Erebos

Pubblicazione di brevi racconti e poesie

 

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L'ELOGIO DELLA FOLLIA

" Se il matto persistesse nella sua Follia andrebbe incontro alla Saggezza " (W. Blake)



" Meglio che sia poeta a caschi morto... Essere pazzo è l'ultimo dei miei crucci " (J. Kerouac)


" Qualunque cosa dicano di me i mortali (so bene che la pazzia gode di pessima reputazione anche tra i folli più folli) ebbene sono io la sola, proprio io in carne ed ossa, grazie ai miei poteri sovrannaturali, a infondere serenità nel cuore degli uomini e degli dèi. La differenza tra un pazzo e un saggio sta nel fatto che il primo obbedisce alle passioni, il secondo alla ragione." (Erasmo da Rotterdam)



 

 

Avviso agli utenti

Post n°39 pubblicato il 11 Febbraio 2007 da Erebos

Avviso per tutti coloro che abitualmente mi fanno l'immenso onore di leggermi e per chi è la prima volta che capita nella "rete" di LuxTenebrae: a partire da domani (12 Febbraio) sarò vagabondo per l'Italia. Fino a venerdì non credo che potrò rispondere ad eventuali messaggi, commenti, critiche sul mio blog, cosa che conto di fare non appena tornerò.

Starò per qualche giorno nascosto in un mondo di sogno insieme all'Anima mia, dove i brividi si mischieranno alle emozioni...sperando che la Realtà sia pari, se non superiore, alla Fantasia.
Al prossimo delirio su LuxTenebrae!
Non smettete mai di sognare.

 
 
 

Ineguagliabilmente sublime

Post n°37 pubblicato il 05 Febbraio 2007 da Erebos

...

" Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e'l modo ancor m'offende.
Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona.
Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense ".
Queste parole da lor ci fuor porte.
Quand'io intesi quell'anime offense,
chinà il viso, e tanto il tenni basso,
fin che 'l poeta mi disse: " Che pense? ".
Quando rispuosi, cominciai: "Oh lasso,
quanto dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!".
Poi mi rivolsi a loro e parlà io,
e cominciai: " Francesca, i tuoi martiri
a lagrimar mi fanno tristo e pio.
Ma dimmi: al tempo d'i dolci sospiri,
a che e come concedette amore
che conosceste i dubbiosi disiri? ".
E quella a me: " Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria: e ciò sa 'l tuo dottore.
Ma s'a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice.
Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per più fiate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante ".
Mentre che l'uno spirto questo disse,
l'altro piangea; sì che di pietade
io venni men così com'io morisse.
E caddi come corpo morto cade.

(Dante Alighieri - Inferno, Canto V, 100 - 142)

... senza parole ...

 
 
 

Una tazza di tè

Post n°36 pubblicato il 04 Febbraio 2007 da Erebos

Un consiglio per una persona che in questi giorni mi ha detto di sentirsi vuota... spero possa aiutarvi.

Nan-in, un Maestro giapponese dell'era Meiji (1868 - 1912), ricevette la visita di un professore universitario che era andato da lui per interrogarlo sullo Zen.
Nan-in servì il tè. Colmò la tazza del suo ospite e poi continuò a versare.
Il professore guardò traboccare il tè, poi non riuscì più a contenersi: " E' ricolma. Non ce n'entra più! ".
" Come questa tazza," disse Nan-in " tu sei ricolmo delle tue opinioni e congetture. Come posso spiegarti lo Zen, se prima non vuoti la tua tazza? ".


 
 
 

Grida dal Silenzio...

Post n°35 pubblicato il 03 Febbraio 2007 da Erebos

Stupido Cuore Mio...
quante volte ancora dovrai
avvizzire e poi morire?

Un'amica ti presentai
un giorno di tempesta:
Disillusione... il nome suo.

Ricordo che piacevolmente
parlasti con Lei annuendo
ad ogni consiglio.

Ricordo che ti osservai
spensierato e sorridente come
mai da quando ti conosco.

Ricordo che talvolta una lacrima
ti costrigeva a versare mentre
da Lei venivi spinto a riflettere.

Ricordo che una nuova consapevolezza
si era insediata in quello spazio vuoto
che fa da eco ai tuoi stanchi battiti.

Tutto ciò almeno mi sembrava...

Che è successo alfine?
Che è valso quell'incontro,
Che è valsa la sofferenza passata,
A cosa sono valse le parole
tra di Noi spese sincere,
se alfine ricadi nelle
diaboliche trappole della
infantile ingenuità tua?
Non mi avevi forse giurato
di saper controllare i moti tuoi?
Non ti beffasti di me quando
cercai di dare la vista
alle cieche passioni che
ti inebriavano seducenti?
Forse che non mi assicurasti
che questo a te non
sarebbe mai potuto succedere?
Spergiuro, depravato, folle, sadico
Cuore Mio!

Entità separate da oggi
saremo: noti nemici che
vivono per dominare l'altro,
sleali rivali per la
supremazia su quello
che resta di una
anima martoriata.

 
 
 

SOGNAMI...

Post n°34 pubblicato il 01 Febbraio 2007 da Erebos

Addormentato su una foglia di
orchidea, una perla di rugiada
mi fa da cuscino e la carezza del
tuo pensiero mi avvolge il corpo.
Le palpebre nascondono dolcemente
i miei occhi d'ebano, le labbra
lievemente aperte desiderose
del bacio leggero della tua anima,
la pelle color dell'ambra imprudente
pare arrossire: in quale sogno la mente
mi trasporta così vulnerabile?
I capelli neri della notte senza luna
danzano sulla fronte mia serena e
lo zefiro che sveglia la natura
solletica farfalle vestite di livree
intessute di cristallo, rubino e avorio.
In mano tengo stretto il fazzoletto d'orato
che mi hai donato, pervaso dal tuo profumo:
nessun tesoro mai pescato dagli abissi
oceanici o diamante partorito dalla terra,
ha maggior valore per me.
La musica che odo è quella che
accompagna i nostri incontri segreti e
che mi fa piangere quando guardo
gli occhi tuoi malinconici.
Tutto è in movimento, eppure
ogni cosa mi pare immobile.
Il respiro è regolare, così come il battito
del cuore mio solitamente languido.
Una dolce sensazione di sicurezza si
diffonde in me. Ecco il perchè: sei
arrivata tu adagiata al mio fianco.
Non mi svegli, ma avverto il tuo respiro,
la pelle fragrante di mora e muschio,
il calore che libera lo spirito mio
incatenato ad ataviche paure irrazionali.
Il momento magico si trasforma in sublime:
mi abbracci e mi tieni stretto a te,
le nostre anime scopaiono una nell'altra.
Ora siamo liberi e per sempre legati
vagheremo attraverso mondi di sogno
racchiusi, noi due soli, in un attimo
di pura eternità.

 
 
 

...OGGI...

Post n°33 pubblicato il 31 Gennaio 2007 da Erebos

Quando una canzone esprime uno stato d'animo...

One bourbon, one scotch and one beer
One bourbon, one scotch and one beer
Hey mister bartender come here
I want another drink and I want it now

My baby she gone, she been gone two nigths
I ain't seen my baby since night before last
One bourbon, one scotch and one beer

And I sit there
Gettin' high
Mellow
Knocked out
Feeling good
And by the time
I looked on the wall
At the old clock on the wall
By that time
It was ten thirty daddy
I looked down the bar
At the bartender
He said, "Now what do you want Johnny?"

One bourbon, one scotch and one beer
Well my baby she gone, she been gone two nigths
I ain't seen my baby since night before last
I wanna get drunk till I'm off my mind
One bourbon, one scotch and one beer

And I sat there
Gettin' high
Stoned
Knocked out
And by the time
I looked on the wall
At the old clock again
And by that time
It was a quarter to two
Last call
For alcohol
I said "Hey mister bartender!"
"Well what do you want?"

One bourbon, one scotch and one beer
One bourbon, one scotch and one beer
One bourbon, one scotch and one beer

(John Lee Hooker - One Bourbon, One Scotch, One Beer)

 
 
 

Il Diadema(5)

Post n°30 pubblicato il 22 Gennaio 2007 da Erebos

"Osservalo... penetra la sua natura... le tenebre dai Mille Occhi sono il Suo regno... non puoi sottrarti ormai ti ha visto... il Diadema dell'Erebo... ovunque andrai Lui sarà... notte eterna e risvegli di anime morte... "
Questo sirenico mormorio non mi abbandonava mai e di notte il suo malefico influsso condizionava i miei sogni, o meglio, quelli che credevo essere sogni!
Il momento peggiore era proprio la notte: quella casa enorme e vecchia, con i suoi scricchiolanti pavimenti in legno, i suoi arazzi antichi, i quadri ad olio rappresentanti i passati rampolli della casata, il viale di cipressi che conduceva alla magione, l'enorme tomba di famiglia, quel laghetto maledetto testimone di una tragedia tanto orribile!
La tragedia di cui ho accennato e sulla quale ora cercherò di dare voi delucidazioni, accadde una decina di anni fa: io ero poco più che adolescente ed a quell'epoca, io con tutta la mia famiglia trascorrevamo presso la tenuta tutto il mese di settembre. Erano gli anni spensierati della giovinezza ed ancora nessun demone aveva intaccato la mia anima semplice ed ingenua. Quel maledetto cancro che ora mi sta portando alla pazzia! Io e la figlia del signor H. eravamo molto attaccati e trascorrevamo i pomeriggi nel dilettarci a comporre rime, brevi racconti, commedie che poi interpretavamo per noi stessi: così io ero talvolta Cavaliere, signorotto di campagna, viaggiatore solitario, mentre lei mia Dama, mia sposa o dolce locandiera. Credevo che quel mondo fantastico che mi ero ritagliato nel mondo reale e ben celato nello scrigno del mio cuore illuso, non potesse mai venire scalfito dai volgari colpi della Realtà. Il mio amore fanciullesco era ricambiato dalla mia compagna d'infanzia: cosa potevo volere dalla Vita che mi si mostrava beffarda con la sua migliore e più seducente veste? Ah... stupido sognatore che credi di saper controllare le misteriose forze dell'universo con le sole parole! Quale lezione fosti dolorosamente costretto ad imparare a tue spese!
Era una notte di plenilunio di fine settembre: un'insolito tepore continuava a persistere e questo faceva in modo che si dormisse con le finestre aperte. Saranno state circa le tre di notte quando il silenzio paradisiaco fu rotto da un rumore sordo come di corpo che cade in acqua. Cosa era successo lo avremmo atrocemente scoperto poi.
Più che il rumore del tonfo, fu l'ossessivo ed insistente latrare quasi diabolico del grosso cane che svegliò la casa tutta. Ad essere sinceri era capitato spesso che Argo, questo era il nome di omerica memoria del cane, ci svegliasse; ma il più delle volte era a cause di scoiattoli, volpi o persino cinghiali che venivano a soggiornare, protetti dal manto scuro della Notte, nella tenuta ben curata. Solitamente il suo abbaiare era questione di qualche minuto ed aveva un senso di semplice avvertimento o velata minaccia. Questa volta era diverso; oltre al fatto che abitualmente il cane dormiva nella grossa stanza del camino situata al pianterreno, quella notte il richiamo proveniva dall'esterno. Se si aggiunge che il cane alternava ringhi terribili a guaiti lamentosi, il senso di inquietudine raggiunse presto il suo massimo. Uno dei domestici fu sicuro di sentire il cane emettere un pianto sommesso, quasi a tradire una natura pseudo-umana: come un grido di terrore smorzato da lacrime. I forti colpi inferti dalla sua formidabile testa con straordinaria violenza contro la porta di casa, che lo fecero sanguinare copiosamente, avrebbero dovuto metterci in guardia; con una furia quasi folle persisteva in un'azione apparentemente priva di senso. Quelle botte regolari e cadenzate mi ricordavano qualcosa e quando mi ricordai cosa, un brivido attraverso tutto il mio corpo fino nelle più remote regioni dell'anima mia. Madido di sudore stavo seduto sul letto immobile. Cosa diavolo richiamava in me quel suono? Perché ne ero così terrorizzato? Alla fine mi ricordai: il lugubre suono delle campane quando annunciano un funebre evento.
Il Signor H. assieme a mio amato padre furono i primi ad uscire di casa ed inseguire quell'essere che una volta era stato un cane. La luna giocava a nascondersi tra le nuvole come indecisa se illuminare o meno una scena cha la faceva rabbrividire. Il vento era del tutto assente e l'erba accarezzata da piccole lacrime di rugiada sembrava, a causa del riflesso lunare, un'enorme distesa di diamanti. Piano piano che si allontanavano da casa i due cominciarono ad intuire dove il mastino li avrebbe condotti: il laghetto artificiale. Giunti che furono, una scena straziante si presentò loro.
continua...

 
 
 

...OGGI...

Post n°29 pubblicato il 18 Gennaio 2007 da Erebos

Ovunque guardi no, non posso più scappare
Ovunque inciampi no, non chiedermi perché
Mi trovo a riderci oppure a bestemmiare
Questa ferita aperta continua a fare male ancora
Ogni minuto di realtà,
Non c'è criterio nè viltà
Quei pochi istanti di magia
Assuefazione ed agonia

Liquido spegnimi risolvi tutti i miei problemi
Liquido spegnimi sin quando il corpo mio si sveglierà
...
Non posso crederci che sia così istintivo
Necessità di avere ciò che mi aiuterà
Riprendo a scrivere ancora un pò di me
Non sto a rifletterci mi lascio trasportare ancora
...
Liquido spegnimi a fine di questa giornata
Liquido spegnimi fai in modo che tutto scompaia
Liquido spegnimi riportami a sognare ancora
Liquido spegnimi sin quando il corpo mio si sveglierà

(Shandon - Liquido)

 
 
 

Veneris vincula nescio(2)

Post n°28 pubblicato il 16 Gennaio 2007 da Erebos
Foto di Erebos

Per non parlare dell'elmo, dall'incredibile fattura, che gli ornava il capo: argenteo e raffigurante un animale alato non del tutto identificabile. Se dovessi dire un animale che potesse assomigliargli, direi che pareva una fenice. Si dice che lo stesso Vulcano, Dio del fuoco suo sposo, lo abbia regalato lui come segno di rispetto. Sono in molti a temere Morfeo a causa delle sua capacità di risvegliare ancestrali ossessioni momentaneamente assopite.
L'effetto generale che esercitava su di me era un misto tra un sinistro terrore latente ed una pace incantevole. Sicuramente era ben conscio della mia presenza, ma tutte le sue attenzioni, come biasimarlo, erano rivolte alla creatura divina addormentata.
Tutto l'aiuto di Erato non mi basterebbe neanche per avvicinarmi a decrivere il potere di quell'essere perfetto...
Vi era un'invisibile elettricità che pervadeva l'ambiente circostante, come se due forze opposte si stessero per fronteggiare. Il potere di Venere dormiente era così forte che non osavo immaginare cosa sarebbe stata in grado di fare quando quei suoi occhi, che avevano la capacità di rubare la luce delle stelle e tenerla imprigionata in essi, si sarebbero dischiusi come boccioli di fiori da sogno. Nessuno dotato di anima, avrebbe mai potuto anche solo pensare di nuocere ad una simile creatura, o anche il solo desiderare il suo male era una cosa inconcepibile. Tra i lunghi capelli color dell'oro zecchino, intrecciati da abile mano divina, simili a perle di nera ametista, si potevano scorgere ornamenti di una bellezza e fattura ipnotica. La disposizione di quelle pietre preziose non era casuale; infatti, ad uno sguardo più attento, si poteva ravvisare la forma della costellazione della Vergine. Me ne sono sempre chiesto il motivo in seguito, ma non ho saputo trovare risposta... Il colore della sua pelle era della più perfetta sfumatura del fior di ciliegio, le labbra, maledette da molti e agognate da altrettanti, come scarlatte rose novelle: mai nessuno aveva baciato quelle labbra perchè una subitanea morte avrebbe colto l'ardito che a tanto si fosse spinto. Una morte dolce più dell'ambrosia sarebbe stata e la pace derivatane avrebbe, in un sol colpo, alleggerito gli affanni del mio animo! La sublimazione del pericolo, la proibizione, l'insensato azzardo infiammano gli spiriti senzienti più di ogni droga, più di ogni materiale ricompensa. Come quando, di fronte ad una minaccia o un misterioso spettacolo affascinante (seppur sgradevole e terrificante), il nostro Corpo si blocca, mentre la Mente, curiosa Creatura che può portare alla perdizione, viene pervasa da una dissennata eccitazione alimentata dal Demone della Conoscenza, così mi trovai io in quel preciso attimo di eternità. Una tempesta incatenata, rinchiusa in un minuscolo scrigno all'interno di un frammento della mia anima.
Una veste di giglio bianco avvinghiato dal rosa corallo, invidiata dagli uomini e odiata dalle donne, le accarezzava il corpo perfetto. Immobile, anche se i suoi occhi che mai vedranno la morte, seppur nascosti dalle palpebre, parevano essere animati da un inquieto movimento. Anche Morfeo pareva essersene accorto e quando ciò succedeva, Egli con maggior dolcezza giocava con i suoi capelli e subito, Ella, si calmava, il suo respiro (sensuale sussurro d'amore) ridiventava regolare e la serenità tornava a dimorare in Lei. Quanto tempo rimasi immobile ed inebetito a fissare quella creatura a cui nessun uomo ha mai negato un servigio, non lo ricordo e anche se fosse non potrei quantificarlo. Un soave suo movimento addormentato le scoprì le caviglie esili e diafane: due braccialetti di un materiale color dell'argento, le cingevano uno per parte. Ognuno di essi era dotato di un campanellino; quando la Déa camminava, un tintinnio dolce e sensuale la accompagnava. La musica così prodotta rasserenava chiunque la udisse. Infatti si narra che molte delle più atroci dispute tra gli Déi, o delle più cruente battaglie nel regno degli uomini, fossero state immediatamente terminate al suono di quei campanellini. Come si addormenta il naufrago sfinito, che dopo giorni alla deriva nelle perigliose acque marine, una volta raggiunte sicure e tranquille sabbie illuminate da un tiepido sole e rinfrescate dalla frizzante brezza salata di Eolo divino, come gli eserciti, che al calare della tanto agognata sera, si vanno a riposare esausti dopo una giornata impegnata in bellicosi passatempi, come la leonessa, che dopo aver rincorso agili gazzelle fino all'imbrunire, e debole si sdraia vicino ai suoi cuccioli che reclamano il bianco nettare che stilla dai ferini seni, allo stesso modo si sentirà vinto colui che ascolterà quel sirenico scampanellio.
Ma ecco, adagiata su un tavolino di cristallo, alla destra dell'alcova, l'oggetto più prezioso che mano divina abbia mai forgiato: la corona di Venere. Le parole non possono esprimere la grandiosa meraviglia di quel simbolo di sovranità. Le sue origini sono avvolte da nebbie misteriose e risalgono alla notte dei tempi. Nessuno, nemmeno la stessa Memoria, si ricorda di quell'oggetto: da sempre veglia ed accarezza il nobile e delicato capo della Déa. Pare che la luce emanata dal diadema incastonato al centro della corona allorchè viene indossato dalla sua Domina, non possa essere sostenuta da nessun occhio mortale e tra gli abitatori dei cieli, il solo fulmine di Giove le è superiore. La peculiarità che contraddistingue e differenzia tale gioiello dalle folgori del signore delle Tempeste è che può regolare la propria luminosità come se fosse dotato di vita propria; colui che si avvicina a Venere impuro in atti e pensieri, verrà incenerito da un calore che forse solo Apollo auriga potrebbe sopportare. Mentre a chi di nobiltà d'animo pervaso ha il cuore la Signora dell'amore darà il privilegio di venire osservata ed interrogata. I più audaci sognatori sostengono che Venere possa perfino ammaliare le Parche ed indurle a modificare il destino di chiunque sia incorso benigno sotto la sua magnanima protezione. Quante volte sperai di essere tra quei pochi eletti!
Mi avvicinai al tavolino che reggeva il beato oggetto; non chiedetemi il motivo per il quale desiderassi tanto possedere quel simbolo. Forse volevo semplicemente fare un torto a quella Signora che tante volte aveva fatto soffrire, sedotto e poi abbandonato questo mio cuore indisciplinato, o forse per puerile gelosia della sua bellezza che attirava rivali con i quali non avrei potuto competere, o ancora quel senso di inappagamento che avevo quando La agognavo nelle notti fredde passate a guardare la Luna... nessuno avrebbe mai potuto conquistarla! Alla fine compresi la vanità del mio proposito: cosa sarebbe mai cambiato? I miei sussurri d'amore non avrebbero acquistato rinnovato vigore, le mie passioni non sarebbero aumentate d'intensità, i miei tormenti non avrebbero trovato pace... Così come colui che vuole scalare il monte Olimpo con le proprie forze e trovandosi al suo cospetto cerca di scrutarne la vetta tenuta celata da nuvole imperiture, o come colui che si trova davanti alle porte che conducono al regno di Plutone per entrarne e rubarne i segreti, e desiste dal folle gesto che sadicamente aveva animato il suo spirito di autodistruzione, allo stesso modo la mia azione sconsiderata ebbe fine ancor prima di vederne il principio.
Nessuno si avvide di quando uscii da quel Palazzo, così come nessuno notò il mio ingresso: chissà quanti come me hanno desiderato rubare il cuore di Venere o la sua Corona da donare alla propria amata. Nessuno mai riuscirà in questo intento se non colui che è privo di anima o il cui cuore non ha mai conosciuto le gioie e i dolci dolori dispensati equamente dalla déa dell'Amore. Un solo pensiero dominava la mia mente mentre tornavo sconfitto, ma felice, nel mondo della sofferenza: "Non conosco i lacci di Venere".
FINE

 
 
 

...OGGI...

Post n°27 pubblicato il 14 Gennaio 2007 da Erebos
Foto di Erebos

...
Essere... o non essere. E' il problema.
Se sia meglio per l'anima soffrire
oltraggi di fortuna, sassi e dardi,
o prender l'armi contro questi guai
e opporvisi e distruggerli. Morire,
dormire... nulla più. E dirsi così
con un sonno che noi mettiamo fine
al crepacuore ed alle mille ingiurie
naturali, retaggio della carne!
Questa è la consunzione da invocare
devotamente. Morire, dormire;
dormire, sognar forse...

(W. Shakespeare, Amleto, Atto III, sc. I)

 
 
 

Veneris vincula nescio

Post n°26 pubblicato il 11 Gennaio 2007 da Erebos
Foto di Erebos

Mi trovai, quasi per caso e quasi per un giocoso scherzo del Destino, nel Palazzo di Venere questa notte.
Quel Destino, che già innumerevoli volte mi aveva fatto cadere nei più elementari suoi tranelli, quel Destino con cui quotidianamente conbatto una battaglia persa solo per il gusto di sfidarlo, solo per il gusto di tenergli testa anche per un secondo, solo per il gusto di non farmi vedere vinto e lottare fino allo stremo delle futili forze umane per poi cadere al suolo sfinito, sudato, battuto, umiliato dalle sue grida miste a risa di giullare divino, ma con un masochistico desiderio di riprovarci il giorno a venire e quello dopo e quello dopo ancora fino a quando non avrò più una sola goccia di vita, con un sorriso che stupisce anche il mio dominatore che non si capacita della folle testardaggine di un essere inferiore...quel Destino che odio eppure è l'unico che mi fa sentire vivo.
Scusate, sto divagando...
La Dea della Luna, con il suo carro tirato da destrieri color d'argento, mi accompagnò benigna fino alla dimora di colei che tutti può incantare: mi disse addio con uno sguardo languido e triste, dopo di ché si voltò e sparì per sempre dalla mia vita. Ancora oggi, alcune notti, mi scopro ramingo cercarla tra i più disparati luoghi: oltre le stesse Colonne d'Ercole, in alto fino a doppiar l'Olimpo stesso, giù nell'oscuro Tartaro...conservo la sua immagine incisa nell'anima e nei momenti più bui la sua luce mi riscalda il cuore.
Il luogo in cui mi trovai è difficile a dirsi: una spiaggia bianca, più simile a nuvola, addormentata su acque di zaffiro, immacolate colline decorate da cedri e olivi sempre verdi che emanavano una fragranza inebriante, il lieve scampanellio di docili mandrie pareva una musica sublime in quella visione di sogno...e poi, eccolo lì, emergere tra una leggera bruma che rifletteva i raggi lunari facedo sembrare tutto assopito, il Palazzo di Venere: colei che lega con i suoi lacci gli innamorati.
Timoroso e con rispetto mi avvicinai all'immenso portone; non ero mai stato in un posto tale. La fattura di quella porta era sublime ed, intarsiate su di essa, vi erano le più delicate scene amorose che mai occhio umano abbia visto. Si aprì senza che nemmeno la sfiorassi. Un immenso corridoio, con imponenti colonnati, si ergevano alti, simili al Titano Atlante che sostiene la volta celeste come punizione per aver sfidato gli déi, per reggere un soffitto completamente in madreperla.
Una figura notai appena entrato nell'alcova divina: un giovinetto imberbe e mezzo nudo che teneva in mano uno strumento che ancora non riuscivo a distinguere nell'accecante luce. Sembrava non essersi accorto di me: quale preoccupazione poteva mai suscitare un essere umano in una creatura divina come quella? La pace dell'ambiente mi diede coraggio e così cominciai ad inoltrarmi nel lungo corridoio che terminava in una seconda porta velata da tende color del corallo. Piano piano che mi avvicinavo, quel curioso essere diventò sempre più distinto, fino a quando, che ingenuo che fui a non conoscerlo prima, mi fu evidente chi fosse: Cupido. Era seduto, quasi sdraiato, su un triclinio di seta turchese con ipnotici arabeschi in argento. Accarazzava il suo arco fatto di corteccia di salice piangente: Cupido possedeva vari archi fatti di diversi materiali e, in base allo scopo prefisso, ne utilizzava uno ben preciso. Quello che ora stava accordando, lo aspergeva continuamente di un liquido trasparente che traeva da una giara che recava la dicitura "lacrimae". Tale arco, unito alla corda specifica, che in tal caso era formata da Sospiri intrecciati a Languore, aveva lo scopo di sortire un preciso effetto. Già provavo compassione per il poveretto che sarebbe stato colpito dalla freccia scoccata con quell'arco. Infatti era atto a scatenare la più dolorosa forma di Amore, quello non corrisposto! Avvicinandomi, potevo avvertire in sottofondo dei bisbigli, simili a voci, ma quello che mi colpì era il loro tono lamentoso: sembrava un avera e propria giaculatoria e con quale intensità venivano profuse quelle suppliche. Mi notò pur senza osservarmi e così, sempre con una maggiore frenesia e curiosità che mi ardeva nel cuore, passai oltre.
Spostai delicatamente le tende di corallo e con una spinta decisa, ma non violenta, aprii il portone. Quale meraviglia, quale ricercato gusto estetico, quale sublime sensazione di calore e conforto!
Nella sofisticata luce azzurra, come se i raggi della luna, quando è al suo massimo fulgore, fossero stati rubati per essere ivi imprigionati, il talamo divino che ogni uomo disia si scorgeva appena: adagiato su un pavimento di marmo rosa, sembrava levitasse da terra ed una bruma soffice emanava da sotto il letto. Abituatomi alla luminosità del posto, cominciai a notare due figure addormantate: una era distesa con abiti discinti ed il suo capo, decorato da una fluente chioma di botticelliana memoria, andava ad adagiarsi sul ventre di una creatura, di foggia umana, con la schiena ritta ed appoggiata alla sponda del divin giaciglio. Un uomo d'aspetto pareva agli occhi miei e con quale dolcezza le accarezzava i capelli! Nella mano, che non era occupata in quel lieto passatempo, reggeva un fiore scarlatto dall'aspetto orientale: lo riconobbi, era il Fiore d'Oblio, il Fiore dei Poeti, il Fiore del Ricordo, il Fiore che può portare ai più alti piaceri o alle sofferenze più atroci...Il viso si poteva vedere in parte: degli occhi come la pece nei quali si perdevano i pensieri di chiunque li avesse fissati, una veste strappata di color blu come la notte, un'abbondante chioma nera e lucente che pareva animata e quelle mani bianche come gli spettri che abitano la notte! Mi accorsi che avvinghiati alle sue mani, uno per parte, vi erano due anelli, simili nella forma ma differenti nel colore. Quello sulla mano destra rifulgeva di una morbida luce azzurra, mentre l'opalescenza di quello di sinistra si attestava su toni violacei. Ciò che me li fece notare e classificare come oggetti fantastici, fu il loro costante movimento e l'intermittezza del balenio che emettevano: i colori non erano affatto immobili, ma sempre in rotazione su sé stessi, cangiando anche le loro gradazioni, in una danza ipnotica. Poi tutto mi fu palese: erano Angor, quello di sinistra, e Somnium, quello di destra. Qualora il Dio avesse toccato la testa del dormiente con Angor, i peggiori incubi ne avrebbero accompagnato il sonno, se con Somnium avesse accarezzato le chiome, allora i più sublimi pensieri avrebbero albergato nella mente.
continua...

 
 
 

Le vin du solitaire

Post n°25 pubblicato il 08 Gennaio 2007 da Erebos

" Che vale lo sguardo stanco d'una bella donna
che scivola su di noi come bianco raggio
inviato dall'ondeggiante luna sul tremulo lago
bagnando la sua bellezza indifferente?

Che vale l'ultima borsa di scudi nelle mani di chi gioca?
Che vale un bacio libertino della magra Adelina?
Che valgono i suoni di una musica snervante e leziosa
come il lontano grido del dolore umano?

Nulla, proprio nulla di fronte al penetrante balsamo
che tu, ampia bottiglia, conservi nel tuo ventre
fecondo per il cuore assetato del pio poeta;

tu gli versi la speranza, la gioventù, la vita
e l'orgoglio anche, quel tesoro da straccioni, sì,
ma che ci fa trionfanti e simili agli Dei!"

Les fleurs du mal - Charles Baudelaire

 
 
 

Avadana

Post n°24 pubblicato il 06 Gennaio 2007 da Erebos

"Avadana" (gesta, racconti edificanti) è il termine sanscrito per indicare storie a carattere didascalico che hanno come protagonista il Buddha: si potrebbe notare una certa equipollenza con le parabole cristiane. In questi giorni di feste religiose, paradossalmente, ritengo che l'aspetto spirituale venga del tutto dimenticato, o ricordato solamente in maniera retorica.
Lo scopo di questa semplice storia, come quello di tutto ciò che indegnamente scrivo, è quello di far riflettere chi legge: almeno dare uno spunto!

Un giorno come tanti trascorsi dall'inizio dell'universo, il Buddha camminava magnanimo per un quieto boschetto fuori una città del nord dell'India. Come era solito fare si sedette sotto un albero per meditare sulla vanità della materia e delle passioni che legano gli esseri umani a questo mondo, impedendogli di affrancarsi dal ciclo delle morti e rinascite (samsara).
Quando si trovava in un simile stato trascendeva ogni cosa ed appariva come completamente separato dal mondo.
In quel momento passava di là un leone, il quale vedendo il Buddha, fu naturalmente attratto a lui. Avvicinandosi si sdraiò al suo fianco e pacifico non sembrava avesse intenzione di muoversi, come se volesse vigilare e proteggere quella creatura onnisciente. Non passò molto tempo, quando una volpe, curiosa di natura, vedendo quella strana coppia si unì ai due: anch'essa si adagiò vicino all'essere superiore. Le ore scorrevano tranquille. Nulla poteva turbare la quiete che regnava in quel luogo; una lepre, che vagava alla ricerca di tenere foglie da mangiare, scorse tra la boscaglia quella strana compagnia. Fu così che si aggiunse agli altri due discepoli animali.
Quando il Buddha terminò i suoi esercizi spirituali, la notte cominciava a discendere e si apprestava l'ora della cena. Il leone fu il primo ad allontanarsi ed a ritornare con della legna da ardere: in questo modo il Buddha si sarebbe potuto scaldare a suo piacimento senza patire il freddo. Subito dopo fu il turno della volpe, la quale riuscì a trovare della frutta ed altri germogli commestibili: il questo modo Colui che ha raggiunto ogni scopo avrebbe potuto ristorarsi. Il fuoco fu acceso e la frutta e verdura venne equamente divisa tra i quattro commensali.
Era più che evidente l'imbarazzo provato dalla lepre, che non aveva avuto la possibilità di onorare il divino ospite. Improvvisamente, come il lampo dell'illuminazione, la decisione: le fiamme del piccolo fuoco stavano per spegnersi del tutto e non vi era più legna a disposizione. La lepre senza alcuna esitazione e con animo felice, si gettò tra le fiamme ormai quasi del tutto estinte. Quest'ultime ripresero subito vigore e forza ed arsero per tutta la notte ed oltre.

 
 
 

Il Diadema (4)

Post n°23 pubblicato il 06 Gennaio 2007 da Erebos

Quelle dita... prossime alla cancrena!
Le ferite vennero facilmente fatte risalire ad un tentativo di furto da parte di qualche contadino della zona, che magari mezzo ubriaco e di ritorno dall'osteria vedendomi in quello stato e credendomi morto cercò di appropriarsi di quanto di più prezioso avessi. La teoria troppo semplicistica del mancato furto non spiegava la miracolosa reazione degli anelli stessi; ma nessuno aveva voglia di avventurarsi in misteri apparentemente insondabili.
Dopo essersi assicurati che ancora respiravo, il cuore batteva lentissimo con un ritmo quasi ipnotico, mi sollevarono di peso e si avviarono a tutta fretta verso la casa. Durante il tragitto, mi dissero in seguito, che ebbero la sensazione di essere seguiti e spiati da qualcuno o qualcosa. Il cielo era sereno e le stelle vi si affacciavano vanitose...
Il resto della storia è presto detto: appena arrivato a casa H., mi portarono di fretta al piano superiore dove vi erano anche le stanze degli ospiti. Stanza in cui ancora mi trovavo dopo due giorni in uno stato di semi incoscienza alternato da brevissimi momenti di delirio sconnesso. Ovviamente io delle ultime quarantotto ore non avevo alcun ricordo.
Grazie alle cure amorevoli della figlia del Signor H., aveva sempre avuto un debole per tipi come me, ed io ad essere sincero per lei, ed a quei strani marchingegni utilizzati dal dottor M., riuscii a rimettermi in maniera sorprendentemente rapida. Ogni pomeriggio passavo più di qualche ora a colloquio con il dottore nella fornitissima biblioteca del magnanimo padrone di casa. La biblioteca raccoglieva circa un migliaio di volumi: alcuni parevano formidabilmente antichi e scritti in una lingua dimenticata (magari non fosse mai esistita!), altri di matrice più recente e di natura più frivola. Quelli più vecchi trattavano argomenti vari e misteriosi come: magia, manuali per evocazioni o richiami, mesmerismo, demonologia, leggende su misteriosi popoli e spiriti...
Per quel che riguarda le domande più ricorrenti dello studioso, vertevano sulle mie visioni, i sogni che avevo avuto in quegli attimi di "distacco dalla realtà", come a lui piaceva chiamare freddamente momenti che al solo pensiero mi fanno rabbrividire di orrore. La notte quali sensazioni provavo prima di addormentarmi? Nello stato di veglia, avevo sensazioni mai provate prima, tipo quella di essere osservato? I miei sensi mi parevano più acuti? Le risposte alle sue domande erano piuttosto evasive: vi ho già detto che non mi fidavo di quella luce maligna che talvolta dimorava negli occhi del medico. Non cercavo mai di fargli capire cosa provassi, ma di contro utilizzavo le sue sagge, a questo gli va dato atto, questioni per condurre una specie di autoanalisi: in tale modo era convinto di riuscire a parametrare le mie sensazioni e di approfondirle in maniera quanto più scientifica mi fosse stato possibile. Ben presto mi sarei scontrato con la dura realtà (uso questo termine sperando che la sua accezione possa essere errata perchè sarebbe orribile se la realtà fosse davvero questa) dei fatti! Confidavo nelle mie scarse ed amatoriali conoscenze di psicologia, esoterismo, fisica e chimica. L'odore di muffa, polvere e carta stantia saturava l'aria, conferendo all'ambiente tutto un'atmosfera vetusta di misteri solo assopiti. Ogni volta che varcavo quella soglia, il ronzio, che pareva essere scomparso, si faceva sempre più forte nelle mie orecchie: non potevo resistere che qualche ora, il dolore sempre più lancinante mi impediva di fare alcunchè, mentre i presenti sostenevano che il mio volto si trasfigurava in una maschera di orrore puro. Uscito di lì, il dolore si attenuava e riprendevo il mio colorito naturale. Voi direte, perchè tenere le sedute proprio in quell'ambiente che tanto mi causava sofferenza fisica? Il motivo è semplice, quanto banale: una malsana, masochistica e crudele teoria del dottore. Quel ronzio era ciò che poteva guarirmi, poteva farmi rivivere gli attimi che non volevo ricordare e scoprirne la causa per poi approntare la cura più appropriata.
A quel folle di un professore devo, a malincuore, riconoscere un merito: grazie alle sue strampalate teorie, alle riunioni in biblioteca, compresi che ciò che sentivo non era un ronzio, ma piuttosto un bisbiglio, un sussurro che ancora non riuscivo ad interpretare. Una voce di cui non capivo l'idioma...
Ora voi vorrete che io vi dica le esatte parole che udii: come vorrei essere stato sordo, o aver in seguito perso l'uso della parola di modo da non poter più udire quella voce o da non poter più pronunciare quella blasfema litania!
continua...

 
 
 

Anniversario di Dolore...

Post n°22 pubblicato il 05 Gennaio 2007 da Erebos


A mio Padre...

Una persona per la quale avrei rinunciato alla mia vita per prolungare la sua anche di un solo battito...


Già quante volte il Sole ha solcato il Cielo,
Già quante volte la Luna ha cercato di raggiungerlo,
Già quante volte la Terra ha volteggiato per sé stessa,
Già quante volte il Vento fa fatto danzare la nuvole,
Già quante volte la Vita ha preteso risposte immediate,
Già quante volte il Dolore mi ha annichilito,
Già quante volte la Rabbia mi ha fatto piangere,
Già quante volte il Coraggio mi ha preso per mano,
Già quante volte il Timore ha bloccato la mia anima,
Già quante volte la Fuga mi ha corrotto la mente,
Già quante volte l'Amore ha soccorso me infelice...
Da quando tu mi hai lasciato.

Le parole inespresse mi bruciano dentro
Perchè non ho saputo dirti ciò che già sapevi.
La mia inadeguatezza, la mia impotenza
in quel momento mi fa imprecare e
maledire il Destino che avrei mutato a mio danno.
Avrei voluto mostrarti la mia gratitudine,
ma non ho potuto e questo è il
cruccio più grande. L'immenso orgoglio
che provo al solo tuo pensiero mi dà
la forza per rivaleggiare con il Fato,
da quel momento mio acerrimo nemico.
Non vi è giorno che passa senza che
la presenza tua, padre mio, si rinnova
e rinvigorisce nell'anima.

Mi auguro di essere, anche solo
parzialmente, tutto ciò che hai
rappresentato per me e che quando
sarai ad amabile simposio con la altre anime
beate tra le nuvole immortali, tu possa con
fierezza dire a tutti: quello è mio figlio!

 
 
 

Dedicato...

Post n°21 pubblicato il 03 Gennaio 2007 da Erebos

Un indegno pensiero per una persona speciale che, anche se da poco, mi ha fatto il prezioso dono della sua presenza nella mia vita...

Odio il Sole perché Vi scalda,

Odio la Luna perché Vi osserva dormire,
Odio la Pioggia ché Vi può accarezzare,
Odio la Nebbia ché Vi avvolge e nasconde,
Odio il Vento perché Vi sussurra all'orecchio,

Odio l'Acqua ché può dissetarVi,
Odio il Sonno perché vigila sui Vostri sogni,
Odio il Pensiero ché conosce i Vostri segreti,
Odio la Musica ché può sedurVi.

Odio tutto ciò che mi separa da Voi.

Raccontatemi di Voi,
Insegnatemi di Voi,
Travolgetemi di Voi,
Inondatemi di Voi,
Soffocatemi di Voi,
Annullatemi in Voi...

 
 
 

Il Diadema (3)

Post n°20 pubblicato il 02 Gennaio 2007 da Erebos
Foto di Erebos

Per mia somma fortuna o per la debolezza della mia Mente provata, persi conoscenza e svenni.
Da questo istante in poi i ricordi si fanno confusi e sconnessi e questo darà ulteriori prove a favore di coloro che non credono al mio racconto. Purtroppo non posso invocare le Muse a sostegno di ciò che vidi, ma sperare nella vostra comprensione ed affinità emotiva. C'è, infatti, chi sostiene che quella sorta di epifania che mi si manifestò, costituì un nuovo inizio: il mio comportamento mutò parallelamente al peggioramento di salute. Io continuai e continuo tuttora a sostenere che non è il mio corpo da curare, ma la mia anima e la mia mente. Non vi è ombra di dubbio che il progressivo aumento del terrore mi indebolì i nervi, ma sul fatto che tutto ciò che vissi in prima persona fosse pura fantasia, beh...permettetemi di dissentire.
Quando mi ridestai di soprassalto, sudato ed ansimante, la governante degli H. ebbe quasi una crisi cardiaca. La testa mi doleva in modo spaventoso e quel malefico ronzio cronico che udivo! Il volto esangue e gli occhi sbarrati, come se non volessero più richiudersi per non rivivere immondi sogni di cui non avevo però coscienza alcuna, dovettero avere un preoccupante effetto sui miei osservatori. Alcuni di loro, venni in seguito a sapere, pensarono che quella sorta di stato comatoso in cui mi trovai mi avrebbe accompagnato fino alla fine dei miei giorni, altri dettero per scontato che mi sarei risvegliato senza più il lume della ragione, nessuno sembrava avesse ipotizzato il mio completo, o almeno presunto, recupero. Al fine di essere pronti ad ogni evenienza, nel auspicato caso in cui mi fossi risvegliato, venne fatto chiamare il Dottor M. al quale venne raccomandata massima discrezione. Non vi era alcun bisogno di alimentare le già numerose leggende circolanti su quel luogo. Infatti lo trovai lì al mio capezzale, con un'espressione di curioso ottimismo e malcelata eccitazione. Sembra che, ricevuta la telefonata dagli H., si fosse precipitato a rotta di collo per arrivare il prima possibile: egli sosteneva perché aveva a cuore la mia salute, ma sapevo che il motivo principale era quello di analizzarmi come si fa con una cavia da laboratorio. Vedevo nei suoi occhi una premura ambigua che più che rassicurare, mi agitava maggiormente. Egli già conosceva fin troppo in profondità i miei incubi e le mie ataviche paure, avrebbe potuto usarle contro di me? Cosa aveva in mente?
Ora vi racconterò come feci a risvegliarmi in quel letto. Dovete sapere che tutti gli abitanti della tenuta erano a conoscenza del mio imminente arrivo: giorno e ora precisa del treno diretto da M. Per questo motivo la mia mancata venuta, che sommata al fatto che era ormai notte ha avuto un effetto evocativo terribile, aveva creato un'incredibile agitazione. Il primo a preoccuparsi fu il Signor H. che ben conosceva i pericoli che abitano quelle terre isolate. Si evitò di chiamare la polizia per i ben noti motivi che già ho spiegato in precedenza; di contro organizzarono una piccola squadra di ricerche, formata dai domestici, dallo stesso padrone di casa e dal suo formidabile cane nero di razza danese, per un totale di circa cinque esseri umani più il cane. La magione in questione ha un'estensione di parecchi acri, senza contare le vigne ed il piccolo lago utilizzato per l'allevamento di pesci d'acqua dolce: fino a qualche anno fa venivano organizzati veri e propri tornei di pesca aperti a tutti, fino a quando accadde quello spiacevole incidente...di cui ora preferisco non parlare.
Era da poco passata la mezzanotte quando mi trovarono riverso a terra e mezzo coperto di foglie. Il mio rinvenimento lo devo esclusivamente al migliore amico dell'uomo, mai termine fu più indovinato, quel maestoso danese nero. Indicativamente dovevo aver passato cinque ore in quella posizione, supino con braccia e gambe divaricate. Ma la cosa che più sorprese i miei soccorritori fu l'espressione del volto: un ghigno sardonico e gli occhi spalancati in maniera innaturale dai quali colava un umore rosso bruno di provenienza sconosciuta ed inspiegabile e di consistenza vischiosa. Il cancello ferroso era del tutto aperto e tutto intorno non vi era alcun segno che facesse sottintendere ad una presenza umana; così come del corvo non vi era traccia ed il Diadema era come sempre inanimato e privo di bagliori malefici. Ciò che attirò in modo quasi ossessivo il Signor H. furono le mie mani, che quando mi svegliai ebbero la precauzione, allora per me inspiegabile, di fasciare completamente per impedirmi di vedere: i tre anelli che avevo si erano stretti in maniera sorprendente causandomi una strana enfiagione alle dita. Pareva che qualcuno avesse cercato di strapparmeli con incredibile violenza lacerandomi la pelle in profondità, ma che per reazione gli anelli si fossero avvinghiati con maggior forza alle mie falangi.
continua...

 
 
 

Id mihi ignoscis

Post n°19 pubblicato il 02 Gennaio 2007 da Erebos

Mi hai rimproverato di
averti trascurata in questi
giorni di euforie artificiali.

La mia assente presenza ti
ha turbata e preoccupata,
l'egoismo dei miei pensieri
ti ha offesa, l'attenzione mutevole
che ti ho dedicato ti ha
fatto soffrire e piangere.

"Bastardo"

Credo tu abbia ragione
ed anche per questo
Ti chiedo scusa, ma
sai che non era voluto.

Conosci fin troppo in
profondità l'incostanza e
i pindarici moti dell'animo mio.

Le lunatiche passioni che
mi spazzano come fa
il vento sulla brughiera.

Non assurde giustificazioni
adduco a mia difesa perché
qualsiasi sarebbe patetica
e non del tutto veritiera.

Nemmeno il più illuminato
Principe del Foro
accetterebbe il mio caso.

Sei rimasta con caparbia
volontà al mio capezzale,
quando il baratro del Dolore
si aprì sotto i miei piedi.

Eri come me quando la
Felicità mi fuggiva come la Peste;
Sempre con me quando
affogavo nelle lacrime
dei miei incubi fantastici;

Di nuovo al mio fianco
per sostenere il mio
corpo vuoto, ricettacolo
privo di spirito.

Anche se dovessero
rubarmi l'Anima,

Anche se dovessero
imprigionare il mio Cuore,

Anche se dovessero
maledire la Mia Vita,

Anche se dovessero
uccidere le mie Visioni,

Anche se dovessero
strapparmi le Ali,

Anche se dovessero
trafiggermi gli strali della Malasorte...

...continuerei comunque ad amarti.

 
 
 

Stati di nausea profonda

Post n°18 pubblicato il 02 Gennaio 2007 da Erebos

Indolenti e forzati auguri,
schiamazzi odiosi di
gente maldigerita.

Masticato e risputato...

Cattiveria gratuita e
stati di nausea profonda,
voglia di evasione e fuga.

Per un attimo soltanto
vorrei addormantarmi
sopra le nuvole per
sognare di non esistere.

Un attimo soltanto chiedo
e nulla più; poi tutto
può tornare come prima...
vuoto e privo di vita!

 
 
 

Enivrez-Vous

Post n°17 pubblicato il 01 Gennaio 2007 da Erebos

L'altra sera un amico venne a trovarmi. Ecco cosa mi disse:

"Bisogna sempre essere ubriachi. Tutto qui: è l'unico problema. Per non sentire l'orribile fardello del Tempo che vi spezza la schiena e vi piega a terra, dovete ubriacarvi senza tregua.
Ma di che cosa? Di vino, di poesia o di virtù: come vi pare. Ma ubriacatevi.
E se talvolta, sui gradini di un palazzo, sull'erba verde di un fosso, nella tetra solitudine della vostra stanza, vi risvegliate perché l'ebrezza è diminuita o scomparsa, chiedete al vento, alle stelle, agli uccelli, all'orologio, a tutto ciò che fugge, a tutto ciò che geme, a tutto ciò che scorre, a tutto ciò che canta, a tutto ciò che parla, chidete che ora è; e il vento, le onde, le stelle, gli uccelli, l'orologio, vi risponderanno: E' ora di ubriacarsi! Per non essere gli schiavi martirizzati del Tempo, ubriacatevi, ubriacatevi sempre! Di vino, di poesia o di virtù, come vi pare".

(Le spleen de Paris - Charles Baudelaire)

La saggezza è dei folli, degli ubriachi e dei bambini...

 
 
 
 
 

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Data di creazione: 04/08/2006
 
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