dopo la sua morte – e di poeti veri nella storia ne nascono uno o due ogni cent’anni!”. È triste ricordarsi di Pasolini solamente in occasione dell’anniversario della sua morte, perché magari rientrando a casa tardi e accedendo il televisore rivediamo la faccia malandrina e butterata di Accattone o quella bonaria e inconfondibile di Mamma Roma.
Dal romanzo “Una vita violenta”:
Il “Quo Vadis” era bello lungo, e quando che finì e Tommaso e Irene uscirono dal “Garbatella”, era già scuro che pareva notte alta. Il baretto sulla piazzetta davanti al cinema luccicava come un brillocco, con tutti i suoi tubetti al neon, e la Garbatella intorno era un mucchio di luci sperse nella notte. Le cricche dei giovanotti erano aumentate, e chi a cavalcioni di un motorino si preparava a andare dentro Roma, e chi ci tornava, tutti schiamazzando e facendo il quarantotto.
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