ASCOLTA TUA MADRE

LE LACRIME DI UNA MADRE NON ASCOLTATA

 

FERMIAMO LA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA

 

TELEFONO VERDE "SOS VITA" 800813000

CHE COSA E' IL TELEFONO "SOS VITA"?
 
È un telefono “salva-vite”, che aspetta soltanto la tua chiamata. E' un telefono verde, come la speranza la telefonata non ti costa nulla,
Vuole salvare le mamme in difficoltà e, con loro, salvare la vita dei figli che ancora esse portano in grembo.
E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
 
Il Movimento per la vita lo ha pensato per te
 
Puoi parlare con questo telefono da qualsiasi luogo d’Italia: componi sempre lo stesso numero: 800813000.
 
Risponde un piccolo gruppo di persone di provata maturità e capacità, fortemente motivate e dotate di una consolidata esperienza di lavoro nei Centri di aiuto alla vita (Cav) e di una approfondita conoscenza delle strutture di sostegno a livello nazionale. La risposta, infatti, non è soltanto telefonica.
 
Questo telefono non ti dà soltanto ascolto, incoraggiamento, amicizia, ma attiva immediatamente un concreto sostegno di pronto intervento attraverso una rete di 250 Centri di aiuto alla vita e di oltre 260 Movimenti per la vita sparsi in tutta Italia.

 
DUE MINUTI PER LA VITA

Due minuti al giorno è il tempo che invitiamo ad offrire per aderire alla grande iniziativa di
preghiera per la vita nascente che si sta diffondendo in Italia dal 7 ottobre 2005 in
occasione della festa e sotto la protezione della Beata Vergine Maria, Regina del Santo Rosario.
Nella preghiera vengono ricordati ed affidati a Dio:
 i milioni di bambini uccisi nel mondo con l’aborto,
 le donne che hanno abortito e quelle che sono ancora in tempo per cambiare idea,
 i padri che hanno favorito o subito un aborto volontario o che attualmente si trovano accanto ad
una donna che sta pensando di abortire,
 i medici che praticano aborti ed il personale sanitario coinvolto, i farmacisti che vendono i
prodotti abortivi e tutti coloro che provocano la diffusione nella società della mentalità abortista,
 tutte le persone che, a qualsiasi livello, si spendono per la difesa della vita fin dal concepimento.
Le preghiere da recitarsi, secondo queste intenzioni, sono:
 Salve Regina,
 Preghiera finale della Lettera Enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II
 Angelo di Dio,
 Eterno riposo.
Il progetto è quello di trovare 150.000 persone, che ogni giorno recitino le preghiere. Il numero corrisponde a quello - leggermente approssimato per eccesso – degli aborti accertati che vengono compiuti ogni giorno nel mondo, senza poter conteggiare quelli clandestini e quelli avvenuti tramite pillola del giorno dopo. Per raggiungere tale obiettivo occorre l’aiuto generoso di tutti coloro che hanno a cuore la difesa della vita.

“Con iniziative straordinarie e nella preghiera abituale,
da ogni comunità cristiana, da ogni gruppo o associazione,
da ogni famiglia e dal cuore di ogni credente,
si elevi una supplica appassionata a Dio,
Creatore e amante della vita.”
(Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, n. 100)

Ulteriori informazioni su: www.dueminutiperlavita.info
 

PREGHIERA A MARIA PER LA VITA GIOVANNI PAOLO II

O Maria, aurora del mondo nuovo, Madre dei viventi,
affidiamo a Te la causa della vita:
guarda, o Madre, al numero sconfinato di bimbi cui viene impedito di nascere,
di poveri cui è reso difficile vivere, di uomini e donne vittime di disumana violenza, di anziani e malati uccisi dall'indifferenza o da una presunta pietà.
Fà che quanti credono nel tuo Figlio sappiano annunciare con franchezza e amore agli uomini del nostro tempo il Vangelo della vita.
Ottieni loro la grazia di accoglierlo come dono sempre nuovo,
la gioia di celebrarlo con gratitudine in tutta la loro esistenza
e il coraggio di testimoniarlo con tenacia operosa, per costruire,
insieme con tutti gli uomini di buona volontà, la civiltà della verità e dell'amore
a lode e gloria di Dio creatore e amante della vita.
Giovanni Paolo II


 

AREA PERSONALE

 

Messaggi del 12/01/2010

LE DIECIMILA BRACCIA TESE DEGLI "SCHIAVI" STAGIONALI

Post n°2921 pubblicato il 12 Gennaio 2010 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Ore 6 di un giorno qualunque tra ottobre e aprile, la stagione degli agrumi, la stagione degli schiavi. Percorriamo in auto le stradine interne della Piana di Gioia Tauro, tra uliveti e agrumeti. Improvvisamente, illuminato dai fari, compare dal buio un uomo africano, poi un altro. Decine, centinaia, a gruppi o in fila. «Vanno a prostituirsi», ci dice Bartolo Mercuri, fondatore e presidente dell’associazione "Il Cenacolo" di Maropati che cerca di aiutare gli immigrati che ogni anno si spostano nella Piana per la raccolta delle arance e delle clementine. E con quella parola dura illustra bene l’inizio della giornata dei circa cinquemila immigrati che ogni mattina agli incroci della zona si "offrono" ai "caporali" che reclutano la manodopera per l’agricoltura. È lui, che gli immigrati chiamano "Barto" o "papà", ad accompagnarci in questo viaggio nell’inferno dello sfruttamento e che in parte spiega quanto sta accadendo. «Si è voluto ignorare questo problema per troppo tempo – commenta – lasciando noi del volontariato da soli a cercare di aiutare questi nostri fratelli». Ci dirigiamo verso Rosarno e i gruppi di immigrati aumentano. Ecco i primi luoghi del reclutamento. Ci fermiamo ed è un primo assalto. «Lavori, lavori», chiedono come una cantilena. «No Caritas». E allora le richieste cambiano. «Copertì e scarpe». Già fa freddo in questo inverno calabrese. Soprattutto di notte. Soprattutto se si dorme dove capita. E la nuova sosta è proprio in uno di questi luoghi, "la Rognetta", una ex fabbrica. Fuochi accesi illuminano centinaia, forse 400 africani. I più fortunati hanno dormito tra quattro gelide mura diroccate. Gli altri sotto baracche di plastica e cartone. «Lavori, lavori», riprende la cantilena. «No Caritas, poi passiamo, fatevi trovare per il cibo e le coperte». Questo pomeriggio, infatti, Bartolo passerà col suo pullman («Ne carico 120, la polizia chiude un occhio»), per portarli nella sede dell’associazione e rifornirli un po’ di tutto. «Ma non solo mangiare – risponde secco uno di loro –. Ho quattro figli, ho bisogno di soldi da mandare a casa...». Questi Bartolo non può certo darli, ma continua ad aiutarli. Anche se qualcuno gli ha già bruciato due pullman. Sa che dà fastidio. «Il Signore mi ha chiamato per aiutare questi nostri fratelli. Io faccio solo la sua volontà». Riprendiamo il viaggio lungo la statale, che è ormai un fiume quasi ininterrotto di africani, e proprio sul confine col comune di Gioia Tauro ecco comparire il simbolo di questo inferno. Ex Opera Sila, impianto industriale per la produzione dell’olio. Costruito coi soldi pubblici ma di olio non è mai uscito un solo goccio. La classica cattedrale nel deserto. Ci volevano gli africani per renderla utile... almeno per loro. Sono 800, forse anche di più. Senza acqua né luce. Solo alcuni bagni chimici fatti portare dai commissari straordinari di Gioia Tauro, che come Rosarno ha avuto l’amministrazione comunale sciolta per infiltrazione mafiosa. Dormono dentro tendine montate nei capannoni (hanno il tetto in pericolosissimo eternit), o sotto cartoni e teloni. E c’è chi addirittura si è sistemato dentro i grandi silos in metallo: si entra in ginocchio attraverso una botola, quasi un sommergibile in verticale. Stretto ma almeno al coperto. Anche qui fuochi accesi. Qualcuno cucina. «Ci ho visto cuocere un cane qualche giorno fa», ricorda Bartolo. Lo riconoscono. «Barto, papà». E poi ancora la cantilena. «Lavori, lavori». Ma anche altre precise richieste. «Barto mi servono vestiti per bambini. Li mando a casa». E altre inaspettate. «Holy Bible». Già, proprio la Bibbia. Bartolo ne porta sempre alcune copie, sia in inglese che in spagnolo. «Gran parte di loro sono cristiani e mi chiedono anche coroncine. Dicono "Dio" e "Croce". Ne ho distribuite a migliaia». Pian piano il sole fa capolino e il fiume di immigrati si ingrossa. Alcuni escono su vecchie auto, strapiene. Station wagon con 10-15 persone a bordo. «Oggi lavoro», dice l’autista. Forse uno dei "caporali" di colore, primi intermediari della catena di lavoro che, comunque, fa sempre riferimento a "caporali" italiani, e a proprietari terrieri quasi sempre di famiglie ’ndranghetiste. Ma così, tra intermediario e intermediario, va a finire che di 20-25 euro al giorno finiscono nelle tasche del lavoratore non più di 18. E per 12-14 ore di lavoro massacrante. «I mafiosi dicono "ma faccio del bene a farli lavorare" – riflette Bartolo –. Pensano di essere benefattori...». Ma tutti gli immigrati sperano di trovarlo questo lavoro. Fuori, parcheggiata, un’auto della polizia, sorveglia questo fiume. Tutti sanno che gran parte sono clandestini ma non si può intervenire. Torniamo verso i luoghi di reclutamento. Ormai affollatissimi. Ci sono quelli degli africani e quelli degli europei dell’est, polacchi, bulgari, ucraini, albanesi e romeni. Loro sono più organizzati, in parte stanziali, alcuni con le famiglie. Non dormono nelle ex fabbriche ma in case. Certo non sono ville: 20 bulgari pagano 100 euro al mese per "vivere" in un garage di pochi metri quadri. Si fermano molti furgoni. Un occhiata e l’autista fa salire alcuni immigrati. Per loro è un giorno fortunato. Altri restano lì, per ore. Poi si arrendono e tornano a "casa". A fine mattina ne raggiungiamo alcuni. Collina di Rizziconi, altro paese della Piana. L’immagine è da choc. Tra gli ulivi è sorta una vera favela, piccole baracche di sacchi di plastica, legno e scotch. Sono in 200 a vivere in queste condizioni. Oggi non si lavora. Domani chissà... Alle 5 di nuovo in fila per "prostituirsi". - Avvenire -

ITALIANI RAZZISTI? NON ESAGERIAMO SPARANDO NEL "MUCCHIO" E ASCOLTIAMO "CON ATTENZIONE" IL SANTO PADRE

Chissà perché ogni volta per trovare le posizioni più ragionevoli per ripartire dal cuore del problema bisogna rifarsi al Magistero del Papa? Sono italiano e non mi sento affatto rappresentato dalle parole di Giulia Galeotti sull’Osservatore Romano con cui stigmatizza i fatti di Rosarno: «Oltre che disgustosi, gli episodi di razzismo che rimbalzano dalla cronaca ci riportano all’odio muto e selvaggio verso un altro colore di pelle che credevamo di aver superato. Per una volta, la stampa non enfatizza: un viaggio in treno, una passeggiata nel parco o una partita di calcio, non lasciano dubbi. Non abbiamo mai brillato per apertura, noi italiani dal Nord in giù. Né siamo stati capaci di riscattarci, quando il “diverso” s’è fatto più vicino, nel mulatto, a prescindere dalle diversissime cause per cui ciò è avvenuto». E non mi ritrovo per una ragione semplicissima: perché ho imparato in famiglia, da mio papà e da mia mamma, lui semplice impiegato, ma geniale in tutto, e lei maestra di paese, che aveva reso la casa luogo di ospitalità per chiunque avesse bisogno di sostegno e aiuto e che lavorava vicino alla nostra casa. Il problema non è condannare un popolo (del resto è sempre e solo fatto di persone) ma di indicare, proprio come fa Benedetto XVI, la strada di un cammino educativo. Emergenza educativa non è uno slogan da ripetere e dimenticare, ma un lavoro serio e quotidiano. E si educa più indicando esempi positivi che stigmatizzando, nel mucchio, ciò che non va. Mi pare il metodo di Gesù (basta rileggere l’episodio dell’obolo della vedova). Ecco allora il grande richiamo "benedetto" di Benedetto:

BISOGNA RIPARTIRE DAL CUORE DEL PROBLEMA!

   
Bisogna ripartire dal significato della persona! Un immigrato è un essere umano, differente per provenienza, cultura, e tradizioni, ma è una persona da rispettare e con diritti e doveri, in particolare, nell’ambito del lavoro, dove è più facile la tentazione dello sfruttamento, ma anche nell’ambito delle condizioni concrete di vita. La violenza non deve essere mai per nessuno la via per risolvere le difficoltà. Il problema è anzitutto umano! Invito, a guardare il volto dell’altro e a scoprire che egli ha un’anima, una storia e una vita e che Dio lo ama come ama me.

Vorrei fare simili considerazioni per ciò che riguarda l’uomo nella sua diversità religiosa. La violenza verso i cristiani in alcuni Paesi ha suscitato lo sdegno di molti, anche perché si è manifestata nei giorni più sacri della tradizione cristiana. Occorre che le Istituzioni sia politiche, sia religiose non vengano meno – lo ribadisco – alle proprie responsabilità. Non può esserci violenza nel nome di Dio, né si può pensare di onorarlo offendendo la dignità e la libertà dei propri simili».
[Benedetto XVI, Angelus, 11 gennaio 2010] - Mangiarotti Don Gabriele - culturacattolica -

 
 
 

APPARIZIONI ANGELICHE IN PUNTO DI MORTE

Post n°2920 pubblicato il 12 Gennaio 2010 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Con la morte che cosa succede al nostro corpo e alla nostra anima? Secondo la Dottrina Cattolica ogni essere umano nell’ora dell’agonia combatterebbe una lotta impari contro l’assalto dei demoni se Dio, nella sua bontà, non gli inviasse in soccorso quegli esseri meravigliosi che sono gli angeli. Quando parlo di angeli mi riferisco agli angeli buoni, cioè ad esseri personali, che lodano Dio, lo servono, aiutano gli uomini, anzi sono i migliori loro amici, e che sono uniti con i santi nell’eterna felicità del Cielo. La teologia cattolica considera gli angeli come esseri personali cioè intendiamo degli esseri simili all’uomo, perché dotati di intelligenza e volontà, e che quindi sono in grado di entrare in contatto con gli altri. Gli angeli sono esseri inferiori a Dio, quindi dipendenti da lui e sue creature come tutti gli esseri finiti. Gli angeli però sono superiori agli uomini, in quanto sono dotati di poteri straordinari che l’uomo non possiede. Gli angeli infatti non sono legati alle leggi del mondo materiale nello stesso modo degli uomini. Gli angeli sono anche definiti con il termine di " beati spiriti celesti", anche se con il termine "spirito" non s’intende dare sempre tutto il suo significato metafisico, quello cioè che indica un essere totalmente indipendente dalla materia. Nella Bibbia Gli angeli sono citati centinaia di volte sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento. La designazione dell’influsso angelico sulla vita umana come custodia trae la sua origine dal salmo 90,11: "Ai suoi angeli comanderà per te di custodirti in tutte le tue vie, sulle loro palme ti reggeranno, affinché non inciampi in un sasso il tuo piede". Nel Vangelo secondo Matteo 18, 10 Cristo applica questa dottrina, per mostrare il valore della persona umana: "Guardatevi dal non disprezzare nessuno di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono continuamente la faccia del Padre mio che è nei Cieli", con questo brano Gesù non cita soltanto un’opinione popolare senza farla propria. Egli afferma con un’attestazione solenne, non solo l’esistenza di un angelo che è specialmente congiunto con ciascuno di noi che ci custodisce e protegge, ma anche l’intima relazione dell’angelo custode con Dio. Nella vita di san Camillo De Lellis, scritta da uno dei suoi primi biografi, il padre Sanzio Cicatelli, viene confermato l’importante ruolo svolto dagli angeli a favore di ogni persona specialmente al momento del trapasso tra la morte e la vita. Gli angeli ispirano ai sacerdoti le opportune parole di conforto e di speranza per sollevare lo spirito del moribondo durante l’agonia. Scrive il p. Cicatelli nella biografia del santo fondatore dei Ministri degli Infermi ( meglio conosciuti come padri Camilliani): "…A maggior sostegno di ciò voglio riferire la testimonianza del beato Filippo Neri. Il quale trovandosi presente nell’agonia del signor Vergilio di Crescenzo, patrizio romano e gentiluomo di famosa bontà, disse ad un nostro sacerdote, Claudio Vincenzo, anche lui presente alla detta agonia: "Padri, attendete pure di buon animo a questo santo ufficio di carità verso i morenti perché io vi dico, per vostra consolazione, che ho visto gli angeli santi mettere le parole in bocca ad uno dei vostri mentre raccomandava l’anima ad un altro morente dove anche io mi trovavo presente.". Sono sempre gli angeli che ispirano l’idea ai sacerdoti di portare i sacramenti dell’Eucarestia e dell’Unzione degli Infermi a persone morenti in luoghi solitari. L’angelo custode assiste ogni uomo e ogni donna, durante tutta la sua esistenza senza abbandonarlo mai; se nonostante ciò le persone patiscono tribolazioni e cadono in peccati, ciò non si deve spiegare con un abbandono da parte dell’angelo, ma perché la custodia angelica si conforma all’ordine universale della divina provvidenza, che non vuole eliminare ogni dolore dal nostro mondo né impedire ogni peccato. La custodia angelica non è del tutto inefficace, neppure in quei grandi peccatori, che difatti si dannano, perché non fanno al prossimo tutto quel male che farebbero se non fossero trattenuti dagli angeli. Dal libro di Joan Wester Anderson, "Là, dove camminano gli angeli" prendo una storia esemplare a riguardo. Padre O’Keeffe di Cork in Irlanda, racconta che venne chiamato da un bellissimo giovane affinché si recasse al più presto ad assistere una donna in punto di morte. Il religioso seguì il ragazzo in un misero quartiere di Cork, una zona in cui si vedevano solo baracche malridotte. "Dove si trova questa persona?" domandò alla sua guida. "Siamo quasi arrivati, Padre", lo rassicurò il giovane prima di sparire improvvisamente. Il sacerdote, stupito e incerto sul da farsi, sentì gemere e dopo pochi minuti trovò una ragazza moribonda, nascosta in una delle baracche più sporche. Questa gli raccontò di provenire da una famiglia benestante e di aver frequentato un collegio di suore, dove le avevano insegnato che in caso di bisogno occorre chiamare il proprio angelo custode. La donna aveva poi vissuto una vita depravata e ora, abbandonata e rimasta sola davanti la morte, si era ricordata gli antichi insegnamenti e aveva pregato il suo angelo di portarle un prete. Dal libro di Hope Prince "Angeli custodi" riporto due episodi di interventi angelici al capezzale di persone che stanno per morire. Verso il 1960, in Inghilterra, Andrey Graham era un’allieva infermiera. quando, mentre si trovava nella corsia dell’ospedale, la sua attenzione fu attratta da un suono frusciante, simile a quello del vento che soffia tra il grano. Riconobbe un Angelo nella corsia, dall’aria dolce e gentile, in piedi accanto a un letto. L’infermiera si avvicinò e la paziente le disse: "Non si preoccupi; infermiera, è appena venuto un Angelo per annunciarmi che questa notte sarò con Gesù. L’Angelo mi ha detto di non aver paura; lui mi aiuterà in questo difficile passo. Quando sarò là, racconterò a Gesù di lei". Andrey Graham continua: "Sebbene non volessi defraudarla neppure di una minima parte della sua esperienza, le risposi dolcemente: Non crede che Gesù mi conosca già? - il suo volto si illuminò - Naturalmente. Non ci avevo pensato". Questa amabile signora morì tranquillamente, nel sonno, quella notte stessa. Il secondo episodio riguarda Philipa Dodd, che era al capezzale di suo padre. Verso l’una e mezzo di notte dell’ 8 aprile 1982, un giovedì Santo, Philipa stava vegliando, mentre le sue due sorelle dormivano. Ecco il suo racconto: "Stavo recitando delle preghiere a bassa voce quando improvvisamente udii me stessa dire a voce alta: Dio ti benedica, papà, ora sei nelle mani del Signore ". Proprio allora, lo guardai di sbieco. Sapevo che aveva esalato il suo ultimo respiro ed era in pace. Poi, per pochi secondi, vidi una foschia gialla sopra di lui e degli Angeli che lo trasportavano verso l’alto, apparentemente su per una scalinata. Il mio unico dispiacere fu che, al momento della morte di mio padre, le mie sorelle non erano sveglie per assistere all’evento e per avvertire la pace meravigliosa che regnava nella stanza. La vista degli Angeli fu una tale emozione per me che, sul cartello che accompagnava la corona di fiori del funerale, scrissi: `Dio ti benedica, papà; Vennero gli angeli. Li vidi là; Ti portarono su per la scala d’oro". Nella Liturgia cattolica, già prima che la morte si compia, gli Angeli vengono invocati in una preghiera di intercessione della Liturgia delle ore dei Vespri: "Raccogli, Signore, il gemito dei morenti, il tuo Santo Angelo li visiti e li conforti". Sul momento che il moribondo sta per esalare l’ultimo respiro, il sacerdote invoca gli Spiriti celesti, dicendo: "Andategli incontro, Angeli del Signore: accogliete la sua anima, offritela all’Altissimo, portatela al suo cospetto". Nei riti dei funerali, alla fine, dopo aver benedetto con l’acqua e incensato la salma, il sacerdote dice: "In Paradiso ti conducano gli Angeli e al tuo ingresso ti accolgano i Martiri per introdurti nella santa Gerusalemme. Il coro degli Angeli ti accolga per darti eterna pace". Gli Angeli, che hanno assistito gli uomini durante la loro vita sulla terra, hanno ancora un compito importante da svolgere, ai momento della loro morte. È assai interessante notare come la Tradizione biblica e la tradizione filosofica greca si armonizzino sulla funzione degli Spiriti `psicagoghi", cioè degli Angeli che hanno il compito di accompagnare l’anima all’ultimo destino. I rabbini ebrei insegnavano che possono essere introdotti in cielo soltanto quelli la cui anima è portata dagli Angeli. Nella Parabola famosa del povero Lazzaro e del ricco Epulone, è lo stesso Gesù che attribuisce agli Angeli questa funzione. "Il mendicante morì e fu portato dagli Angeli nel seno di Abramo" (Lc. 16,22), Nella lettura apocalittica giudaico-cristiana dei primi secoli si parla di tre angeli "psycopompes"; che coprono il corpo di Adamo (cioè dell’uomo) "con lini preziosi e lo ungono con olio fragrante; poi lo mettano in una grotta rocciosa, dentro una fossa scavata e costruita per lui. Ivi resterà fino alla resurrezione finale". Allora comparirà Abbatan, l’Angelo della morte, per avviare gli uomini in questo viaggio verso il giudizio; in gruppi diversi secondo le loro virtù, sempre guidati dagli Angeli. - Don Marcello Stanzione - Pontifex -

 
 
 

MATT KING, IL RAGAZZO CHE NON SI E' ARRESO

Post n°2919 pubblicato il 12 Gennaio 2010 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Matt King era un ragazzo pieno di vita che aveva appena coronato un suo sogno. Quello di diventare giocatore professionista di rugby nella squadra giovanile della London Broncos Accademy. Si sentiva quasi aria di primavera il giorno in cui avrebbe dovuto giocare, nel campo di Halifax, la sua prima partita proprio da professionista. Ma quel 4 aprile 2004, quello che doveva essere il giorno più bello della sua vita, si trasformò in tragedia. Dopo soli 20 secondi dall’inizio del gioco, sotto il peso di un avversario, Matt non ha neppure il tempo di accorgersi di essere entrato uno stato comatoso. Riprende i sensi durante il viaggio di trasporto in elicottero verso Leeds, e immediatamente percepisce l’esito devastante dell’incidente: paralisi totale. Gli infermieri gli chiedono di muovere le dita dei piedi e lui viene assalito da una sensazione di terrore. Urla di lasciarlo morire perché già immagina un futuro d’inferno e una vita non più degna di essere vissuta. Giunto a Leeds, i medici non possono che confermare il tragico verdetto: la spina dorsale è irrimediabilmente compromessa al punto da immobilizzare il corpo dal collo in giù. Gli spiegano che la sua situazione è pressoché identica a quella dell’attore Christopher Reeve, il Superman cinematografico, paralizzato a causa di una caduta da cavallo nel 1995 e che sarebbe morto di lì a poco dall’incidente di Matt King, nell’ottobre del 2004. Trasferito allo Stoke Mandeville Hospital, centro specializzato per le patologie alla spina dorsale, Matt trascorrerà lì nove mesi. Quel periodo, che lui definirà di assoluta desolazione («bleak time») non si rivelerà, però, inutile. Per sua stessa ammissione, il ragazzo percepisce che debba esistere, comunque, un senso a tutto ciò che gli è accaduto, e decide che anche lui, pur totalmente paralizzato e costretto a vivere attaccato ad un respiratore, può essere capace in una «meaningful life», una vita piena di significato. Per raggiunger questo obiettivo Matt intuisce di aver bisogno di un’istruzione. Così, decide di studiare e di frequentare la facoltà di giurisprudenza all’università, perché, con un pizzico di autoironia, spiega a tutti che «con la legge non bisogna usare nient’altro che il cervello». Per quale motivo ho deciso di parlare di questa storia? Semplicemente perché Matt King, dopo aver frequentato in questi anni l’Università di Herthfordshire, lo scorso 27 novembre ha ricevuto il diploma di laurea con il massimo dei voti e con lode, durante una cerimonia tenuta presso la Cattedrale di St. Albans. Grazie alle sue capacità, ha già ottenuto l’offerta di entrare in uno dei più prestigiosi studi legali di Londra, tra due anni, dopo che avrà ultimato il "practice course" all’università. Ora è assistito da due accompagnatori a tempo pieno e da un assistente che scrive per lui. La sedia a rotelle ed il respiratore artificiale non hanno rappresentato un ostacolo neppure in altre imprese di Matt, tra cui quella di essere stato il primo quadriplegico a completare la maratona di New York in sei ore e mezzo, e di raccogliere nell’occasione 10.000 sterline per opere di beneficenza. E’ anche diventato mentore del Back-Up Trust, un’organizzazione non-profit che ha lo scopo di aiutare coloro che sono affetti da gravi malattie alla spina dorsale. Matt King non è l’unico esempio di chi è riuscito a vincere le avversità sottraendosi alla disperazione. Matt Hampson, ad esempio, un altro ex giocatore di rugby completamente paralizzato a seguito di un incidente, è stato capace di creare un sito web, di scrivere un’autobiografia e di fondare un’associazione per bambini disabili denominata SpecialEffect. Mi hanno colpito le sue parole pronunciate l’anno scorso: «Io non ho una brutta vita, vivo una vita semplicemente diversa». Giocando sulle parole, ha anche aggiunto: «Uso il mio cervello ("brain") più del mio midollo spinale ("brawn"). Mi ha aiutato ad essere una persona più riflessiva. Ora penso molto di più». Matt Hampson è dovuto crescere più in fretta e fa cose che normalmente i suoi coetanei ventenni non fanno. La testimonianza vivente di questi ragazzi è la migliore risposta a tutte le polemiche che continuano a ruotare intorno al tema drammatico del suicidio assistito in Gran Bretagna. E’ rispetto alla capacità di dare un senso all’esistenza, che si gioca, in realtà, la scelta di vivere o morire. Così, di fronte al mistero che ti inchioda a condizioni esistenziali drammatiche, si può reagire come ha fatto Matt King o come ha fatto Daniel James, un altro giovane giocatore paralizzato da un incidente di rugby, che l’anno scorso, a soli 23 anni, ha deciso – grazie all’ambigua e compiacente normativa britannica – di ricorrere al suicidio assistito presso la famigerata clinica svizzera Dignitas. Se la vita, come scriveva Shakespeare nel suo Macbeth, non è altro che «una favola raccontata da un idiota in un accesso di furore», priva di senso e di significato, allora quando le circostanze la rendono quasi invivibile, la soluzione più comoda resta quella di una "easy way out", di un’agevole via d’uscita. La più efficace definizione di eutanasia. Matt King, invece, ha compreso che la vita è una cosa seria: seria di fronte all’universo (perciò ha un compito) e seria di fronte al destino (perciò ha un significato ultimo da raggiungere). Se non avesse compreso tutto questo, anche lui avrebbe corso il rischio di comprare un biglietto senza ritorno per la Svizzera. - Gianfranco Amato, Presidente di Scienza e Vita di Grosseto - culturacattolica -

 
 
 

QUEL FILM DI VERDONE TROPPO NICHILISTA PER ESSERE CATTOLICO

Post n°2918 pubblicato il 12 Gennaio 2010 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Non è difficile, dico, in un mondo dello spettacolo dove i comici si trasformano in demagoghi giustizialisti e in capipopolo giacobini. Dove registi pensosi, sprezzanti del pubblico, lanciano i loro «messaggi» e le loro «denunce sociali» in film finanziati coi soldi pubblici e che, dopo una fugace apparizione in qualche festival, non raggiungono gli schermi. Dove — me lo raccontava un amico — l’imprudenza di qualcuno portò sul set di una pellicola veri cani antidroga della Finanza, invece dei finti previsti, e gli animali impazzirono, non sapendo quale attore, o attrice bloccare per primi. Il look e, a quanto mi dicono, l’ordinatissimo stile di vita di Verdone, sono quelli di un direttore di ufficio postale o di un professore di scienze alle medie. Eppure, quel suo volto tondo e apparentemente anonimo sa trasformarsi e contorcersi come fosse di caucciù e la battuta lo trasforma in una sorta di Woody Allen de noantri, dove il sulfureo umorismo ebraico è sostituito dalla arguta bonarietà romanesca. Non andando molto spesso al cinema, non ho visto tutti i film di un regista e attore che, proprio in questo 2010, compie trent’anni di carriera. Non potevo perdere, però, questo Io, loro e Lara anche per la segnalazione fattami da un monsignore amico che ha partecipato a una proiezione in anteprima. «Non ci sono scene pornografiche, tranne qualche seno che spunta a metà. C’è, è vero, una quantità impressionante di parolacce: ma non fermiamoci lì, oggi tutti parlano così ed è proprio un ritratto nudo e crudo della società italiana che Verdone voleva darci. Ma, sotto certo macchiettismo in fondo autoironico, per non prendersi troppo sul serio, c’è il vecchio romano che ha studiato dalle suore e dai preti, che ha di certo uno zio o una cugina religiosi e che, dunque, non può non essere permeato sin nelle ossa di cattolicesimo». Così mi diceva quel sacerdote, suggerendomi di andare a vedere il film per, poi, scambiare opinioni. La prima— confortante— sorpresa riservatami dalla pellicola è stata la sala esaurita, in una sera di neve in un multiplex sperduto tra le vigne delle colline moreniche del Garda. La seconda è stata un pur timido e breve tentativo di applauso al termine della proiezione. Avevo con me un taccuino, per segnare qualche critica ma, alla fine, l’ho deposto nella tasca. In bianco. Certo: a giustificare un simile «nulla da eccepire» in questioni teologiche (per usare un termine troppo impegnativo) conta anche la mancanza di approfondimento scelta da Verdone. La crisi del missionario in Africa nasce da motivazioni scontate, da cose dei tempi della bagarre postconciliare. Per dirla con le parole di don Carlo, il protagonista omonimo dell’attore e regista: «Ho l’impressione che, laggiù, la gente abbia bisogno di protezione civile più che di protezione divina». Il prete, soprattutto se missionario, come agente di promozione economica e politica e non come annunciatore della vittoria della morte nella Risurrezione di Gesù. Un déjà vu. Nulla di nuovo né di «scavato», dunque, dietro la crisi di identità di don Carlo. Quanto alla sue reazioni davanti al «puttanaio», parole sue, che trova dopo dieci anni di Africa nella sua famiglia, nella sua Roma: beh, alla sorpresa, all’incapacità di capire che stia succedendo, seguono reazioni da prete di sempre che, pur alternando il turpiloquio alle giaculatorie, non si allontana dalle classiche esortazioni alla solidarietà, alla comprensione, all’accoglienza. Tutto molto edificante, pur sotto le forme più che laiche dell’attore e regista; tutto unito, tra l’altro, ad altre edificazioni, come la reazione violenta ai tentativi di seduzione sia di tardone che di ragazze. Ha detto Verdone: «I vertici della Conferenza episcopale, al termine di una proiezione privata, mi hanno detto: "Ci hai fatto una carezza"». Non sappiamo se fosse davvero la «cupola» della Conferenza episcopale a visionare Io, loro e Lara, ma è plausibile che il giudizio sia stato sostanzialmente positivo, come già accennavo. Ma l’indubbio marchio cattolico del film di un romano permeato di cattolicesimo sino al midollo, deve fare i conti con il finale, dove qualche critico ha visto un happy end posticcio, un’aggiunta per mandare lo spettatore a casa sereno. Al contrario, è qui la chiave dell’opera e il credente, almeno, non può non allarmarsi per una conclusione di impotenza e di fallimento. La rimpatriata del missionario è stata disastrosa, al punto da costringerlo a rifar subito le valigie e a rientrare in Africa. La «cura» per la sua crisi si è dimostrata ben peggiore del male. Restano intatti, dunque, anzi rafforzati, i suoi problemi che mettono in discussione la fede stessa. Ma gli auguri di Natale, che giungono alla remota missione via web-cam dalla terribile famigliola, confermano che nulla è cambiato e nulla cambierà neppure lì. Il vecchio padre continuerà a imbottirsi di viagra per fronteggiare le giovani badanti, il fratello affarista continuerà a sniffare coca, le nipoti continueranno a essere schiave di mode assurde, la sorella continuerà con le sue nevrosi devastanti, Lara ha avuto il suo bambino ma continuerà con il suo turbinio di amori. Il mondo è questo, non c’è speranza di mutamento, né per credenti né per non credenti. La sola possibilità sta in quello scrollare il capo, sorridendo tra il malinconico e il rassegnato, con cui Verdone chiude il film, mentre il precario collegamento con Roma si interrompe. È la vita, bellezza, nessuno può farci niente! Realismo, certo. Ma che slitta verso lo scetticismo, se non il nichilismo, se ad esso non si affianca l’afflato di Speranza che deve animare il credente. Problematico definire «cattolica» una prospettiva dove c’è posto solo per il sorriso rassegnato di chi è ormai convinto che nulla cambierà mai, che ogni attesa di un mondo più umano è cosa da riderci sopra. Come, appunto, un comico deve fare. E come Verdone, sia detto a sua lode, sa fare benissimo. - Vittorio Messori - Il mascellaro -

 
 
 

LE OMELIE CLERICALI E QUELLE ANTICLERICALI

Post n°2917 pubblicato il 12 Gennaio 2010 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

E’ buffo leggere sulla prima pagina della Repubblica una reprimenda di Giancarlo Zizola contro le omelie dei preti. Proprio quella stessa prima pagina che ogni domenica, da anni, contiene interminabili e illeggibili omelie di Eugenio Scalfari. Se sono noiose e logorroiche le omelie clericali (e lo sono spesso) non sono migliori quelle anticlericali: penso non solo a Scalfari o a Pannella su Radio radicale, ma a molti altri che moraleggiano col ditino alzato sui giornali, come Claudio Magris o Barbara Spinelli, per citarne solo due. Se dai pulpiti piove uggiosa insignificanza (ed è vero!), dalle pagine dei giornali, con gli articoli di certi soloni, diluvia il tedio, sottoforma di banalità, di pregiudizio astioso, di sussiegoso moralismo e di ideologia. Del resto i giornali sono pronti per incartare l’insalata ai mercati già quando escono dalla tipografia. Dunque "se Sparta piange, Atene non ride". Però fermarsi qui sarebbe un’autoconsolazione sciocca. Piuttosto i due fenomeni – l’omiletica clericale e quella anticlericale – sono simmetrici ed evidenziano la desolante incapacità generale di cogliere e comunicare davvero il senso del vivere, del morire, dell’amare, del soffrire, il senso dei fatti della cronaca e il senso della storia. Il colmo poi è che Zizola indichi ai preti come esempio da seguire il cardinal Martini la cui predicazione, ora pure sul Corriere della sera, appare – con tutto il rispetto – singolarmente fumosa, stanca e (sul piano dottrinale) ambigua. E’ uggiosa come un pomeriggio piovoso di novembre (almeno per chi scrive). Se è giusto lamentare che i predicatori di oggi dimenticano i fondamentali (inferno, morte eterna, purgatorio, paradiso), se è giusto lamentare – come pare faccia perfino Zizola – che dimenticano "la verità centrale della fede cristiana, la Resurrezione", non risulta che Martini faccia eccezione. Anzi. Eppure Zizola sostiene nientemeno che il più efficace tentativo di "riqualificare la predica" di questi decenni della Chiesa sia rappresentato dalla cosiddetta "Scuola della Parola tenuta dal cardinal Martini nel Duomo di Milano". Francamente a me non risulta che da quella remota (e dimenticata) iniziativa di Martini sia sorto un movimento di conversione che ha cambiato il volto di Milano (non conosco una sola persona che si sia convertita ascoltando Martini). Anzi, mi risulta che il bilancio della cristianità milanese degli ultimi decenni sia drammatico. I movimenti di rinascita cristiana (che ci sono, forti, a Milano) non sono certo nati dalla "Scuola della Parola" di Martini. Ma dalla scuola di vita che tanti santi dei nostri giorni sono, per giovani e non più giovani. Questo mi pare il punto. Soffriamo non una penuria di eloquenti oratori o di biblisti, ma di padri e di santi, quelli che sanno toccare il cuore non (solo) per la capacità di parlare, ma perché loro stessi sono un avvenimento di vita nuova per chi li incontra. Voglio fare un esempio per quanto riguarda la Chiesa. Padre Pio notoriamente non era un grande oratore. Tutt’altro. Le sue omelie erano semplici e scarne: ricordava la verità come è espressa nel Catechismo della Chiesa Cattolica e tanto bastava. Eppure ha smosso milioni di persone, oceani di uomini e donne sono andati da lui e si sono convertiti, spesso cambiando radicalmente vita, per essersi confessati da lui o per aver visto ciò che accadeva alla messa che lui celebrava (riviveva infatti tutta la Passione di Gesù). E’ solo un esempio, ma che basta a capire che la Chiesa non ha bisogno anzitutto di predicatori eloquenti, ma di santi. Infatti Benedetto XVI ha dedicato questo "anno sacerdotale" non a un grande oratore, ma a un uomo umile (e grande) della provincia francese, il santo Curato d’Ars, indicato come esempio per ogni sacerdote. Non per l’omiletica, ma perché era un vero uomo di Dio. Perché quello che manca oggi nella Chiesa, come diceva un saggio maestro, "non è la ripetizione letterale dell’annuncio, ma l’esperienza di un incontro". Un incontro che ti fa sentire "la carezza del Nazareno". Spesso è un incontro che manca agli stessi sacerdoti. Che è fin troppo facile criticare: tutti infatti li criticano, pochi, anche fra i cristiani, pregano per loro o stanno loro vicini. E dunque spesso i sacerdoti di fronte al problema dell’omelia cercano di cavarsela buttandola in politica o in sociologia spicciola. Perciò si sentono tante confuse omelie improntate ai buoni sentimenti politically correct, all’etica sociale, ai valori, al "dover essere" e via dicendo. Spesso i preti finiscono per scopiazzare le omelie dei santoni laici che pontificano dalle pagine dei giornali. In certe prediche di Natale per esempio la sovrapposizione fra omelie e articoli moraleggianti è quasi perfetta. Penso all’editoriale di Claudio Magris uscito sul Corriere della sera alla vigilia di Natale. Tutta una filippica contro la gente che si scambia regali ed è contenta per il Natale. Magris ha in gran dispetto la gente contenta. Per farli sentire in colpa inizia il suo articolo citando nientemeno un giornale del Perù (o c’è andato in vacanza da poco o pensa che il Perù sia il centro del mondo). Il suddetto giornale peruviano avrebbe rilevato che in Perù sotto Natale aumentano i suicidi (ma siamo sicuri che in un paese così disastrato non abbiano altri motivi per suicidarsi che il consumismo natalizio?). Oltre a quel "famosissimo" giornale Magris citava un’altra fondamentale fonte di riflessione: "il giornaletto di un liceo di Schio, dove mi è capitato di leggere l’articolo di una ragazzina che protestava contro lo sciagurato dovere di fare regali di Natale, che rende quella settimana più affannosa di ogni altra". Riferimenti forti, come si vede, pensieri profondi… Più o meno con geremiadi del genere dai pulpiti natalizi si sentono puntualmente invettive contro il consumismo dei regali, perché si ritiene che si debbano sempre affliggere i fedeli con i sensi di colpa, invece di donare loro la gioia – almeno a Natale – di una grande notizia, del grande regalo che Dio ha fatto all’uomo: se stesso. Il re del mondo è venuto qui, a salvarci, ma il parroco liquida la notizia in due parole perché ritiene più importante romperti le scatole sul consumismo. Eppure non occorre una grande oratoria per annunciare al mondo questa grande notizia, quella che dà la vera felicità. Non serve una gran dialettica, basterebbe un uomo commosso. Anche se balbettasse solo poche parole, dicendo "amico, non essere più triste, è nato il tuo Salvatore!", la sua commozione folgorerebbe i nostri cumuli di disperazione. Farebbe respirare. Sarebbe la carezza del Nazareno al nostro povero cuore. Che è l’omelia più bella. - Antonio Socci -

 
 
 
 
 

INFO


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Data di creazione: 16/02/2008
 

 

LE LACRIME DI MARIA

 

MESSAGGIO PER L’ITALIA

 

Civitavecchia la Madonna piange lì dove il cristianesimo è fiorito: la nostra nazione, l'Italia!  Dov'è nato uno fra i più grandi mistici santi dell'era moderna? In Italia! Padre Pio!
E per chi si è immolato Padre Pio come vittima di espiazione? Per i peccatori, certamente. Ma c'è di più. In alcune sue epistole si legge che egli ha espressamente richiesto al proprio direttore spirituale l'autorizzazione ad espiare i peccati per la nostra povera nazione. Un caso anche questo? O tutto un disegno divino di provvidenza e amore? Un disegno che da Padre Pio agli eventi di Siracusa e Civitavecchia fino a Marja Pavlovic racchiude un messaggio preciso per noi italiani? Quale? L'Italia è a rischio? Quale rischio? Il rischio di aver smarrito, come nazione, la fede cristiana non è forse immensamente più grave di qualsiasi cosa? Aggrappiamoci alla preghiera, è l'unica arma che abbiamo per salvarci dal naufragio morale in cui è caduto il nostro Paese... da La Verità vi Farà Liberi

 

 

 
 

SAN GIUSEPPE PROTETTORE

  A TE, O BEATO GIUSEPPE

A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio dopo quello della tua santissima Sposa.
Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità, che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni.
Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l’eterna beatitudine in cielo.
Amen
San Giuseppe proteggi questo blog da ogni male errore e inganno.

 
 
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