Creato da: AlessandroDeGerardis il 11/03/2008
La vita e la storia di Alessandro De Gerardis

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LA MIA VITA

Post n°1 pubblicato il 11 Marzo 2008 da AlessandroDeGerardis
Foto di AlessandroDeGerardis

Capitolo I

La nascita

 

Tutto comincio' il giorno della festa della donna del 1961. Bella festa preparai a mia madre con una nascita da colpo di scena! La mattina di mercoledi 8 marzo 1961 lei incomincio' a "perdere le acque", mio padre non possedeva ancora la macchina, che avrebbe ritirato il giorno dopo, e con l'unico taxi disponibile a Ribolla (GR) partimmo alla volta dell'Ospedale della Misericordia di Grosseto.

File:Fiat 1400B(1900B).jpg

Duvino (beh? si chiamava cosi' il tassista!) dovette poi far cambiare la tappezzeria della sua Fiat 1400, intrisa di liquido amniotico, mentre io nacqui a secco e beccai i primi schiaffi della mia vita per rianimarmi. Al che pensai subito: "Cominciamo bene!".

Inizio' cosi' la mia vita, pochi giorni dopo uscii dall'ospedale natio e feci il mio primo viaggio in macchina (fuori pancia): finalmente era la macchina di mio padre, una Fiat 600D di 767cc, color avorio, ritirata il 9 marzo alla concessionaria Tommasini & Perosi di Grosseto (targa GR 21072).

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I circa 30 Km che separavano Grosseto da Ribolla sembravano eterni, perche' a quei tempi si faceva il rodaggio e mio padre li percorse tutti a non oltre 40 Km/h. Ma anche a rodaggio terminato non e' che le cose cambiarono molto, perche' mio padre non faceva mai andare la lancetta rossa del tachimetro nella meta' destra dello stesso quindi, considerando che il fondo scala della 600D era a 120, non superava mai i 60. Per molto tempo quindi pensai che Ribolla e Grosseto fossero distanti anni luce, fino a un giorno del 1965, quando il nuovo datore di lavoro di mio padre, l'Ing. Remo Minucci, mi accompagno' da Ribolla a Grosseto con la sua nuova Fulvia Coupe rossa targata GR 42511.

Da quel momento si scombino' tutta la mia percezione spazio-temporale che avevo maturato fino a 4 anni, gli alberi ai lati della strada sfrecciavano come non li avevo mai visti, le striscie tratteggiate di mezzeria parevano una striscia continua, non ebbi nemmeno il tempo di riprendermi dallo choc che gia' eravamo arrivati a Grosseto.

 

 
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LA MIA VITA

Post n°2 pubblicato il 12 Marzo 2008 da AlessandroDeGerardis
Foto di AlessandroDeGerardis

Capitolo II

L'autista del pittore

Nel 1965 cambiarono molte cose, anche il senso di apertura delle portiere delle Fiat 500 e 600. Ma mentre la 500, passando dalla versione D alla versione F, riscosse sempre piu' succcesso, per la 600 era gia' iniziata la fase di declino dall'anno precedente, quando usci' la sua derivata, la sua evoluzione: la Fiat 850. E mio padre se la compro', il 12 maggio 1965, nella stessa concessionaria di Grosseto dove quattro anni prima aveva acquistato la 600 che permuto'.

 

Ma il colore non cambio', era sempre bianca, l'unico elemento piu' vistoso erano i cerchi Abarth che mio padre fece montare in alternativa agli originali. Il fondo scala del tachimetro della 850 era a 140 Km/h e mio padre, fedele alla regola della lancetta (questa volta arancione) che non doveva intaccare la meta' destra dello strumento, non superava mai i 70 Km/h... un bel passo in avanti! Ma la fondamentale differenza che io percepivo tra le due auto era la maggiore accelerazione della 850, dovuta anche al fatto che il nostro modello era alimentato a benzina super (erano infatti disponibili due versioni: la normale e la super appunto).

Intanto cresceva in me la voglia di guidare, avevo gia' iniziato con la 600 a prendere il volante (enorme) tra le mani mentre stavo in braccio a papa' (vedi foto qui sotto),

con la 850 incominciai a raggiungere l'acceleratore, sempre in braccio a lui e poi, domenica 9 marzo 1969, a 8 anni compiuti il giorno prima, successe il miracolo.

Avevo da poco pranzato a casa dei miei nonni materni a Ribolla e nel primo pomeriggio andai nella campagna intorno al paese in macchina con mio padre. Lui ha sempre avuto una grande passione per la pittura, ha esposto i suoi quadri in molte gallerie d'arte e la campagna lo ispirava particolarmente per i suoi disegni e cosi', come spesso faceva, si porto' tutta l'attrezzatura per fissare su tela le sue immagini. Quel giorno, non appena lasciammo la strada asfaltata per imboccare una stradina bianca in localita' Laschi, fermo' la 850 e mi disse: scambiamoci di posto, io vengo a destra e tu prendi i comandi. 

 Li' per li' mi sembrava di sognare, ma non me lo feci ripetere due volte, nel giro di neanche dieci secondi mi trovavo gia' al volante, avvicinai il sedile ai pedali, mi misi un cuscino sul sedile per essere piu' sollevato e con la gamba sinistra un po' tremante schiacciai il pedale della frizione, il motore era rimasto acceso, ingranai la prima, col piede destro incominciai a spingere sull'acceleratore, forse un po' troppo, contemporaneamente incominciai a sollevare il piede sinistro comandato da una gamba ancor piu' tremante e l'utilitaria incomincio' a muoversi, un po' a scatti, sgommando un po' sul brecciolino, ma mi stavo comunque muovendo, pilotavo io, da solo con mio padre accanto che si mostrava piu' interessato agli spunti pittorici che al figlio di 8 anni che stava guidando la sua macchina; e non era incoscienza, era invece la coscienza che ormai poteva fidarsi di me, avevo fatto cosi' tanta gavetta sulle sue gambe che ormai ero autonomo. Autonomo e felice. Era iniziata una nuova era per me e tutte le domeniche successive, per tanti anni, detti la mia disponibilita' per accompagnare il pittore a prendere spunti campestri.  

 
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LA MIA VITA

Post n°3 pubblicato il 13 Marzo 2008 da AlessandroDeGerardis

Capitolo III

L'infanzia a Ribolla

Facciamo un passo indietro: e’ impensabile passare dal 1961 al 1969 in due soli capitoli. Torniamo al mio anno di nascita.

Nel 1961 Ribolla era appena uscita da un periodo oscuro, la guerra e soprattutto la terribile tragedia mineraria del 4 maggio 1954 in cui persero la vita quarantatre operai e diciannove rimasero feriti dallo scoppio del grisou. Da questo momento il paesino maremmano vide rapidamente calare l’attivita’ mineraria fino alla chiusura definitiva dei pozzi di estrazione avvenuta proprio nell’anno della mia nascita. Intanto anche a Ribolla arrivo’ il boom economico, ci lasciammo alle spalle il passato (ma i ricordi no) e guardammo avanti. Furono anni felici per me.

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Abitavo in via Sicilia 32, l’ultima casa prima della campagna, circondata per tre quarti dal giardino, con davanti un ampio piazzale sterrato su cui correre e giocare col triciclo, la bicicletta, la spider a pedali; non passavano mezzi a motore se non quelli di coloro che venivano a trovarci.

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 I miei nonni materni abitavano a circa un chilometro di distanza, sulla strada provinciale che congiungeva Gavorrano e Follonica a Montemassi e Roccastrada;

 

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spesso ero da loro e anche li’ c’era da divertirsi, la loro piccola casa, ex dormitorio dei minatori, confinava con orti e pollai e poco distante c’era un bosco, il “boschetto”, all’interno del quale era presente anche un piccolo lago, insomma uno scenario fiabesco che ha fatto da sfondo ai miei primi quattro anni di vita. Ricordo le lunghe passeggiate con mio nonno tra gli eucalipti, le sue storie di una vita passata in miniera, raccontate proprio nel boschetto mentre passavamo davanti ai resti dei vecchi pozzi dismessi che emanavano ancora odore di carbone e minerali misti a muffa. 

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Quando arrivava l’estate la meta giornaliera diventava Follonica, a una trentina di chilometri da Ribolla, dove ci attendeva la morbida spiaggia dei Bagni Ombretta, al centro di un golfo che garantiva quasi sempre mare calmo e sicuro, l’ideale per i bambini come me, grazie anche al fondale che si manteneva basso per decine di metri dalla riva.

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Nel 1964 e nel 1965 prendemmo casa nel periodo estivo proprio di fronte ai Bagni Ombretta, per evitare l’andirivieni con Ribolla, mentre mio padre faceva invece la spola con la 600 tra Follonica e Montelattaia, la tenuta agricola in cui lavorava come perito agrario e dalla quale provenivano tutta la frutta e il latte con cui mi sono nutrito durante la mia infanzia.

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La prima parte della mia vita si concluse il 28 ottobre del 1965, si volto’ pagina e si chiuse il periodo forse piu’ bello, sicuramente il piu’ spensierato.

 
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LA MIA VITA

Post n°4 pubblicato il 15 Marzo 2008 da AlessandroDeGerardis

Capitolo IV

L'impatto con Roccastrada

Il 28 ottobre 1965 capii il significato della parola trasloco.

Era il primo di una lunga serie, il primo impatto con la dura realta'.

Vedere tutto il contenuto della casa, i miei giochi, i frammenti della mia prima infanzia finire su un cassone di un furgone Ford Taunus, mi fece capire che stavo voltando pagina, era finita un'era, mi ero risvegliato da un sogno fantastico e la realta' si prospettava meno fiabesca. 

Roccastrada vista della rupe

Roccastrada non l'ho mai amata, anche se adesso riconosco che e' un paese caratteristico, che ha una storia, che ha un bel clima, soprattutto d'estate, ma per un bambino di quattro anni ritrovarsi chiuso in un appartamento, senza giardino, senza la possibilita' di andare in bicicletta fu una sorta di arresto domiciliare.

 La bicicletta mi era preclusa, dal momento che via Montini era una ripida discesa che conduceva agli stabilimenti e alle cave di gesso di cui Roccastrada era ricca e lo e' tuttora.

Roccastrada e una delle sue cave

Ed e' proprio a causa del gesso che ci trovavamo li', mio padre infatti nel 1965 aveva cambiato lavoro ed era passato dalla tenuta di Montelattaia alla SO.GES., la societa' dei gessi di cui teneva la contabilita' che aveva la sede proprio in fondo a via Montini, detta anche via della Tana. E poi a Roccastrada faceva freddo, c'era molto vento, spesso mi ritrovavo raffreddato e l'influenza mi perseguitava.

Registrazioni anni 60

Stando molto in casa, passavo il tempo a giocare con il registratore Geloso di mio padre e incominciai a prendere confidenza col microfono, a riascoltarmi, a parlare, a cantare, ma anche a suonare;

infatti dopo aver ricevuto in regalo giocattoli di pianoforte, di chitarra e di armonica a bocca, mi resi conto che ero in grado di ripetere qualsiasi motivo sentissi alla radio o alla televisione, gli altri mi dicevano che avevo orecchio e io insistevo, ostinatamente, nel ribadire loro che di orecchie ne avevo due, ne ero piu' che convinto!

 

Oltre alla passione per le macchine, maturata anche grazie al fatto che ero cresciuto leggendo sistematicamente "Quattroruote", stava nascendo in me il germe dell'amore verso la musica e la radio: si stava incominciando a delineare la figura professionale di Alessandro De Gerardis.

 
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LA MIA VITA

Post n°5 pubblicato il 16 Marzo 2008 da AlessandroDeGerardis
Foto di AlessandroDeGerardis

Capitolo V

Un anno avanti (il pulcino della classe)

Nel 1967 compii sei anni e nel mese di ottobre avrei dovuto iniziare la prima elementare senonche', sapendo gia' leggere e scrivere, i miei genitori decisero di anticiparmi l'istruzione e nei mesi di aprile e maggio di quell'anno mi mandarono a prendere lezioni private a casa di una maestra del paese, Maria Nencini, per poi farmi sostenere in giugno un piccolo esame di ammissione alla seconda nella scuola elementare statale di Roccastrada. Ando' tutto bene e, con un piccolo sacrificio di appena tre mesi, mi ritrovai a essere sempre un anno in vantaggio per tutta la durata degli studi fino alla maturita'.

Il primo ottobre 1967 iniziai quindi a frequentare la statale direttamente in seconda con la maestra Franca Polvani, ma duro' poco perche' il 27 novembre traslocammo di nuovo alla volta di Grosseto, complice il trasferimento degli uffici della SO.GES. a Grosseto con successivo cambio di denominazione in I.G.A.R. (Industria Gessi e Affini Roccastrada). La I.G.A.R. srl, insieme alle concorrenti Centro Meridionale Gessi spa e Lega srl, saranno poi rilevate dalla Tecnobay spa nel 1984 in seguito a una campagna acquisizioni.

Il Duomo

L'appartamento era in via Ugo Bassi 9, a poche centinaia di metri dalle mura medicee e dal Duomo, al primo piano, finalmente in pianura, con temperature piu' vivibili e aveva un terrazzo enorme, in parte anche coperto, insomma c'era da divertirsi. Ma c'era anche da studiare con la maestra Meloni, la mia nuova insegnante grossetana per la seconda e la terza elementare.

Io poi mi sentivo sempre al centro dell'attenzione, per avere un anno meno degli altri, e sembrava quasi che da me volessero sempre qualcosa di piu', forse per capire se veramente ero all'altezza degli altri. Ben presto mi feci onore, io e Fausto Rossini eravamo i primi della classe e l'anno successivo diventammo un trio con l'arrivo di Carlo Sborchia, oggi ingegnere nucleare.

L'alluvione in Piazza De Maria nel 1966

Nel 1967 Grosseto portava ancora i segni e le ferite dell'alluvione del 4 novembre dell'anno precedente, che colpi' duramente anche Firenze e ricordo ancora bene i segni sui muri lasciati dal livello dell'acqua della piena che ruppe gli argini del vicino fiume Ombrone.

L'alluvione del 1966

In breve conobbi tutta la cittadina, che in quel periodo contava circa 50mila abitanti, grazie alle lunghe passeggiate con mio nonno Antonio, padre di mio padre, anch'egli abitante in citta' con sua moglie Maria in viale della Pace 92 (ex 88).

Viale della Pace: 17 luglio 1965

Mio nonno, maresciallo dei Carabinieri in congedo, era un grande camminatore e in quel periodo totalizzai tantissimi chilometri per le vie del capoluogo maremmano.

L'Ombrone nei pressi di Grosseto

Arrivavamo talvolta all'estrema periferia sud fino all'Ombrone, dove erano appena stati ricostruiti gli argini, piu' alti e piu' robusti di quelli che avevano tragicamente ceduto poco piu' di un anno prima. Anche la mia scuola si trovava in quella zona, in via De Barberi, e spesso la maestra ci raccontava della travagliata storia della Maremma, prima alle prese con le paludi e la conseguente malaria, poi sempre a combattere con l'acqua, ma quella del fiume cattivo. E piu' di una volta mi trovai a ripetere in piedi nell'aula queste tristi storie, io che ero un anno avanti, io che ero "il pulcino della classe".

 
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LA MIA VITA

Post n°6 pubblicato il 17 Marzo 2008 da AlessandroDeGerardis
Foto di AlessandroDeGerardis

Capitolo VI

La pasticceria

La casa di via Ugo Bassi 9, oltre all'enorme terrazzo, aveva anche un cortile interno dal quale si accedeva a un laboratorio artigianale di pasticceria. Li' feci la conoscenza dei bigne', appena fatti. Divenni in breve la mascotte dei pasticceri, perche' spesso giocavo in quel cortile e molte volte venivo invitato all'interno per assaggiare qualche prelibatezza, mi affascinava quella specie di siringa con cui farcivano di crema e cioccolato le pastarelle e mi inebriava il profumo del locale.

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Ma anche al di fuori c'era qualcosa che mi attirava: la Fiat 500 D Giardiniera bianca che i pasticceri utilizzavano per andare a fare le consegne nei bar della citta'.

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Quando stazionava nel cortile spesso la requisivo e rimanevo al suo interno anche per ore, fingendo di guidarla; anch'essa profumava di crema e cioccolato e al suo interno mi sentivo un pasticcere che effettuava le consegne. Ogni tanto infatti ne uscivo e aprivo il portellone posteriore incernierato a sinistra simulando il carico e lo scarico dei dolci, parlavo anche da solo, o meglio, con gli ipotetici gestori dei bar ai quali consegnavo i miei bigne'.

Ape 50

In alternativa avevo a disposizione anche un'Ape 50, utilizzata dalla pasticceria per lo stesso scopo, e quando la giardiniera era in giro mi chiudevo nell'angusto abitacolo del motofurgone, ma non vedevo l'ora che la 500 facesse rientro, ho sempre preferito le quattro ruote alle tre e alle due.

Un'altra attrattiva del cortile era la Fiat Abarth 595 verde smeraldo metallizzata del pasticcere Agostino, sempre pulita, lucida, impeccabile, senza paraurti, con quel doppio tubo di scarico cromato e fiammante e con quei quattro cerchi a raggi col gallettone centrale, contenuti all'interno di altrettanti passaruota maggiorati, con l'assetto ribassato e con quel cofano posteriore sempre aperto, incernierato in alto anziche' in basso.

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Ma quella potevo solo guardarla, perche' il giovane Agostino ne era gelosissimo, usciva spesso dal laboratorio per controllarla e pulirla, qualora qualche uccello di passaggio avesse lasciato un ricordo sulla carrozzeria.

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Anch'io mi incantavo ad ammirarla, sbirciando dal vetro anteriore sinistro il piccolo volante sportivo a tre razze e la strumentazione maggiorata con contagiri, termometro dell'olio e tachimetro con fondo scala a 170 km/h.

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Talvolta Agostino, per appagare i miei desideri, usciva per mettermela in moto, effettuando qualche accelerata per dare vita a un concerto fantastico, il meraviglioso assolo della marmitta Abarth: che melodia, sentivo un brivido percorrermi tutto il corpo, sembrava impossibile che quella piccola bomba potesse dare tante emozioni, ma rimasero purtroppo solo sensazioni statiche, perche' non ebbi mai l'occasione di fare un giro con Agostino: mia madre non voleva, perche' lui andava forte... 

 
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LA MIA VITA

Post n°7 pubblicato il 18 Marzo 2008 da AlessandroDeGerardis

Capitolo VII

Il primo viaggio a Roma

Il 27 agosto 1968, a Roma, nacque mia moglie... ma io non ne sapevo niente, e chi la conosceva!

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Il destino volle pero' che io conobbi Roma per la prima volta proprio in quel periodo.

Il primo settembre, quando mia moglie, la piccola Paola, aveva cinque giorni, io partii dalla stazione di Grosseto con i miei genitori Vanni e Luana nel primo pomeriggio. Per evitare di lasciare la sua 850 al parcheggio antistante lo scalo ferroviario, mio padre chiese un favore a un suo amico e fummo accompagnati a prendere il treno su una favolosa e rara Fiat 1300 coupe Smart Francis Lombardi:

quanto avrei voluto viaggiarci fino alla Capitale! Ma avevamo il treno che ci attendeva ed ero emozionato ugualmente, era il mio primo viaggio sui binari.

Stazione di Grosseto

In poco piu' di due ore giungemmo alla stazione Termini dopo aver attraversato le stazioni di Ponte Galeria, Magliana, Trastevere, Ostiense e Tuscolana: Roma mi sembrava gia' infinita, quanti binari, quanti chilometri di scambi e di traversine prima di giungere a destinazione.

Hall della Stazione Termini

Arrivammo intorno alle 17 e in piazzale dei Cinquecento ci attendeva Venilia, la zia di mia madre con una rossa fiammante Fiat 850 Special ritirata da pochi giorni che ancora profumava di nuovo. Venilia acquistava sempre automobili rosse, perche' poi, una volta usate, le passava alla societa' di attrezzature antincendio in cui lavorava, la A.A.M. (Attrezzature Antincendio Molajoni) con sede in via Collatina, e aveva infatti ceduto la sua ex Fiat 600 D rossa alla societa' al momento dell'acquisto della 850.

Fiat 850 special

Appena a bordo notai subito le migliorie rispetto a quella posseduta da mio padre: la plancia completamente imbottita, il contachilometri nero anziche' grigio e con fondoscala portato a 160 km/h, il volante dotato di corona in legno e razze traforate.

Il cruscotto della Fiat 850 special

Con la Special attraversammo la parte sud-est della Capitale fino alla zona di Tor Marancia dove si trovava l'appartamento di via Favretto che ci avrebbe ospitato per una settimana.

Furono giorni intensi per me, rimasi affascinato e folgorato dalla dimensione della metropoli e proprio in quei giorni capii che Roma sarebbe diventata la mia destinazione finale. Visitai le Catacombe, il Colosseo, il giardino zoologico, il Vaticano e tutte le piu' importanti chiese della Capitale; vidi per la prima volta da vicino gli aerei all'aeroporto Leonardo Da Vinci di Fiumicino.

Oltre alla zia Venilia ci fece da guida anche una sua nipote, Giuliana, che ci scarrozzo' per vie e strade con la sua Autobianchi Bianchina quattro posti color celeste chiaro.

Bianchina 4 posti

Ricordo che mi sembrava una macchina molto buffa, da fumetto, con quel lunotto verticale per cui fu soprannominata "televisore", e non mi meravigliai sei anni dopo quando l'attore Paolo Villaggio la utilizzo' come auto personale del ragionier Ugo Fantozzi.

In quei giorni conobbi anche Ostia e ci accompagno' un'altro cugino di mia madre, Arrigo, con la sua Alfa Romeo Giulia 1300 TI verde, della quale mi affascinava il cambio, quasi una sorta di simulacro che troneggiava sul tunnel centrale, con quel cuffione di gomma che lo avvolgeva alla base, ma anche il rombo inconfondibile del motore, con quella sonorita' inconfondibile dello scarico, tipica della Alfa di una volta.

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Appena arrivati a Ostia, subito dopo essere scesi dalla Giulia, sentii due colpi di clacson e una frenata, mi voltai e assistetti a un incidente stradale, non mi era mai capitato, si tamponarono due Fiat 1300 nere che finirono addosso a due Fiat 850, una bianca e l'altra celeste,  parcheggiate in una via del lido romano e non dimentichero' mai il pianto e le grida di paura di un bambino in carrozzina che si trovava all'interno di una delle quattro autovetture coinvolte nell'incidente. Fortunatamente le conseguenze furono solamente per le autovetture, che rimasero danneggiate abbastanza seriamente, ma non per gli occupanti. Questo incidente mi scosse tantissimo e per molto tempo lo simulai con i miei modellini di automobili, una volta tornato a Grosseto.

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E il tempo di ritornare a casa arrivo' veloce, la settimana volo', furono sette giorni intensi che mi lasciarono tanta voglia di ritornare nella Capitale. Giunto a casa, mi procurai una serie di mappe di Roma e incominciai a studiarmele: in breve la conoscevo come se ci fossi sempre stato e questo mi servi' non poco negli anni successivi, ma ne riparleremo in seguito. (continua)

 
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LA MIA VITA

Post n°8 pubblicato il 21 Marzo 2008 da AlessandroDeGerardis
Foto di AlessandroDeGerardis

Capitolo VIII

Lezioni di musica

Il 1969 me lo ricordero' sempre per tre fatti storici: del primo ve ne ho gia' parlato a proposito di quando ho iniziato a guidare la macchina (9 marzo).

Il secondo risale alla notte tra il 20 e il 21 luglio, quando Neil Armstrong, astronauta americano della missione Apollo 11 insieme ai colleghi Michael Collins e Edwin Aldrin, per primo mise piede sulla Luna con l'indimenticabile telecronaca di Tito Stagno che seguii attentamente:

"Ha toccato, ha toccato!..." a cui segui' la storica frase di Armostrong "Un piccolo passo per un uomo, ma grande per l'umanita'!..."

A distanza di due mesi avvenne il terzo evento, il piu' importante per la mia vita. Erano quattro anni ormai che mi prudevano le mani, vogliose di suonare, di fare musica. Giovedi 18 settembre 1969 detti una svolta al mio futuro: la prima lezione di musica. Alle 17, a casa del maestro Giovanni Monari, riuscii a dare gia' qualche spiegazione a certi dubbi che avevo sin dall'eta' di quattro anni. Fu una lezione molto teorica, a base di pentagrammi, note, chiavi, valori, pause, solfeggio e diteggiatura. Abituato soltanto alla pratica mi sembravano quasi argomenti astratti e per un attimo arrivai a pensare persino di lasciar perdere, ma poi non e' stato cosi'... ed e' stato meglio!

In breve mi appassionai a questo nuovo modo di vedere la musica e nel giro di pochi giorni, dentro la mia cameretta trovo' spazio un nuovo mobile, anzi vecchio, era di fine ottocento ed era appartenuto ai reali d'Olanda: un monumentale pianoforte nero verticale che divento' subito un mio compagno inseparabile per ore e ore.

 

Nel giro di qualche mese, fondendo le conoscenze acquisite con le lezioni insieme all'orecchio musicale di cui gia' ero dotato, mi trovai a saper suonare qualsiasi motivo sentissi dai dischi o dalla radio, senza bisogno di spartito e incominciai ad affinare anche il canto, accompagnandomi al piano da solo: si stava delineando un embrionale "onemanshow".

 

Iniziarono gli anni 70 e incominciarono anche le prime esibizioni in pubblico, la prima ufficiale fu alla fine dell'anno scolastico 1970/71 presso l'aula magna della scuola media di Piazza De Maria. Si trattava di un saggio organizzato dall'A.GI.MUS., l'Associazione Giovanile Musicale di Grosseto che mi vide per la prima volta sul palcoscenico con una sonatina di Muzio Clementi, l'opera 36 numero 2 in sol maggiore.

Per l'occasione mi fecero indossare il vestito della prima Comunione, utilizzato l'anno prima per ricevere il Sacramento: giacca blu con pantaloncini beige a righe incrociate scure con camicia bianca e cravatta scura: un figurino!

Cosi' ruppi il ghiaccio, non senza un pizzico di emozione che svani' comunque nel corso dell'esecuzione. Ormai era fatta.

Mi riaccompagno' a casa il mio maestro, felice, con la sua Fiat 1500 nera targata GR 39071. 

 
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LA MIA VITA

Post n°9 pubblicato il 23 Marzo 2008 da AlessandroDeGerardis
Foto di AlessandroDeGerardis

Capitolo IX

La fine delle elementari

Nel 1971 terminai le scuole elementari, gli ultimi due anni delle quali li frequentai sotto l'insegnamento del maestro Eugenio Bartoli, una persona che ricordero' sempre per la notevole professionalita', il suo metodo molto pratico che ti faceva capire le cose attraverso esempi apparentemente banali, ma molto efficaci. Era amante della musica, sua figlia era cantante, e ci faceva ascoltare molti classici.

Un pomeriggio lo trascorremmo ad ascoltare "La Moldava" di Bedrich Smetana, un'opera di musica descrittiva che racconta il corso del fiume boemo fino alla confluenza con l'Elba, che riproduce con i suoni orchestrali i rumori dell'acqua dallo stillicidio della sorgente alle cascate, dall'attraversamento delle campagne animate dalle danze dei contadini al maestoso attraversamento di Praga fino all'incontro con il piu' grande fiume Elba dentro le cui acque calme si dissolve lentamente.

 

Il maestro ci descrisse tutti questi passaggi mentre scorrevano le note sul vecchio giradischi della scuola. Tutto questo successe tra le 2 e le 5 del pomeriggio, in quel periodo infatti alternavamo un mese al mattino e uno con turno pomeridiano; io preferivo di gran lunga il primo, sebbene fosse di quattro ore anziche' di tre, perche' non gradivo fare i compiti prima di mezzogiorno col pensiero di dover entrare a scuola subito dopo.

Nel mese di giugno sostenni gli esami di licenza elementare e ne uscii promosso a pieni voti. Ricordo che mi sentii leggerissimo, sgravato di un peso notevole, ansioso di affrontare le scuole medie. Nella settimana successiva agli esami i miei genitori mi spedirono a Ribolla dai miei nonni materni, ma non era solo un premio, la vera motivazione stava nel fatto che nel frattempo loro effettuarono, in mia assenza, il trasloco da via Ugo Bassi 9 al nuovo appartamento di via Podgora 38, nell'allora nuovissima zona nord-est di Grosseto.

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I sette giorni a Ribolla li vissi intensamente, sempre all'aperto in bicicletta, in mezzo al bosco e alla campagna, riassaporando il gusto della liberta' che avevo provato nei primissimi anni della mia infanzia, in piu' con la maggiore autonomia dei miei dieci anni, che mi permetteva di sconfinare dai limiti in cui ero relegato da bambino.

Via Montemassi a Ribolla: agosto 1968

La bicicletta era quella di mio nonno, la mia infatti incominciava a starmi stretta, e in breve la personalizzai, ne smontai i parafanghi per alleggerirla e per renderla sportiva, la dotai di un finto motore, che consisteva nella classica carta da gioco fissata a una molletta per stendere i panni, messa a contatto con i raggi delle ruote per produrre un rumore degno di un 50 cc senza marmitta. Eh no... mio nonno ormai non poteva piu' riprendersela in quelle condizioni e da quel momento decise rassegnato di andare a piedi per sempre: la sua bicicletta era diventata la mia.

Via Podgora 36/38

Alla fine della movimentata settimana i miei genitori mi riportarono a Grosseto ed ebbi la bella sorpresa della casa nuova, gia' tutta arredata, al quarto piano, con un ampio giardino condominiale, sebbene impraticabile per la presenza del cantiere ancora attivo. Incominciai a farmi nuovi amici, per la prima volta al di fuori della cerchia scolastica. Inizio' una nuova era della mia vita, il bambino stava lasciando posto al ragazzino.

 
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LA MIA VITA

Post n°10 pubblicato il 26 Marzo 2008 da AlessandroDeGerardis

Capitolo X

Le Pignacce

L’estate del 1971 me la ricordero’ sempre, oltre che per essere stata la prima trascorsa in via Podgora, anche per l’abbandono definitivo della spiaggia di Follonica, che mi aveva visto crescere. Ormai da quando abitavamo in citta’ era piu’ facilmente raggiungibile il litorale tra Marina di Grosseto e Principina a Mare. A Follonica andavamo solo nella settimana d’agosto in cui stavamo a casa dei miei nonni materni Guido e Ariella a Ribolla, ma l’usanza stava andando via via a sfumare a causa della salute sempre piu’ precaria di mia nonna, sofferente al cuore. Gia’ dai primi anni 70 infatti la madre di mia madre incomincio’ a fare la spola tra Ribolla e l’Ospedale della Misericordia di Grosseto, situato ancora nella storica sede accanto alla chiesa di San Francesco in centro;

Veduta laterale di San Francesco

poi quando usciva dall’ospedale trascorreva sempre qualche giorno da noi  per riprendersi un po’ prima di ritornare a casa sua. Ma l’abitazione di Ribolla rimaneva sempre piu’ vuota, poiche’ lei aveva frequenti ricadute e spesso tornava di nuovo in ospedale senza passare da Ribolla. Furono anni difficili per lei e pian piano si rese conto che da sola non ce l’avrebbe piu’ potuta fare.

Noi intanto eleggemmo la spiaggia de Le Pignacce come sostituta di quella di Follonica.

Le Pignacce

Si trovava esattamente a meta’ strada tra Marina e Principina ed era raggiungibile tramite una strada sterrata in mezzo alla fitta pineta; arrivati a un certo punto, la macchina andava parcheggiata tra i pini, perche’ la strada si restringeva in un viottolo e gli ultimi 400 metri si percorrevano a piedi portando l’ombrellone, le sdraio e gli asciugamani.  Il posto non offriva altro che natura pura, non c’erano infatti bar, stabilimenti o servizi, eventuali generi alimentari e bevande andavano portati da casa. In compenso nel 1971 c’era pochissima gente, la spiaggia era immensa e l’acqua pulita. La grande differenza rispetto al mare di Follonica era nell’acqua, qui subito alta e mediamente piu’ mossa, ma ormai ero grande, sapevo nuotare e andava bene cosi’.

Spesso effettuavo lunghe passeggiate raggiungendo Marina verso nord o Principina in direzione opposta, poi un bel bagno e di nuovo a casa. Di solito non ci trattenevamo nel pomeriggio, perche’ il mare si agitava troppo e facilmente volava la sabbia, meglio evitare.

Halina super 8

Quell’anno mio padre acquisto’ una cinepresa super 8 Halina, muta,  a fuoco fisso e senza zoom, molto semplice, aveva solo la possibilita’ di inserire o disinserire un filtro ambra interno per la luce diurna, e imparai a usarla subito, mi attirava piu’ della macchina fotografica.

Halina super 8 (spaccato)

Le prime riprese le facemmo proprio al mare, palcoscenico naturale di sicuro effetto e tra i primi cortometraggi ce ne fu uno girato anche nel vicino Monte Argentario a Porto Ercole, con il mare sempre protagonista. Che emozione attendere lo sviluppo della pellicola e poi assistere alla prima facendo frullare il proiettore, rigorosamente senza sonoro, che non riuscivo mai a far girare alla giusta velocita’. Ma il rito era entusiasmante, inimmaginabile per chi e’ nato vent’anni dopo di me! In quegli anni si stava delineando un’altra mia passione, quella delle riprese filmate appunto, che mi porto dietro tuttora, naturalmente con mezzi piu’ evoluti, ma che non darano mai le stesse emozioni… un po’ come le automobili di oggi.

 
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LA MIA VITA

Post n°11 pubblicato il 27 Marzo 2008 da AlessandroDeGerardis
Foto di AlessandroDeGerardis

Capitolo XI

In prima media

L’estate ’71 stava per finire, era meta’ settembre, nella mitica Hit-Parade condotta alla radio da Lelio Luttazzi imperversavano varie canzoni firmate da Mogol e Battisti:

Amor mio, Amore caro amore bello, Eppur mi son scordato di te, Pensieri e parole, Vendo casa. Ma forse la canzone che si ricorda di piu’, tra quelle presenti in classifica, e’ Tanta voglia di lei dei Pooh. Con queste note in sottofondo inizio’ il mio pellegrinaggio presso la libreria Chelli in viale Emilia per prenotare i libri della prima media: quanti testi! Man mano che li portavo a casa mi incuriosivano e li scorrevo, ma la cosa mi inquietava un po’, erano difficili, un po’ ermetici, non erano colorati come quelli delle elementari, qui si faceva sul serio!

Il primo ottobre arrivo’ presto e quella mattina, emozionantissimo, alle 8 ero davanti alla scuola di via Garigliano, nella zona est di Grosseto, non lontano dal cimitero comunale di Sterpeto. Il primo impatto fu di sole tre ore e alle 11 eravamo gia’ fuori. Mi ritrovai al primo banco, proprio di fronte alla cattedra,  con Emanuela Ringressi, una simpaticissima tutto-pepe dalla chiacchiera facile, anche se in quella pole-position era pressoche’ impossibile distrarsi. Per il primo giorno conoscemmo la professoressa di matematica e il professore di italiano, un personaggio felliniano che amava molto le sue materie, soprattutto la geografia, ma amava anche il vino che gelosamente custodiva dentro un armadietto nell’aula… e ogni mezz’ora faceva il pieno. In sua presenza la stanza olezzava di cantina, eravamo degli alcolisti passivi.

[Untitled]

Gli etilometri non esistevano ancora, fortuna che non veniva a scuola in macchina, perche’ abitava vicinissimo, in una curiosa casetta di via Umberto Giordano, a forma di cubo, colorata di rosa: singolare in tutto il professor Galardi, in citta’ lo conoscevano in molti.

Ma io aspettavo impaziente l’ora di inglese e arrivo’ il giorno dopo, quando facemmo la conoscenza del professor Ginanneschi, che nel giro di pochi giorni ribattezzai professor Giradischi, visto che ci faceva sempre ascoltare canzoncine inglesi la prima delle quali, mi ricordero’ sempre, iniziava con “Bobby is a boy, Bobby is not a girl,  Mary is a girl, Mary is not a boy…”.

In breve mi adattai alla nuova realta’ scolastica, al cambio dell’ora, al volume di lavoro aumentato rispetto alle elementari, all’elastico per portare i libri al posto della vecchia cartella, al fatto di vestire in borghese (da quell’anno, oltre al grembiule, riposi definitivamente anche i calzoncini corti). Arrivata la meritata promozione, mio nonno Guido mi regalo’ un orologio da polso con datario e il primo numero che vidi fu 11, era infatti il giorno 11 giugno 1972. Nel frattempo i miei genitori mi avevano gia’ regalato una bici-cross, di gran moda in quel periodo, arancione con sella biposto nera a strisce rosse, cambio a tre marce e doppia forcella con ammortizzatori… quasi una moto! Incominciai a usarla all’interno del cortile condominiale, poi nel corridoio dei garage sotterranei e finalmente nel marciapiede intorno al palazzo, marciapiede che qualche mese prima avevo asfaltato io, si’ proprio io, divertendomi come un pazzo su un mini compressore che gli addetti ai lavori mi avevano affidato sotto stretto controllo.

Compressore

Inizio’ l’estate 1972… ma questo e’ un altro capitolo!

 
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