Creato da greppjo il 17/09/2009

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In ricordo di Enrico Cherubini-1

Post n°209 pubblicato il 22 Ottobre 2017 da greppjo
 
Foto di greppjo

Nei giorni scorsi, precisamente il sedici ottobre, il sindacalista Enrico Cherubini all’età di novantanni è tornato alla casa del Padre. Enrico è stato uno dei primi operatori della sede nazionale della Cisl che ho conosciuto quando nel 1978-1979 fui chiamato da Pierre Carniti alla redazione di Conquiste del Lavoro.Egli faceva parte dell’Ufficio stampa ed arrivava in Cisl molto presto per la Rassegna Stampa dei quotidiani che egli faceva alla Federazione unitaria. Io dormivo al Convento dei Padri Dottrinari e siccome mi alzavo presto arrivavo in sede poco prima delle otto. Quasi subito divenni il suo primo lettore della Rassegna  che aveva appena sfornato e che andava a portare agli uffici della Segretaria generale, cioè a Luigi Macario e all’aggiunto Pierre Carniti da cui dipendevano Conquiste del Lavoro  e l’Ufficio stampa. Siccome poi lui se ne andava in un altro ufficio e io ero quasi solo,in quanto tutti gli altri arrivavano attorno alle otto e trenta, presto facemmo amicizia nei cinque minuti del caffè mattutino al piccolo bar di via Po, che apriva alle otto. Un’ amicizia poi durata quasi quarantanni e che mi ha permesso di condividere con lui, che con me è sempre stato molto generoso e paterno, tante belle chiacchierate. Quando la sera del 17 ottobre da un amico comune  ho appreso la notizia della sua morte ho pubblicato un breve post su Facebook. Un post molto letto e  che mi ha confermato la stima e le tante amicizie che egli aveva sia nel sindacato sia nel mondo della politica. In quel post ho definito Enrico Cherubini un  cislino importante, una persona buona e generosa, un cristiano impegnato fino agli ultimi anni della sua lunga vita nella società e verso il prossimo. Confermo il mio ricordo e qui voglio completare quella mia immediata riflessione con la pubblicazione di quanto mi disse quel lontano ottobre del 2006, avendo ritrovato tra le mie carte un' intervista che gli feci nell’autunno 2006 per Memoriaonline. Un inizio d’intervista purtroppo, in quanto  mai conclusa e quindi inedita.

Eccole mie domande e le sue risposte.

Come incontri il sindacato e poi la Cisl? Puoi rispondere anche dettagliando con dovizia di particolari.

“La mia attività sindacale ha avuto inizio nel 1946. Sono figlio unico e provengo da una famiglia mezzadrile umbra di 4 persone.  Avevo 5 anni quando la mia famiglia, che aveva sempre coltivato lo stesso fondo ( detto "fontinìo"), da 5 generazioni e per  più di 100 anni fu licenziata,  perché, secondo il padrone  del l'azienda, mio padre e mio zio celibe,con un solo figlio, non avrebbero potuto garantire in futuro la forza lavoro necessaria per condurre il podere. Non senza un profondo rimpianto, nel 1932 fummo costretti a trasferirci con tutte le masserizie in un altro casale  di una piccola azienda agricola, nello stesso comune di Castel Ritaldi. Dopo 4  anni(1936), in seguito al 2° trasferimento della famiglia ad Eggi di Spoleto in uncasale del Dr.Profili,fui costretto ad interrompere la scuola elementare. Avevo 9 anni ed ero stato promosso dalla 3° alla 4° elementare. Di Eggi ricordo"le fresche levatacce" delle ore 5, nei mesi di luglio e agosto, per aiutare i miei ad arare il terreno coni buoi, ma anche l'acqua salutare della "fontanella", 40 pecore con gli  agnellini e tanti carciofi .

Nel 1937-38,dopo una sola annata agraria, ci  trasferimmo da Eggi al  centro di Camporoppolo di Spoleto in un casale di Pietro Piccioni. Voglio precisarti che,secondo un’antica legenda,  Camporoppolo: il nome della frazione deriverebbe da "Campo-rotto", in ricordo della sconfitta subita dall'esercito di Federico Barbarossa nel 1200 in questa località. Il proprietario del casale aggredì e picchiò a sangue mio zio Cherubino, il capofamiglia, soltanto perché aveva osato chiedere le contabilità coloniche, previste nel capitolato di mezzadria del Sindacato delle Corporazioni. Nel 1939, infine,  l'ultimo trasloco della famiglia in un casale di proprietà di Stefano Sabatini, in aperta campagna ma sempre a Camporoppolo, in una casa colonica fatiscente,priva di illuminazione elettrica e di servizi igienici.

Avevo 11 anni  e non mi rassegnavo di fronte alle violenze ed ai  soprusi subiti senza protestare dai miei familiari,"per non finire in mezzo ad una strada”.Decisi di rivolgermi al Sindacato delle Corporazioni, che  svolgeva soprattutto le funzioni del  "collocamento" ed in tale veste era pronto a multare   i mezzadri quando assumevano mano d'opera avventizia senza il suo "nulla osta". Ricordo ancora le operaie avventizie addette ai lavori stagionali ( la sarchiatura del grano, la mietitura, la vendemmia e la raccolta delle ulive) che si nascondevano all'arrivo dei funzionari del Sindacato. Esposi  le inadempienze contrattuali e le violenze subite dai miei familiari ad un funzionario del Sindacato di Spoleto. Questo mi ascoltò con attenzione ma non fece nulla per imporre al padrone del casale il rispetto del capitolato colonico.   La mia famiglia era anti-fascista, ma non fece parte della resistenza. I miei pagarono la tessera obbligatoria per farmi frequentare le scuole elementari, ma si rifiutarono di farmi indossare la divisa da " balilla". Non erano indifferenti, ma a me ripetevano che era meglio non immischiarsi con i partiti.

Mio zio non sposato protestava contro il regime perché era costretto a pagare l'odiosa e pesantissima"tassa sul celibato" per colpa di Mussolini.”

D’accordo, queste sono le premesse, ma quando avviene il tuo incontro con il sindacato vero?

Avviene nel 1945 quando divenni attivista della Fedremezzadri Cgil unitaria.Dopo la liberazionedal  fascismo partecipai  con entusiasmo alle prime riunioni sindacalimezzadrili e, nell'autunno del 1945, diventai attivista  della Federmezzadri aderente alla CGIL unitaria. A Camporoppolo di Spoleto ero tra i pochissimi mezzadri della CGIL unitaria iscritti o simpatizzanti silenziosi della DC e della Azione Cattolica. Per questo, anche se ero in prima linea in  tutte le battaglie sindacali e din particolare in  quella per la conquista del famoso 3% in favore dei mezzadri; anche se denunciavo apertamente il mio padrone che esigeva ogni anno dalla mia famiglia la prestazione gratuita di centinaia di giornate lavorative  in un suo secondo casale condotto in proprio, per gli esponenti dei partiti di sinistra io ero e rimanevo un " traditore della classe operaia".Infatti la distinzione tra" buoni e cattivi" anche  nel sindacato, era un prerogativa esclusiva della sinistra e avveniva soltanto sulla base della appartenenze ai partiti.  Per la maggioranza della  CGIL e della Federmezzadri  un successo del sindacato era un successo del PCI e del PSI.  Eventuali diversi pareri della correntesindacale cristiana non contavano nulla.”

Quindi le note vicende della rottura del sindacato unitario ti trovarono sul campo come attivista della Federmezzadri. Come vivesti il tuo 1948?

“Il famoso sciopero politico per l’attentato a Togliatti del 14 luglio 1948, proclamato dalle sole componenti maggioritarie social comuniste della CGIL e successivamente degenerato anche a Spoleto in alcuni atti di violenza, destò molta apprensione  tra i lavoratori. Un episodio fra  tanti poteva dare la misura del clima di tensione che si era determinato: pochi facinorosi impedirono al parroco della mia parrocchia di far suonare le campane per il consueto annuncio dei riti religiosi.

Dopo lo sciopero politico, a Spoleto e in tutta la provincia si svolsero diverse riunioni della corrente sindacale cristiana e delle ACLI per discutere della eventuale rottura dell’unità sindacale. Io partecipai al dibattito con i rappresentanti dei lavoratori dell’industria,  del pubblico impiego, della scuola e dei servizi: una esigua maggioranza si pronunciò per la  uscita dalla CGIL e la costituzione di un sindacato libero; una forte minoranza proponeva di continuare la battaglia dell’autonomia all’interno  della CGIL.  La delegazione perugina al  Congresso Nazionale delle ACLI votò  per la LCGIL, il nuovo  Sindacato Libero. Sulla nascita della LCGIL si è detto e si è scritto di tutto. Secondo i partiti del "Fronte Popolare" clamorosamente sconfitti alle elezioni del 1948, la LCGIL sarebbe nata per un perverso disegno reazionario della DC e del mondo capitalistico e sarebbe  stata finanziata dalla CIA. I fatti hanno dimostrato il contrario: milioni di lavoratori lasciarono la CGIL per aderire alla LCGIL (1948) e alla CISL (1950). Il nuovo sindacato fu da subito unitario, democratico, aconfessionale, autonomo dai partiti, collocato in occidente e finanziato soltanto dai lavoratori italiani e dalla solidarietà dei lavoratori americani.

 Le più significative e lungimiranti scelte democratiche della LCGIL e della CISL, in un mondo allora diviso in due blocchi rigidamente contrapposti, furono sicuramente l'autonomia e l'occidente.”

Quale fu il tuo ruolo ed incarico nella Lcgil?

“Come stavo dicendo,nel mese di settembre 1948  ebbe inizio la costituzione dei Liberi Sindacati in ogni luogo di lavoro; nel mese di ottobre 1948 ebbi l'incarico di coordinatore "a pieno tempo" della LCGIL nella zona di Spoleto . Mi occupai subito di proselitismo e del coordinamento dei nuovi sindacati di categoria. Le adesioni furono superiori alle aspettative.

I promotori del libero sindacato al Cotonificio di Spoleto,alle miniere di Morgnano, allo Spolettificio e al Cementificio di Baiano diSpoleto non si lasciarono mai intimidire: erano ben motivati e determinatinelle loro scelte.

La maggiori difficoltà le incontrammo, invece, nelle campagne. I mezzadri erano ancora largamente influenzati dagli esponenti dei partiti di sinistra che fin da allora si arrogavano il diritto di  classificare i lavoratori tra buoni e cattivi. I cattivi erano i nemici di classe e coincidevano sempre con  i loro avversari politici.

 Nei mesi di novembre e dicembre 1948 ad Assisi e a Gubbio presi parte ai primi corsi di formazione sindacale organizzati dalla LCGIL. Tra gli istruttori c'era Livio Labor,allora  responsabile dell' ICAS.

Quale esponente della categoria dei mezzadri della LCGIL fui nominato membro di una Commissione istituita presso il Tribunale di Spoleto e prevista dalla Legge sulla Proroga dei Patti Agrari .Nei primi mese del 1949 lasciai l’incarico di delegato di zona della LCGIL per  dedicarmi allo studio e per aiutare i miei familiari nel  lavoro dei campi.

 In quanto autodidatta alternavo spesso periodi di studio con periodi di lavoro, anche se rimanevo costantemente impegnato nel sindacato.”

Impegnato come incaricato Acli però, se non ricordo male quanto mi accennavi nei giorni scorsi.

 “Negli anni 1952-1953 le ACLI mi fu offerta l'opportunità di svolgere una proficua attività organizzativa nella zona di Spoleto. Mi impegnai nella organizzazione di decine di nuovi circoli ACLI e di numerosi cantieri di lavoro per di soccupati e corsi di addestramento professionale gestiti dall' ENAIP-ACLI  per conto del Ministero del Lavoro numerosi corsi di  addestramento professionale (metalmeccanici, falegnami, muratori,sarte, economia domestica ).

Per il 4 Dicembre 1952, festa di S. Barbara, organizzai una grande manifestazione alle miniere di Morgnano di Spoleto. Intervenne Livio Labor (esponente nazionale ACLI), che potè parlare per la prima volta a 2000 minatori. Cadde così un primo tabù: ai minatori di una regione rossa come l'Umbria  potevano parlare anche le ACLI. Anzi, Livio Labor fu molto applaudito. Con numerose riunioni, convegni e dibattiti aperti le ACLI furono portate alla ribalta in ogni luogo di lavoro.Memorabile (1952)  fu una grande assemblea delle ACLI con migliaia di contadini alla Bruna di Castel Ritaldi. Intervenne Alberto Sviderckoschi, esponente Nazionale delle ACLI Terra.

L'avvenimento  suscitò una vasta eco nella pubblica opinione: il Prof. Marcello Lucini, ( futuro direttore de Il Tempo, allora cronista a Spoleto), scrisse: "Per la prima volta si è fatta sentire tra i lavoratori una  voce libera e diversa. Il merito è delle ACLI, una  organizzazione sociale di ispirazione cattolica. E' stato finalmente dimostrato che  le manifestazioni di massa dei lavoratori possono essere organizzate anche senza il PCI e senza la CGIL: nessuno può detenere il monopolio delle forze lavoratrici.”

 Un successo che ti  segnalò perincarichi più importanti. Vero?

Dopo la positiva esperienza nelle ACLI di Spoleto, fui chiamato a svolgere le funzioni di Segretario Provinciale delle ACLI a Perugia. C'era  un Presidente molto attivo ed intelligente ,Giuseppe De Sanctis, che ricopriva anche l'incarico di vice Direttore dell'Ufficio Provinciale di Perugia.

Ancora impreparato,  affrontai con impegno la difficile e complessa realtà sociale di una grande provincia.

Per me fu il mio primo vero e severo impatto con  i problemi dei lavoratori e dei disoccupati in  una importante provincia"rossa". Le ACLI provinciali di Perugia presiedute da Giuseppe De Sanctis,  si imposero all'attenzione del mondo cattolico e della pubblica opinione per la loro qualificata e capillare crescita organizzativa in ogni ambiente di lavoro Ovunque sorgevano i circoli ACLI, aprivano cantieri di lavoro per disoccupati e corsi di addestramento professionale gestiti con serietà dall' ENAIP- ACLI ;  asili nido e scuole materne nelle parrocchie,colonie marine per i figli dei lavoratori a Senigallia.

I corsi di addestramento professionale organizzati dall'ENAIP -ACLI osservavano programmi ed orari di studio e lavoro particolarmente rigorosi. Insieme all'incaricato Provinciale ENAIP Roberto Merini presi parte a numerose ispezioni ai corsi per muratori, per sarte e per meccanici  in svolgimento a Gubbio, Citta' di Castello,Torgiano , Umbertide,  Deruda. Gli allievi trovati assenti dai corsi senza giustificato motivo, venivano immediatamente espulsi.

Le ACLI Perugine disponevano anche di un  periodico L'Aratro, un modesto foglio che fu anche la mia prima esperienza nel campo dell'informazione. Ma il fiore  all'occhiello di quelle eccezionale esperienza  delle ACLI fu: "La scuola Sociale e Presindacale" , frequentata con straordinariointeresse da centinaia di  quadri delle ACLI e della CISL.

Purtroppo ben presto i successi delle ACLI fecero  paura ai dirigenti della DC. Mentre i lavoratori cattolici ed il clero si impegnavano con entusiasmo per le ACLI, gli esponenti della DC provinciale si preoccupavano per una eventuale candidatura alla Camera dei Deputati di Giuseppe De Sanctis, molto apprezzato dalla gerarchia della Chiesa cattolica.   Il Dr.Giuseppe De Sanctis, Presidente delle ACLI e v.direttore dell'Ufficio Provinciale del Lavoro fu trasferito al Ministero del Lavoro al solo scopo di scongiurare  la sua candidatura  alle elezioni politiche del 1953. A nulla valsero le diffuse proteste della base .Il candidato gradito alla DC non doveva essere eletto. Fu chiamato a sacrificarsi il bravo Prof. Renzo Battistella della Presidenza Centrale ACLI. Una stagione d'oro delle ACLI di Perugia fu interrotta in questo miserevole modo!  Giuseppe De Sanctis  divenne, forse per sua fortuna, un bravo dirigente nazionale del Sindacato Dipendenti degli Uffici Provinciali del Lavoro aderente alla CISL.”

 Sempre se non ricordo male, poi ti trasferisti a Pesaro.

Nel  1955 fui ammesso alla Scuola Sindacale diFirenze e al termine del corso, all’inizio del 1956, fui inviato alla USP- CISLdi Pesaro per un periodo di sperimentazione pratica. A Pesaro, ambiente sindacale molto difficile, mi fu affidato l'incarico di organizzare i mezzadri.Giorno dopo giorno, con trepidazione  e determinazione, andai a trovare i mezzadri nelle loro abitazioni per preparare con loro le iniziative del sindacato. I mezzadri  erano in gran parte diffidenti verso la CISL e talvolta non esitavano ad allontanarmi dalle loro case per motivi ideologici. Ciò nonostante riuscii ad organizzare decine di riunioni serali, di incontri,  convegni e manifestazioni nelle frazioni enei comuni della Provincia.  Con la collaborazione  di tutta la USP riuscii ad iscrivere alla CISL centinaia di famiglie mezzadrili. Più in generale miadoperai per  accrescere l'adesione ditutto il mondo contadino alle politiche fortemente innovative di un sindacatoautonomo da tutte le forze politiche Sotto la intelligente guida di Alfio Tintil'Unione di Pesaro, seppure con pochissime risorse economiche a disposizione in confronto con  la complessità dei problemi, (riforme dei patti agrari e delle pensioni ,contrattazione articolataetc), riusciva ad elaborare progetti e a tracciare  la strada da seguire anche  alle altre organizzazioni sindacali. Il gruppo di lavoro costruito da Tinti nel quale ero inserito, operava in un clima sereno e positivo da prendere ancora oggi ad esempio. La morte improvvisa di mio padre  troncò di colpo una delle mie più esaltanti esperienze sindacali. Non potevo più restare lontano da mia madre e da mio zio ancora mezzadri ed in conflitto permanente con il proprietario del casale. Mi  sentii in colpa e chiesi, non senza rammarico, di tornare in Umbria.

Pesaro è rimasto per me un percorso breve  ma molto significativo della mia attività sindacale e della mia vita familiare.”

 

Ma l’esperienza a Pesaro fu di breve durata e quindi rientrasti a Perugia?

Nell’autunno1956 fui trasferito dalla USP-CISL di Pesaro a quella di  Perugia ed ebbi da Romei l'incarico di delegato di zona a Todi. La realtà socio- economica del Tuderte era prevalentemente costituita da una forte presenza di aziende agricole condotte a mezzadria, da numerose piccole e medie aziende industriali: la  Briziarelli a Marsciano e la Toppetti a Todi(laterizi); la Carbonari a Todi (televisori). Due grandi stabilimenti a Fratta Todina e a Marsciano lavoravano il tabacco ed occupavano migliaia di Tabacchine.

 Centinaia di aziende artigiane, completavano  il tessuto sociale ed economico e sociale del comprensorio. Quasi tutte le aziende medie e piccole, industriali, commerciali ed artigianali, eludevano le norme contrattuali dei loro dipendenti, provocando numerose vertenze di lavoro individuali. I giovani mezzadri stavano iniziando l'esodo delle campagne e cercavano lavoro senza trovarlo  in altri settori  produttivi.  La CISL si fece carico anche di questa esigenza e, attraverso  diretti contatti con il Segretariato Agricolo del Cantone di Turgovia  ( Svizzera),facilitò il trasferimento di numerosi giovani  presso aziende agricoleed industriali di  Val Vienten.

 I mezzadri anziani che rimanevano sul casale, mentre si mostravano scettici  e sfiduciati di fronte  progetti presentati dal sindacato per la riforma dei contratti agrari e per lo sviluppo economico e per l'ammodernamento dell'agricoltura, erano pronti a battersi soprattutto per le pensioni . Un atteggiamento ritenuto sbagliato e rinunciatario dal sindacato, anche se i mezzadri e i coltivatori diretti  allora erano i soli a non avere ancora diritto alla pensione.

Le Unione Zonali della CISL dovevano occuparsi di quasi tutte le categorie lavoratrici, fatta eccezione per quelle del pubblico impiego  che disponevano di autonome strutture provinciali organizzative.

 Il 5 luglio 1956 alle ore 17 un gruppetto di agrari erano riuniti in Piazza del Popolo a Todi e gridavano insulti e bestemmie all'indirizzo di Giulio Pastore. A loro dire Pastore era responsabile della vertenza del Plusvalore sul bestiame  e della perdurante agitazione nelle campagne per la riforma delle pensioni e del patti agrari. Io mi trovai ad attraversare la piazza e, mentre cercavo di reagire ai loro insulti, fui preso a calci da un agrario.

 Per domenica 8 luglio 1956 l'Unione Sindacale Provinciale di Perugia organizzò una grande manifestazione di protesta .La Confederazione designò  a presiederla Enrico Parri, Segretario Nazionaled ella Liberterra. La cittadinanza, i lavoratori ed in particolare i mezzadri  rimasero particolarmente impressionati  da questo grave episodio, finito nelle prime pagine dei giornali locali e dell'Unità e persino nelle cronache di Radio Mosca.  Nonostante i difficili rapporti di allora tra leConfederazioni sindacali, la CGIL solidarizzò con la CISL e aderì alla manifestazione dell'8 luglio 1956.  Si era determinato un clima di tensione nell'opinione pubblica; il  comando dei carabinieri di Todi temette per l'ordine pubblico. L' Unione Sindacale Provinciale CISL di Perugia, con grande senso di responsabilità, decise di sospendere la manifestazione e di intensificare la lotta dei mezzadri.

La CISL della zona di Todi, applicando alla lettera e con assoluta intransigenza i principi dell'autonomia del sindacato e superando indicibili ostacoli e difficoltà anche interne (per il mio predecessore, ad esempio, non era facile tagliare ogni legame con le forze estranee al sindacato),  determinò la crisi  della CGIL e diventò il primo sindacato. La ragione di  tanto insperato successo fu dovuta soprattutto allo spirito di sana emulazione ed autentica condivisione solidale di un gruppo dirigente disposto a spendersi totalmente per il sindacato. Tutti eravamo in gara tra di noi per superarci reciprocamente gli uni gli altri sugli obiettivi del proselitismo. Ci sottoponemmo, entusiasti, alla faticosa raccolta del grano in motocicletta nelle case dei mezzadri ed alla certosina riscossione dell'importo tessere e quote mensili individuali presso gli iscritti delle altre categorie. Sapemmo dedicarci al sindacato senza limiti di orario, senza riposo settimanale, senza ferie e talvolta anche  senza stipendio perché credevamo nella CISL e perché eravamo sicuri che le fonti di finanziamento del vero sindacato erano soltanto quelle che provenivano dai lavoratori .

E non solo questo!. Nel 1957, per la metà del costo della riparazione di una Fiat Topolino imprestatami da un parroco per tenere una riunione di mezzadri in una lontana località di montagna, la USP mi trattenne a rate la somma di L.70.000 su uno stipendio mensile di L. 35.000. La riunione era durata fino a mezzanotte.Mentre percorrevo una strada dissestata e sassosa per tornare a  Todi, urtai una pietra e, senza accorgermene,sfondai la coppa dell'olio e fusi il motore della topolino. Tornai a piedi alle ore 3 del mattino seguente, senza cena.

 A Todi avevo trovato ospitalità in una stanza umida e senza finestre dei Frati Cappuccini: non potevo affittare una camera.

 Per tenere riunioni a Marsciano, Fratta Todina, Gualdo Cattaneo e Bastardo, viaggiavo con la moto non meno di 3 ore al giorno.

A Marsciano, dove mi recavo spesso per organizzare e tutelare le tabacchine, alle ore 6 di una fredda giornata invernale, trovai ad aspettarmi Luigi Macario, Segretario Confederale CISL. Era venuto per incoraggiare le tabacchine in sciopero."

(Segue

 
 
 

Il futuro è nel nostro passato.

Foto di greppjo

Il lascito testamentario dei classici nel bel libro della professoressa Fiorella  Casucci. Il commento del  doctor theologiae Leonardo Castellani.


Ho conseguito la maturità nel non più vicino 1992 e la professoressa Fiorella Casucci in Camerini è stata la mia docente di latino e greco nei tre anni di liceo a Cortona.

Gli anni passati mi sono serviti per comprendere che quel titolo di studio è stato la base su cui poggiarsi per costruire la propria esperienza; è la vita che poi ti consegna quella “maturità” necessaria a comprendere e a comprendersi.

La professoressa Casucci, insieme ad altri favolosi insegnanti, cercò di infondere in noi giovani l’amore per il pensiero classico da cui la nostra civiltà trae la propria linfa; cercò di appassionarci con la sua passione e di spingerci alla ricerca del vero. Allora eravamo davvero troppo acerbi per comprendere certe dinamiche: spesso credevamo che fossero solo “nozioni scolastiche” fini a sé stesse e avulse dal mondo reale, ormai così distante dai tempi di Diogene o di Demostene. La vita però sa aspettare.

Oggi, nel 2017, scopro il bellissimo libro intitolato «Il futuro è nel nostro passato. Frammenti di saggezza antica per un nuovo umanesimo» edito da Calosci e sono qui a testimoniare che la professoressa Casucci, a distanza di venticinque anni dal mio “addio” al Liceo Classico, ha di nuovo fatto centro nel mio cuore e nel mio intelletto, donandomi un nuovo insegnamento e fornendo alla mia ricerca personale un’importante conferma. La nostra società vive una crisi d’identità talmente seria da non trovare più un riferimento certo per una vera consapevolezza e per scelte certe che poggino sulla “verità delle cose”. Allora mi domando: “se un figlio è in crisi e non sa dove parare, non chiede forse consiglio ai genitori o addirittura ai nonni? Ed essi, dall’alto della loro esperienza, non sono forse lieti di mostrare amorevolmente la strada giusta a dei passi smarriti?”. Così siamo noi: la società in crisi che solca con i propri piedi le vie di questo mondo, dovrebbe domandar consiglio alla grande biblioteca della storia, ove ogni nostro antenato che se ne va è un libro che si chiude e che viene riposto in uno scaffale dei ricordi. Il nostro pensiero discende dai greci e il nostro credo deriva dai giudei. Ogni giorno, nei nostri atti e nel nostro parlare, siamo greco-giudei e le nostre poche certezze rimaste sono impregnate dall’odore del Mediterraneo.

Il libro della professoressa Casucci prende in esame alcuni temi cardine del nostro sentire quotidiano: la storia, l’amore, la politica, la legge, le donne, la morte, l’amicizia, la sapienza, la lettura, l’universo, il mondo, la ricerca di sé stessi e molto altro ancora. Un popolo millenario quale è quello dei greci ha tutto da dire al nostro essere uomini e donne di oggi; se è vero che solo chi ha studiato il greco antico sa assaporare in pieno il succo di un pensiero così profondo, possiamo dire con altrettanta certezza che possiamo dirci a nostra volta greci, figli e nipoti di Platone, di Aristotele, di Tucidide ed Euripide. Ogni volta che sono andato in Grecia a riappropriarmi della mia storia, infatti, incontrando i greci sono sempre stato salutato con questa stupenda espressione: «Italiani Greci, mia faza, mia razza», dove la parola μίᾰ (εἷς, μίᾰ, ἕν) non sta ad indicare semplicemente “una”, ma “una sola”! I Greci ci tengono sempre a dirlo e ciò testimonia fortemente questa comune e così importante radice.

La professoressa Casucci insiste giustamente su questo aspetto: ciò che gli autori greci affidarono alla storia tremila anni fa è non solo valido anche oggi, ma proprio oggi sarebbe da riscoprire come fondamentale lascito testamentario. Gli amori, le lotte, le angustie e le aspirazioni di noi che viviamo qui ora, sono quelle di chi vide Troia cadere tremila anni fa e degli spartani interdetti che videro Serse marciare con un esercito leggendario; le difficoltose strade della vita che percorriamo noi oggi sono quelle di quei soldati in fuga narrati con insuperabile maestria nelle

Anabasi di Senofonte; parlando utilizziamo le categorie di pensiero dei filosofi greci e continuiamo a parlare, ad esempio, di “amore platonico” senza afferrarne bene il significato, ma intanto continuiamo a nominare Platone… Sorrido a pensare che in molti sono un po’ come quel Don Abbondio che mentre leggeva un panegirico su San Carlo Borromeo, a un certo punto si domandò: «Carneade! Chi era costui?». C’è allora una mezza consapevolezza che “siamo figli”, ma anche una tangibile ignoranza sull’identità dei nostri padri.

A distanza di ormai tanti anni dalla mia “maturità classica”, non posso che consigliare questo stupendo libro della professoressa Casucci che ancora una volta mostra con fresca maestria la sua profonda conoscenza dei classici greci e latini, mostrando mirabilmente la via all’homo viator contemporaneo che ha perso la sua stella polare. Personalmente, poi, avendo abbandonato la via della doxa nella mia ricerca dell’aletheia, mi sto dedicando a seguire la mia stella cometa.

Un consiglio tecnico: questo libro non è da leggere d’un fiato, ma è da gustare senza fretta, da leggere e ruminare modico gradu, come se si dovessero prendere a morsi quei succosi limoni del Mediterraneo, ove ogni morso è un’esplosione di sapori contrastanti che ti riempiono la bocca: ci vuole una vita a comprendere la vita…

Termino questa mia semiseria recensione con una citazione che mi è cara: a metà del secolo scorso, mentre infuriavano i regimi e la seconda guerra mondiale, un pugno di uomini virtuosi che si autonominarono “aquile randagie” immortalò nella pietra della storia questo pesantissimo monito:

«Ciò che fummo noi un dì /voi siete adesso. /Chi si scorda di noi /scorda sé stesso».

L’ardua sentenza dei posteri, non può non tenere conto delle ragioni dei predecessori.

Leonardo Castellani

NdR: Chi è Leonardo Castellani? Diplomatosi nel 1992 al liceo classico "Luca Signorelli" di Cortona inizia quasi subito a servire il proprio paese in funzioni militari. Nel 2011  consegue la laurea triennale in Scienze Religiose presso l'Istituto Superiore di Scienze Religiose di Assisi. Nel 2013 consegue la laurea magistrale in Scienze Religiose con indirizzo pedagogico-didattico presso l'Istituto Superiore di Scienze Religiose di Assisi. Nel 2015 consegue la laurea magistrale in Sacra Teologia con indirizzo filosofico e biblico. Attualmente sta seguendo studi comparativi di escatologia tra cristianesimo, ebraismo ed induismo.

 

 
 
 

La scelta non è il conflitto o la partecipazione, ma l'unità sindacale confederale

Foto di greppjo

Siamo  lieti di pubblicare questo importante contributo sindacale e politico scritto oggi da Pierre Carniti, che qui, nella foto d'archivio, è ritratto assieme al sindaco di Cortona Francesca Basanieri.

Per il "lavoro che manca" ed il "lavoro che cambia" non esiste, allo stato, una politica concreta e nemmeno obiettivi condivisi.  Continua infatti una navigazione a vista tra gli scogli. Avventurosa e del tutto priva di carte nautiche. Travisante è anche il dilemma sostanzialmente nominalistico, fasullo e deviante, che tiene banco sui media e divide trasversalmente: pseudo esperti, commentatori e apparati sindacali. Schierati tra "conflitto" e "partecipazione". Considerate alternative nelle strategie di tutela del lavoro. In realtà si tratta, appunto, di un  dilemma falso. E per diverse ragioni. Intanto perché nelle società democratiche e relativamente  strutturate, il "conflitto" non può essere esorcizzato. In quanto costituisce un fattore di progresso economico, sociale e politico. Con esclusione naturalmente del "conflitto" praticato senza la "convenzione di Ginevra". Vale a dire il conflitto fine e sé stesso. Puramente distruttivo. Per intenderci, quello che esercita  una irresistibile attrazione tra molti dei così detti antagonisti: "black-block", "no-global", "centri sociali". Tra i quali, appunto, non mancano mai provocatori e violenti.

Altrettanto infondato risulta il riferimento alla "partecipazione". Ritenuta da molti una categoria salvifica. Ma del tutto,del tutto evanescente ed irrilevante, quando non accompagnata da strumenti, norme, diritti di intervento, in definitiva di co-decisione. In particolare nei e per i processi di riorganizzazione e ristrutturazione aziendale e produttiva. A ben  vedere, requisiti del tutto estranei alla regolazione in atto dei rapporti di lavoro.

Naturalmente si può sempre cercare di cambiare il corso delle cose. A patto però  che si realizzino le indispensabili pre-condizioni. Per il cui conseguimento si richiede una consistente iniziativa  ed un impegno sindacale di lunga lena. Del quale purtroppo, almeno per ora, non si vede traccia. Non mancano quindi fondate ragioni di  preoccupazione. Anche per la buona ragione che il  conseguimento delle necessarie pre-condizioni è destinato e restare un pio desidero se non fosse supportato da un effettivo potere contrattuale.

Per correggere quindi le tendenze in atto è, innanzi tutto, necessario impegnarsi in una unificazione del mondo del lavoro. Oggi diviso e frammentato. Non solo tra lavoro stabile e precario, ma anche tra giovani ed anziani, tra impiego pubblico e privato, tra lavoro subordinato e pseudo  lavoro autonomo. In secondo luogo è indispensabile perseguire il monopolio della rappresentanza del lavoro. Scopo che diventa praticabile solo se accompagnato da un indispensabile recupero di tensione unitaria. Necessaria per restituire un ruolo essenziale al sindacalismo confederale. Altrimenti avviato alla irrilevanza. Basti pensare ai contratti nazionali. Arrivati ormai alla incredibile cifra di ottocento. Oltre la metà dei quali stipulati da "sindacati gialli". Circostanza che, a parte ogni altra considerazione, è certamente una delle spiegazioni relative al deprezzamento ed alla svalutazione del lavoro. Infine c'è il problema, particolarmente grave, in Italia dell'occupazione. Il dato incontrovertibile e del quale si dovrebbe prendere atto, è che la coperta del lavoro disponibile è corta. Se copre gli ultracinquantenni, scopre i giovani. E viceversa. Occorre quindi che la contrattazione affronti, nei mille modi possibili, una ripartizione del lavoro disponibile.

Invece di perdersi in formule e chiacchiere inutili, impressione che si ha assistendo ai dibattiti della solita "compagnia di giro", è richiesta, al contrario, capacità di mettere in campo un impegno vero, credibile. In grado di invertire la diffusa tendenza e la propensione all'individualismo e alla competizione. Che hanno soppiantato la solidarietà e l'eguaglianza. Producendo, tra l'altro, un intollerabile, continuo, aumento delle diseguaglianze.

Secondo Bauman queste sono alcuni fattori di quella che ha definito la "società liquida". Dove domina la crisi dello Stato. Quale conseguenza del progressivo affievolimento della sua libertà decisionale. Di fronte allo strapotere delle multinazionali. In particolare della finanza. In tale quadro si è, mano a mano, indebolita una condizione che nel passato consentiva la ragionevole possibilità di affrontare e risolvere i problemi di coesione sociale. In particolare quelli relativi al lavoro. Per altro, con la crisi dello Stato, sono entrate in crisi le ideologie, così come i partiti e le grandi organizzazioni sociali. In sostanza le strutture che, con tutti i loro limiti, avevano costituito il tramite per una comunità di valori che permetteva al singolo di sentirsi parte di qualcosa che ne interpretava i bisogni. Ma soprattutto la speranza di un possibile miglioramento.

Rispetto a pochi decenni fa il contesto è dunque profondamente cambiato. Tuttavia, questa constatazione non può essere assunta  come giustificazione di impotenza e paralisi. Occorre quindi promuovere i requisiti essenziali che consentano di affrontare le nuove ed impegnative sfide del nostro tempo.

Poiché nel sindacato, pur senza eliminare la mobilitazione e l'azione quando necessaria, sembrerebbe  prevalere la "partecipazione" quale orizzonte strategico, occorre sapere che tale scelta, per essere credibile, esige anche un radicale cambiamento delle modalità di decisione delle stesso sindacato.

In questa prospettiva, la trasparenza e l'etica sindacale restano questioni perennemente aperte. Come, d'altra parte, si richiede ad organizzazioni che gestiscono poteri, influenzano ruoli e carriere, governano patrimoni umani. E non solo. Ebbene, di norma, i correttivi alle trasgressioni, ai comportamenti devianti risiedono in un uso accurato e rigoroso delle regole democratiche e nel culto della rettitudine. Ma a poco rischiano di servire i correttivi se non accompagnati da obiettivi, contenuti, modalità di comportamenti che diano il senso all'azione collettiva ed intorno ai quali affermare una credibile etica della responsabilità.

A tale proposito meritano una riflessione, ed un profondo rinnovamento, le modalità di comunicazione. Per renderle idonee a coinvolgere effettivamente militanti, iscritti e non iscritti al sindacato. Si tratta di una esigenza ineludibile. Tenuto conto che sono praticamente esaurite le modalità originarie della comunicazione sindacale: i volantini, i giornaletti ciclostilati, le assemblee di piccoli o grandi gruppi di lavoratori. Inizialmente nelle parrocchie, o nelle Case del popolo. Successivamente, quando è stato conquistato il diritto di assemblea in fabbrica, nei reparti, o nelle mense aziendali. Non  è un mistero che queste modalità comunicative sono praticamente andate in disuso. Il circuito comunicativo si è infatti, poco a poco, ridotto a coinvolgere solo una parte di dirigenti ed operatori. Lasciando fuori  il grosso dei rappresentanti di base, degli iscritti, ma anche le centinaia di migliaia, per non dire milioni,  di lavoratori collocati fuori dal perimetro della rappresentatività sindacale.

Il punto quindi è che la "partecipazione", per essere efficace nel rapporto tra le parti deve essere sorretta da una parallela e vera partecipazione interna all'organizzazione sindacale. Tale da assicurarle la forza e la credibilità necessaria. E' arrivato perciò il momento, reso possibile anche dalle enormi potenzialità delle nuove tecnologie, di costruire un sistema di comunicazione e di interlocuzione interna che consenta al movimento sindacale confederale di ricostituire una condotta di relazioni personalizzate. Una struttura che permetta al singolo iscritto, ma anche al lavoratore senza rappresentanza, di dire la sua opinione. Sulle priorità, sulle cose da fare, sugli obiettivi da assumere. In buona sostanza, di poter valutare e condividere o meno le proposte che si vorrebbero portare avanti. Senza naturalmente alcuna concessione alla chimera, cara (stando a quel che si legge e si ascolta) a buon numero di politici. Confusi ed eccentrici. In particolare i devoti della "democrazia diretta", concepita come sostitutiva delle forme di democrazia deliberativa e rappresentativa. Rifiutare queste pericolose e stravaganti bizzarrie non significa, ovviamente, cadere nell'errore opposto. Cioè quello di pensare che sia possibile esaurire la democrazia sindacale nell'autoreferenzialità degli apparati.

Se si intende  scongiurare questi opposti errori è necessario, assieme alla consapevolezza dei termini attuali della situazione, poter disporre di una piattaforma informatica. Per intenderci, una struttura hardware, cioè fisica. Che consenta di collegare centinaia di migliaia di componenti periferiche  (i computer, i telefonini) e coloro che li usano. E' indispensabile inoltre un sistema operativo (software) che svolga la stessa funzione della prima. Ma in modalità digitale. E' facile capire che si tratta di  un progetto piuttosto impegnativo. Il quale anche, per la sua necessaria consistenza, può essere realizzato solo con un impegno unitario di tutto il movimento sindacale confederale.

Chi ha qualche esperienza in grandi organizzazioni sociali non farà fatica a rendersi conto che un simile proposito possa suscitare la contrarietà, la reazione, la resistenza trasversale, di un certo  numero  di dirigenti sindacali. Che si faranno verosimilmente forti dell'argomentazione che non andrebbe fatto nulla che possa implicare il rischio di una limitazione al pluralismo culturale e politico. Esigenza sempre irrinunciabile. A maggior ragione quando si è impegnati ad attraversare una incerta fase di passaggio della storia.

Tuttavia costoro non dovrebbero ignorare due aspetti. Altrettanto essenziali. Il primo riguarda la cospicua quantità di risorse che devono essere impegnate per realizzare e far funzionare una simile piattaforma. La seconda è che di per sé la tecnologia è "neutra".  Dipende sempre, naturalmente, dall'uso che ne viene fatto. Per altro le piattaforme di comunicazione ed interlocuzione, per loro natura, sono semplicemente strutture-ospiti, che abilitano la funzionalità di altri elementi, tanto del mondo fisico (telecamere, monitor, smartphone, ecc.), che del mondo digitale (documenti, dichiarazioni, giudizi, ecc.).

Comunque, una cosa è certa. Si possono sempre capire tutti i dubbi e le perplessità. Ma viene un momento, e questo momento per il sindacalismo confederale è indiscutibilmente venuto, che dubbi e perplessità rischiano di non essere altro che un alibi per sfuggire alle proprie responsabilità.

L'auspicio quindi è che tutti e ciascuno riescano a fare propria l'esperienza che ci viene dalla vita. Non ci è forse capitato di trovarci alle prese con problemi che ci sembravano irrisolvibili, prima di rivelarsi invece del tutto solubili? Da quelle esperienze dobbiamo perciò sapere trarre la necessaria lezione: il rischio dell'impegno è sempre da preferire alla rassegnazione.  

Pierre Carniti

Roma, 10.VII.2017

 

 
 
 

Da oggi a Perugia:"Via Roberto Pomini"

Post n°206 pubblicato il 06 Luglio 2017 da greppjo
 
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Perugia,7 luglio 2017

Da oggi Perugia avrà una  " Via Roberto Pomini". La targa stradale verrà inaugurata alle ore dodici dal sindaco Andrea Romizi.

Roberto Pomini (nato il 4 aprile 1929 in provincia di Brescia e morto a Perugia il 26 giugno 2002)  è stato un sindacalista della Cisl che non solo ha ricoperto la carica di segretario provinciale di Perugia,negli anni 1960 e quindi quella di segretario generale  della Cisl Umbria nel decennio 1970-1980, ma nel 1969 , anche se solo per quattro mesi, è stato pure segretario confederale nazionale della Cisl. Dal 1981 al 1997 è stato segretario generale dei pensionati Cisl dell'Umbria.

L'intitolazione della strada a Roberto Pomini è motivo di orgoglio della Cisl dell'Umbria che in una nota ha dichiarato:

“Questo atto è stato fortemente voluto dalla nostra organizzazione ed è stato per noi motivo di impegno e oggi di orgoglio. Un messaggio importante per tutte le donne e gli uomini che, ancora oggi, si impegnano quotidianamente nella difesa del lavoro e dei diritti dei lavoratori e dei pensionati, facendo vivere i valori fondativi della Cisl che lo stesso riuscì ad interpretare e trasmettere all’allora gruppo dirigente, che pose le basi per il consolidamento della Cisl in Umbria”.

La manifestazione per l’intestazione della strada ,che si trova a Perugia in località Ponte Felcino, si terrà alle ore 12,00 di venerdì 7 luglio 2017. Tutti i cislini sono invitati.

Ivo Camerini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 

In ricordo di Donatello Bertozzi morto ieri dopo una lunga malattia

Post n°205 pubblicato il 29 Giugno 2017 da greppjo
 
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Dopo una lunga, incurabile malattia, ieri è tornato alla casa del Padre il sindacalista della Cisl Donatello Bertozzi. I funerali religiosi si svolgeranno domani mattina,venerdì 30 giugno, in Roma presso la Chiesa San Camillo De Lellis, alle ore nove.

Donatello Bertozzi è arrivato alla Cisl sul finire degli anni 1970 come rappresentante di base del lavoratori telefonici. Nel 1980 fu chiamato da Eraldo Crea come operatore politico presso la centrale confederale di Via Po,21. Nella Cisl nazionale ha assunto ruoli di grande responsabilità come quelli di Responsabile del Personale , di Assistente del Segretario generale e di Segretario degli organi collegiali. Quest’ultime due funzioni egli le  ha esercitate ininterrottamente dal 1998 fino al giugno 2014, collaborando sia politicamente sia tecnicamente con i segretari generali Sergio D’Antoni, Savino Pezzotta e Raffaele Bonanni.

 Tra il 1989 e il 1997,dopo l’uscita del segretario generale aggiunto Eraldo Crea dalla Cisl, Bertozzi fu prima Commissario e poi Segretario generale della Cisl di Ascoli Piceno.

Più volte membro del Consiglio generale della Cisl, Donatello Bertozzi, nei suoi sedici anni di lavoro politico apicale all’interno della  Cisl nazionale, ha portato avanti compiti di grande rilievo anche nel campo culturale dell’organizzazione, seguendo in particolare l’attività di lavoro storico-documentale, giornalistico, editoriale ed informatico della Confederazione.

Lo ricordo come severo e attento coautore dei volumi degli Atti e Documenti Ufficiali della Cisl, pubblicati da Edizioni Lavoro nel 1999, nel 2001, nel 2005 e nel 2009.

Lo conobbi al congresso Fim-Cisl del 1981 , che io seguivo per Conquiste del Lavoro e lui come collaboratore politico di Eraldo Crea. Da allora  fino al 2014, anche se com me è sempre stato molto riservato sul piano del suo lavoro politico-sindacale, ho sempre avuto con lui una buona amicizia personale, pur nelle non infrequenti litigate tecnico-professionali dovute al suo carattere piemontese di persona di poche parole e di modi spicci.

Dopo il mitico Nicola Di Napoli, che fu assistente politico e segretario generale di Bruno Storti, Donatello Bertozzi  è stato l’operatore politico sindacale che per più tempo ha vissuto e praticato la Cisl dall’interno di Via Po ventuno.

All’amico e collega Donatello un caro saluto e un  arrivederci ad altre chiacchierate e, perché no, scontri politici nelle immense praterie del cielo, che , per chi ha fede, attendono ognuno di noi.

Cristiane condoglianze alla moglie Roberta, ai figli ed ai familiari tutti.

Ivo Camerini  

 
 
 

Un libro per capire “l’eterno presente”

Post n°204 pubblicato il 01 Giugno 2017 da greppjo
 
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Leggendo la recente pubblicazione di Fiorella Casucci dal titolo “Il futuro è nel nostro passato”, e dal sottotitolo “Frammenti di saggezza antica per un nuovo umanesimo” (Editore Calosci – Cortona, novembre 2016) , mi è tornato in mente il libro di Italo Calvino Perché leggere i classici: un’opera che contiene saggi e articoli sui suoi autori preferiti e sono scrittori, poeti e scienziati che più avevano contato in diversi periodi della sua vita. E l’autore di fiabe e racconti e di tanti romanzi di successo giustifica l’assunto perentorio con proposte di definizioni del tipo un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire, oppure i classici sono libri che quanto più si crede di conoscerli per sentito dire, tanto più, quando si leggono davvero, si trovano nuovi, inaspettati, inediti.

E il libro di Fiorella Casucci, raccoglie e ci affida lo stesso  convincimento, che giunge, in qualche misura, provvidenziale in un momento storico, in cui la distruzione del passato o meglio la distruzione dei meccanismi sociali che connettono l’esperienza dei contemporanei a quella delle generazioni precedenti, rappresenta uno dei fenomeni più tipici e insieme più strani del secolo passato e di quello che stiamo attraversando. E il ricorso al pensiero di Seneca, presente nella introduzione del libro, fa da solido architrave alla composizione della ricca e armoniosa architettura delle cento testimonianze sottratte al mondo dei classici greci e latini, oggetto, poi, di sviluppo, indagine e commento nella pubblicazione. 
Così, chi può dubitare che i grandi del passato nobis nati sunt, nobis vitam praeparaverunt?  

E’ una preziosa ed esaustiva raccolta di citazioni quella che Fiorella Casucci ci consegna ed è in grado di aiutare a vincere l’indifferenza del lettore o a stimolare ancor più la sua curiosità fino a spingerlo a prendere in mano l’opera dalla quale quel pensiero o quella massima ha la sua scaturigine.

In ogni frammento si avverte l’eco di convinzioni forti, di riflessioni profonde e sofferte, di speranze sincere e progetti lungimiranti.
Come non riflettere su quel late biosas (vivi nascosto) di epicurea memoria, nell’epoca dei selfie e della smania di apparire dovunque e con chiunque e che hanno il compito di strapazzare la riservatezza e l’interiorità dell’uomo?
Le grandi opere della letteratura o della filosofia non si dovrebbero leggere per superare un esame - sembra ammonirci il libro della Casucci - ma soprattutto per il piacere in sé che suscitano e per cercare di capire se stessi e il mondo che ci circonda.
Nelle pagine dei classici, anche a distanza di secoli, è possibile sentire pulsare la vita nelle sue forme più diverse. Insomma i classici non sono altro che la vita interiore dell’umanità, la riserva di consapevolezza di cui l’uomo ha bisogno soprattutto nei momenti di crisi. Non c’è verso di Saffo, o di Catullo, di Orazio che non contenga una lezione di educazione sentimentale.
Queste e infinite altre le lezioni che emergono dal libro di Fiorella Casucci e che hanno animato la sua efficace e apprezzata didattica, nel corso del suo insegnamento della lingua e letteratura greca e latina al liceo a generazioni di giovani studenti.

Nicola Caldarone

 
 
 

Silvia Costa:una donna per il Pd, una donna per l'Italia.

Post n°202 pubblicato il 16 Febbraio 2017 da greppjo
 
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Ieri nel mio solito bar, che al prezzo modico di un caffè mi fornisce da quindici anni sondaggi attendibili e super azzeccati, un conoscente mi diceva: se si va a votare a giugno la nostra scelta è molto difficile in quanto avremo solo poche alternative di scelta. E cioè: votare i ladri o i bischeri, gli arroganti ducetti in doppio petto o i nostalgici del duce e del ritorno al nazionalismo. Davvero un bel rischio per la nostra democrazia e per le nostre istituzioni repubblicane lacerate da una guerra politica sporca tra vecchi incapaci di guidare il cambiamento e giovani vogliosi solo di andare a comandare per prendersi tutto il potere e affidare il paese al cosiddetto duce in doppio petto del neoliberismo. Subito dopo mi domandava: possibile che un grande partito come il Pd,ormai invischiato in una guerra tra galli e galletti, non abbia una risorsa per ritrovare quella buona politica per cui era nato? Possibile che nelle seconde o terze file nessuno abbia il coraggio di alzarsi e farsi avanti per guidare un passaggio così delicato di una politica che rischia di far implodere il partito e, con il Pd, anche la Repubblica italiana?
Preso così alle strette ho risposto che il Pd ha tante personalità , ma sono in uno strano limbo di ritrosia all’ impegno diretto quasi che avessero timore di far sgarbi ai loro capi-corrente. Aggiungevo inoltre che tra le personalità silenti e che invece sarebbe bene scendessero in campo per unire e dare nuova speranza alle persone di buona volontà vedevo bene  l'onorevole Silvia Costa. Una parlamentare europea che ha  tutti i numeri e le  qualità per candidarsi a guidare il Pd  e  l 'Italia.

Il mio interlocutore controbatteva a voce alta, scatenando quasi una standing ovation degli altri avventori: " magari, io la voterei subito. Per quel poco che l'ho vista in tv , mi è sembrata una donna di buon senso, di grandi capacità politiche e di mediazione. Ed inoltre è conosciuta stimata a livello  europeo avendo presieduto,in questi ultimi anni, con grande competenza la Commissione cultura  del  parlamento  di  Strasburgo".


A me, conoscendo da tempo chi è la politica Silvia Costa,  è stato facile annuire e dirmi pronto a sostenerla nel nostro piccolo territorio qualora  scendesse in campo. E aggiungevo : "magari, sarebbe la donna giusta per il Pd e per l’Italia di oggi".
Serve infatti con urgenza una persona che sappia regalarci una nuova speranza di Italia democratica e fedele a quella Costituzione che appena due mesi fa il popolo ha confermato come legge fondamentale di un    domani ancora plurale e  progressista. Inoltre Silvia è simpatica e non dice bugie per fare politica. Ha una visione del mondo e della vita ispirata ai valori, ai  principi della dottrina sociale cristiana. Quando da giovane scese in politica  disse che si sentiva parte di una comunità e che la voleva tenere unita con il suo servizio politico. Insomma, l'antitesi dell'arrogante neoliberista e dell'uomo solo al comando che, con inganni e con disprezzo del pluralismo, vuole violentare la Repubblica italiana e la sua  Costituzione difesa e riscelta dal  popolo  appena sessanta  giorni  fa.

A me e ai miei quattro amici al bar, che da quindici anni fanno i sondaggisti doc della politica, non dispiacerebbe una Silvia Costa alla guida del Pd. Anzi siamo sicuri che la voterebbero oltre il quaranta per cento degli italiani e delle italiane.
Ivo Camerini

 
 
 

In Italia e a Cortona: c' erano una volta i partiti…

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Dopo il quattro dicembre la vita nazionale e locale sta cambiando pelle e il problema appare molto più grave di quello che succede a primavera per i serpenti che dopo tanti triboli escono dalla vecchia veste lasciandola sul posto dove c è stato l'aiuto a sfilarla e se ne vanno per una avventura di vita. Per gli italiani e le italiane non è così semplice gettar via la logora veste della politica neoliberista e dell'esperienza istituzionale oligarchica tipica della seconda/terza repubblica segnata dai tentativi personalistici di Silvio Berlusconi  prima e di Matteo Renzi  poi.
Ambedue hanno distrutto i partiti della destra e della sinistra repubblicana italiana tentando un anomalo peronismo all 'italiana che li ha portati ad affidarsi al cosiddetto partito liquido e a sbattere contro il ceto medio, contro i lavoratori, contro  i cittadini onesti ed attaccati al modello sociale e civile della Costituzione varata dai padri fondatori dell'Italia contemporanea. Un’ Italia costruita ed organizzata sui partiti politici visti  come aggregazione comunitaria, sociale e civile per promuovere  progresso , democrazia, libertà e diritti umani. Oggi tutti quei partiti non esistono più e gli italiani, le italiane vere, cioè gli onesti, i lavoratori da buio a buio, siano essi dipendenti o imprenditori, non sanno più dove sbattere la testa davanti ai tanti, troppi mascalzoni, delinquenti e  peripatetiche che hanno invaso la direzione politica nazionale ed internazionale. Oggi vivendo tra la gente normale, tra i lavoratori e i cittadini del cosiddetto ceto medio, non trovi più una persona, un tuo vicino che ti dice : io credo nel mio partito, vieni con noi che cambieremo l'Italia.  Trovi solo chi cerca di arrangiarsi e sopravvivere davanti alle bollette, alle tasse da pagare e ad una burocrazia ottusa che al minimo errore ti mangia casa e risparmi. Al massimo trovi chi ti dice: io tifo questo o quel leader che pontifica in televisione e lo seguo perché, pur tenendomi legato a lui come suddito , voglio la distruzione dei leader suoi avversari e nella legge della giungla che egli predica spero di poter fare qualche buon affaruccio personale.  
Ecco la politica non è più servizio alle istituzioni democratiche della Repubblica , al bene comune, ma è carriera, affarismo personale o di lobby.
I partiti sono maschere del potere e il cittadino  non sa più cosa fare o dove andare per portare un contributo politico alla vita della città, del comune, della regione, della nazione. È un cittadino smarrito , disilluso, ansioso e preoccupato del suo domani e di quello della famiglia. È un cittadino sconcertato e in balia degli eventi. È un cittadino che sta in dipendenza dalla videocrazia, confuso dalle bufale e dal terrorismo della disinformazione. Un cittadino non più ancorato alla comunità familiare, territoriale, nazionale di cui fa parte, ma rinchiuso nel castello dell'individualismo, un vero nuovo deserto dei Tartari, edificato e fortemente voluto negli ultimi venticinque anni da Berlusconi e  da  Renzi. Un individualismo portato all’ ultima spiaggia da quest'ultimo leader politico. Un politico che, con la sua teoria ed azione in continuo pendolo tra  baci perugina incartati con i pensierini patinati  del neoliberismo calvinista e  il  bullismo  mediceo,   prendendo a pretesto la  rottamazione, ha  messo  giovani  contro    anziani e praticato  una  conquista  del  potere  che  nulla ha da  invidiare a  quella  di quei  vecchi  politicanti  che,  sul  finire  del  secolo  scorso, cominciarono  la  distruzione dei nostri  partiti  di  massa, nati  dalla  lotta  antifascista. Allora oggi occorre di nuovo interrogarsi con urgenza per chi suona la campana. Io penso come scriveva nel  milleseicento il poeta inglese Donne che ancora una volta la campana suona per  ognuno  di noi. Penso che il cittadino italiano debba ritornare a sentirsi parte di un tutto, parte della comunità cui appartiene, altrimenti sarà  un cittadino quasi pronto anche in Italia ad affidarsi all'uomo forte , al salvatore della Patria. Anche a Cortona , se si parla con i cortonesi del ceto medio, la situazione è identica e anche la piccola Patria, illustrata e  narrata da Pietro Pancrazi , sta  in pericolo e  si  trova  in  brutte acque civili e  politiche. Credo che se non rinascono i partiti veri, quelli dei valori culturali, ideali e morali previsti  e codificati  nella  nostra carta costituzionale, che va ogni giorno difesa  dalle  congiure dell’ uomo  solo al comando, quest'ultimo  rialzerà la  testa  e si  riorganizzerà per  dividere  definitivamente gli italiani in  ricchi e poveri, in pochi  cittadini e tanti  sudditi. Proprio per questo occorre superare l'adagio romantico del c'erano una volta i partiti e  praticare la nostra Costituzione ridando vita  ai  partiti  popolari  di  massa. Nell’ Inghilterra dell 'ottocento furono i sindacati a realizzare il compito di dare voce e vita politica ai lavoratori e  al ceto  medio fondando il  partito del  lavoro. Ecco un campo dove impegnarsi  
seriamente anche per  i sindacati  prima che Grillo o Salvini  ne facciano un sol boccone, sostituendoli con  le  loro nuove corporazioni.
Se il pd non capirà queste cose e non riprenderà  la via per ricostruire un serio partito di  massa,  avrà sulla coscienza il delitto di consegnare  l 'Italia all'avventura di  una  nuova sconosciuta  dittatura.  Altro che tutto il potere al giovanile Renzi, innamorato progettatore di  una nuova  Signoria dei Medici. A meno che anche il pd non abbia sposato la massima crociana secondo la quale l’ importante è essere ricordati, non importa se nel bene o nel male.
  
Ivo Camerini

 
 
 

Per chi suona la campana?

Post n°200 pubblicato il 21 Gennaio 2017 da greppjo
 
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Il discorso d ' insediamento di ieri del quarantacinquesimo presidente degli Usa, il tycoon Donald Trump ci notifica quello che è nei fatti da più di un lustro e cioè che la nuova imperante  ideologia    della globalizzazione è al suo  tramonto e che gli ideali delle nazioni stanno tornando. E’ stato un discorso che ha suonato la campana per tutti. Nessuno escluso.

Ora spetta a quei pochi che in Europa e nel mondo hanno ancora sale nella zucca farci capire per chi suona realmente la campana e dirci se la fine dell'ideologia della globalizzazione selvaggia, del frega frega, del mors tua vita mea, sia vera oppure nasconda un nuovo inganno per la società umana degli onesti e dei lavoratori. Più di uno sta avanzando una domanda:  Trump e la sua classe media americana in rivolta rivogliono il peggior nazionalismo ottocentesco che portò il mondo ai macelli della seconda guerra mondiale ?

Non è una domanda retorica o da salotto borghese. È un interrogativo-interrogazione urgente che necessita di risposte urgenti anche in Italia. Per me , ma credo anche per tanti altri, che si riporti ordine,giustizia  e serietà di fronte ad una ideologia della globalizzazione selvaggia che sta distruggendo l’umanità e sta facendo ingrassare i briganti che la guidano,la  governano è un bene; ma il ritorno ad un nazionalismo imperialista e di lor signori sarebbe davvero un male peggiore e da fine della storia umana.

L’interrogativo-interrogazione quindi è urgente anche e sopratutto nella nostra amata Italia dove un grande popolo lotta contro le tragedie naturali come il terremoto delle zone centrali del paese, contro ladri e delinquenti , contro banchieri malversatori, contro politici menzogneri e carrieristi, contro sindacalisti parolai. Un popolo bello e forte fatto di gente che sfida le condizioni estreme della natura per salvare vite. Un popolo che, è bene ricordarlo, appena l’altro giorno, il quattro dicembre scorso, con la difesa della propria Costituzione repubblicana , ha mandato precisi  segnali di natura politica a coloro che oggi hanno il non facile compito di traghettare il nostro paese fuori da una crisi morale, culturale, sociale e comunitaria, oltre che economica e finanziaria.

Se coloro che sono ai vertici delle nostre istituzioni, se coloro che siedono in parlamento, se coloro che dirigono i partiti, i sindacati, le associazioni di categoria non la smettono con i loro giochetti personali sulla pelle del popolo, non danno risposte urgenti alle sempre più frequenti interrogazioni del popolo, anche da noi sarà la classe media martoriata dai soprusi di questo ultimo ventennio a dare risposte politiche forti e dirompenti,  che potrebbero mettere in pericolo l'esistenza stessa della Repubblica nata nel 1946, delle sue forme di stato e di governo.

Mettere cioè fine alla nostra Costituzione di democrazia plurale e di libertà individuali universali per instaurare un nuovo stato nazionale nelle mani dei pochi o di lor signori come d'uso nei secoli del settecento , dell'ottocento e del primo novecento.

La campana, come ci ha ricordato Pierre Carniti nella sua lectio magistralis del sei dicembre scorso, suona per tutti, ma soprattutto per il sindacato confederale che è sorto per tutelare i lavoratori , contrattare salari dignitosi, redistribuire reddito e non  per urlare parole al vento o ancor peggio per costruire carriere personali di alcuni leaders.

Ciascuno , ci ricordava Carniti, è una parte importante della comunità cui appartiene , è un cittadino che fa parte del continente mondo, ma sta al sindacato confederale farsi nuovamente soggetto politico per guidare i lavoratori ancora una volta verso un domani fatto di solidarietà , di uguaglianza, di democrazia, di onestà e di libertà per tutti. Un domani che potrà essere costruito solo da chi vorrà osare più democrazia, più pluralismo, più onestà,  più sindacato vero e unitario. Senza un ritorno urgente all'unità sindacale confederale i lavoratori saranno tentati di unirsi a quella classe media che anche in Italia sta cercando una sua risposta politica alla crisi in atto, senza accorgersi che l'uomo forte della dittatura in doppio petto è sempre lì dietro l'angolo pronto a prendere definitivamente il potere.

Quindi, come sempre, anche da noi la campana suona per tutti e, siccome (come scriveva il poeta inglese del seicento John Donne, richiamato da Carniti nel suo discorso) "Nessun uomo è un'isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo di continente, una parte del tutto.  ... E dunque non chiedere mai per chi suona la campana. Suona per te" ,sarà bene che ognuno di noi rifletta bene su cosa ci attende nel non facile domani in arrivo.  Ma soprattutto sarà bene che il sindacato confederale, i lavoratori  si sveglino passando dalla  protesta alla proposta, perché non solo non c’è tempo da perdere, ma se non fermiamo, non cambiamo quest’oggi politico,economico e sociale fatto  “d’individualismo sfrenato, di odio, di violenza, di sonno della ragione, di frastuono assordante che sommerge il suono della campana.. avremo la dissoluzione della comunità cui apparteniamo”.  Ancora una volta noi abbiamo la fiducia che la speranza di cambiare in meglio sia un sogno reale. Sappiamo infatti che darci un futuro migliore è possibile. E’ possibile perché può venire ancora una volta dal sindacato confederale unito.

Da un sindacato che non si faccia “intimorire, bloccare, fuorviare dalle critiche,dalle obiezioni delle élites del potere economico-finanziario”. Da un sindacato che superi immediatamente le  diatribe interne e che porti a traguardo la sua storica piattaforma di un “lavoro per tutti”. Solo così il sindacato confederale potrà tornare ad essere quella bandiera cui nel secondo novecento si affidò la gente comune, la classe media dell‘Italia.  
Ivo Camerini

 
 
 

In ricordo di Mario Zappini.

Post n°199 pubblicato il 15 Gennaio 2017 da greppjo
 
Foto di greppjo

 

 

Per gentile concessione de L'Etruria
 
All’ improvviso, come in fulmine a ciel sereno, il 29 dicembre 2016, un infarto ha rubato agli affetti dei suoi cari ( la moglie Antonietta e la figlia Monica) e dei parenti tutti il cortonese Mario Zappini di anni 74. Mario, settimo figlio di zio Angiolo e zia Rosa, amati mezzadri della montagna cortonese  nel podere dei Crocioni agli Armari,  abitava a Roma dove era emigrato nei primi anni 1960. Come tanti altri cortonesi e montagnini  partì con la sola giacca sulle spalle e armato di tanta voglia di fare  e di  costruirsi una famiglia.  Dopo i primi anni di duro ambientamento e di giornate fatte di lavoro da buio a buio, come mi raccontò una volta, cominciò a farsi  una sua posizione  e  incontrata  Antonietta Mele , una ragazza sarda  immigrata  a  Roma  come  domestica,  la sposò costruendo una bella , affiatata   famiglia.

In Roma Mario ha abitato  nello storico  quartiere  di  Piazza  Bologna  dove ha risieduto fino  agli anni 1990, trasferendosi poi a Piazzale delle Gardenie al quartiere Prenestino-Centocelle, dove aveva comprato casa e ha vissuto fino alla morte.
Lo ricordo sempre gioioso e sorridente nei suoi ritorni dai fratelli e dai parenti a Cortona, soprattutto dalle amate sorelle Domenica e  Anna in Casale e dal fratello più piccolo Santino al Riccio.


Me lo ricordo sempre gentile, attento e simpatico conversatore in alcuni incontri a Roma e in treno, soprattutto in un viaggio  di pochi anni orsono dove aveva come compagno di scompartimento Pasqualino Greppi, un altro cortonese e casalese emigrato a Roma  sul finire degli anni 1950.

Il tempo in quel viaggio volò via davvero velocemente tra i bei ricordi della loro gioventù montagnina e l’orgoglio di essersi fatti strada ed onore come lavoratori cortonesi in Roma, dove,mi  dicevano che con altri montagnini cortonesi emigrati sempre in quegli anni, come il loro cugino Renato Torelli, avevano fondato un positivo e civico clan dei casalesi. Naturalmente clan buono e da strapaese, come mi sottolineò con sorriso e battuta spiritosa il sempre allegro Pasqualino.

Mario da pensionato veniva spesso in questi ultimi tempi a trovare al Riccio il fratello Santino e sua moglie Lucia  , che mi hanno dato la fotografia che qui pubblichiamo e che ritrae Mario in un momento di festa recente, proprio a  casa di Santino, assieme alla sua moglie Antonietta e alla sua amatissima figlia Monica. A loro e ai parenti tutti le cristiane condoglianze mie  e di tutto il giornale.

Ivo Camerini

 

 

 
 
 

Bar Esso di Camucia:un vero circolo culturale

Foto di greppjo

Per gentile concessione de L'Etruria.

Bar Esso di Camucia, un moderno circolo culturale del XXI secolo.

Giorgio Stanganini ,al centro con gli occhiali, con il Bamba ( Alberto Salvadori),Georgj e altri amici al Bar Esso di Camucia.(foto 1)

Che i bar fossero  moderne accademie popolari del nostro oggi lo avevo scoperto sul finire del Novecento,  ma  che  fossero dei veri  e  propri  cenacoli dalle  discussioni  raffinate  ed  interessanti  come  i  famosi  circoli  fabiani  del  1700, o,  andando  più  indietro,  come  i salotti  romani  di    Mecenate,  dovevo  scoprirlo  in    quest’ ultimo  anno,  quando  per  motivi vari  ho  preso  a frequentare  il  bar  Esso  di  Camucia,  gestito  con  tanta  professionalità, attenzione  e  cortesia  da  Bruno  Ricci,  da    Anna  Miniati e  dai   figli  Riccardo e Lorenzo.

Storia, discussioni politiche, civiltà contadina ed eros fanno del Bar Esso di Camucia un vero caffè letterario, un moderno circolo culturale del XXI secolo.

Come molti sanno, da anni questo bar è l’ufficio pubblico e/o d’intrattenimento del noto e caro amico poeta dialettale ed erudito Rolando Bietolini, che qui riceve amici ed improvvisa lezioni,interventi culturali e concioni politici. Più volte anch’io ve l’ho incontrato dilettandomi e confermandomi  della sua immensa cultura e della sua verve da vero giullare medioevale redivivo. Ultimamente non solo ho assistito ai suoi comizi pro-Renzi et compagnia neoliberale, ma soprattutto mi hanno colpito le sue dissertazioni sull’eros femminile ed in particolare sulla cosiddetta arte di Monica Levinski, cui ha dedicato un vero e proprio argomentato libello, che spesso presenta alle simpatiche avventrici,naturalmente con l’esclusione della proprietaria signora Anna, che un po’ se ne adonta con l’onnipresente Bruno. Il titolo di questo opuscolo (che egli fa circolare a livello di zamisdat e comunque in maniera molto riservata nonostante i lazzi e gli schiamazzi delle improvvisate presentazioni e che ricalca le narrazioni settecentesche del Casanova  e in parte quelle dei racconti di Pietro L’Aretino) rimane  top secret e si disvela solo se si riesce ad entrarne in possesso. Una volta che, con la complicità di Bruno, sono riuscito a vederlo e sfogliarlo rapidamente, mi son reso conto che  è un vero inno all’arte femminile bolognese, ripresa ed innalzata a livelli imperiali  dalla giovane stagista americana del presidente Clinton. E’ bene comunque che il titolo non venga riportato nemmeno qui; soprattutto a scanso d’incorrere nella censura dei cosiddetti benpensanti, che purtroppo abbondano anche in Cortona, Camucia e dintorni.

Recentemente sempre in questo bar, che ormai da molti viene eletto a cenacolo o salotto mattiniero, serale e domenicale, mi sono imbattuto in una bella lezione di storia della civiltà contadina, fatta con tanto di documentazione al seguito dal pensionato Giorgio Stanganini, un vero agricoltore all’antica, appassionato di tartufi, vinsanto, cucina rustica e di storia dei tempi che furono.(foto1).

Giorgio Stanganini, ora camuciese, nasce a Montecchio il primo marzo 1945 da Arsenio figlio di Alfredo, figlio di Giovanni, titolare del Libretto colonico ( foto 2)che con cura conserva  e che era contadino di Sandro Berti e di Scarpaccini.

Giorgio del nonno Giovanni  conserva anche il caratello del vinsanto ( foto 3), che, a sua volta, aveva ereditato dal suo babbo, che lo aveva fatto nel 1861, in onore dell’Unità d’Italia.

La famiglia Stanganini, cui apparteneva anche il cuginio Ilio, recentemente scomparso e ricordato dall’amico Fabilli su L Etruria del 15 dicembre 2016, era molto nota e ammirata a Montecchio e dintorni per la sua attività politica socialista e comunista. Memorabili, come ricorda compiaciuto Giorgio, le battaglie di propaganda della bandiera rossa durante le battiture delle estati del dopoguerra fino a tutti gli anni 1950. Gli Stanganini erano degli attivisti instancabili nelle lotte per l’abolizione  della  mezzadria e durante la battitura si divertivano a beffare il padrone innalzando bandiere rosse sul pagliaio, sul tetto della casa e sulla cima degli alberi più alti. Ilio e Giorgio soprattutto erano i giovanotti che più si divertivano a legare il drappo rosso alla zampa del ciucio ucciso nell’occasione e con piccole carrucole e corde mettevano la bandiera rossa a  sventolare sulle sommità della mucchie e dei pagliai, dove il padrone e il fattore faticavano  non poco a toglierle e spesso dovevano chiamare la forza pubblica che, interrogando i giovani mezzadri, si sentiva rispondere che il drappo rosso era stato buttato lassù dalla massaia dopo che gli si era incastrato nella zampa delll’ocio mentre lo spennava e preparava  per il pranzo.

Altra lezione cui ho assistito nella mattinata della prima domenica di questo nuovo anno è stato il bel racconto, fatto nel corso della sua colazione allungata,come si diceva una volta, dal sempre giovane Giovanni Castellani, leader dei socialisti cortonesi ed ex segretario storico di quello che fu il grande Psi cortonese  di Bettino Craxi. Egli con molta attenzione e dovizia di particolari ci ha svelato gli arcani dell’incontro cortonese del 1978 a Cortona tra Craxi e Mitterand e quindi del fallimento del tentativo di Berlinguer di incontrare nella nostra città il futuro presidente francese che cercava nell’eurocomunismo italiano una sponda con Marchais per avere dalla sua i comunisti francesi nella sua prima scalata all’Eliseo, come racconta il Tito Barbini nel suo libro "Quell'idea che ci era sembrata cosi bella".

Ecco il racconto di Giovanni Castellani, che ci dà la vera ricostruzione di un evento storico nazionale ed internazionale, che ebbe Cortona come palcoscenico.  

La vera storia dell’incontro tra Mitterand e Craxi a Cortona nel 1978 la conosciamo bene solo io e pochi altri, esordisce con fare da persona ben introdotta nelle segrete cose della politica il Giovanni Castellani. (foto 4)

Tutto partì dall’ intuito e dall’ascolto fortuito di una telefonata avvenuta tra Tito Barbini ed Enrico Berlinguer da parte di un nostro militante che lavorava in Comune: Giacinto Governatori detto Chinchjo o Cinto. Egli non era solo uno dei due centralinisti del Comune, non era solo un semplice impiegato, ma anche un attento militante socialista attaccato al suo partito e quando il sindaco Barbini, in sinergia con Spartaco Mennini, si prestò a far da ambasciatore per un incontro a Cortona di Mitterand con Berlinguer, orecchiò dal centralino la conversazione tra il nostro sindaco e il segretario generale del Pci, correndo a riferirlo al giovane consigliere comunale ed assessore socialista Stefano Luchini. Il Luchini a sua volta si precipitò a riferirlo a me, allora ventinovenne  segretario della federazione socialista cortonese ed impiegato Sip, cioè con possibilità di telefonare ovunque ( allora non c’erano i cellulari).  Compresi subito l’importanza del fatto politico e mi attivai immediatamente per far avere la notizia al mio segretario nazionale Bettino Craxi. Craxi, avuta la notizia ( ma faticai non poco a fargliela arrivare in quanto tra i suoi collaboratori tutti volevano sapere che cosa volevo dirgli e nessuno me lo passava finché una segretaria scocciata da due giornate di continue telefonate me lo passò), mi disse semplicemente grazie, ma poi fece tutto con i suoi canali e noi ce lo trovammo a Cortona con il leader dei socialisti francesi e venimmo avvertiti solo poche ore prima. L’incontro nella Sala del nostro Consiglio comunale si fece tra Craxi e Mitterand e l’evento battezzò l’eurosocialismo, invece che l’ eurocomunismo di Marchais  e di Berlinguer, che inviò a rappresentarlo Segre, suo compagno di segreteria nazionale del Pci.

Finito l’incontro con Mitterand,  Craxi volle conoscermi di persona e passò due ore con me e i compagni della federazione cortonese, non solo per ringraziarci dell’uscio che gli avevamo aperto, ma per discutere di politica nazionale e del futuro dell’Italia in cui credeva come nazione libera ed indipendente dai due poteri imperialistici  di allora, quello russo e quello americano. Successivamente, un big socialista cortonese anziano, Ivo Veltroni, mi confidò che Mitterand avrebbe preferito incontrare anche Berlinguer a Cortona.

Non ho virgolettato la ricostruzione,  in quanto ho registrato a memoria, ma  credo che questo racconto sveli un arcano importante della storia recente del nostro Paese, che anche Barbini nel suo libro sopra ricordato non ha saputo o voluto ricostruire nei suoi risvolti riservati in quanto, forse, per lui fu una non piccola sconfitta politica perché da riservato ambasciatore dell’eurocomunismo di Berlinguer si ritrovò  ad essere istituzionale spettatore del successo dell’eurosocialismo craxiano.

Insomma , come spesso accade , i destini della storia passano dall’orecchio indiscreto , ma buono, di un oscuro impiegato. In questo caso dalla cuffia aperta del centralinista comunale cortonese Chinchjo o Cintio, come i compagni socialisti cortonesi lo ricordano.

Ivo Camerini

NB

Le foto sono solo su L'Etruria.

 
 
 

Auguri per il 2017: ritrovare il cuore, la passione della buona politica, del buon sindacato.

Post n°197 pubblicato il 31 Dicembre 2016 da greppjo
 
Foto di greppjo

Un anno orribile, un anno davvero pesante si chiude, tra terrore, tragedie, dolori e tormenti. Ma anche tra speranze personali e collettive.

Pure  il nuovo anno non promette nulla di buono. Nonostante l’ottimismo della volontà, infatti, ci rimane difficile accettare la realtà naturale ed evangelica che quando la notte è più fonda l’ alba è più vicina; che quando l’inverno è più freddo, più duro, la primavera è più vicina.

Dopo la delusione dei quarantenni al potere in Italia, che ci hanno promesso mari e monti senza concretizzare nulla se non provvedimenti a favore dei più forti, dei ricchi e dei soliti club internazionali, ci rimane dura e amara la speranza  in un futuro migliore.  Infatti, dopo la loro sonora sconfitta sul fronte di un tentativo, di un pasticcio costituzionale  teso ad instaurare in Italia la democrazia degli oligarchici, della cosiddetta maggioranza di governo, cioè di una divisione del nostro popolo in pochi cittadini e tanti sudditi, nessuno sta tanto sereno. Il saperli ancora in giro a sminestrare e cucinare, in segreto, l’azione di un governo fotocopia e tutto intento a non uscire dalla sua natura di clone e a far da scherno  al refrain della canzoncina rovazziana “andiamo , andiamo a comandare...” ( che questi quarantenni continuano a cantare a squarciagola nelle più disparate sedi),  non ci mette  di buon umore verso il 2017.

Lo sconforto è grande, tanto più che nelle segrete stanze questi quarantenni  continuano a sostenere di voler riprendere velocemente il potere. Cioè riprendere il potere senza tenere in conto alcuno il parere espresso dal popolo il quattro dicembre scorso. Anzi non cessano di oraganizzarsi  per riprendere  subito la poltrona e  riprendere a fare  le stesse cose che facevano i peggiori politici della prima e seconda Repubblica, ma con l’aggravante di non vergognarsi più e di ritenere che carriere personali, ignoranza ed arroganza, siano il vero pane della politica, il vero obbiettivo del governare, fregandosene del bene comune di una nazione, del bene generale di una comunità. Insistendo pure a non riconoscere che la Repubblica italiana è composta da un popolo plurale che vuole il pluralismo e non la dittatura della maggioranza.

Quando a tutto questo si aggiunge il dato ormai incontestabile di un partito di sinistra come il PD che sceglie di praticare la  politica della peggior destra e di prendere come oro colato il neoliberismo dell’ideologia neomercantile della globalizzazione selvaggia, le speranze di cambiamento si riducono al lumicino. A meno che non si leggano bene i  segnali squillanti di rivolta che i popoli hanno cominciato a far sentire in quest’anno orribile. Cioè la Brexit, l’elezione di Trump, la vittoria (senza se e senza ma e diversa dalle altre due) del  No al referendum costituzionale italiano.

Tre segnali , tre rombi di cannone che annunciano sul proscenio della storia il ritorno delle nazioni ( speriamo senza nazionalismi) e la voglia dei vari popoli a ritornare agli ideali rinascimentali e risorgimentali dopo l’ubriacatura della globalizzazione finanziaria neomercantile imposta dai fautori del consumismo, della depredazione della natura, del neoindividualismo incentrato sulle raffinate tecniche  della competizione tecnologica  e comunicativa intesa come frastuono, sonno della ragione e, soprattutto, come  mors tua, vita mea.

Decenni addietro i lavoratori avevano una speranza nel sindacato soggetto politico, che si concretizzava come una vera, decisiva   arma di contrasto competitivo con “lor signori e comodi” delle élites dominanti. Oggi anche quest’arma , questo strumento associativo degli esclusi dal governo e dal benessere economico, istituzionale e culturale, è venuta meno.

Allora che il 2017 sia almeno l’anno della ricostruzione del sindacato soggetto politico attraverso l’unità delle grandi organizzazioni confederali. Un’ unità sindacale che parta dal volere un nuovo rinascimento del lavoro e dei lavoratori contro la politica delle élites, contro l’ ignoranza , l’ arroganza e  contro la politica come arte della disinformazione, come imbroglio legale, praticato  da capi e capetti senza vergogna.

Per fare questo e ridare speranza ai lavoratori, ai cittadini onesti, laboriosi e capaci, occorre dire che nel nostro tempo la crisi è innanzitutto morale, culturale, valoriale e che non se ne uscirà senza affidarci nuovamente alle ragioni dell’umanesimo. Ragioni che sono innanzitutto le ragioni della civiltà del cuore, del sentirsi parte di un tutto , di una comunità che si fa continente, si fa mondo sui principi storici dell’uomo  e delle sue rivoluzioni umanitarie: libertà , uguaglianza, solidarietà contro i prepotenti, contro il gruppo di potere mondiale che ha fatto del dominio della comunicazione , della tecnologia e della finanza la sua ideologia di governo e di dominio sugli esclusi , sui più deboli, su coloro che non hanno voce.

In questo senso e soltanto in questo senso, ci possiamo augurare che il 2017 sia l’anno che faccia ritrovare il cuore, la passione della buona politica, del buon sindacato a tutti gli italiani e le italiane.

Ivo Camerini

 
 
 

Presentazione del libro di Fiorella Casucci: Il futuro è nel nostro passato

Foto di greppjo

Camucia, 16 dicembre 2016. Simpatica e apprezzata presentazione venerdì sera alla Libreria Le Storie di Camucia del libro di Fiorella Casucci : "Il futuro è nel nostro passato". Dopo gli onori di casa fatti da Federica Marri, titolare della libreria, hanno presentato il libro con interventi brillanti ed appassionati lo scrittore cortonese Ferruccio Fabilli e l 'avvocato Gabriele Zampagni , che non solo si sono complimentati con l'autrice, ma hanno invitato a farne regalo speciale per le prossime festività natalizie. Ha portato un breve saluto anche l'editore Giuseppe Calosci. L'autrice, intervenendo a conclusione della semplice ma significativa iniziativa organizzata dalla dinamica ed efficientissima Federica Marri, ha ringraziato Fabilli e Zampagni per le loro profonde, belle ed affettuose parole e soprattutto per aver voluto definire questo suo libro: "un breviario laico". Fiorella Casucci , dopo aver richiamato l'importanza dei libri in una società in grande crisi culturale e morale, ha inoltre ringraziato l'editore Calosci e tutti gli intervenuti a questa "presentazione con aperitivo" per la loro graditissima presenza.(IC)

Ecco di seguito le presentazioni introduttive di Ferruccio Fabilli, di Grabriele Zampagni e il ringraziamento dell’autrice.

Fabilli

Docente di materie classiche, Fiorella Casucci Camerini è cosciente del potenziale enorme impatto positivo che rappresenterebbe ancor oggi il pensiero umanistico sulle coscienze contemporanee. Per come è insegnato a scuola, non di rado è travisato in elenchi di formule, nomi e date da mandare a memoria. Fiorella rinuncia alla didattica convenzionale e adotta un suo metodo: analizza, ricompone, semplifica, compara,… il sapere classico in modo efficace, divulgativo, avvincente, partendo da formule semplici (pescate nella filosofia, nella poesia, nella storia, nella narrativa,…)per dar loro nuova vita ed esser“pronte all’uso!”come si dice per un cibo o un farmaco.

Per cogliere appieno l’intelligente opera divulgativa realizzata da Fiorella riflettiamo un momento, ad esempio,sulla filosofia (lo stesso ragionamento varrebbe per ogni altro ramo del sapere): è difficile da assimilare, richiede applicazione, ha logiche complesse, terminologie specifiche, sottigliezze,connessioni con altre scienze, rimandi ad altri autori,…ma quant’è affascinante!? Pensiamo solo al fatto che, oltre duemila anni fa, furono i filosofi, col solo ragionamento, ad asserire l’esistenza degli atomi!...Nietzsche stesso,ricusando la filosofia come ammasso di chiacchiere, si contraddice al tempo stesso costruendo anch’egli un corpus filosofico di non facile comprensione e con rimandi ad altri filosofi, magari anche solo per polemizzarci... Allora Fiorella, umile e sapiente, che ha fatto? Ha estratto dal calderone della cultura classica i migliori spunti utili al viver quotidiano di persone comuni. Esperta, per lunga dimestichezza professionale,rende agevole la scoperta o la rilettura in modo semplice, non semplicistico,di parole e frasi cardini del pensiero universale.Il filosofo contemporaneo Sgalambro – scrittore di testi per alcune canzoni di Franco Battiato – confidava:  “sentendomi depresso, apro un libro, l’Etica di Spinoza, e mi sento in pace con me stesso e col mondo”. Una dote salutare, simile allo scritto di Spinoza, possiamo attribuirla(senza tema di smentita)anche al libro di Fiorella: se talvolta,amareggiati da esperienze negative, lo aprissimo vi troveremmo senz’altro risposte utili,consolatrici di molte ansie. Dico ogni bene sul libro - frutto di vasta cultura e non saccente vacua esercitazione- perché risulta il racconto spontaneo di un’esperienza culturale che per prima ha arricchito Fiorella di solidi valori, la quale ha inteso ritrasmetterli in quanto sono stati utili, per primi,a lei stessa. Non a caso, in una recensione, definivo il libro:breviario laico. I preti usano meditare sul breviario religioso, Fiorella offre a iosa spunti di riflessioni laiche, per mezzo d’un centinaio di citazioni classiche,valide in miriadi di situazioni esistenziali.

Come invito alla lettura, faccio di seguito un breve esempio di come Fiorella sceglie e tratta gli argomenti:rapida ed essenziale, offre al lettore lievi tratteggi - non arroganti ma profondi – in grado di esaltare quella luce interiore emanante ancor oggi da certi testi antichi. L’eros dolceamaro della poetessa Saffo. “Eros, di nuovo, colui che scioglie le membra, mi doma, essere dolceamaro, invincibile, strisciante”.Commenta Fiorella: “E’ la natura misteriosa dell’amore, che la poetessa cerca di individuare: la verità che scopre è che l’amore non è ora dolce, ora amaro; non è prima dolce, poi amaro”. E conclude il capitoletto sull’eros con un’altra citazione della poetessa Emily  Dickinson: “Non era la Morte, perché ero in piedi/ E tutti i morti sono distesi -/ Non era Notte, perché tutte le campane/ Mettevano fuori le lingue annunciando Mezzogiorno-/ Non era il Gelo, perché nella mia carne/ Sentivo strisciare i venti di Scirocco -/ Né il Fuoco, perché i miei piedi di Marmo/ avrebbero tenuto al freddo un Coro./ Eppure somigliava a tutte queste cose”. Senza fronzoli,Fiorella ne antepone a questa poesia il succo: “…Amore, uno stato d’animo senza nome e che può essere individuato solo da negazioni”.

www.ferrucciofabilli.it

Zampagni

Il grande affetto e la profonda ammirazione nutriti da chi scrive nei confronti della Professoressa Casucci, impediscono di dar luogo ad una vera e propria recensione critica ed obiettiva dell'ultima sua fatica letteraria.

Tenterò, tuttavia, di evidenziare alcune tra le molte suggestioni che questo libro suscita al lettore, occupandosi di quei valori universali (l'amore, l'amicizia, la solidarietà, la pace, la giustizia) che hanno caratterizzato e caratterizzeranno l'umanità, per sempre. Forse proprio per la mia formazione professionale, sono stato particolarmente colpito dai numerosi riferimenti che il libro compie, in relazione al grande tema della Giustizia, latamente intesa.

Ecco allora che vengono in rilievo le questioni, forse irrisolvibili e comunque ad oggi sicuramente irrisolte, della pace, della guerra, dell'autentico significato del concetto di democrazia e delle modalità in cui i poteri costituiti debbano atteggiarsi nei confronti del cittadino.

Quanto al primo tema, colpisce come già quasi 2500 anni fa Erodoto affermasse come 'nessuno è così stolto da preferire la guerra alla pace: in questa i figli seppelliscono i genitori, in quella i genitori i figli'. Oggi, nel 2016, l'affermazione di Erodoto potrebbe apparire assodata, quasi ai limiti della banalità.

Questa sicurezza, tuttavia, è destinata ad infrangersi miseramente non appena, dai nostri evoluti ed intelligenti smartphone o pc, siamo costretti a confrontarci, ad esempio, con le foto della distruzione e dei morti di Aleppo. Questa umanità del terzo millennio, dunque, pur potendo vantare indiscutibili e diffusi progressi nel campo della tutela dei diritti umani, è ancora bisognosa di interrogarsi, come faceva Erodoto, sul ripudio della guerra, peraltro scolpito sulla nostra Carta costituzionale, al suo articolo 11.

Allo stesso modo, al di là delle apparenze, anche l'ubi consistam del concetto di democrazia, è ben lungi dall'essere stato completamente compreso. Se Tucidide, come riporta il lavoro della professoressa Casucci, definiva la democrazia come il Governo non per i pochi ma per la maggioranza e, dunque, volto alla cura ed agli interessi di questa, ancora oggi ci si chiede in cosa debba sostanziarsi, davvero, la democrazia: in un mero potere di delega politica da esercitarsi, magari distrattamente, una volta ogni cinque anni, oppure in uno strumento concreto e fattivo di partecipazione al bene comune?

Il rischio, dunque, è che se il concetto di democrazia viene declinato in maniera sbagliata e solo procedurale, possa svuotarsi del suo autentico contenuto e trasformarsi, nella migliore delle ipotesi, in un elegante simulacro di se stesso.

Se, ancora oggi, queste domande hanno una ragione ad essere poste, ciò significa che un lungo percorso attende ancora l'umanità e che, dunque, un'opera come quella della professoressa Casucci merita di essere letta, attentamente ed a fondo. Di certo, chi avrà modo di leggere l'opera -che si presta, per la sua impostazione in 100 piccoli capitoli, ad una agevole è comoda lettura- potrà dirsi cresciuto culturalmente, avendo compiuto un incantevole viaggio spazio temporale, tra i valori supremi ed universali di cui l'umanità è andata, da sempre e non senza contraddizioni, all’ affannosa ricerca.

Gabriele Zampagni

Casucci

Ringrazio i due relatori prima di tutto per le espressioni di affetto nei miei confronti.

Grazie a Federica che ci ospita e all’editore, signor Calosci, per l’infinita pazienza che mi ha dimostrato.

Grazie soprattutto a tutti voi che siete presenti, perché condividete con me l’amore per la lettura e per il messaggio che  i libri ci trasmettono. 

Il punto essenziale da cui sono partita è che la conoscenza deve essere trasmessa e condivisa.

 Mi ha sempre commossa l’immagine degli uomini-libro nel romanzo Fahrenheit 451  di Ray Bradbury del 1953, poi trasferito nel film di Francois Truffaut: in un mondo del futuro in cui i libri sono banditi e messi al rogo, un gruppo di rivoluzionari si rifugia in un luogo isolato, per imparare a memoria ciascuno un libro da tramandare.

L’espediente fantastico degli uomini- libro mi è tornato in mente di recente, quando , nel corso di un viaggio in Terra Santa, ho visitato il sito archeologico di Qumran in Cisgiordania, nei pressi del Mar Morto.

Qui, durante la guerra romano- giudaica, che si concluse nel 70 dopo Cristo con la distruzione del Tempio di Gerusalemme, una comunità ebraica, gli Esseni, che praticava nel deserto una vita di preghiera e di studio, racchiuse dentro giare rotoli di pergamena e di papiro, che riportavano testi sacri ebraici e, secondo alcuni, cristiani. Le giare furono poi nascoste all’interno di grotte naturali per impedire che cadessero nelle mani dei nemici. Chi nascose pergamene e papiri, non è più tornato a riprenderli. La scoperta della prima delle 11 grotte è avvenuta solo nel 1947.

Delle due modalità di conservazione del libro, quella degli uomini-libro  e l’altra delle giare sotterrate dentro  le grotte del deserto, non so quale sia la più fantastica e geniale.

Fiorella Casucci Camerini

 
 
 

Ben tornata vecchia, cara biblioteca Cisl!

Post n°195 pubblicato il 02 Dicembre 2016 da greppjo
 
Foto di greppjo

Alla presenza di Cananzi,Farina e Marini, inaugurata alla Domus Mariae la ex-Biblioteca nazionale della Cisl.

E’ stata riaperta il 18 novembre , presso l’Istituto Paolo VI alla Domus Mariae in Roma, la ex-Biblioteca centrale della Cisl, che era stata donata all’Isacem nel 2012 a seguito della chiusura dei locali di via Labicana,in Roma.

Dopo un faticoso trasloco (durato quattro mesi e curato dal prof. Ivo Ulisse Camerini e dal funzionario Virgilio De Gennaro in nome e per conto della Segreteria confederale nazionale) e dopo tre anni di intenso,scientifico lavoro biblioteconomico (curato dal prof. Paolo Feltrini) alla presenza del Presidente dell’Azione Cattolica Raffaele Cananzi,del Segretario confederale Giuseppe Farina,in rappresentanza del Segretario generale Annamaria Furlan, del Presidente onorario del Senato ed ex-segretario generale della Cisl,Franco Marini, con una semplice , ma significativa cerimonia di inaugurazione, svoltasi nel pomeriggio del 18 novembre scorso, la storica biblioteca confederale della Cisl è stata riaperta all’uso degli studiosi, dei dirigenti sindacali e degli associati della Cisl.

A ricostruire le tappe della salvaguardia e valorizzazione della preziosa Biblioteca Centrale della Cisl sono stati, con interventi , brevi , ma incisivi, il Presidente del Consiglio scientifico dell’Isacem, Raffaele Cananzi e il segretario confederale Cisl, Giuseppe Farina, che hanno voluto sottolineare l’importanza di questa realizzazione culturale che ha messo in sicurezza un immenso patrimonio bibliografico ed emerografico di circa venticinquemila volumi e oltre mille periodici. Un patrimonio culturale di grande interesse per rilanciare lo studio dei sindacati, delle organizzazioni dei lavoratori in Italia e che nel suo nucleo più antico risale agli acquisti fatti dal prof. Mario Romani su incarico del fondatore della Cisl,Giulio Pastore.Un patrimonio culturale oggi collocato in ambienti di grande prestigio e con corredi davvero preziosi, come il tavolo della saletta che espone la collezione di Conquiste del Lavoro, vero diario di bordo della storia cislina. Un tavolo (cfr. foto qui pubblicata) che, nel 1943, servì per la firma di un documento storico di primaria importanza per il cattolicesimo politico e sociale come il Codice di Camaldoli. 

Di grande rilievo la partecipazione all’evento dell’ex-segretario generale della Cisl ed ex- presidente del Senato della repubblica, il sindacalista Franco Marini, che tra l’altro ha voluto ricordare le sue tante ore passate a studiare nella Biblioteca della Cisl e di averne  apprezzato sempre la ricchezza culturale e di esserne stato anche un costante utente del prestito negli anni del suo lavoro di dirigente sindacale.

Per coloro che fossero interessati alla fruizione del patrimonio culturale della vecchia , cara Biblioteca Cisl, l’Isacem ha comunicato che l’accesso è possibile nei giorni di martedì, mercoledì e sabato dalle ore 8,30 alle 13,30 e nei giorni di giovedì e venerdì dalle 14,30 alle 18,30. Per ulteriori dettagli di accesso consultare il sito dell’Isacem e in particolare il link http://www.isacem.it/it/biblioteca-norme-e-orari

Un grazie particolare per tutta questa operazione di tutela e salvaguradia è stato rivolto dal Presidente Cananzi e dal Presidente Marini ai professori Ivo Ulisse Camerini e Paolo Nepi, che furono gli ideatori e gli ambasciatori protagonisti della donazione siglata nel 2012 tra l'allora segretario generale della Cisl,Raffaele Bonanni e il Presidente di allora dell'Azione Cattolica,Franco Miano.

Elena Bucci

 
 
 

Cento letture per riscoprire l’humana civitas.

Foto di greppjo

E’ uscito in questi giorni per i tipi dell’Edtore Calosci il libro di Fiorella Casucci Camerini: “Il futuro è nel nostro passato. Frammenti di saggezza antica per un nuovo umanesimo”. Questo agile volume ultima fatica dell’autrice, stimata collega, è una testimonianza sincera ed appassionata di amore per la cultura classica. Leggendo e meditando sui cento spunti ripresi da alcuni brani dei principali autori greci e latini si intraprende un affascinante percorso culturale che fa rivivere il sapore del mondo classico e dei suoi valori sia estetici che culturali nel senso più alto del termine.

L’autrice con grande padronanza della materia é  tuttavia riuscita a non appesantire la narrazione con apporti per così dire eruditi e “professorali”, in una narrazione agevole, scorrevole, pur nella complessità e profondità dell’argomento, coinvolgendo il lettore e suscitando in lui  rinnovati stimoli di riflessione.

Viviamo in un mondo per tanti aspetti lontano dai valori del mondo classico, visto ormai da molti come un ingombrante orpello antiquario; nel mondo ipertecnologico, dominato dalla rete , dai social network, da un americanismo sempre più superficiale, invasivo e banale, appare  più che mai difficile e problematico cogliere il profondo significato culturale, filosofico e perfino etico negli scritti degli autori classici.

La dominante comunicazione “culturale” proposta dalla maggior parte dei media appare lontanissima da quel mondo, che fino a pochi decenni fa costituiva il più sicuro bagaglio culturale e formativo per ogni individuo. Manca ormai il senso della storicità, si vive in un eterno presente, domina ovunque la logica del mercato e del profitto, si  va definitivamente perdendo il gusto per il bello, per la vera cultura ed i suoi valori. Domina la volgarità e non ci si rende conto che il tramonto della cultura umanistica sarà una perdita irreparabile, portatrice di una nuova barbarie e i primi allarmanti sintomi sono ormai sotto gli occhi di tutti e soprattutto le nuove generazioni saranno chiamate a pagarne il prezzo più caro.

Ci vorrebbe un nuovo umanesimo, ritrovare nei classici antichi l’identità più profonda, le più autentiche radici di noi europei per proporre alla attuale società confusa e disorientata  un senso rinnovato di alta civiltà come, per altro, è stato per tanti secoli. In queste pagine scritte con tanta passione dall’autrice si coglie questo sincero ed autentico auspicio da condividere in pieno.

Alessandro Silveri

 


 
 
 

L'addio di Terontola ad Angiolo Fanicchi.

Post n°193 pubblicato il 07 Novembre 2016 da greppjo
 
Foto di greppjo

Tantissima gente si è stretta in cordoglio attorno alla famiglia Fanicchi. Una intera comunità e tantissimi amici cortonesi si sono stretti attorno alla famiglia Fanicchi per la Santa Messa funebre e per accompagnare Angiolino nel suo ultimo viaggio terreno.

Grazie carissimo amico per tutto quello che hai fatto per Terontola, per Cortona con il tuo impegno civico, sociale e politico.Grazie infinite per il tuo esempio di attività politica intesa come militanza valoriale e come servizio alla comunità e al prossimo.(IC)

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 

Carniti:perché voto NO

Foto di greppjo

E' con grande piacere che pubblichiamo quest'intervento di Pierre Carniti. Un intervento che egli, nel testo originale, titola: Referendum costituzionale, perché voto NO. Carniti con la chiarezza e la profondità delle argomentazioni che sempre hanno caratterizzato la sua azione sociale, sindacale e politica entra nel merito della questione e chiarisce molto bene perché si deve votare NO. Carniti pubblica la sua presa di posizione sulla Rivista Eguaglianza & Libertà ,( www.eguaglianzaliberta.it ) pubblicata il 10 ottobre.

 

Referendum, NO a questo pasticcio

di Pierre Carniti

 

Prescindo da molte delle critiche alla proposta di riforma costituzionale, già sollevate da costituzionalisti, commentatori e politici, che in larga parte condivido. Le ragioni specifiche che mi determinano a votare no sono fondamentalmente tre.

 

Primo. Gli articoli della costituzione possono ovviamente essere modificati. Non però all'ingrosso ma al minuto. Tema per tema, uno alla volta, con emendamenti soppressivi  o correttivi. Per coinvolgere i cittadini consentendo loro di capire davvero la necessità e le ragioni del cambiamento di una norma. Ora invece si pretenderebbe di  cambiare, in un colpo solo, oltre un terzo degli articoli della Carta.

Per quanto mi riguarda continuo a credere nella lezione di Dossetti (ricordata recentemente anche da Raniero La Valle) il quale non si stancava di spiegare che deve essere sempre cercata una  corrispondenza tra la costituzione e lo spirito del Paese. Nel senso che le Costituzioni non precedono la società, ma ne sono l'espressione proiettata in avanti. La Costituzione del '48 infatti fu la conseguenza della grande rigenerazione spirituale, sociale e culturale prodotta dall'immenso dolore della guerra, e da sentimenti di eguaglianza, libertà, dignità, solidarietà che erano radicati nelle masse prima di giungere alla formulazione costituzionale.Tuttavia, non si deve ritenere che solo i valori fossero legati allo spirito pubblico di quel tempo e non anche le scelte dei costituenti sulle forme e le regole  del sistema politico. Ad esempio, è evidente che il ritrovato pluralismo politico, affratellato nel sangue della Resistenza e nel percorso verso la costituente, faceva ritenere scontate, da non dovere essere nemmeno menzionate nel testo costituzionale, le modalità e le forme per la formazione della rappresentanza.

Né meno forte è stato il sentimento diffuso e la rivalsa tra il passaggio alla Repubblica e la forma politica che l'Italia aveva avuto fino ad allora Sentimento che trovava nel Parlamento la sua massima espressione simbolica e reale. Caduto il re il Parlamento era il sovrano. Ovvero la sovranità visibile del popolo. Per questo, proprio perché c'era stato un Senato del Regno doveva esserci un Senato della Repubblica. E poiché il Senato in precedenza era di nominati a vita doveva ora essere formato da eletti dal popolo, per realizzare non solo un parlamentarismo differenziato nel rapporto con il governo, ma anche nel rapporto con il territorio.

Oltre tutto c'erano pure delle ragioni più profonde che hanno spinto la Costituente a puntare su un parlamentarismo leale, forte e rappresentativo di tutta la società. La prima era il grande prestigio di cui era circondata la rappresentanza repubblicana che veniva dall'impegno politico antifascista, dal confino, dalle carceri, dalla clandestinità. Era una classe politica che, nella  sua maggioranza conduceva vita austera, era mal pagata e non era sospettabile di intenzioni di carrierismo. La seconda era il rispetto e la stima che non solo circondava la rappresentanza politica, ma anche il legame di importanti masse popolari con i loro partiti e nello stesso tempo di reciproco rispetto, con marginali eccezioni,  dei rappresentanti politici tra loro, pur essendo e restando avversari politici.

Basterà ricordare le parole di altissima considerazione che il partigiano Dossetti ebbe a pronunciare riferendo la testimonianza di  un partigiano comunista del reggiano. Oppure il rapporto di amicizia,  durato tutta la vita, di Zaccagnini con il comandante partigiano comunista Bulov. Infine c'era il senso comune  che l'uscita dell'Italia dalla pesante situazione del dopoguerra era possibile con uno sforzo che richiedeva la rinuncia di ciascuno alla pretesa di attuare esclusivamente i propri interessi, le proprie idee personali, o di parte. Purtroppo da tempo questa armonia si è rotta.

Uno sviluppo economico sregolato e tumultuoso, un importante mutamento dei costumi, ripetuti sovvertimenti dell'ordine economico e politico internazionale ed infine lo tsunami mediatico hanno inaridito e reciso i legami sociali, senza che le grandi strutture religiose, sociali, culturali ed informative  fornissero la linfa per rigenerarli.

Sicché né le culture politiche, né la dialettica politica quotidiana, né i comportamenti dei cittadini si sono dimostrati all'altezza delle nuove sfide. Non si sono saputo produrre analisi e proposte adeguate. Con la ammirevole eccezione di Papa Francesco, praticamente nessuno ha saputo contrastare il potere incontrastato del denaro, delle scandalose ineguaglianze, sia a livello mondiale che nazionale, dell'economia che uccide.

Quindi oggi la società è più barbara da quella in cui è stata concepita e realizzata la Costituzione del '48. Secondo le statistiche europee in Italia ci sono 7 milioni di poveri. Ma sono solo dei numeri, non delle facce, delle dolorose storie personali e famigliari. La svalutazione del lavoro viene giustificata come strada obbligata per assicurare la competizione produttiva. Infine il primato della finanza e della speculazione rispetto all'economia reale continua e cresce sostanzialmente indisturbato. Al punto che sessantadue persone nel mondo vantano una ricchezza pari a quella di tre miliardi e mezzo di persone.

Malgrado "res pubblica semper reformanda est", in questo quadro ci sono motivi per ritenere che la riforma costituzionale non possa essere considerata una priorità assoluta. in ogni caso deve sempre essere affrontata con larga partecipazione, con estrema ponderazione e senso del limite. Il che non è quando ci si propone di riscrivere interamente la seconda parte della Costituzione. Cioè un pacchetto di 47 articoli. Dimenticando che le modifiche costituzionali non sono un semplice esercizio di scrittura. Oltre tutto in questo caso mal riuscito.

Teniamo presente che quando si scrive in un documento solenne come la Costituzione, nato dalla Resistenza e quindi dal sacrificio di tante vite umane, che la Repubblica ha il compito di rimuovere gli ostacoli, che limitando di fatto l'eguaglianza tra le persone che non consentono l'effettiva partecipazione dei lavoratori alla vita economica, sociale, culturale, civile alla vita del paese, si è detto moltissimo. Praticamente tutto. Perché si è caricata la Repubblica di un impegno perenne, continuo. Non fosse altro perché si è data ad essa un traguardo ed un orizzonte che non è mai definitivamente e pienamente raggiungibile. Il che naturalmente nulla toglie al fatto che questo fine debba essere continuamente ed instancabilmente perseguito. Con il contributo dello Stato e la contestuale partecipazione dei gruppi sociali intermedi. In  pratica dell'intera società.

Questa concezione spiega perché diversi padri costituenti si siano sempre opposti alle ricorrenti pretese di progetti di stravolgimento della Costituzione. Infatti, come molti ricorderanno, ciò si è verificato sia in rapporto al disegno definito "organico" elaborato dalla commissione Bicamerale presieduta da D'Alema, affossato prima di arrivare al voto parlamentare. Ed una decina di anni dopo al tentativo pericoloso e confuso del centro-destra, definito a "blocchi" e riferito all'intera parte seconda della Costituzione, bocciato dal voto popolare. E' opportuno richiamare questi precedenti perché un cambiamento integrale della seconda parte della Costituzione è stato riproposto dal governo, presentandolo come indispensabile, cruciale. Ed è appunto sulla sua proposta che il 4 dicembre si svolgerà il referendum.

L'aspetto che colpisce e preoccupa è che il premier ha considerato il percorso che si concluderà con il voto referendario "una occasione storica che va assolutamente colta" ed alla quale si lega la "vita del governo e della legislatura", anche se successivamente ha in parte cambiato versione. Per altro, la domanda che ci si deve porre è: perché mai deve essere il governo ad assumersi il compito di formulare a far camminare una riforma costituzionale, al punto di ipotecare la vita del governo e la durata della legislatura?

Il fatto è che attorno al tema di una radicale revisione costituzionale si è da tempo concentrata una enfasi mediatica (con motivazioni diverse e, non di rado, opposte) al punto da farla considerare una questione ineludibile. Da qui la speranza (o l'illusione) per la maggioranza di governo di poterne lucrare popolarità e consenso. Di fronte a questo calcolo ritengo, per quanto li ho conosciuti, che cristiani di sinistra, "repubblicani" democratici ed autentici, come: Dossetti, La Pira, Lazzati, Don Mazzolari ed altri, non avrebbero esitato a rispondere con Luca (Lc 6, 26) "Guai a voi quando tutti gli uomini diranno bene di voi!". Ma forse erano, non solo altri tempi, ma soprattutto altri uomini. Con una tensione democratica ed una moralità politica pubblica, oggi largamente sconosciuta.

 Secondo. Una scelta condivisa avrebbe potuto essere quella di concentrare il dibattito e la proposta di riforma su un solo punto: il superamento del bicameralismo perfetto. Anche se, per la verità, contrariamente a diffuse interpretazioni, analizzando i dati della produzione parlamentare, non sembra essere questa la causa principale dei ritardi legislativi. La spiegazione  dell'impotenza e paralisi che spesso si verifica va  piuttosto ricercata nelle contrapposizioni politiche ed interne ai vari gruppi parlamentari. In ogni caso su tale questione si sarebbe potuto, presumibilmente,                     realizzare un largo consenso. Invece, inserita nel calderone della riscrittura dell'intera seconda parte della Costituzione ne è sortito un obbrobrio. Nel senso che, secondo la proposta sottoposta a referendum  il bicameralismo perfetto verrebbe sostituito da un bicameralismo confuso e pasticciato. Del resto basta leggere l'articolo relativo alle competenze del nuovo Senato (composto da Sindaci e da Consiglieri regionali, con il risultato che presumibilmente finiranno per non assolvere bene né l'uno né l'altro compito) per farsi una idea che  quel garbuglio diventerà sopratutto fonte di contenziosi e di conflitti, rendendo ancora più e lunga e complicata l'attività legislativa.

Terzo. Il collegamento tra la riscrittura di 47 articoli della Costituzione e la legge elettorale (Italicum) desta comprensibilmente motivi, non solo di grave preoccupazione, ma anche di rigetto. La ragione è semplice. La legge elettorale ha infatti un carattere oligarchico che finirebbe per indebolire ulteriormente il già fragile tessuto democratico e l'indispensabile divisione dei poteri. Il premier che per diverso tempo l'ha difesa a spada tratta ora si dichiara disposto a discuterne ed eventualmente a modificarla. Al momento però non è chiaro se, come e quando ciò si verificherà. E, soprattutto, quali potranno essere i possibili esiti.

 Sono quindi convinto che ci siano più che fondate ragioni per votare Noal referendum del 4 dicembre.

 Pierre Carniti

Roma, 2 ottobre 2016

 

 
 
 

Ciao anima buona!

Foto di greppjo

Dopo un improvviso peggioramento sabato primo ottobre è tornata alla casa del Padre la mia mamma Rina. Nel pomeriggio di domenica due ottobre si sono svolti i funerali religiosi in Cortona nella Basilica di Santa Margherita. Condivido volentieri il saluto che le ho rivolto al termine della Santa Messa.

“Buona sera. Innanzitutto un grazie per le offerte date per le opere di bene delle missioni delle suore francescane del Bambino Gesù.
Cari sacerdoti, care suore, cari parenti e cari amici e amiche, dopo tre mesi esatti il Signore ha voluto farci ritrovare qui davanti a Santa Margherita per dare il saluto cristiano a mamma Rina. Grazie a tutti per la vostra numerosa presenza e un grazie particolare soprattutto al dottor Mauro Burbi per l’assistenza e l’aiuto che in questi mesi ci ha generosamente dato. 
Mamma Rina, che oggi in cielo ritrova il suo sposo, il babbo Gigi, era ,come diciamo noi montagnini cortonesi, “una donna di una volta”, una mamma e una sposa all’antica. Una donna tutta casa e famiglia. Una donna dedita alle cure amorevoli della casa, ai lavori nei campi e nei boschi. Una mamma cristiana devota del Santo Rosario e orgogliosa, fiera della sua chiesetta di San Biagio in Casale, dove si era sposata con babbo Gigi e dove ogni domenica, ma anche in ogni festa, in tutte le sere di maggio e negli ottavari dei morti portava me e mia sorella Mirella per pregare Gesù, per educarci ai valori del Vangelo,alla devozione verso la Madonna e tutti i Santi. 
Mamma Rina era “una donna di una volta” che con un pugno di farina, con una goccia d’olio, con un pizzico di sale, con le erbe buone dei campi e con i frutti del bosco sapeva sfamare tutta la famiglia. “Una donna di una volta” che con un "pezzo" di stoffa e un “gomitolo” di lana sapeva vestire tutta la famiglia.
Mamma Rina è stata una bambina della “civiltà contadina antica” che, separata dalla madre appena a sei anni, mentre i suoi coetanei più fortunati andavano a scuola, lei, a quella tenera età, divenne una “mezze braccia da lavoro “, una pastorella della nostra montagna e quindi già donna grande, perché, una volta, a quell’età si diventava grandi.
I campi e i boschi di Casale furono le sue scuole. Furono la sua università.
Lì, tra Vallecalda, il Termine e la Trafforata, con le sue amiche pastorelle, in particolare Annetta e Landa , imparò la cultura, i codici di condotta della vita e dell’economia domestica di sussistenza. 
Tra gli scherzi con le sue amiche e la custodia al pascolo delle pecore , apprese dalla bellezza di quella natura, dall’armonia di quel creato una spiccata sensibilità all’ascolto del canto e della poesia.
Quand’ero piccolo era felice , radiosa nel mandarmi a scuola alle elementari e nelle lunghe sere d’inverno, attorno al fuoco, mi faceva prendere il sussidiario (allora alle elementari avevamo un solo libro, il sussidiario) e si faceva leggere le poesie.
Cara mamma, non ti ho mai letto la poesia che il grande Ungaretti dedicò alla sua mamma perché quel sussidiario non la riportava. Te la leggo questa sera come ultimo saluto, anche da parte di Mirella e di tutti quanti i tuoi amici e conoscenti che questa sera sono saliti alla Basilica di Santa Margherita per darti l’ultimo saluto.
E il cuore quando d’un ultimo battito 
Avrà fatto cadere il muro d’ombra, 
Per condurmi, Madre, sino al Signore, 
Come una volta mi darai la mano. 
In ginocchio, decisa, 
Sarai una statua davanti all’Eterno, 
Come già ti vedeva 
Quando eri ancora in vita. 
Alzerai tremante le vecchie braccia, 
Come quando spirasti 
Dicendo: Mio Dio, eccomi. 
E solo quando m’avrà perdonato, 
Ti verrà desiderio di guardarmi. 
Ricorderai d’avermi atteso tanto, 
E avrai negli occhi un rapido sospiro.

 

Ciao anima buona! Ciao anima cristiana! Ciao mamma!

Ivo

 
 
 

Lunga vita a Pierre!

Post n°189 pubblicato il 24 Settembre 2016 da greppjo
 
Foto di greppjo

Cortona, 25 settembre 2016. Auguri speciali e fraterni ad un grande italiano.

Pierre Carniti, un mito del sindacato e della politica italiana, compie oggi ottant’anni. Tanti auguri,Pierre, anche dai tuoi amici delle terre cortonesi.
Nato il 25 settembre 1936 a Castelleone in provincia di Cremona, Pietro Secondo Carniti detto Pierre è un’icona cislina di primo piano, un mito sindacale per quelli della mia generazione. Dai campi ,dalle terre delle Bodesine alla metropoli industriale di Milano, ai palazzi politici di Roma e di Bruxelles, Carniti è sempre rimasto dalla parte dei lavoratori e degli ultimi, di coloro che non hanno voce. Questo , in estrema sintesi, infatti il filo d’Arianna del cammino sociale ed umano di  Pierre Carniti, che oggi spegne le sue ottanta candeline.

Ottant’anni sono un traguardo , una tappa importante nella vita di ogni persona, ma lo sono ancor di più per uno che si è donato ( e continua a donarsi nei tempi nuovi dell'oggi) all 'altro , al prossimo senza risparmio intellettuale e fisico per combattere la “buona battaglia” dei diritti del lavoratori, della loro promozione umana nei processi economici e civili dell’Italia del Secondo Novecento . Cioè di un cinquantennio che ha visto trasformazioni complesse e magmatiche della nostra democrazia, della nostra libertà e  del cammino dei valori di uguaglianza, di solidarietà, di dialogo e di cittadinanza.

Carniti è stato ed è in questo senso una delle bandiere “biancorosse” e “verdi” più amate e significative del popolo italiano che crede , che si riconosce e vuole progredire seguendo i  dettami  della nostra Costituzione repubblicana ed in particolare del suo primo articolo: un paese fondato sul lavoro.

Carniti, nel ventennio 1960-1980, è stato un sindacalista d 'assalto che ha guidato battaglie memorabili per  la contrattazione nazionale ed aziendale. Il suo comizio alla grande manifestazione nazionale dei metalmeccanici a Reggio Calabria nell’ottobre 1972 è stato utilizzato addirittura come colonna sonora  del finale del  film  “Bianco e nero” uscito nel 1975.

È stato poi, ed  è tutt’oggi, un leader sindacale e politico nazionale nel senso nobile del termine, cioè che ha  inteso e praticato sempre il sindacato e la politica  come servizio  alla comunità nazionale  e  locale, come liberazione del lavoratore dalle  subalternità economiche  e culturali.

Carniti è un leader carismatico che a ventitré anni guidava i metalmeccanici milanesi, a trenta quelli di tutt'Italia. A trentatré anni fu membro di segreteria nazionale della Cisl, anche se per pochi mesi. Ne uscì  per guidare , assieme a  Benvenuto e  Trentin, gli operai  italiani nella grande stagione  delle  lotte degli anni  1969-1973. Rientrato poi in segreteria nazionale della Cisl, a soli quarantatre  anni, nel 1979, ne divenne il segretario generale. Nel sindacato e nella politica Carniti è stato ed è un vero antiguicciardiniano. Egli infatti non si è mai mosso per “convenienza del suo particolare” ,  ma sempre per  idealità  e concreta serietà ed onestà del fare a vantaggio del bene comune, dell’interesse generale.

Mitiche sono rimaste alcune sue scelte. Come quando rinunciò alla Presidenza della Rai pur di  non venir meno  ai suoi  principi. Oppure come  quando dopo  un discorso  all'annuale  Forum  Ambrosetti , avendo  avuto  il  rimborso  spese  vive dal  sindacato,  girò l'assegno del compenso  ad  un  istituto  di cultura, comunicandolo con  lettera allo  stesso  presidente  del  Forum. Oppure come quando, nel 1983, contro uno sciopero corporativo di alcuni medici ospedalieri scrisse al Presidente del Consiglio chiedendogli  a nome della Cisl di  precettare  quei lavoratori  che  stavano mettendo  in serio  pericolo la salute  degli ammalati, cioè dei  cittadini  italiani più deboli.

In questo suo fare e teorizzare l’azione sindacale, egli a buon  diritto si  inserisce nel solco  tracciato dai giganti italiani della  cultura cristiano sociale del cattolicesimo democratico e  del socialismo democratico: da Giulio Pastore a  Ferdinando Santi , da Riccardo Lombardi  a  Sandro Pertini, da  Dossetti ,  Lazzati, La Pira ad  Aldo Moro e ad  Amintore  Fanfani.

Il modesto e  cislino minore, figlio di contadini cortonesi, che scrive questa nota di auguri ha avuto  la  fortuna  di  averne e goderne  l ' amicizia  a  livello di  un  fratello  maggiore. E quindi  nell ' augurargli ogni bene in questo suo genetliaco, non può che aggiungere un  fraterno  grazie  e  gridare un  sincero : Lunga  vita a Pierre!
Ivo Camerini

 
 
 

Sarà perché … Ferragosto 2016..... democrazia sotto attacco … eroi olimpionici!

Post n°188 pubblicato il 18 Agosto 2016 da greppjo
 
Foto di greppjo


Sarà perché le vacanze costano care e in troppi sono restati a casa. Sarà perché i salari sono fermi dal 2008 e il loro potere d' acquisto si è ridotto al lumicino. Sarà perché il lavoro è sempre scarso. Sarà perché i ladri e i furbi aumentano.Sarà perché in troppi hanno scatenato in Italia una guerra sciaugurata tra giovani e anziani. Sarà perché la globalizzazione da zefiro primaverile si è trasformata velocemente in bora impetuosa e   gelata.

Sarà perché l ' Italia non riparte. Sarà perché chi diceva di combattere furbi e casta si è fatto furbo e casta a sua volta. Sarà perché da cittadini stiamo tornando sudditi. Sarà perché chi ha i soldi si cura e chi è povero si attacca al tram. Sarà perché chi ha soldi si istruisce e chi è povero si deve accontentare della semplice alfabetizzazione nella scuola pubblica. Sarà perché la speranza di un domani migliore è stata uccisa dai cuori di pietra della finanza e del  panmercatismo .   

Sarà perché il dialogo sta morendo e la guerra sta avanzando. Sarà perché l'America Usa  da impero universale è divenuta una polveriera pronta ad esplodere. Sarà perché l 'Europa da idea di Stati uniti è divenuta una dittatura burocratica. Sarà perché l'Isis ha quasi trasformato l'islam in una religione hitleriana. Sarà perché le Nazioni ricercano con dolore i loro nuovi nazionalismi.

Sarà perché il cristianesimo con i suoi conventi e le sue chiese sempre più vuote sta cedendo il passo al  neopaganesimo. Sarà perché tutto è ormai uno scorrere di velocità senza senso.Sarà perché in troppo pochi hanno il coraggio di essere ribelli per amore della libertà, della democrazia, della solidarietà. Sarà perché, come diceva Prezzolini, l'Italia continua ad essere divisa tra furbi (ladri) e fessi (onesti). Sarà perché ci mancano i politici cattolici alla Degasperi, alla Moro, alla Fanfani e laici alla Berlinguer,alla Pertini, alla Spadolini, alla Saragat. Sarà perché la politica dello scarto praticata dal nuovo capitalismo e denunciata dal solo Papa Francesco sta facendo i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Sarà perché i giornali fanno disinforma zia, senza ritegno e fomentano l'antipolica ( l'attacco alla casta), senza  mai parlare della casta dei supericchi che stanno facendo divenire i poveri sempre più poveri.

Sarà perché le idee e i valori del Novecento sono stati chiamati ideologie e quindi condannati a morte. Sarà perché l’ ideologia neocapitalista è stata chiamata idea e valore positivo e quindi assunta a principio di ogni politica dell’ attuale secolo. Sarà perché il bene comune è stato ucciso e il bene “particolare” trionfa. Sarà perché i mercati hanno ucciso le sovranità nazionali ed instaurato l’ oligarchia della Banda Bassotti. Sarà perché in Italia la democrazia è  sospesa dal novembre 2011 e non s' intravvede quando il popolo potrà restaurarla. Sarà perché il sindacato confederale è stato occupato da dirigenti che pensano solo alle loro carriere personali, esiliando il diritto dei lavoratori alla promozione umana e al giusto contratto di lavoro.

È proprio anche per questi non semplici “perché” che la rassegnazione aumenta tra la gente e la fuga nell’ individualismo ingrossa le fila. In troppi, che hanno responsabilità di guida e di governo,  procedono con atti e con parole che tolgono speranza e coraggio agli italiani. La politica  è morta, la repubblica sta morendo da quando al bene comune dice di pensarci il viceré d'Italia Renzi e prima di lui i  pro-consoli Monti e Letta. Chi salverà lo spirito della Repubblica italiana. Chi salverà l’ opera e le idee dei nostri padri fondatori, cioè della loro Costituzione?

Sarà perché,diceva la canzoncina popolare; e chi più ne ha ne metta; ma questo ferragosto 2016 somiglia tanto al ferragosto 1939 quando in troppi borghesi ballavano  nelle afose balere estive discutendo del corridoio di Danzica occupato da Hitler senza preoccuparsi dell’ arrivo ormai imminente della tragedia della seconda guerra mondiale.

Anche oggi troppi borghesi sono a prendere il sole o a ballare sulle ultime note del Titanic di turno che sta affondando. Ma soprattutto sui media e sui social si vive un rimpallarsi di accuse tra neoguelfi e neoghibellini che fa rabbrividire le coscienze dei  pochi democratici rimasti attivi nel nostro paese. La violenza verbale tra renziani ed antirenziani è cosi virulenta che tutto lascia presagire che in autunno potrebbe esplodere in un devastante incendio sociale.

Che Iddio protegga l'Italia! Perché in tanti vedono così nero? Ma perché non c' è cosa peggiore dell’ essere presi in giro.

I politici al governo ci fanno rimpiangere di averli sostenuti due anni orsono quando si presentarono come il nuovo dell’ Italia ed invece si sono rivelati peggio dei vecchi, che peraltro si son  fatti da parte  senza  alcuna resistenza.

Sarà perché,ripeteva la canzoncina popolare … e io , davvero, non vorrei che ci rimanesse soltanto di appellarci e/o di aggrapparci al coraggio e alla speranza di quel manipolo di  eroi olimpionici  italiani,  che nonostante la iella dei primi giorni, hanno reagito  facendo sventolare la nostra bandiera e  facendo  risuonare  l' inno d 'Italia nel mondo. Ma sopratutto mi aggrappo alla speranza e al coraggio  antico del nostro popolo che sono sicuro , in autunno, troverà energie e forza per dire NO a tutti quei "lor signori" che lo vorrebbero nuovamente "volgo disperso che nome non ha".
Ivo Camerini

 
 
 

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