ASCOLTA TUA MADRE

LE LACRIME DI UNA MADRE NON ASCOLTATA

 

FERMIAMO LA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA

 

TELEFONO VERDE "SOS VITA" 800813000

CHE COSA E' IL TELEFONO "SOS VITA"?
 
È un telefono “salva-vite”, che aspetta soltanto la tua chiamata. E' un telefono verde, come la speranza la telefonata non ti costa nulla,
Vuole salvare le mamme in difficoltà e, con loro, salvare la vita dei figli che ancora esse portano in grembo.
E quasi sempre ci riesce, perché con lui lavorano 250 Centri di aiuto alla vita.
 
Il Movimento per la vita lo ha pensato per te
 
Puoi parlare con questo telefono da qualsiasi luogo d’Italia: componi sempre lo stesso numero: 800813000.
 
Risponde un piccolo gruppo di persone di provata maturità e capacità, fortemente motivate e dotate di una consolidata esperienza di lavoro nei Centri di aiuto alla vita (Cav) e di una approfondita conoscenza delle strutture di sostegno a livello nazionale. La risposta, infatti, non è soltanto telefonica.
 
Questo telefono non ti dà soltanto ascolto, incoraggiamento, amicizia, ma attiva immediatamente un concreto sostegno di pronto intervento attraverso una rete di 250 Centri di aiuto alla vita e di oltre 260 Movimenti per la vita sparsi in tutta Italia.

 
DUE MINUTI PER LA VITA

Due minuti al giorno è il tempo che invitiamo ad offrire per aderire alla grande iniziativa di
preghiera per la vita nascente che si sta diffondendo in Italia dal 7 ottobre 2005 in
occasione della festa e sotto la protezione della Beata Vergine Maria, Regina del Santo Rosario.
Nella preghiera vengono ricordati ed affidati a Dio:
 i milioni di bambini uccisi nel mondo con l’aborto,
 le donne che hanno abortito e quelle che sono ancora in tempo per cambiare idea,
 i padri che hanno favorito o subito un aborto volontario o che attualmente si trovano accanto ad
una donna che sta pensando di abortire,
 i medici che praticano aborti ed il personale sanitario coinvolto, i farmacisti che vendono i
prodotti abortivi e tutti coloro che provocano la diffusione nella società della mentalità abortista,
 tutte le persone che, a qualsiasi livello, si spendono per la difesa della vita fin dal concepimento.
Le preghiere da recitarsi, secondo queste intenzioni, sono:
 Salve Regina,
 Preghiera finale della Lettera Enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II
 Angelo di Dio,
 Eterno riposo.
Il progetto è quello di trovare 150.000 persone, che ogni giorno recitino le preghiere. Il numero corrisponde a quello - leggermente approssimato per eccesso – degli aborti accertati che vengono compiuti ogni giorno nel mondo, senza poter conteggiare quelli clandestini e quelli avvenuti tramite pillola del giorno dopo. Per raggiungere tale obiettivo occorre l’aiuto generoso di tutti coloro che hanno a cuore la difesa della vita.

“Con iniziative straordinarie e nella preghiera abituale,
da ogni comunità cristiana, da ogni gruppo o associazione,
da ogni famiglia e dal cuore di ogni credente,
si elevi una supplica appassionata a Dio,
Creatore e amante della vita.”
(Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, n. 100)

Ulteriori informazioni su: www.dueminutiperlavita.info
 

PREGHIERA A MARIA PER LA VITA GIOVANNI PAOLO II

O Maria, aurora del mondo nuovo, Madre dei viventi,
affidiamo a Te la causa della vita:
guarda, o Madre, al numero sconfinato di bimbi cui viene impedito di nascere,
di poveri cui è reso difficile vivere, di uomini e donne vittime di disumana violenza, di anziani e malati uccisi dall'indifferenza o da una presunta pietà.
Fà che quanti credono nel tuo Figlio sappiano annunciare con franchezza e amore agli uomini del nostro tempo il Vangelo della vita.
Ottieni loro la grazia di accoglierlo come dono sempre nuovo,
la gioia di celebrarlo con gratitudine in tutta la loro esistenza
e il coraggio di testimoniarlo con tenacia operosa, per costruire,
insieme con tutti gli uomini di buona volontà, la civiltà della verità e dell'amore
a lode e gloria di Dio creatore e amante della vita.
Giovanni Paolo II


 

AREA PERSONALE

 

Messaggi del 27/01/2010

LASCIAMOCI FERIRE PER STARE SVEGLI, PER RESTARE UOMINI

Post n°3001 pubblicato il 27 Gennaio 2010 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Che le vedano i nostri figli, le facce di quei vecchi inermi, e di quei bambini. Che facciano questo doloroso sbalordito tuffo in una memoria che, se a noi pare lontana, è in realtà così breve: quei ragazzi andavano a scuola con i nostri genitori.

Sono le facce di 364 ebrei italiani finiti nei lager, una parte delle migliaia deportate in Germania. Dei 1.023 di Roma solo in diciassette ritornarono. Le ha messe on line il Centro di documentazione ebraica contemporanea, per la Giornata della memoria. E chi va su www.cdec.it/voltidellamemoria  può restarci parecchio. È un attonito viaggio tra storia collettiva e privati ricordi, quello in cui cadi in questo allinearsi di volti dai nomi, dai sorrisi italiani. Uomini e donne, così uguali alle foto d’epoca di ogni altro nostro nonno. Qualcuno che di nome fa Vittorio Emanuele, o Italo: nell’ingenuo patriottismo che almeno fino ai primi anni del Ventennio aveva contagiato anche gli ebrei – certi, com’era ovvio, di essere italiani come gli altri. Ci sono donne e vecchi, in quell’elenco, di settant’anni, e più vecchi; ma accanto, inesorabile, la scritta: deportato a Auschwitz. Ci sono giovani fotografati su una barca a vela, o ai bordi di un campo da tennis, in ancora spensierate estati. Proprio questa normalità serena da album di famiglia ha un impatto da schiaffo su chi osserva. Non sono, questi, i volti dei lager tramandati dai primi scatti dell’esercito americano nel ’45, non sono i corpi scheletriti sotto la divisa da prigionieri, con le facce scavate di fantasmi. Questi sono borghesi, artigiani, famiglie liete e impettite davanti al fotografo, in un giorno di festa: mentre ti pare di immaginare, appena un attimo dopo lo scatto, i bambini che corrono alla tavola imbandita. Proprio la normalità delle immagini rende ancora più lacerante la memoria di ciò che è accaduto. E poi, ci sono i bambini. Molti bambini. A nidiate, tre fratelli o quattro divisi da pochi anni. Come Fiorella, Anna, Attilio, nati tra il ’37 e il ’41 a Roma, portati via dal Ghetto. (Fiorella sembra una bambola, i nastri bianchi tra i capelli ricci). E la famiglia Sadun coi due ragazzini, ritratti al mare, in costume, in una giornata che si indovina di piena, felice estate. E Olimpia, infagottata e ridente nel freddo della sua Bolzano. E Carlo e Massimo, fratelli milanesi, il maggiore che abbraccia il più piccolo, neonato, con tenero orgoglio. Questi non sono i ragazzini atterriti delle foto con la stella gialla sul petto e le mani in alto davanti ai soldati nazisti. Sono gli stessi, ma "prima". Bambini e basta. Solo da Roma, ne deportarono 288 (ne tornò uno solo). E non puoi non pensare come fu che li strapparono ai parenti, li incolonnarono, e con quali rauche grida straniere li fecero salire sui camion. Non puoi non pensare cosa fu, nel brutale tramestio del rastrellamento, staccarsi dal padre, e avvinghiarsi alla mano di una sorella di poco più grande, che sussurrava materna: non aver paura. Partire stringendo in mano un orsacchiotto, disperatamente, come un ultimo brandello di casa. Poi, su quei treni, non sappiamo. Il film si ferma, l’immaginazione si oscura – forse perché non tolleriamo di sapere. Che le vedano i nostri figli, le facce di quei vecchi inermi, e di quei bambini. Che facciano questo doloroso sbalordito tuffo in una memoria che, se a noi pare lontana, è in realtà così breve: quei ragazzi andavano a scuola con i nostri genitori. 66 anni, nei millenni della storia, sono un soffio. L’Olocausto – il cuore del male, il genocidio sistematico, scientifico, pianificato, taylorizzato in una maggiore efficienza – è stato appena ieri. Che sappiano, i figli. Che non siano troppo, ottusamente tranquilli. Girano voci su Internet e non solo che dicono che l’Olocausto è bugia e propaganda. Che non è vero. Che non è accaduto. In un vertice di menzogna, che vorrebbe annientare anche la memoria. Che li guardino, i nostri ragazzi, quei bambini. Che sussultino, riconoscendoli familiari. Che siano, dal loro destino, almeno per un momento feriti. Ci sono ferite necessarie, che occorre lasciare aperte. Occorre lasciarsi ferire e ricordare per stare svegli, per restare uomini. - Marina Corradi - donboscoland -

 
 
 

GIOVANNI PAOLO II VOLEVA LASCIARE IL VATICANO IN CASO DI MALATTIA

Post n°3000 pubblicato il 27 Gennaio 2010 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Un libro svela i retroscena su Giovanni Paolo II: in una lettera scritta di suo pugno si diceva disposto a lasciare il Vaticano in caso di malattia. Il Papa teneva nell’armadio una cintura per flagellarsi. E a volte dormiva per terra.

Un giorno, una delle suore in servizio nell’appartamento pontificio vide Giovanni Paolo II particolarmente affaticato e gli confidò di essere «preoccupata per Sua Santità». «Anch’io sono preoccupato per la mia santità» fu la sorridente e fulminea risposta di Papa Wojtyla. Preoccupazione infondata, ora che la causa di beatificazione si sta concludendo e presto il Pontefice polacco salirà sugli altari. Comincia con questo episodio piccolo eppure illuminante sulla personalità di Karol Wojtyla, il libro che il postulatore della causa Slawomir Oder ha scritto con il giornalista Saverio Gaeta rivelando testimonianze inedite emerse durante il processo. Il libro, Perché è santo (Rizzoli, pp. 200, 18,50 euro), è stato presentato ieri a Roma dal cardinale José Saraiva Martins, Prefetto emerito della Congregazione delle cause dei santi. Tra gli inediti più interessanti del volume da oggi in libreria, c’è un documento relativo alle dimissioni di Giovanni Paolo II, il quale, con l’approssimarsi dei 75 anni, nel 1994, fece studiare la possibilità di lasciare l’incarico anche in considerazione della malattia dalla quale era stato colpito, il morbo di Parkinson. Alla fine, «dopo aver pregato e riflettuto a lungo», consapevole che nella Chiesa «non c’è posto per un Papa emerito», Wojtyla decise di continuare, informando però il collegio cardinalizio di aver «già messo per iscritto» da tempo la sua volontà di rinunciare «nel caso di infermità che si presuma inguaribile» e che gli impedisca di esercitare le sue funzioni. All’infuori di questa ipotesi, però, scriveva, «avverto come grave obbligo di coscienza il dovere di continuare a svolgere il compito a cui Cristo Signore mi ha chiamato, fino a quando egli, nei misteriosi disegni della sua Provvidenza, vorrà». La lettera autografa di dimissioni è datata 15 febbraio 1989 ed è significativo che sia stata scritta prima dell’insorgere del Parkinson. Il Papa dichiara di voler rinunciare all’incarico «nel caso di infermità, che si presuma inguaribile, di lunga durata, e che mi impedisca di esercitare sufficientemente le funzioni del mio ministero apostolico, ovvero nel caso che altro grave e prolungato impedimento a ciò sia parimente ostacolo», lasciando al cardinale decano, al Vicario di Roma e ai capi dicastero «la facoltà di accettare e di rendere operanti» le dimissioni. Nel libro, che riporta il meglio delle 114 testimonianze agli atti della causa, pur omettendo i nomi di chi ha testimoniato, vengono confermati gli aspetti mistici di Giovanni Paolo II e il suo dialogo con Maria: uno dei suoi collaboratori, mentre parlavano delle apparizioni mariane, gli chiese se avesse mai visto la Madonna. La risposta del Papa fu netta: «No, non ho visto la Madonna, ma la sento». E alla luce di queste parole sono destinate a pesare le molteplici testimonianze che attestano come Wojtyla credesse alle apparizioni di Medjugorje. Nel libro si riportano, accreditandole, le parole da lui pronunciate nel 1987, durante un breve colloquio, con la veggente Mirjana Dragicevic, alla quale confidò: «Se non fossi Papa, sarei già a Medjugorje a confessare». Un’intenzione che trova conferma nella testimonianza del cardinale Frantisek Tomasek, arcivescovo emerito di Praga, il quale gli sentì dire che, se non fosse stato Papa, avrebbe voluto andare nel piccolo paese dell’Erzegovina per offrire aiuto nell’assistenza dei pellegrini. Anche il rapporto mistico con Padre Pio trova nuove conferme. Un testimone, che ebbe un’udienza con Giovanni Paolo II dopo aver preso parte alla sua messa nella cappella privata, a un certo punto del colloquio «ebbe l’impressione di veder sfumare il volto del Pontefice e apparire al suo posto l’immagine benevola del volto di Padre Pio. Quando rivelò la sua esperienza al Papa, si sentì rispondere con semplicità: "Anch’io lo vedo"». Viene fatta anche chiarezza sulle sue mortificazioni corporali alle quali Wojtyla si sottoponeva. «Era lui stesso a infliggere al proprio corpo disagi e mortificazioni... Non di rado passava la notte coricato sul nudo pavimento». Ma non si limitava a questo. Come hanno potuto sentire con le proprie orecchie alcuni membri del suo stretto entourage, «in Polonia come in Vaticano, Karol Wojtyla si flagellava. Nel suo armadio, in mezzo alle tonache, era appesa sull’attaccapanni una particolare cintura per i pantaloni, che lui utilizzava come frusta e che faceva portare sempre anche a Castel Gandolfo». Un altro inedito reso noto è il testo di una «lettera aperta» ad Ali Agca, con parole di perdono, che il Papa avrebbe voluto leggere durante l’udienza generale del 21 ottobre 1981. Come pure la segnalazione da parte dei servizi segreti italiani al Vaticano, di un progetto di sequestro del Papa da parte delle Brigate rosse, che giunse Oltretevere poco prima dell’attentato di Agca e per questo, appena colpito, il Papa disse al suo segretario: «Come per Bachelet», riferendosi al vicepresidente del Csm assassinato a Roma dai brigatisti nel febbraio 1980. Non manca infine una testimonianza relativa alla politica che coinvolge la Lega Nord. Giovanni Paolo II guardava infatti con particolare preoccupazione alle spinte secessionistiche che minavano l’unità del Paese. Come ha raccontato un testimone diretto di quei giorni: «Ricordo ancora vivamente lo sconcerto del Papa nell’estate del 1996, quando la Lega Nord andò alle fonti del fiume Po. Sentiva questo gesto come un crimine contro l’unità del Paese e mi chiedeva perché non intervenivano i carabinieri e il presidente della Repubblica non facesse nulla. Aveva ben presente il bene prezioso che l’Italia rappresentava anche per la Santa Sede e per il Papa. A questa convinzione si deve anche la decisione di unire nella persona del vicario di Roma la carica di presidente della Conferenza episcopale italiana». - Andrea Tornielli -

 
 
 

NEL GIORNO DELLA MEMORIA RICORDIAMO IL SACRIFICIO DI SAN MASSIMILIANO KOLBE

Post n°2999 pubblicato il 27 Gennaio 2010 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

AUSCHWITZ - ESTATE 1941

"Stavamo lavorando fuori dal campo con la ghiaia quando improvvisamente, verso le tre del pomeriggio, le sirene cominciarono ad ululare. Era un segno orribile. Significava che c'era stata una fuga. Immediatamente le sentinelle tedesche sollevarono i fucili, ci contarono, ed iniziarono un controllo rigorosissimo. Oltre a sorvegliare ogni nostro movimento, le guardie stavano all'erta per trovare il fuggitivo che, per quanto ne sapessero, poteva essersi nascosto in un campo, un albero, un pavimento, un veicolo, oppure in altri mille posti (...) Tuttavia, i nostri pensieri non erano rivolti a lui, ma a noi stessi, visto che per ogni evaso del nostro blocco, dieci o venti di noi sarebbero stati uccisi per rappresaglia. Quindi pregai, e sono certo che tutti gli altri fecero lo stesso: "Per favore, fa' che lui non sia del mio blocco, fa che sia del blocco 3 o del blocco 8, ma non del blocco 14". Ma quando tornammo al campo, capimmo che ci attendeva il peggio... il prigioniero mancante apparteneva al blocco 14."

- Testimonianza di Francis Mleczko, ex deportato

"Rimanemmo al sole sull'attenti - bollendo - dal mattino fino al tardo pomeriggio, con un unico intervallo a mezzogiorno, quando ci fu distribuita la nostra razione di zuppa. Molti si accasciarono, e vennero lasciati giacere ovunque cadessero. Dopo il lavoro, l'intero campo rimase sulll'attenti finchè gli fu permesso di andare a dormire. Nessuno ebbe da mangiare. Ma il mattino seguente, dopo aver ricevuto soltanto caffè, affrontammo un altro duro giorno di lavoro - tranne il blocco 14, a cui apparteneva il prigioniero mancante. Loro furono di nuovo messi sull'attenti, in pieno sole, per tutto il giorno." -

 

"Questa selezione avvenne verso la fine di luglio o l'inizio di agosto del 1941. Penso che fosse domenica, ma noi non tenevamo conto delle date. Però ricordo che stava suonando l'orchestra. I musicisti erano autorizzati, anzi incoraggiati, a portare i loro strumenti nel campo ed esercitarsi. Di domenica c'erano i loro concerti, i tedeschi amavano la loro musica. Era l'unica cosa di valore che trovassero in noi". - Testimonianza di Ted Wojtkowski, ex deportato

"L' EVASO NON E' STATO TROVATO.
COME RAPPRESAGLIA PER LA FUGA DEL VOSTRO COMPAGNO,
DIECI DI VOI MORIRANNO DI FAME.
. . . LA PROSSIMA VOLTA, SARANNO VENTI"

"Mi trovavo all'incirca nella quinta o sesta fila di dietro ed ero il quinto o sesto uomo dall'estremità da cui cominciò Fritsch. Mentre si avvicinava sempre di più, il mio cuore pulsava velocemente. "Fa' che mi superi, fa' che mi superi, oh passa, passa...". Stavo pregando.Ma no. Lui si fermò proprio davanti a me. I suoi occhi mi esaminarono dalla testa ai piedi, e poi di nuovo. Un secondo esame completo dall'alto verso il basso. Vidi il segretario preparare la matita per scrivere il mio numero. Poi Fritsch mi ordina in Polacco, "Apri la bocca." La apro. Lui guarda. Passa oltre. Io respiro di nuovo."

- Francis Mleczko

"Mi sembrò che quell'occhiata non finisse mai e che fra un momento sarei stato chiamato... Ma no. Mi sorpassarono e scelsero qualcun altro. Cominciai a tremare per il sollievo..."

- Mieczyslaus Koscielniak

"Sto pensando di aver avuto fortuna. Poi improvvisamente lui indica me in fondo alla fila e chiama:"Tu !". Il terrore mi congela e non riesco a muovermi. Visto che non faccio un passo avanti, il mio vicino pensa che Fritsch stia chiamando lui. Insicuro, mette un piede leggermente in fuori... "Non tu, dummkopf (porco polacco)", ringhia Fritsch, ed indica me di nuovo. Poi improvvisamente, in una frazione di secondo, cambia idea e, mentre il mio vicino comincia a indietreggiare, gli ordina di venire avanti e prende lui invece di me... Rimango paralizzato..."

ed Wojtkowski

"Dopo la scelta dei dieci prigionieri, padre Massimiliano uscì dalla fila e, togliendosi il berretto, si mise sull'attenti dinanzi al Comandante. Egli, sorpreso, rivolgendosi a padre Massimiliano, disse: "Che vuole questo porco polacco?". Padre Massimiliano, puntando il dito verso Francesco Gajowniczek, già prescelto per la morte, rispose: "Sono un sacerdote cattolico polacco; sono anziano (aveva 47 anni), voglio prendere il suo posto, perchè egli ha moglie e figli". Pare incredibile che il Comandante Fritsch abbia tolto dal gruppo dei condannati il Gajowniczek ed abbia accettata l'offerta di padre Kolbe, e che non abbia piuttosto condannati tutti e due al bunker della fame. Con un mostro come quello, ciò sarebbe stato possibile." - Francis Wlodarski

"Eravamo così stupiti da essere incapaci, almeno in quel momento, di reagire o di afferrare ciò che era successo... Tutto ciò che potevamo fare era rallegrarci dentro di noi per il fatto di non essere fra i condannati. Grazie a Dio non sono stato scelto io, ma qualcun altro! Per quanto sembri un atteggiamento insensibile, questa fu la nostra prima reazione umana." - Mieczyslaus Koscielniak

"CONOBBI PERSONALMENTE PADRE KOLBE SOLTANTO NELL'ESTATE DEL 1941,
IL GIORNO CHE OFFRI' LA SUA VITA PER ME.

 

Il Lagerfuhrer Fritsch, comandante del campo, circondato dalle guardie, si avvicinò e cominciò a scegliere nelle file dieci prigionieri per mandarli a morte. Indicò col dito anche me. Uscii fuori dalla fila e mi sfuggì un grido: avrei desiderato rivedere ancora i miei figli! Dopo un istante, uscì dalla fila un prigioniero, offrendo se stesso in mia vece. Potei solo cercare di esprimere con gli occhi la mia gratitudine. Ero sbalordito ed afferravo a malapena quello che stava accadendo. L'immensità di tutto ciò: io, il condannato, avrei continuato a vivere e qualcun altro offriva volentieri e spontaneamente la sua vita per me... un estraneo. E' sogno o realtà?" -

Francis Gajowniczek

"Sentii la sua influenza con assai maggior forza, dopo l'avvenimento che aveva scosso il campo, cioè quando egli offrì la propria vita per un altro prigioniero. La notizia dell'episodio si diffuse nel campo intero la notte stessa. Sono profondamente convinto che il comandante del campo permise che il prigioniero da lui scelto venisse sostituito da padre Kolbe, soltanto perchè padre Kolbe era un sacerdote. Egli gli aveva chiesto chiaramente: "Chi sei?". E, ottenuta la risposta, aveva ripetuto al suo compagno: "E' un Pfaffe (un pretonzolo)". E fu soltanto allora, che il comandante Fritsch disse: "Accetto". Tale convinzione me la sono formata subito, nel campo, quando mi venne riferito lo svolgersi dell'accaduto. Il sacrificio di padre Kolbe provocò una grande impressione nelle menti dei prigionieri, poichè nel campo non si riscontravano quasi mai manifestazioni di amore verso il prossimo. Un prigioniero si rifiutava di dare ad un altro un pezzo di pane... ed ora era successo che qualcuno aveva offerto la propria vita per un altro prigioniero a lui sconosciuto. Tutti i superstiti di Auschwitz testimoniano all'unanimità che, da allora, il campo divenne un luogo un pò meno infernale." - ph Stemler

IL BLOCCO 13 : IL BUNKER DELLA FAME

"Le dieci vittime passarono davanti a me e vidi che Padre Kolbe barcollava sotto il peso di uno degli altri, sorreggendolo, poichè costui non riusciva a camminare con le proprie forze."

ladislaus Swies

"Il blocco numero 13, era situato nella parte destra del campo, circondato da un muro alto sei metri. Nel sotterraneo (bunker) v'erano delle celle. Ad una di queste celle condussero i dieci prigionieri del blocco n°14. Chiudendo, le guardie gridarono sghignazzando: «Vi seccherete come tulipani». Da quel giorno, gli infelici non ebbero alcun cibo. Ogni giorno le guardie, facendo le visite di controllo, ordinavano di portare via i cadaveri di coloro che erano morti nel corso della notte. Nei momenti di assenza delle guardie, scendevo nel sotterraneo per conversare e consolare i compagni. Le calde preghiere e gli inni alla ss. Vergine si diffondevano per tutto il sotterraneo. Mi sembrava di essere in chiesa: padre Massimiliano Kolbe incominciava, e tutti gli altri rispondevano. Qualche volta erano così immersi nella preghiera, che non si accorgevano della venuta delle guardie per la solita visita. Finalmente, alle grida di queste, le voci si spegnevano. Quale martirio abbiano dovuto sostenere i prigionieri condannati ad una morte così atroce, lo attesti il fatto che i secchi (latrine) erano sempre vuoti e asciutti, dal che conviene arguire che i disgraziati bevevano, per la sete, la propria orina. Siccome i prigionieri erano già molto indeboliti, ormai le preghiere si recitavano solo sotto voce. Ad ogni ispezione, mentre già quasi tutti giacevano sul pavimento, si vedeva padre Kolbe in piedi o in ginocchio in mezzo a loro: con sguardo sereno fissava coloro che entravano." Così trascorsero due settimane. I prigionieri erano morti l'uno dopo l'altro, e, dopo tre settimane, ne erano rimasti ancora solo 4, tra cui anche padre Kolbe. Alle autorità sembrava che la cosa si protraesse troppo a lungo: la cella era necessaria per altre vittime. Perciò, il 14 agosto 1941, condussero nel bunker il criminale tedesco Boch, dell'ospedale, che fece a tutti delle iniezioni endovenose di acido fenico nel braccio sinistro.

Vidi padre Kolbe, con la preghiera sulle labbra, porgere da sè il braccio al carnefice. Non riuscii a sopportarlo. Con il pretesto di dover lavorare in ufficio, andai fuori. Appena uscirono le SS ed il carnefice, ritornai nella cella. Vi trovai Padre Massimiliano Kolbe seduto, appoggiato al muro, con gli occhi aperti e la testa china verso un lato. Il suo viso, sereno e puro, era raggiante". - Bruno Borgowiec - - [Innamorati di Maria] -

 
 
 

SAN MICHELE, L’ANGELO PROTETTORE DELLA CHIESA

Post n°2998 pubblicato il 27 Gennaio 2010 da diglilaverita
Foto di diglilaverita

Nella Nuova Alleanza, san Michele è rimasto il braccio destro di Dio, il condottiero dei divini trionfi. Egli ha condotto il popolo ebreo alla culla del Messia; prende da questa culla, il nuovo popolo di Dio: egli lo proteggerà fino alla fine dei tempi. Un vescovo dell’america latina ha osservato: "Secondo la Tradizione, l’Arcangelo San Michele precipitò dal cielo Lucifero con i suoi angeli ribelli e continua la battaglia contro Satana ed i suoi spiriti maligni per distruggerne il potere e aiutare la Chiesa militante, fino a che questa ottenga la vittoria finale. E’ bene perciò, che rinnoviamo la nostra fiducia nella potenza di San Michele e chiediamo il suo aiuto come, d’altra parte, la Chiesa ha sempre fatto". (Mons. Alfonso Uribe Aramillo, Angeli e diavoli, Edizioni San Michele, Laureana Cilento (SA) 1999, p. 19). La Chiesa riconosce san Michele per suo angelo tutelare ed il suo speciale patrono. Ella lo dichiarava in questi termini nella liturgia tridentina: "La Chiesa di Dio, come l’antica sinagoga, onora in san Michele il suo Custode ed il suo Protettore", poiché infatti la protezione di san Michele non le è mai mancata. L’Arcangelo, in effetti, libera san Pietro dalla prigione e rimane fedele alla Chiesa nel suo lungo martirio durato tre secoli, tempi spaventosi di persecuzioni, dove gli occorre sostenere l’impatto terribile delle passioni scatenate dall’inferno. Egli fa brillare agli occhi rapiti di Costantino il segno della vittoria, e ferma alle porte di Roma le orde selvagge condotte da Attila il flagello di Dio. E’ per questo che il papa San Leone IV lo invoca in suo soccorso quando i Saraceni invadono l’Italia. Quando in diverse epoche della storia, i nemici della Chiesa si avvicinano a Roma, è nella fortezza di Castel Sant’Angelo, che i papi fiduciosi si rifugiano. Quando la cristianità tutta intera si solleva per liberare la tomba di Cristo, l’Arcangelo viene in aiuto ai suoi eserciti. Selim avanza verso l’Occidente con una flotta formidabile? E’ senza dubbio la Vergine del Rosario che, a Lepanto, da la vittoria all’esercito cattolico; non è da temerario pertanto farvi intervenire san Michele invocato a tale riguardo dalla venerabile madre Serafina di Capri: egli vegliava sull’Italia dall’alto del monte Gargano. San Michele assiste la Chiesa nelle sue conquiste pacifiche che si chiamano la conversione dei popoli. Il grande evangelizzatore dei tedeschi, San Bonifacio l’invoca nel mezzo delle pianure della Germania. Carlo Magno, vero soldato della Chiesa, porta lo stendardo dell’Arcangelo attraverso l’Europa guadagnata alla fede. San Francesco Saverio, in punto di morte, gli affida il Giappone. San Michele apparve molte volte a coloro che avevano bisogno di aiuto e che Lo invocavano. Un autentico esempio è il suo aiuto a Santa Giovanna d’Arco nella straordinaria missione , affidatale per aiutare il re di Francia a restaurare la pace e la prosperità nel suo regno e cacciare i nemici dalle sue coste. Inoltre, in Francia, egli apparve a Mont S. Michel, in Normandia, dove c’è ancora un famoso santuario consacrato all’Arcangelo, meta annuale di milioni di turisti. In Italia la leggenda racconta che il santo Arcangelo mostrò se stesso al Vescovo di Siponto, sul monte Gargano dove una bellissima grotta- chiesa fu dedicata a lui. Durante questa apparizione, "San Michele intimò al vescovo che quel posto era sotto la sua protezione e che era sua volontà che Dio fosse venerato lì, in onore suo e degli angeli." Questo divenne, ed è ancora oggi sotto la custodia dei padri Michaeliti polacchi, un luogo sacro di grande devozione e attirò numerosi pellegrini tra cui papi ed imperatori. Ma a parte gli straordinari casi in cui il grande Arcangelo ritenne necessario apparire visibilmente agli occhi degli uomini, egli è sempre invisibilmente attivo nell’aiutare ogni singolo cristiano e tutte le nazioni cristiane. Siamo dunque fortunati ad avere un così potente avvocato! Una figlia spirituale di San Pio da Pietrelcina, trovandosi in una particolarissima e penosissima situazione e dovendo risolvere un delicatissimo problema, si recò in confessione da Padre Pio, il quale, dopo averla ascoltata, le disse: "E tu non l’hai l’avvucato a lu paese tuo?... ". La penitente rispose: "Quale avvocato, Padre?". E lui ancora: "T’ho detto, tu non l’hai l’avvucato a lu paese tuo?…". Quell’anima, sulle prime, non capì la risposta, avuta da Padre Pio, risposta a cui in seguito lei stessa diede la giusta spiegazione, e attese ancora dietro il confessionale per ricevere un’altra parola chiarificatrice da Padre Pio. Ma il frate, paternamente la licenziò. Quella donna, con una grande speranza nel cuore e fiduciosa nelle parole del suo confessore, si allontanò da San Giovanni Rotondo, convinta di ritrovare la luce, e che avrebbe risolto quanto le stava a cuore. Giunta al suo paese di origine, si trovò a pregare San Michele, il quale era il patrono del suo stesso paese in cui proprio in quei giorni veniva festeggiato. La preghiera all’Arcangelo che capitò sotto gli occhi della donna così diceva: "O glorioso mio protettore e avvocato San Michele…". A queste invocazioni, la donna comprese chiaramente che doveva rivolgersi al principe delle milizie celesti, ricordando le parole del frate del Gargano, e che San Michele era il suo avvocato. A lui si raccomandò caldamente e grazie all’Arcangelo ogni cosa riuscì secondo i suoi desideri. Dio gli diede un compassionevole amore per gli uomini, e non c’è una sola anima che sfugge alla sua attenzione premurosa. Più che mai di questi tempi, i cattolici hanno bisogno dell’aiuto di San Michele per rimanere fermi nella Fede. L’incredulità ha portato la sua insolenza al limite e fermamente proclama che non esiste Dio. E’ nostro dovere essere cattolici fedeli, proclamare la nostra fede apertamente e con forza, e preservare un caloroso, invincibile amore per Gesù Cristo. Non dimentichiamo mai che Satana fa di tutto per distruggere l’umanità. In mille modi egli congiura e combatte contro Dio cercando di usurpare il suo trono. In merito a questo, il seguente insegnamento dato dalla Beata Vergine Madre alla Venerabile Maria d’Agreda, è degna di essere citata: "Figlia mia il potere di nessuna umana parola ti farà riuscire in questa vita mortale a descrivere il male di Lucifero e dei suoi demoni contro gli uomini, o la malizia, l’astuzia, gli inganni con cui, nella sua ira, egli cerca di portarli al peccato e in seguito ai tormenti eterni. Egli cerca di ostacolare tutte le buone azioni… Tutta la malizia di cui la sua stessa mente è capace, egli cerca di iniettarla nelle nostre anime. Contro questi attacchi, Dio fornisce ammirabile protezione se gli uomini cooperano e corrispondono da parte loro". E’ impossibile riportare tutti i fatti meravigliosi attribuiti all’intervento di san Michele. Ci basterà dire che in tutte le sue prove, la Chiesa si è compiaciuta nel ripetere la parola del profeta Daniele: "Io non ho, nelle mie avversità, altro aiuto che san Michele". Il tempo in cui noi viviamo è per la Chiesa un’epoca di crisi formidabile, vi è di che tremare. Eppure non abbiamo paura. Sotto la sua protezione, la Chiesa, nonostante tanti scandali e cattivi esempi nel suo interno, continuerà ad illuminare il mondo ed a salvarlo. - don Marcello Stanzione -Pontifex -

 
 
 

EMMA BONINO IN PARROCCHIA: QUANDO I CATTOLICI "ADULTI" SI FANNO INGANNARE

Post n°2997 pubblicato il 27 Gennaio 2010 da diglilaverita
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L’inchiesta di Marianna Rizzini sui cattolici favorevoli alla Bonino, che la preferiranno a Renata Polverini alle prossime regionali del Lazio, non mi ha stupito. E sicuramente non ha meravigliato neppure la Bonino, che sa abilmente vestire i panni di Giano bifronte. In occasione della sua auto-candidatura a presidente della Repubblica di circa dieci anni fa, infatti, Emmatar non esita a diffondere ovunque la foto sua e di Pannella insieme a Giovanni Paolo II, con evidenti fini propagandistici. Contemporaneamente i radicali, lei compresa, si battono per la liberalizzazione della droga, celebrano la breccia di Porta Pia, rinvigoriscono l’Associazione per lo sbattezzo e nutrono di menzogne e di accuse contro la chiesa filiazioni radicali come Anticlericale.net. Ma in tempo di elezioni, quando occorre prendere voti, mentire non è un problema. Il fine giustifica i mezzi, per chi ha fini molto piccoli, molto umani e a breve scadenza. Così, per esempio, appena annunciato l’appoggio del Pd alla Bonino, per evitare polemiche in quel frangente inopportune, la radicale Maria Antonietta Coscioni ha prontamente ritirato 2.400 emendamenti alla legge sul testamento biologico. Alla faccia della conclamata coerenza. Vi erano infatti contenute esplicite dichiarazioni a favore dell’eutanasia, non solo nei casi estremi, come spesso si vuole far credere, ma in assoluto. Uno degli emendamenti opportunamente ritirati, pronto forse a essere riproposto dopo le Regionali, cominciava infatti così: "Ogni persona ha diritto di porre termine alla propria esistenza" (Corriere, 13/1/2010). Per fare un altro esempio, tratto dal passato, le associazioni di cui la Bonino fa parte ai tempi della famosa foto pubblicata da Libero, il Cisa e il M.L.D., non hanno nessuno scrupolo a spiegare a tutti, a pagina 25 di un libretto intitolato "Aborto: facciamolo da noi" (Ed. Napoleone, 1975), che la "cifra più riduttiva sugli aborti clandestini ogni anno" in Italia è di "un milione e mezzo". Solo quattro pagine dopo si dice, senza nessun ritegno, che l’aborto clandestino nel nostro paese "è vissuto da tre milioni di donne" ogni anno. Sparare cifre assurde e coscientemente gonfiate sino all’incredibile è insomma ritenuto lecito, pur di raggiungere l’obiettivo prefissato: in questo caso far passare il ricorso all’aborto come un fatto ormai normale ed acquisito. Analogamente, nello stesso libretto, non si ha scrupolo a sostenere che il "diritto" all’aborto non ammette eccezioni; che anzi spesso abortire è un bene, "una scelta matura e responsabile", perché serve a tutelare il nascituro da future condizioni precarie (fisiche, psicologiche o solo economiche che siano); oppure perché va a vantaggio della "famiglia preesistente, che spesso ha bisogno di essere difesa e protetta in quanto già reale e concreta". Tenere il bambino, al contrario, "a volte è un atto di debolezza e di egoismo", commesso da chi non vuol capire che l’embrione e il feto, che oggi con l’ecografia tutti sappiamo essere già formati, non sarebbero altro che "contenuto dell’utero, ancora informe e grumoso", una "ipotesi di vita", un "ovulo fecondato" né "vitale né capace di vita" ("un ovulo fecondato non è necessariamente una vita; non lo è per il padre e non lo è nemmeno per la madre"). Dunque, per gli autori del citato manuale per l’aborto, qualsiasi motivo è valido per ricorrere al metodo Karman, quello della pompa di bicicletta: un metodo "semplice, rapido", "per la donna e non per il ginecologo", con il "materiale tutto in plastica, con la punta tonda", inventato "in una comune popolare cinese", come "rifiuto da parte dei cinesi di utilizzare la scienza borghese così come essa è". Nello stesso opuscolo la chiesa viene svillaneggiata, e i cattolici nel contempo derisi o adulati. Anche la chiesa, si sussurra maliziosamente alle donne che per motivi religiosi hanno qualche remora ad abortire, ha sempre permesso tale azione, anche all’epoca del terribile Concilio di Trento. Per cui, care donne timorate di Dio, non vi preoccupate a ricorrere al nostro aiuto, tante "associazioni cattoliche" già lo fanno. Abortire non è un dramma, ma un momento di crescita; non un atto di egoismo, ma di maturità; neppure un peccato, ma un gesto nel solco della più pura tradizione evangelica. Infatti, "solo nel 1869 Pio IX per ragioni politiche (necessità di incrementare le nascite per aver maggior forza lavoro per la nascente industria) condannò nell’enciclica Rerum Novarum (di Leone XIII, ndr) l’aborto". Detto questo, mi chiedo se la doppiezza radicale, e in particolare quella della Bonino, sia la causa vera, profonda, del voto che molti cattolici le regaleranno. Non lo credo: di solito si inganna solo chi è già bendisposto a farsi ingannare, o chi ha perso il contatto con la propria storia, con le ragioni della propria cultura, in questo caso della propria fede. E’ allora a una crisi di fede e di ragione che occorre ricondurre il fenomeno. Personalmente ho un’ipotesi: il voto cattolico alla Bonino mi sembra riconducibile allo spirito irenistico che da quarant’anni a questa parte è penetrato, come il fumo di Satana di cui parlava Paolo VI, nella Chiesa. Quel fumo che avvolge la realtà, la verità, rendendola indistinta e confusa, e che fa sì che verità e carità, intimamente unite nel Cristo, siano state disgiunte dai suoi seguaci, non solo nei fatti, come è inevitabile, ma addirittura nella teoria. A partire soprattutto dagli anni sessanta, dal Concilio e dal post Concilio, infatti, si è diffusa in una certa parte del mondo cattolico l’idea che verità e carità siano in antagonismo, in alternativa: aut… aut, e non più et… et. Sono gli anni in cui si comincia a parlare quasi esclusivamente della cosiddetta "pastorale": come annunciare Cristo, come renderlo gradito al mondo, come evitare gli errori del passato, come fare la pace con la cultura contemporanea, come farsi accettare da tutti… Come, come, come…Questo diventa il problema essenziale, se non l’unico. L’assillo, direi, che ottenebra molte intelligenze. La forma diviene più importante della sostanza e la sostanza viene mutata per assumere forma più accattivante. Si chiama "aggiornamento", ottimismo mondano e porta persino a cambiare la traduzione del canone della Messa: l’evangelico "versato per voi e per molti", che lascia intendere la possibilità che alcuni uomini non vogliano usufruire del sangue redentore di Cristo, viene sostituito con "per voi e per tutti", frase molto più rassicurante, che suggerisce una salvezza universale e automatica per tutti. Così, piano piano, mentre si addolcisce il linguaggio e si smorzano le sferzate evangeliche, si dimentica che l’annuncio di Cristo non è solamente una questione di modi e di linguaggi appropriati; si omette di ammettere che talora è necessario opporsi al mondo, seguendo la via della croce, dello scandalo, del martirio, che Lui stesso, non altri, ha indicato. Inutile dire che spostare ogni accento sulla pastoralità, sulla carità, sulle modalità opportune, sul dialogo, sull’incontro, sull’apertura, ha condotto gradualmente a oscurare il dogma, i contenuti, la sostanza. Si è voluto rendere insipido il sale; si è annacquata la medicina perché non fosse più amara; si è preferito essere medici pietosi, che lasciano proliferare la piaga ulcerosa, piuttosto che medici coscienti e realistici. Ma è veramente possibile scindere la carità dalla verità? Cosa è l’aqmore, senza una meta, vera, cui dirigerlo? E’ servito, al "mondo", che nessuno più lo richiamasse, "opportune, importune", come raccomanda san Paolo? Ha aumentato il tasso di felicità della nostra civiltà? In nome dello spirito irenistico, cioè relativista, si è smarrita in molti la distinzione fondamentale tra peccatore e peccato, e nella confusione, si è ritenuto che abbracciare il peccatore significhi nel contempo, necessariamente, ignorare il peccato; che abbracciare la donna e l’uomo che hanno abortito comporti l’accettazione dell’aborto, e la sua derubricazione ad azione neutra e indifferente; che l’evangelico "non giudicare" significhi non prendere mai posizione per la verità. Anche, se non soprattutto, nei confronti di se stessi. Solo così si può giustificare lo svilupparsi, a poco a poco, di una catechesi in cui non si parla quasi più delle verità di fede, dei "novissimi" (morte, giudizio, inferno, paradiso), del senso del peccato, della confessione. In cui non si discute, neppure tra cattolici, per evitare scontri, dibattiti, frizioni, delle cose più serie e più concrete della vita di ogni giorno: la morale, il fidanzamento, il matrimonio, l’apertura ai figli. Al punto che il sottoscritto, che nella Chiesa è cresciuto, non ricorda di aver sentito quasi mai un sacerdote o un catechista parlare dell’indissolubilità del matrimonio, del divorzio, dell’aborto e delle altre sfide imposte dalla contemporaneità. Mentre a scuola, o con gli amici, se ne parlava spesso, senza che una voce chiara e ferma, divinamente ispirata, fosse neppure accessibile ai più. Ovviamente, in questo abbraccio col mondo, mentre si è ritenuto di poter scindere la carità dalla necessaria intransigenza sui principi, si è finiti per mancare alla carità primaria del cristiano: quella di dire e di annunciare la verità ricevuta. Quella di non nascondere la luce rivelata, per quanto possa dare fastidio agli occhi di chi è abituato alle tenebre, sotto il moggio. In conseguenza di questo nuovo spirito, si è sviluppato un cattolicesimo delle "buone maniere", della carità spicciola, divenuta filantropia. Così, piano piano sono nate generazioni di cattolici che ritengono che il peccato più grande sia votare Pdl o Lega ( sembra, anzi, talora, che sia l’unico peccato rimasto); che la fede sia qualcosa di personale, che non incide affatto nella vita di tutti i giorni; che l’essenziale sia nascondere la propria fede in Dio, perché non sia mai che il dichiararla, anche senza nessun trionfalismo o retorica, possa suonare come "imposizione"; che la chiesa abbia sempre sbagliato allorché ha lottato per affermare qualche principio contro il mondo; che i volontari del Movimento per la vita siano fanatici residui di un passato ormai al tramonto. Questi cattolici di nuovo conio, ben descritti da Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro nei loro pungenti manuali, sono dediti ai mea culpa giornalieri sul petto dei nostri padri; alla distribuzione di cibo e di vestiario, come unica proposta agli immigrati e ai poveri del Terzo mondo, quasi Cristo fosse venuto sulla terra esclusivamente per moltiplicare i pani e i pesci e non per darci "parole di vita eterna". Persa ogni concretezza e quotidianità, esultano per le marce pacifiste, colorate e poco impegnative, e schifano chi prega dinnanzi alle cliniche abortiste (ma spesso anche ci prega e basta); ammirano le inutilissime sfilate radicali a favore dei bambini che muoiono di fame in Africa, ma non sanno inorridire per le migliaia di bambini che il ciclone Emmatar ha eliminato con le proprie mani e col sorriso sulla bocca. Voteranno Bonino, magari senza grande convinzione, ma per dimostrare a se stessi di essere sufficientemente "laici", per sentirsi moderni, aperti e dialoganti. Come quella Maria Pia Garavaglia, senatrice cattolica del Pd, che mi ha scritto per complimentarsi, calorosamente, per la mia nomina alla direzione di un Movimento pro life, e qualche giorno dopo, con lo stesso entusiasmo, ha condannato un eventuale "rifiuto" e "chiusura" degli elettori cattolici verso la Bonino. Poi la ha ampiamente lodata e imbrodata in un’intervista a Radio radicale, come "persona di qualità politiche e umane" e ha solennemente dichiarato: "Conosco e stimo la candidata e sono sicura che, nella sua campagna elettorale, saprà valorizzare temi e programmi che stanno a cuore agli elettori cattolici". Quali temi e quali programmi. non si sa. - Francesco Agnoli - miradouro -

 
 
 

NUMEROSI EPISODI INEDITI NEL LIBRO DI MONSIGNOR EDER SU GIOVANNI PAOLO II

Post n°2996 pubblicato il 27 Gennaio 2010 da diglilaverita
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Delle possibili dimissioni di Giovanni Paolo II si era parlato in varie circostanze, soprattutto quando l'evoluzione del morbo di Parkinson gli aveva reso difficili anche i semplici gesti del quotidiano. Ma nessuno immaginava che gia' nel 1989 il Papa avesse firmato una lettera in cui rinunciava previamente al proprio ufficio, confermando successivamente nel 1994 tale volonta'. Quella lettera viene oggi pubblicata nel libro "Perche' e' Santo. Il vero Giovanni Paolo II raccontato dal postulatore della causa di beatificazione", firmato per Rizzoli da Monsignor Slawomir Oder e dal giornalista di "Famiglia cristiana", Saverio Gaeta. Il volume puo' rivelare aspetti sconosciuti della personalita' e della vita umana, spirituale ed ecclesiale del Papa polacco, grazie al posto di osservazione privilegiato dell'autore per poter accedere alle testimonianze (114 persone), agli scritti e a documenti inediti raccolti nelle tre inchieste diocesane svolte a Roma, a Cracovia e a New York, e qui condensati. Karol Wojtyla emerge non soltanto come un grande protagonista della storia del Novecento, ma soprattutto come un Papa che ha vissuto sino in fondo nella propria carne il messaggio evangelico. Sfogliando il volume si passa dalla documentazione rinvenuta negli archivi dei servizi segreti polacchi all'inedita "lettera aperta" all'attentatore Ali' Agca (preparata per un'udienza generale e mai pronunciata), dalla devozione alla Vergine alle rivelazioni di visioni soprannaturali di Giovanni Paolo II, alla testimonianza delle mortificazioni corporali che si infliggeva con la cinghia, fino alla lettera, anch'essa inedita, sulla questione delle dimissioni per ragioni di salute. Un gesto che non ha avuto attuazione - scrive Gaeta - "soltanto a motivo dell'eroica volonta' di Wojtyla di compiere sino in fondo la missione affidatagli da Dio". Sostiene Oder: "Con l'avanzare dell'eta', Papa Wojtyla comincio' a riflettere sull'opportunita' di rassegnare le dimissioni in caso di manifesta impossibilita' ad adempiere al proprio ministero. Ormai prossimo ai settantacinque anni (che avrebbe compiuto il 18 maggio 1995), avvio' una consultazione informale con i responsabili della Segreteria di Stato e con i suoi piu' intimi amici e collaboratori, discutendo con essi anche dell'eventualita' di applicare a se stesso la norma del Diritto canonico che prevede per i vescovi di lasciare il proprio incarico al compimento dei settantacinque anni. Il peggiorare delle condizioni fisiche lo induceva infatti a prendere seriamente in considerazione questa possibilita', per quanto egli fosse ben consapevole dei problemi che la presenza di un Papa emerito avrebbe potuto generare. Fece quindi studiare il tema dal punto di vista storico e teologico, consultando in particolare l'allora Cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ma alla fine si rimise alla volonta' di Dio". Cosi' scriveva dunque Giovanni Paolo II nel 1994: "Davanti a Dio ho riflettuto a lungo su che cosa debba fare il Papa per se stesso al momento in cui compira' i 75 anni. Al riguardo, vi confido che quando, due anni fa, si profilo' la possibilita' che il tumore da cui dovevo essere operato fosse maligno, pensai che il Padre che sta nei cieli volesse provvedere egli stesso a risolvere in anticipo il problema. Ma non fu cosi'. Dopo aver pregato e riflettuto a lungo sulle mie responsabilita' davanti a Dio, ritengo doveroso di seguire le disposizioni e l'esempio di Paolo VI, il quale, prospettandosi lo stesso problema, giudico' di non poter rinunciare al mandato apostolico se non in presenza di una infermita' inguaribile o di un impedimento tale da ostacolare l'esercizio delle funzioni di Successore di Pietro. Anch'io pertanto, seguendo le orme del mio Predecessore, ho gia' messo per iscritto la mia volonta' di rinunciare al sacro e canonico ufficio di Romano Pontefice nel caso di infermita' che si presuma inguaribile e che impedisca di esercitare (sufficientemente) le funzioni del ministero petrino. All'infuori di questa ipotesi, avverto come grave obbligo di coscienza il dovere di continuare a svolgere il compito a cui Cristo Signore mi ha chiamato, fino a quando egli, nei misteriosi disegni della sua Provvidenza, vorrà". Dalle pagine di questo libro emerge anche un Papa spiritoso e gioviale, pur nella malattia: "Quando fu costretto a utilizzare il bastone per camminare, si sentiva un po' impacciato. Gli costava fatica presentarsi in pubblico con questo segno evidente della sua fragilita' fisica, tanto che aveva preso l'abitudine di lasciare il bastone dietro la porta prima di entrare sul palco dell'aula Paolo VI per le udienze. Ma rapidamente accetto' con serenita' anche questo nuovo stato, come mostro' il suo giocoso roteare il bastone davanti a milioni di giovani durante la veglia della Giornata mondiale della gioventu' a Manila nel gennaio 1995. Non mancavano pero' i momenti in cui cercava di sdrammatizzare ricorrendo alla sua consueta ironia. Il 29 marzo 1998, per esempio, improvvisando durante un discorso disse: 'Vorrei chiedervi: perche' il Papa porta un bastone?... Pensavo che mi avreste risposto: perche' e' vecchio. Invece avete dato la risposta giusta: perche' e' 'pastore'. Il pastore porta un bastone, per appoggiarsi e anche per sistemare un po' l'ovile'. In un'altra occasione, durante un viaggio in America latina, si trovo' al fianco un Cardinale che aveva avuto un incidente e percio' camminava anche lui con il bastone: 'Cara Eminenza, siamo tutti e due bastonati', gli disse sorridendo". - Petrus -

 
 
 

NEL GIORNO DELLA MEMORIA LA VOCE DEI SOPRAVVISSUTI ITALIANI ALLA SHOAH

Post n°2995 pubblicato il 27 Gennaio 2010 da diglilaverita
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I riccioli d'oro e il riso ignaro di un bimbo che va a morire

Ci sono pagine che tolgono il respiro. Ed è dura andare avanti. Nonostante ormai si conosca tutto o quasi della Shoah, l'orrore è tale - e quello che si percepisce è solo un'infinitesima parte di quanto provato da chi c'era - che si stenta a credere sia stato possibile. Eppure non riesci a fermarti, perché senti che lo devi alla memoria di quanti non ce l'hanno fatta; al coraggio di quanti hanno accettato di raccontare l'indicibile; e a una verità storica che qualcuno ogni tanto prova vergognosamente a rimettere in discussione. Sarà perché ti inchioda di fronte alla degradazione di cui è capace l'uomo; sarà perché le testimonianze sono riportate anche in dialetto per restituirle nella loro pienezza, frammentate e ricomposte per ricostruire, come mai prima, la pagina più terribile e vergognosa della storia del secolo scorso; sarà perché sembra quasi di sentirle dalla viva voce dei sopravvissuti, ma Il libro della Shoah italiana (Torino, Einaudi, 2009, pagine 490, euro 42) curato da Marcello Pezzetti, riesce davvero a precipitare il lettore sulla soglia dell'inferno. Quell'inferno di cui parla Shlomo Venezia: "L'inferno… qualsiasi persona lo conosce dai libri, noi l'abbiamo vissuto". E lui, scelto a far parte del Sonderkommando di Birkenau - dove c'erano, scrive l'autore, "gli impianti omicidi più imponenti che l'uomo abbia edificato nel corso della storia" - sa quello che dice; lui stava all'inferno: doveva rimuovere i corpi dalle camere a gas, preparandoli per i crematori. Quella di Venezia è la più agghiacciante tra le testimonianze raccolte da Pezzetti, storico del Centro di documentazione ebraica contemporanea (Cdec) di Milano, membro di diverse istituzioni dedicate alla ricerca sulla Shoah, consulente dei registi Spielberg e Benigni, coautore del film Memoria, nonché direttore del costituendo Museo della Shoah di Roma. L'autore ha tirato le somme di un lavoro iniziato alla fine degli anni Ottanta, quando il Cdec cominciò a effettuare alcune interviste audio ai sopravvissuti. In seguito furono contattate le comunità ebraiche italiane affinché offrissero un aiuto nella ricerca. E si pensò di realizzare dei video con ciascun testimone. La prima intervista filmata fu realizzata il 15 giugno 1995, a Milano, con Rachele Levi, della comunità ebraica italiana di Rodi. L'ultima, a fine 2008, a uno dei pochissimi superstiti della retata del 16 ottobre 1943, a Roma, ancora in vita: Enzo Camerino, residente a Montreal, di passaggio nella capitale. In totale sono stati intervistati - riportandoli per quanto possibile nei luoghi di prigionia - centocinque ebrei, sessanta donne e quarantacinque uomini, sopravvissuti alla deportazione dall'Italia, compreso il Dodecanneso, tra il 1943 e il 1945. Di essi, ottantotto finirono ad Auschwitz (dove il primo convoglio italiano arrivò il 23 ottobre 1943), quattro a Ravensbrück, tre a Bergen-Belsen, uno a Buchenwald e i restanti in altri luoghi. Il lavoro è stato lungo, complesso e doloroso. "Doloroso - sottolinea l'autore - innanzitutto per chi è stato intervistato, spesso consapevole di offrirci con grande generosità una parte importante della propria vita che aveva deciso di non rendere mai pubblica, in secondo luogo per i componenti delle loro famiglie, che in molti casi hanno assistito alle interviste e hanno appreso la sorte dei propri cari nei dettagli solo in quell'istante, infine per noi che abbiamo raccolto la loro storia e la loro memoria, dal momento che è stato estremamente difficile mantenere un equilibrio tra il necessario rigore scientifico che doveva contraddistinguere il nostro approccio e il coinvolgimento umano che la drammaticità delle testimonianze suscitava". E il coinvolgimento umano non manca certo nella lettura di questo volume, pubblicato in occasione del Giorno della Memoria, che ripercorre le varie tappe del progetto di sterminio: la vita prima del fascismo, la convivenza con il regime, l'umiliazione delle leggi razziali, la violenza dell'occupazione nazista, gli arresti, gli interrogatori, la detenzione in carcere, il transito nei campi di concentramento italiani, il viaggio verso i lager, la prigionia nei campi della morte. È una lenta caduta nel tunnel della follia antisemita, nella peggiore delle abiezioni umane. Fino alla liberazione, al difficile ritorno a una vita che sembrava perduta, tra il lutto inconsolabile per i propri cari morti e il senso di colpa per essere sopravvissuti. Ognuno di questi momenti viene introdotto da una breve scheda che inquadra i luoghi e i fatti. Il resto lo raccontano loro, i testimoni, senza sconti, senza concedere nulla alla fantasia. Quanto raccontato sembra prendere forma. E li vedi lì, nel ghetto di Roma, cercare di sfuggire alla caccia, impauriti e sorpresi per l'inattesa violenza. Cogli il sollievo e la gratitudine per l'insperato aiuto di un conoscente, magari un cattolico, a volte un prete o una suora; o al contrario l'incredulità e la rabbia per la delazione di un vicino di casa, fino ad allora considerato amico. Li immagini nelle carceri, mentre vengono seviziati durante gli interrogatori attraverso i quali gli aguzzini cercano di estorcere i nomi di parenti e conoscenti ebrei. Li osservi persi nel Campo di Fossoli, o alla Risiera di San Sabba, macerati dai dubbi sul loro futuro incerto, mentre cominciano a giungere alle loro orecchie notizie spaventose. Senti l'asfissiante oppressione delle centinaia di persone rinchiuse nei carri merci, ammassate come bestie, in un viaggio disumano verso quelli che ci si illude siano campi di lavoro, mentre i più anziani e i più deboli cominciano già a morire. E poi l'arrivo nei lager; per la stragrande maggioranza Auschwitz-Birkenau, un luogo sul quale tra i deportati già circolavano voci tanto terribili quanto inverosimili. Li vedi su quella banchina, smarriti, impauriti, piangenti e tremanti, con gli sguardi attratti dal sinistro bagliore di quelle oscure ciminiere fumanti, con quell'odore nauseante e sconosciuto che avvolge tutto. Cogli l'angoscia straziante di quanti sono subito separati dai familiari: genitori, fratelli, sorelle, mariti, figli, i più grandicelli. I più piccoli sono immediatamente avviati con le mamme verso le camere a gas, assieme ad anziani e malati. Senti le loro urla terrorizzate, impotenti, disperate. "Siamo arrivati alla mattina - ricorda Ida Marcheria - ed è stata subito una Babele: urla, grida, abbaiare di cani. C'hanno levato il papà e i nostri fratelli, poi ci hanno diviso dalla mamma. A mamma l'hanno fatta salire su un camion, dicevano che noi dovevamo andare a piedi perché eravamo giovani. È salita sul camion e ci ha raccomandato: "Bambine, state sempre insieme!". Forse lo sentiva, non lo so… comunque non ha pianto la mia mamma, non piangeva. Non l'ho vista più. La mamma… è quella sera che è morta". "Il momento più terribile? La separazione dai genitori. È stata - dice Trahamin Cohen - una cosa tremenda… È stato terribile, terribile! Molte volte purtroppo questa scena mi viene in mente in sogno. Ma il ricordo è peggio del sogno. Il ricordo a me mi ammazza. Non ci reggo…". A Birkenau furono deportati circa duecentomila bambini, di loro seicento erano italiani. Tra questi c'era anche il più piccolo ebreo deportato dall'Italia. "Figlio di Marcella Perugia, nacque al Collegio militare di Roma il 17 ottobre 1943, il giorno prima della partenza. Questo bambino, forse nemmeno arrivato a Birkenau, è rimasto senza nome". Il libro è dedicato a lui. La quasi totalità dei bambini venne uccisa nelle camere a gas il giorno stesso dell'arrivo. Il loro ricordo è il più straziante. "I bambini… i bambini che scendevano dai vagoni erano come i bambini di tutto il mondo: piccoli, assolutamente ignari del loro destino… In particolare - sono le parole di Nedo Fiano - io ricordo un servizio di notte, quando è arrivato dalla Francia un convoglio di bambini molto piccoli, credo che nessuno superasse i cinque anni. Il fatto unico è che questi ragazzi erano felici, contenti di scendere da questi vagoni dov'erano stati per giorni, avevano sottobraccio i loro giocattoli e si avviarono verso il crematorio. Si tenevano, ricordo, in file di tre… si tenevano per mano. Mi ricordo un bambino coi capelli biondi, dai riccioli meravigliosi, riccioli d'oro, così felice… Era straziante, una scena incredibile". Tremendi sono anche i ricordi della vita del campo: l'angosciante rito delle selezioni - "È lì che abbiamo incontrato il dottore Mengele, il maledetto, e lui ha cominciato a separare gli uomini dalle donne con un cenno della testa", dice Arianna Szörényi - e il freddo, la fame, l'agonia dei malati, i Kinderblock dove finivano i bambini oggetto di sperimentazioni; e ancora le angherie, le violenze gratuite, brutali, inumane. "Davanti a me - ricorda Alberto Sed - c'era uno del Kommando che portava un regazzino verso un carretto; c'erano due tedeschi, uno dei quali gli ha detto: "Férmete! Il regazzino nun l'appoggiare, ma lancialo dentro il carretto!" 'Sto regazzino poteva ave' cinque, sette mesi… quando questo l'ha buttato, inaspettatamente uno dei due ha tirato fuori la pistola… e c'ha fatto il tiro a segno. Avevano scommesso dei marchi". "C'era la violenza più totale, la violenza assoluta. La violenza fisica prima di tutto, poi la violenza psicologica. Era - racconta Piero Terracina - un vivere continuamente sotto la paura delle percosse, delle punizioni, delle selezioni. Lì sapevamo che dovevamo morire. Potevamo morire dopo un giorno, dopo una settimana, dopo un mese, non si andava oltre con il pensiero". C'era la certezza di quell'inferno di cui parla Shlomo Venezia. Eppure, mentre tanti si lasciavano andare, altri si aggrappavano alla vita, spinti soprattutto dalla volontà di ritrovare un giorno i familiari da cui erano stati divisi. "Io vivevo soprattutto con l'idea di resistere per trovare le bambine, per ritornare con le bambine", dice Giulia Fiorentino Tedeschi. "Quello che mi spingeva a sopravvivere - è invece il ricordo di Virginia Gattegno - era l'idea di uscire di lì, cioè di morire magari appena fuori, ma non lì dentro a quell'inferno, non da prigioniera. Morire come un essere umano, insomma". Qualcuno arrivò a vedere il giorno della liberazione dei campi, alcuni tuttavia morirono nei giorni successivi per le malattie e gli stenti patiti, senza poter assaporare la ritrovata libertà. Ma per molti il ritorno alla vita non è stato facile. Emblematiche le parole di Ida Marcheria e di Alberto Israel, che riassumono lo stato d'animo di tanti sopravvissuti: "Io maledico il giorno che sono uscita da quel lager. Non dovevo uscire, non dovevo mai tornare. Non so gli altri, può darsi che sono felici, non lo so". "C'è una cosa che devo dire, con molta fatica: noi abbiamo un rimorso… perché noi siamo riusciti a vivere. Non avremo mai pace fino al giorno in cui non andremo a raggiungerli". Ma per altri prevale il senso di riconoscenza, nonostante tutto, malgrado il ricordo che non si cancella mai, e che torna come un incubo ricorrente. Nonostante quel "dov'era Dio" che ancora angoscia molti. C'è tutto questo e molto altro nel lavoro di Pezzetti. Complessivamente, secondo i dati del Cdec, dall'Italia venne deportato circa un quinto degli ebrei residenti: poco meno di 7.800 - cui vanno aggiunti 1.819 ebrei dei possedimenti italiani del Dodecanneso. Solo 837 sono tornati. Il libro della Shoah italiana è un doveroso tributo alla memoria di quanti non ce l'hanno fatta e un monito per il futuro. -

Gaetano Vallini ©L'Osservatore Romano -

 
 
 
 
 

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LE LACRIME DI MARIA

 

MESSAGGIO PER L’ITALIA

 

Civitavecchia la Madonna piange lì dove il cristianesimo è fiorito: la nostra nazione, l'Italia!  Dov'è nato uno fra i più grandi mistici santi dell'era moderna? In Italia! Padre Pio!
E per chi si è immolato Padre Pio come vittima di espiazione? Per i peccatori, certamente. Ma c'è di più. In alcune sue epistole si legge che egli ha espressamente richiesto al proprio direttore spirituale l'autorizzazione ad espiare i peccati per la nostra povera nazione. Un caso anche questo? O tutto un disegno divino di provvidenza e amore? Un disegno che da Padre Pio agli eventi di Siracusa e Civitavecchia fino a Marja Pavlovic racchiude un messaggio preciso per noi italiani? Quale? L'Italia è a rischio? Quale rischio? Il rischio di aver smarrito, come nazione, la fede cristiana non è forse immensamente più grave di qualsiasi cosa? Aggrappiamoci alla preghiera, è l'unica arma che abbiamo per salvarci dal naufragio morale in cui è caduto il nostro Paese... da La Verità vi Farà Liberi

 

 

 
 

SAN GIUSEPPE PROTETTORE

  A TE, O BEATO GIUSEPPE

A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio dopo quello della tua santissima Sposa.
Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità, che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni.
Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità; e stendi ognora ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l’eterna beatitudine in cielo.
Amen
San Giuseppe proteggi questo blog da ogni male errore e inganno.

 
 
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