ASCOLTA TUA MADRE

LE LACRIME DI UNA MADRE NON ASCOLTATA

 

FERMIAMO LA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA

 

TELEFONO VERDE "SOS VITA" 800813000

CHE COSA E' IL TELEFONO "SOS VITA"?
 
È un telefono “salva-vite”, che aspetta soltanto la tua chiamata. E' un telefono verde, come la speranza la telefonata non ti costa nulla,
Vuole salvare le mamme in difficoltà e, con loro, salvare la vita dei figli che ancora esse portano in grembo.
E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
 
Il Movimento per la vita lo ha pensato per te
 
Puoi parlare con questo telefono da qualsiasi luogo d’Italia: componi sempre lo stesso numero: 800813000.
 
Risponde un piccolo gruppo di persone di provata maturità e capacità, fortemente motivate e dotate di una consolidata esperienza di lavoro nei Centri di aiuto alla vita (Cav) e di una approfondita conoscenza delle strutture di sostegno a livello nazionale. La risposta, infatti, non è soltanto telefonica.
 
Questo telefono non ti dà soltanto ascolto, incoraggiamento, amicizia, ma attiva immediatamente un concreto sostegno di pronto intervento attraverso una rete di 250 Centri di aiuto alla vita e di oltre 260 Movimenti per la vita sparsi in tutta Italia.

 
DUE MINUTI PER LA VITA

Due minuti al giorno è il tempo che invitiamo ad offrire per aderire alla grande iniziativa di
preghiera per la vita nascente che si sta diffondendo in Italia dal 7 ottobre 2005 in
occasione della festa e sotto la protezione della Beata Vergine Maria, Regina del Santo Rosario.
Nella preghiera vengono ricordati ed affidati a Dio:
 i milioni di bambini uccisi nel mondo con l’aborto,
 le donne che hanno abortito e quelle che sono ancora in tempo per cambiare idea,
 i padri che hanno favorito o subito un aborto volontario o che attualmente si trovano accanto ad
una donna che sta pensando di abortire,
 i medici che praticano aborti ed il personale sanitario coinvolto, i farmacisti che vendono i
prodotti abortivi e tutti coloro che provocano la diffusione nella società della mentalità abortista,
 tutte le persone che, a qualsiasi livello, si spendono per la difesa della vita fin dal concepimento.
Le preghiere da recitarsi, secondo queste intenzioni, sono:
 Salve Regina,
 Preghiera finale della Lettera Enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II
 Angelo di Dio,
 Eterno riposo.
Il progetto è quello di trovare 150.000 persone, che ogni giorno recitino le preghiere. Il numero corrisponde a quello - leggermente approssimato per eccesso – degli aborti accertati che vengono compiuti ogni giorno nel mondo, senza poter conteggiare quelli clandestini e quelli avvenuti tramite pillola del giorno dopo. Per raggiungere tale obiettivo occorre l’aiuto generoso di tutti coloro che hanno a cuore la difesa della vita.

“Con iniziative straordinarie e nella preghiera abituale,
da ogni comunità cristiana, da ogni gruppo o associazione,
da ogni famiglia e dal cuore di ogni credente,
si elevi una supplica appassionata a Dio,
Creatore e amante della vita.”
(Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, n. 100)

Ulteriori informazioni su: www.dueminutiperlavita.info
 

PREGHIERA A MARIA PER LA VITA GIOVANNI PAOLO II

O Maria, aurora del mondo nuovo, Madre dei viventi,
affidiamo a Te la causa della vita:
guarda, o Madre, al numero sconfinato di bimbi cui viene impedito di nascere,
di poveri cui è reso difficile vivere, di uomini e donne vittime di disumana violenza, di anziani e malati uccisi dall'indifferenza o da una presunta pietà.
Fà che quanti credono nel tuo Figlio sappiano annunciare con franchezza e amore agli uomini del nostro tempo il Vangelo della vita.
Ottieni loro la grazia di accoglierlo come dono sempre nuovo,
la gioia di celebrarlo con gratitudine in tutta la loro esistenza
e il coraggio di testimoniarlo con tenacia operosa, per costruire,
insieme con tutti gli uomini di buona volontà, la civiltà della verità e dell'amore
a lode e gloria di Dio creatore e amante della vita.
Giovanni Paolo II


 

AREA PERSONALE

 

Messaggi del 16/01/2010

ANTONIO SOCCI: L'INFERNO DI HAITI E IL PARADISO

Post n°2942 pubblicato il 16 Gennaio 2010 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Basta un piccolo starnuto del pianeta, in un minuscolo francobollo di terra come Haiti, e sono spazzati via migliaia di esseri umani. Anche un microscopico virus è in grado di uccidere milioni di persone. Sono tutte manifestazioni di una stessa fragilità, di uno stesso destino. Tutti documenti della nostra misera condizione mortale. C’è una sola “malattia”, trasmessa per via sessuale, che porta inevitabilmente alla morte l’umanità intera e non ha cure possibili. Non è l’Aids. Ne siamo affetti tutti, ad Haiti come qui. Si chiama: vita.
E’ una “malattia” anche stupenda (per questo la scrivo fra virgolette), è una “malattia” che amiamo, a cui stiamo attaccati con le unghie e con i denti. Ma solitamente non riflettiamo sulla sua natura effimera e quindi l’amiamo in modo sbagliato, dimenticando che dobbiamo scendere alla stazione e siamo destinati a un’altra dimora. Quando arrivano grandi tragedie, personali o collettive, apriamo gli occhi sull’estrema fragilità della nostra esistenza e – svegliandoci – ci sentiamo quasi ingannati. Come se non sapessimo che siamo di passaggio. Sì, siamo tutti malati terminali. Ma noi dimentichiamo di essere sulla soglia della morte dal primo istante di vita. Lo rimuoviamo. Anzi, quasi tutto quello che facciamo ogni giorno ha questa segreta ragione: farci dimenticare il nostro destino, esorcizzare la morte, preannunciata dalla decadenza fisica, dalle malattie, dalla sofferenza, dal dolore altrui. Distrarci, come diceva Pascal: il “divertissement”. Ormai la nostra mente è organizzata come un vero e proprio palinsesto televisivo: c’è la mezz’ora dedicata alla tragedia di Haiti dove magari si chiama a parlarne non i missionari, non organizzazioni come l’Avsi che da anni lavorano in quelle povere terre, ma Alba Parietti e Cristiano Malgioglio. Poi, subito dopo, il telecomando passa ai quiz, alle ballerine sgallettanti, alle chiacchiere (politica o sport) eccetera. Tutti modi – si dice – “per ingannare il tempo”. In realtà per ingannare noi stessi, per dimenticare il destino . Perché il nostro insopprimibile desiderio è di vivere sempre, è di essere felici, e ci è insopportabile l’idea della morte e dell’infelicità. Così, anche quando parliamo seriamente di tragedie come quelle di Haiti, con la faccia compunta, tocchiamo tutti i tasti fuorché quello. Parliamo dell’emergenza (e va bene), degli aiuti da mandare (e va benissimo), della miseria di quei luoghi (verissima), poi varie storie e considerazioni, finché uno guarda l’orologio perché deve andare al tennis, un altro sbircia il telefonino e un altro ancora sussurra al vicino “ma quand’è che se magna?”. Ricomincia il tran tran. E gli affanni. E l’ebbrezza di essere padroni della nostra vita. E le illusioni. Eppure il più grande “filosofo” di tutti i tempi chiamò “stolto” colui che riempiva il suo granaio illudendosi di poterne godere all’infinito: “stanotte stessa ti sarà chiesta la tua anima…”. Perché un giorno tutti dovremo rispondere dei nostri atti e di come abbiamo speso il nostro tempo. In quanto la vita è un compito. Anche se ormai gli stessi preti parlano raramente dell’Inferno e del Paradiso a cui siamo destinati. Pensiamo che inferno e paradiso siano da fuggire o cercare qui sulla terra. “Haiti, migliaia in fuga dall’inferno”, titolava ieri la prima pagina della “Stampa”. Altri giornali raccontavano i “paradisi tropicali” dei turisti a pochi passi dall’orrore haitiano. Solo la Chiesa ci dice che c’è un Inferno ben peggiore di Haiti (ed eterno) da cui fuggire. E un Paradiso da raggiungere, di inimmaginabile bellezza e gioia, in cui tutte le lacrime saranno asciugate. Il solo conforto oggi di fronte all’enormità del dolore di tutta quella povera gente e di fronte a tanti morti, è proprio questo: sperarli (e pregare per questo) fra le braccia del Padre, finalmente nella felicità certa, per sempre. Ma noi, davanti alla nostra stessa morte (che è certa, inevitabile), che speranza abbiamo? Proviamo a rifletterci. Per me la sola speranza autentica è in Colui che ha avuto pietà della sorte umana, Colui che ha il potere vero e che ripagherà ogni sofferenza con un felicità senza fine e senza limiti. Per questo la Chiesa c’è sempre, dentro ogni prova dell’umanità, dentro ogni “inferno” terreno com’è Haiti (provate a leggere le testimonianze accorate da là dei missionari). C’è per portare agli uomini la compassione di Dio, la sua carezza, il suo aiuto e soprattutto per aprire le porte del suo Regno. “Ti sei chinato sulle nostre ferite e ci hai guarito” dice un prefazio della liturgia ambrosiana “donandoci una medicina più forte delle nostre piaghe, una misericordia più grande della nostra colpa. Così anche il peccato, in virtù del Tuo invincibile amore, è servito a elevarci alla vita divina”. E la cosa grande che ci porta Gesù, il Salvatore degli uomini, non è solo questa, ma la resurrezione, la vittoria sulla morte, cosicché nulla di ciò che abbiamo amato andrà perduto. Diceva don Giussani: “Cristo risorto è la vittoria di Dio sul mondo. La sua risurrezione dalla morte è il grido che Egli vuole far risentire nell’animo di ognuno di noi: la positività dell’essere delle cose, quella ragionevolezza ultima per cui ciò che nasce non nasce per essere distrutto. ‘Tutto questo è assicurato, te lo assicuro, Io sono risorto per renderti sicuro che tutto quello che è in te, e con te è nato, non perirà’ ”. Come si fa allora a non gioire, anche nelle lacrime? Come si fa a non affidarsi – anche nella tragedia – all’unico che salva?
Voglio dirlo con le parole di san Gregorio Nazianzeno: “Se non fossi tuo, mio Cristo, mi sentirei una creatura finita. Sono nato e mi sento dissolvere. Mangio, dormo, riposo e cammino, mi ammalo e guarisco, mi assalgono senza numero brame e tormenti, godo del sole e di quanto la terra fruttifica. Poi io muoio e la carne diventa polvere come quella degli animali che non hanno peccati. Ma io cosa ho più di loro? Nulla, se non Dio. Se non fossi tuo, Cristo mio, mi sentirei creatura finita”. - Antonio Socci - Libero -

 
 
 

ALI AGCA LIBERO: UNA STAR TELEVISIVA E UNA VERGOGNA PER LA TURCHIA

Post n°2941 pubblicato il 16 Gennaio 2010 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

L’attentatore di Giovanni Paolo II sarà in libertà il 18 gennaio. Promette rivelazioni, film, interviste esclusive, memorie. Ha scritto anche a Benedetto XVI e si spaccia come nuovo messia. Ma per il popolo turco egli è una vergogna, simbolo di un periodo oscuro della nazione.

Il nome di Mehmet Ali Agca rimbalza da giorni su tutti i mass media del mondo: lunedì prossimo 18 gennaio, il 52enne turco, ex Lupo grigio, l’uomo che il 13 maggio 1981 ha sparato a Giovanni Paolo II, sarà di nuovo libero. Per i media e l’opinione pubblica internazionale il nome di Agca è associato all’attentato al Papa; per i turchi Agca rappresenta uno dei simboli del periodo più drammatico della recente storia del paese. In Turchia Mehmet Ali è noto come "la più grande vergogna della nazione", in quanto co-autore nel 1979 di uno dei delitti politici - quello del direttore del quotidiano Milliyet, Abdi Ipekci - che hanno insanguinato la vita politica del paese e creato le premesse per il colpo di Stato del 1980. Nella storia criminale di Agca si incontrano una serie di nomi che hanno rappresentato i punti di contatto tra ambienti dell’estrema destra, gruppi mafiosi, apparati dello Stato, tra i protagonisti delle vicende più oscure dell’epoca. Fra questi, vi è Abdullah Catli, dirigente dei Lupi Grigi ad Ankara, accusato nel 1978 di essere fra i responsabili del delitto del prof. Bedrettin Comert, un eccellente professore di filosofia. Lo stesso anno Catli è stato accusato di essere mandante ed organizzatore anche della morte di sette giovani militanti del TIP (Partito Turco dei Lavoratori), strangolati in una casa ad Ankara. In questi giorni anche Catli è in auge sui quotidiani turchi: suo fratello Zeki rivela che fu Abdullah a procurare a Mehmet Ali il passaporto falso che gli consentì, una volta evaso dal carcere turco di massima sicurezza, il 25 novembre nel 1979, di penetrare in Italia. Enigmatico militante nell’organizzazione terroristica di estrema destra, in realtà Agca non ha ancora spiegato le ragioni dell’attentato al papa limitandosi ancor oggi a stupire con le sue “uscite” di tipo sensazionalistico. Negli anni Ottanta Ali Agca partorì la cosiddetta pista bulgara per spiegare l’attentato al pontefice; mentre durante deliri visionari dichiarava di essere la reincarnazione di Gesù. Ora benché affermi di aver messo la testa a posto e di essere “sano e forte sia dal punto di vista fisico che psicologico”, è di nuovo pronto a proclamare grandi rivelazioni nel “Vero Vangelo” che scriverà e in cui dichiarerà la Perfetta Cristianità, che il Vaticano non ha mai compreso. Nei suoi tanti deliri mistici ha detto di volersi far battezzare, di voler sposare una cristiana italiana, di voler abitare a Roma, di voler andare a baciare la tomba del papa che lo perdonò. In una conferenza stampa, i suoi avvocati hanno mostrato una lettera da lui scritta a papa Ratzinger in cui dichiara di volerlo incontrare e in cui ci sarebbero scottanti rivelazioni anche sulla scomparsa dal Vaticano della quindicenne Emanuela Orlandi avvenuta nel 1983.
E promette l’uscita del suo prossimo libro-confessione, “emozionante resoconto della sua vita” uscito dalla penna del giornalista Saygi Ozturk in cui racconta tutti i segreti ancora non svelati del suo passato: come ha fatto ad evadere dal carcere nel lontano 1979; come è giunto in Italia; chi gli ha commissionato l’omicidio del direttore del quotidiano Milliyet e l’attentato al pontefice. Ma già il titolo è emblematico: “Taseron Mesih (Subappaltatore di Cristo)”. Mentre Agca vuole fare la star incantando con i suoi improbabili segreti, nei canali televisivi turchi si susseguono commenti indignati di giornalisti, politici e giuristi. La popolazione stessa si chiede come può avvenire che l’assassino del giornalista Abdi Ipekci possa uscire tranquillamente come un mistico eroe dopo meno di 30 di carcere. In realtà, nel 1982, il Consiglio nazionale di sicurezza turco ha riconosciuto la sua responsabilità nell'assassinio del giornalista e lo ha condannato alla pena di morte. Ma nel 2002 la pena capitale in Turchia è stata abolita e la sua condanna a morte commutata in reclusione. Una successiva amnistia, frutto dei misteriosi meccanismi giudiziari turchi, gli ha ridotto la pena a soli dieci anni di detenzione. Nel gennaio del 2006 Agca è stato scarcerato per buona condotta. Poco dopo, su appello del ministro della Giustizia e in conseguenza alle reazioni sdegnate della popolazione, la Corte di cassazione, ha deciso per il suo ritorno in carcere. Ancora oggi la reazione stizzita dell’opinione pubblica alla liberazione dell’omicida è un sintomo che il personaggio Agca pur destando curiosità, non provoca simpatia e ha pochi amici in patria. Con ironia, su Star television, il giornalista Nevin Bilgin ha ricordato che Agca pare stia cercando una nazione dove rifugiarsi e di avere fatto richiesta di cittadinanza a ben 20 Stati, ma tutti gliel’hanno negata. “Potrei andare ad abitare anche in estremo oriente, in America e persino in Africa” ha fatto sapere Ali Agca. Sta di fatto che il fratello Adnan, l’unico della famiglia che in tutti questi anni è andato a trovarlo in carcere, preferisce non dire nulla sul futuro di Ali: “Dove andrà e cosa farà lo deciderà lui e noi accetteremo senza discutere”. I suoi due avvocati Ozhan e Abosoglu a precisare che dopo la scarcerazione si fermerà qualche giorno ad Ankara e poi deciderà il da farsi. In realtà Agca dovrebbe ancora svolgere il servizio militare, ma sono in molti a pensare che la Turchia sarà ben lieta di esonerarlo dalla leva, per motivi di sicurezza e per lo scompiglio che creerebbe l'avere uno dei terroristi più pericolosi in una caserma dello Stato. I suoi avvocati garantiscono che non è più un tipo pericoloso. Ma sono molti a pensare che giustizia non è stata fatta, nè chiarezza su un passato oscuro della nazione turca. Mehmet Ali Agca libero continuerà ad essere una mina vagante, dalle uscite imprevedibili, un omicida, ingombrante fallito attentatore, e personaggio da spettacolo. Questo lo sa bene anche lui e ne approfitta per film ed interviste esclusive con contratti miliardari. Sempre che dica il vero. - Geries Othman - asianews -

 
 
 

NATUZZA EVOLO: UNA VITA PER IL SIGNORE

Post n°2940 pubblicato il 16 Gennaio 2010 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Monsignor Domenico Tarcisio Cortese, attualmente vescovo in pensione, fu per molti anni il presule di Mileto-Nicotera-Tropea e seguì molto da vicino la vicenda di Natuzza Evolo avendo sempre nei riguardi dell’umile donna grande rispetto ed ammirazione. Egli sulla rivista Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle anime ebbe a scrivere riguardo alla dimensione contemplativa in Calabria: “La nostra terra, complessa, impervia, piena di fascino, carica di profonde contraddizioni, ha nella dimensione contemplativa una costante sorprendente della sua storia più vera e della sua gente più autentica”. Con queste monsignor Cortese ci immette nel fascino della natura incontaminata della Calabria con i suoi monti, che vanno dall’Aspromonte alle Serre, dalla Sila al Pollino. Qui sembra quasi che il tempo si sia fermato a testimoniare il passaggio di santi ed eremiti del calibro di San Nilo di Rossano, San Brunone di Colonia, Gioacchino da Fiore, San Francesco da Paola, tutti dediti ad una vita di preghiera e di mortificazione dove il lavoro era finalizzato ad un benessere collettivo. I grandi contemplativi, espressione più genuina del popolo calabrese, hanno caratterizzato non solo la storia di questo paese, ma la vita di quanti grazie ad essi sono venuti alla fede. I contemplativi traggono la forza per trasformare la loro esistenza dall’amore di Dio e diventano testimoni della sua carità con un occhio particolare ai bisogni dei più deboli e degli emarginati. Così è sorto a san Giovanni Rotondo nelle Puglie la Casa Sollievo della Sofferenza, voluta da San Pio da Pietrelcina e a Pompei in provincia di Napoli numerosi istituti per gli orfani e i figli dei carcerati, tutti nati dall’amore del Beato Bartolo Longo per la Madonna di Pompei. A Paravati similmente è stato inaugurato il 23 maggio 1992 il “Centro anziani Monsignor Pasquale Colloca”, dove ha tracorso gli ultimi anni della sua vita la mistica Natuzza Evolo insieme al marito, varie persone bisognose, il parroco e alcuni sacerdoti. Nella vallata sottostante è ormai in via di completamento un centro di accoglienza più grande e un santuario che si chiamerà “Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle anime”. In occasione dell’inaugurazione del “Centro Anziani” il vescovo di allora, monsignor Domenico Cortese ebbe a dire: “Natuzza è una parola di Dio, come lo sono io e come lo siete voi. Però la parola di Dio deve esser saputa leggere; il guaio è che Natuzza spesso non è saputa leggere!... Natuzza è una donna di fede, è una donna di speranza, è una donna di carità. Il vescovo vi può dire che è una donna intanto molto umile. È uno degli elementi positivi e questo lo devo dire come vescovo e come uomo, e la sua povertà. Questa donna è umile e soprattutto ubbidiente al vescovo”.

MA CHI E' NATUZZA EVOLO?

Fortunata Evolo, nasce a Paravati, una frazione di Mileto, in provincia di Vibo Valentia, il 23 agosto 1924 da Fortunato Evolo e Maria Angela Valente. La sua infanzia non è particolarmente serena sia per le condizioni di estrema povertà economica sia per l’assenza del padre emigrato in Argentina nella speranza di un miglioramento di vita e là rimasto, formandosi una nuova famiglia. La bambina non riceve una particolare formazione religiosa anche perché la condotta di sua mamma è particolarmente chiacchierata in paese… La bambina chiamata con il soprannome di Natuzza si distingue tuttavia dalle sue coetanee per il suo carattere dolce e paziente, e in modo particolare ha uno sguardo intelligente dal quale traspare una grande bontà interiore. Il sensazionale irrompe nella vita di Natuzza alla tenera età di dieci anni. Un giorno la fanciulla è sola in casa, sente bussare alla porta, apre e si trova faccia a faccia con un monaco dalla statura imponente e dagli occhi luminosi. Natuzza pensa che quel religioso è lì per chiedere la questua, d’impulso apre la madia per fargli constatare la loro estrema miseria. Incoraggiata dal sorriso del monaco chiede una grazia che le viene concessa. Quel monaco come dirà in seguito Natuzza è san Francesco di Paola (1416-1507) il massimo santo calabrese che apparse parecchie volte alla mistica di Paravati. Un altro fatto straordinario accadde nella parrocchia di Santa Maria degli Angeli a Paravati. E’ il giorno della sua prima Comunione e nel ricevere sulla lingua Gesù Eucaristia, Natuzza si accorge di avere la bocca piena di sangue, ovviamente prova un grande sconcerto e vorrebbe riferirlo al sacerdote ma poi pensa che sia un fatto normale e se ne torna a casa. Alla fine del 1938, lo straordinario irrompe in maniera continuativa nella sua esistenza mentre è a servizio presso la casa di uno stimato avvocato di Mileto. Natuzza ha ormai quattordici anni e svolge il suo lavoro con amore e precisione tanto che la padrona di casa le affida non solo le chiavi di casa ma anche quelle della cassetta dei soldi. E’ di questo periodo una trasudazione ematica ad un piede in assenza di ferite, trasudazione che dopo qualche tempo riguarda anche le mani, il volto, il petto e le spalle. In concomitanza con questi fatti ematici sogna un defunto: il signor Francesco Risi, che le predice le sudorazioni sanguinee, che al momento si accompagnano a disturbi di tipo convulsivo che vengono scambiati per crisi epilettiche. L’adolescente, al termine di queste crisi, ha visioni della madonna, di Gesù davanti alle quali si inginocchia, prega, ed invita gli astanti a fare altrettanto. Accanto a queste visioni straordinarie del Signore, della Vergine o degli Angeli che si presentano a lei come bambini luminosi, vede anche persone normali nell’aspetto esteriore, ma che risultavano essere anime di defunti in Purgatorio e per questo motivo la ragazza prorompe spesso in un pianto dirotto, ma con il passare del tempo instaura con queste anime un rapporto di confidente amicizia. Ovviamente in un primo momento questa familiarità di Natuzza con i defunti suscita perplessità e critiche nelle autorità religiose per “una medianità” insolita rispetto a quella dei medium tradizionali: le anime del Purgatorio che invece appaiono a Natuzza le chiedono preghiere e suffragi, invitano alla penitenza e raccomandano che i loro cari parenti si accostino ai sacramenti della Confessione e della Comunione per poter meritare la salvezza eterna. Pensando che Natuzza sia una indemoniata viene sottoposta ad alcuni esorcismi nella Cattedrale di Mileto. Una sera, dopo un solenne esorcismo, vede nella sua stanza san Tommaso d’Aquino che le disse: “Ora una benedizione te la do io: da ora in poi vedrai i defunti più spesso, sia di giorno che di notte”. Le anime si qualificano a Natuzza o mediante un’apparizione o scomparsa improvvisa oppure su informazione del suo angelo custode e, di tali anime, Natuzza ha una percezione psico-simil-sensoriale propriamente di freddo quando scambiandoli per persone viventi, le capita di porgere loro la mano. Natuzza afferma che in genere l’aspetto fisico di queste anime dei defunti è quello dei loro ultimi giorni di vita, particolare di rilievo è il vestito indossato cioè quello preferito dall’estinto e non quello della sepoltura. Natuzza stessa è del parere che ciò avviene per facilitare il riconoscimento dell’anima da parte dei suoi parenti. E’ stato giustamente osservato che una testimonianza dell’esistenza dell’aldilà in maniera così marcata, con la visione di numerosissime anime, non si è mai verificata nella storia documentata della mistica, né si può insinuare un’evocazione spiritica dei defunti in quanto le anime si presentano spontaneamente, indipendentemente dalla sua volontà ed altre anime accompagnano le persone che come vedremo si recavano dalla mistica di Paravati. In data 27 dicembre 1939 il vescovo di Mileto Paolo Albera stilò un profilo di fatti riguardanti la sua diocesana, la signorina Evolo Fortunata, e lo invia a padre Gemelli in data 18 febbraio 1940 per avere un giudizio da Padre Gemelli. Il 27 febbraio 1940 Padre Gemelli comunicò al vescovo Albera che la sua impressione era che si trattasse di sindrome isterica e consigliò di disinteressarsi del caso per sminuirne la portata e favorire anche così la guarigione della ragazza. Il vescovo Albera sollecitò un parere dell’eminente scienziato Padre Gemelli sui vestiti della Evolo intrisi di sangue e raffiguranti il disegno della croce. Padre Gemelli rispose al vescovo che non era importante esaminare il sangue e che riteneva necessario il ricovero della ragazza presso una casa di cura. Il 1° agosto 1940 il vescovo comunicò che l’interesse suscitato da Natuzza intorno a lei era diminuito a causa di una predizione errata della ragazza che aveva previsto la sua morte entro il 26 luglio, pur tuttavia continuava la fenomenologia ematica. Il 9 agosto Padre Gemelli rispose che alla luce dei nuovi fatti egli traeva la conclusione che si trattasse proprio di sindrome isterica e che non riteneva opportuno esaminarla personalmente, né ricoverarla a Milano per evitare i costi di un trasferimento. Comunque l’elemento atto a togliere credibilità a Natuzza non furono allora i suoi fenomeni mistici (colloqui con i defunti, disegni di immagini sacre formatesi col suo sangue sui fazzoletti sovrapposti al corpo, ecc.) ma l’episodio della morte predetta. Da questo momento Padre Gemelli ritiene non necessaria una visita personale alla ragazza calabrese ed emette una diagnosi di isteria, pur in possesso di elementi oggettivi sulla consistenza delle visioni. L’agire del vescovo di Mileto è ispirato ad ottimi motivi di prudenza nell’avvalersi dell’autorità scientifica di Padre Gemelli e nel seguirne i consigli (disinteressarsi del caso per favorire la guarigione della malattia) e raccomanda ai sacerdoti di non incontrare la Evolo. Le vicende della Evolo dimostrano come scienziati di valore a livello di Padre Gemelli, anche se illuminati dalla fede, possono cadere in errore di giudizio. Lo stesso Padre Gemelli passerà alla storia per aver considerato le stimmate di san Pio da Pietrelcina come sindrome isterica e forse autolesionismo. Probabilmente le umiliazioni e i patimenti sofferti da Natuzza sono certamente un’offerta al Signore per la conversione delle anime. Comunque l’agire della Chiesa è sempre ispirato ad estrema cautela quando è chiamata ad esprimersi in materia di soprannaturale. Anche per Natuzza, come nel caso di Padre Pio, è necessario che trascorra il tempo e che lo svolgimento dei fatti dia elementi utili per un giudizio definitivo. Nel 1941 Natuzza si ritirò da quel lavoro di domestica a casa dell’avvocato, ed andò a vivere presso la nonna materna e pensò di farsi suora, ma venne sconsigliata proprio perché protagonista di tanti fenomeni mistici considerati troppo inquietanti per la normale vita di un convento. La madre decise allora di farla sposare con il compaesano Pasquale Nicolace, figlio di amici e di professione falegname, che in quel momento in cui era in corso il secondo conflitto mondiale, prestava servizio nell’esercito. Il futuro marito accettò di sottoscrivere un contratto in cui si impegnava ad accettare di avere una moglie un po’ particolare e a lasciarle tutta la libertà possibile affinché lei potesse seguire la sua vocazione di disponibilità verso il prossimo. Trovandosi lo sposo in guerra, il matrimonio avvenne, per procura, il 14 agosto 1943. Fu un matrimonio felice e la coppia ebbe cinque figli. Per decine di anni ella ricevette, presso la sua povera abitazione migliaia di persone provenienti in modo particolare dall’Italia per incontrarla, soprattutto nella speranza di avere notizie dall’aldilà dei propri defunti o indicazioni sulle proprie malattie. Moltissimi testimoniarono di aver ricevuto grazie e  benefici dopo l’incontro con la mistica.
Natuzza fu sottoposta a molti esami, per decisione del vescovo, fu ricoverata all’ospedale psichiatrico di Reggio Calabria. Alla fine il primario concluse che era soggetta a fenomeni inspiegabili con gli strumenti scientifici allora a disposizione. Il medico però accertò che non si trattava di suggestioni e che forse la neonata scienza della parapsicologia avrebbe potuto un giorno dare delle risposte più esaurienti. Negli anni ’50 e ’60 arrivarono a Paravati sia un gruppo di ricercatori inviato dal celebre professor Nicola Pende sia un altro inviato da una Università americana. Ambedue conclusero le loro indagini dichiarando che il fenomeno delle stimmate e quello delle scritte fiorite dal sangue asciugato su stoffe e fazzoletti restavano inspiegabili. In Natuzza sono frequenti anche i fenomeni della bilocazione. “I morti o gli angeli mi accompagnano dove è necessaria la mia presenza”, racconta, “io vedo perfettamente dove mi trovo, posso parlare ed essere udita, apro e chiudo porte. Non è come vedere la televisione, io mi trovo proprio dentro il posto dove sono stata portata. Mi succede sia di notte, quando dormo, sia di giorno quando sto parlando con qualcuno. Non ho mai l’impressione di viaggiare, di attraversare dei muri. Sono lì e basta. E sono anche a Paravati. Una volta ero in bilocazione per una strada di Nicastro e una signora che conoscevo mi ha incontrata, mi ha salutata e mi ha regalato due mostaccioli. Ero anche qui, a Paravati e stavo in colloquio con un visitatore e mi sono ritrovata i mostaccioli nelle mani”. Riguardo alle visioni dei morti, quando Natuzza vede i defunti dopo il trentatreesimo anno di vita, li vede col corpo identico a quello che avevano al momento della morte, mentre i bambini li vede con un corpo che cresce fino all’età di sette anni, ed i ragazzi di sette anni come i giovani con un corpo che cresce fino all’età di trentatre, corpo che Dio fa riprendere quando desidera che essi siano visti dagli esseri umani. Natuzza non distingue se le anime del Purgatorio appartengano a questo o all’altro mondo, eccezion fatta quando li tocca perché ha la sensazione di toccare della carne fredda e quando sono senza qualche indumento strettamente necessario, vedendoli vestiti nel modo come fu vestito il cadavere. Distingue poi le anime sante del Paradiso perché sono sollevate da terra e sono vestiti di bianco e di celeste e la loro luminosità è varia essendo relativa al grado della grazia santificante. Non vede però gli spiriti dell’Inferno. Riguardo agli Angeli, Natuzza li vede come se fossero dei bellissimi bambini, provvisti di ali e capelli biondi. Quando Dio lo permette vede l’Angelo custode a fianco al suo protetto. L’Angelo custode di ciascun sacerdote lo vede a sinistra, e sta a sinistra perché essendo i sacerdoti ministri di Dio che celebrano il santo Sacrificio dell’Eucaristia, vengono considerati superiori agli Angeli, pur essendo, come uomini, imperfetti. Molte volte Natuzza ha riconosciuto dei sacerdoti vestiti in borghese proprio perché avevano l’Angelo alla loro sinistra. In alcuni casi, numerose persone hanno testimoniato che dal corpo di Natuzza si sprigionasse un forte profumo di fiori senza che vi fosse una spiegazione naturale. Tale profumo sprigionava misteriosamente anche dagli oggetti da lei toccati: corone del rosario, crocifissi ed immagini sacre. Il profumo si sente, a volte per qualche istante, altre, a distanza di tempo, oppure è avvertito contemporaneamente ed indipendentemente da più persone. Ed ha una sua specificità: emana anche in posti distanti dove non vi è alcun oggetto toccato precedentemente da Natuzza. E’ molto probabile che questo sia semplicemente l’odore della santità, un dono straordinario che il Signore si compiace di dare ai suoi eletti. Nel 1987 si costituì un’associazione, poi diventata fondazione, presso la quale Natuzza trascorse, insieme al marito, gli ultimi anni della sua vecchiaia, con l’obiettivo di creare a Paravati un grande complesso religioso che inglobasse un santuario mariano, strutture per l’assistenza medica e centri per giovani, anziani, disabili, tra cui, il già realizzato Centro Anziani “Monsignor Pasquale Colloca” e quello per i servizi alla persona “San Francesco da Paola”. Ispirati da Natuzza e dalla sua testimonianza di fede sorsero inoltre, dal 1994, i “Cenacoli di Preghiera”, riconosciuti dalla competente Autorità diocesana e diffusi sul territorio italiano ed estero. L’associazione “Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle anime” nacque anche perché in un’apparizione la Madonna chiese a Natuzza di costruirle una chiesa. Natuzza ebbe numerose apparizioni e rivelazioni da parte della Vergine, il 13 marzo 1984 la Madonna le disse: “io sono l’Immacolata Concezione, figlia mia. Lo so che stai soffrendo… il Signore ti ha affidato un compito doloroso e difficile, ma non ti scoraggiare, c’è Lui che ti protegge e ti aiuta… con la tua sofferenza salvi tante anime”. Natuzza morì alle cinque di mattina del 1° novembre 2009, all’età di ottantacinque anni, a causa di un blocco renale. Al momento della sua morte avvenuta nella solennità di Tutti i Santi, le campane di Paravati hanno suonato a festa perché Natuzza ha vissuto una vita in attesa di questo momento e per lei mai festa è stata così bella. Il suo funerale è stato celebrato il 5 novembre e, nonostante la pioggia battente, si calcola che circa trentamila persone sono arrivate a Paravati. Per la celebrazione della Messa esequiale è stato allestito un grande palco nel piazzale antistante “La Villa della Gioia”, dove ha sede la fondazione “Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle anime” che è una delle struttura volute da Natuzza Evolo. Oltre cento sacerdoti e ben cinque vescovi celebrarono la Santa Eucaristia, presieduta da Monsignor Luigi Renzo, Vescovo di Mileto che, all’omelia, affermò: ”Natuzza è già santa perché è in Paradiso. Facciamo festa con lei che adesso è nella corona dei Santi. L’istruttoria per il processo di beatificazione è un problema solamente nostro che seguiremo secondo le procedure e senza fretta. E poi più volte mi avete chiesto la posizione della Chiesa rispetto alla figura di Natuzza. Ebbene a quest’ultima domanda si può rispondere con la presenza della delegazione dei vescovi calabresi che sta partecipando a questo funerale”. Sempre durante l’omelia il vescovo ha sottolineato: “Sono rimasto impressionato dalla profonda spiritualità di questa donna. Quello che mi ha sempre attratto in lei è stata la sua semplicità e il suo senso dell’obbedienza all’autorità ecclesiastica. Natuzza non ha mai fatto niente che potesse mettere in difficoltà la Chiesa. E’ stata sempre fedele alle indicazioni che i vescovi, che l’hanno conosciuta, le davano. Le è stato imposto agli inizi della sua missione pubblica di non ricevere la gente e lei, senza battere ciglio, ha ubbidito. Solo quando le hanno dato il via ha ricominciato a ricevere gente per dare loro conforto […]. Quella di Natuzza è un’esperienza mistica che tocca degli aspetti legati al rapporto intimo con Gesù Cristo. La sofferenza, che ha sempre accettato in silenzio, è la riprova del suo legame con la Passione di Cristo. I fenomeni che lei avvertiva durante la Settimana Santa sono il segno del dono che Dio stesso le ha fatto. Natuzza, con la sua forza spirituale, è riuscita a comunicare con tutti”. Riguardo poi ai fenomeni straordinari che, anche grazie a trasmissioni televisive, resero la Evolo famosa, il vescovo ha ricordato: “Sono fenomeni di grande suggestione e se vogliamo di sensazionalismo, ma restano sempre marginali, Natuzza non è grande per questi fenomeni, anche se appariscenti. Natuzza è grande per la sua fede, per il suo amore, per il suo “sì” totale dato a Gesù sofferente”. Monsignor Renzo ha rivelato nella sua omelia funebre che “Natuzza, donna debole nella salute, ma forte nella fede, ha mostrato il suo coraggio, la sua grandezza d’animo, soprattutto al momento della morte. E’ in quel momento che ha testimoniato a me e agli altri vicini al suo letto di agonia quale fosse la sua tempra spirituale e come la sua fede e il suo amore a Dio fossero tutto per lei”. Il vescovo ha ricordato di averla vista poche ore prima della morte e di averle chiesto: “Natuzza, volete baciare il crocifisso?”. “Come se si fosse svegliata da un torpore di sofferenza, ha aperto gli occhi, ha fatto cenno di sì e porgendo e avvicinando le labbra ha baciato il crocifisso. In quello stato di dolore e sofferenza ha dimenticato se stessa e ha baciato il crocifisso riprodotto sulla mia croce pettorale”. - don Marcello Stanzione - Pontifex -

 
 
 
 
 

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Un blog di: diglilaverita
Data di creazione: 16/02/2008
 

 

LE LACRIME DI MARIA

 

MESSAGGIO PER L’ITALIA

 

Civitavecchia la Madonna piange lì dove il cristianesimo è fiorito: la nostra nazione, l'Italia!  Dov'è nato uno fra i più grandi mistici santi dell'era moderna? In Italia! Padre Pio!
E per chi si è immolato Padre Pio come vittima di espiazione? Per i peccatori, certamente. Ma c'è di più. In alcune sue epistole si legge che egli ha espressamente richiesto al proprio direttore spirituale l'autorizzazione ad espiare i peccati per la nostra povera nazione. Un caso anche questo? O tutto un disegno divino di provvidenza e amore? Un disegno che da Padre Pio agli eventi di Siracusa e Civitavecchia fino a Marja Pavlovic racchiude un messaggio preciso per noi italiani? Quale? L'Italia è a rischio? Quale rischio? Il rischio di aver smarrito, come nazione, la fede cristiana non è forse immensamente più grave di qualsiasi cosa? Aggrappiamoci alla preghiera, è l'unica arma che abbiamo per salvarci dal naufragio morale in cui è caduto il nostro Paese... da La Verità vi Farà Liberi

 

 

 
 

SAN GIUSEPPE PROTETTORE

  A TE, O BEATO GIUSEPPE

A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio dopo quello della tua santissima Sposa.
Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità, che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni.
Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l’eterna beatitudine in cielo.
Amen
San Giuseppe proteggi questo blog da ogni male errore e inganno.

 
 
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