Messaggi di Settembre 2014
Post n°2210 pubblicato il 29 Settembre 2014 da gratiasalavida
In occasione della riforma Fornero ci raccontarono che nel malessere di cui soffriva l'economia italiana aveva parte rilevante l'antagonismo (vero, o presunto?) tra i pensionati e i giovani: i primi antagonisti dei secondi perché, irresponsabilmente soddisfatti del loro assegno mensile, non si sarebbero curati del carico oneroso che le loro pensioni proiettano sull'erario statale, sottraendo così risorse ai giovani in attesa di entrare nel mondo del lavoro. Tale presunto egoismo dei vecchi gravante sulle nuove leve in procinto di cercare un'occupazione fu assunto a giustificazione della dilatazione dell'età contributiva necessaria a godere dei benefici della pensione. Oggi è stata chiamata in causa una nuova (vera o presunta?) forma di antagonismo: quella tra i lavoratori a reddito fisso e i giovani appena entrati nel mondo del lavoro in veste di precari; i primi antagonisti dei secondi perché, in quanto titolari di diritti garantiti, illo tempore, dallo Statuto dei lavoratori, non si preoccuperebbero di quella fetta rilevante del mercato del lavoro tagliata fuori da ogni sorta didiritto consimile. Tale presunto egoismo dei lavoratori a reddito fisso gravante sulle nuove leve in procinto di cercare un'occupazione viene assunto a giustificazione della necessità di abolire, per le nuove leve occupazionali, ciò che resta dell'articolo diciotto, già snaturato e svuotato di polpa dai governi precedenti. Non capisco. Non capisco. Sono confusa. Gli anziani pensionati sono stati colpevolizzati perché, finché rimangono in vita, sottraggono risorse preziose all'erario e le distolgono dall'occupazione giovanile, però la soluzione al problema è stata cercata attraverso un prolungamento dell'età pensionabile. Non capisco. Se l'età pensionabile degli occupati viene prolungata, ciò non si traduce in un inevitabile ritardo del momento in cui nuovi occupati potranno prendere il posto dei vecchi? Non capisco. So solo che se dovrò lasciare il mio impiego a settant'anni, quel giovane che potrebbe aspirare a prendere il mio posto, una volta che io l'avrò liberato, si farà vecchio prima di trovare un'occupazione, a meno che non frequenti un corso accelerato di magia nera e cominci a farmi il malocchio, augurandomi di passare a miglior vita prima di aver raggiunto l'età della pensione. Azzo! E poi, ancora, non capisco. Sono confusa. Dovrei sentirmi in colpa perché il mio contratto di lavoro mi garantisce dei diritti, mentre i giovani neoassunti ne sono sprovvisti. Diamine! Non ho compreso perché dovrei sentirmi in colpa! Se mi sono garantiti dei sacrosanti diritti, e se ai neoassunti non sono garantiti, allora facciamo in modo di garantirli anche ai neoassunti! Non capisco. Non capisco. Non capisco perché la conservazione dell'articolo diciotto anche per i neoassunti dovrebbe trasformarsi in un vulnus per la loro piena occupazione. Non comprendo. E non comprendo perché, ogni volta che viene prospettata una legge che diminuisce i diritti, invece di garantirli, viene chiamato in causa un antagonismo che, nei fatti, non dovrebbe esistere. E nei fatti non esiste. Antagonismo tra pensionati e giovani? Antagonismo tra lavoratori a reddito fisso e lavoratori precari? Nei fatti, oggi, se il sistema Italia sta reggendo, lo dobbiamo a due forme di ammortizzatori sociali che nessuna legge, se non quella della consuetudine, ha sancito. Quali ammortizzatori sociali? Le pensioni e i redditi fissi. Intere famiglie, allargate a più generazioni, sopravvivono oggi proprio grazie alla pensione di uno o più membri anziani della famiglia, quando la pensione è abbastanza dignitosa da poter essere condivisa con i parenti stretti privi di occupazione, o di occupazione stabile. Intere famiglie, inoltre, sopravvivono oggi facendo leva sull'unica entrata mensile stabile garantita da un occupato a reddito fisso. Intere famiglie, inoltre, sopravvivono dignitosamente consumando i risparmi che in passato sono stati messi da parte proprio grazie alla presenza, in quelle famiglie, di uno o più redditi fissi. Antagonismo? Direi, piuttosto, solidarietà familiare, che oggi come oggi, in assenza, o in presenza ridotta di ammortizzatori sociali, è l'unico reale antidoto alla povertà. Non capisco, dunque. Non capisco. Non capisco come si possa far fronte alla carenza di posti di lavoro attraverso proposte di legge che tendano a spogliare quei pochi posti di lavoro ancora disponibili delle garanzie un tempo acquisite con lo Statuto dei Lavoratori. Ricodo che l'articolo diciotto era nato come un baluardo della Democrazia sui luoghi di lavoro. Ricordo che l'articolo diciotto consentiva ai lavoratori di esprimere le proprie idee, le proprie posizioni politiche, le proprie istanze critiche, senza la paura di essere candidati al licenziamento solo perché scomodi o troppo esposti. Ai giovani, oggi, si racconta la favola per cui, cancellando l'articolo diciotto, si apriranno magicamente, per loro, le porte del mondo del lavoro, ma è così? Siamo proprio sicuri che l'indice occupazionale dipenda dalla sopravvivenza, o meno, dell'articolo diciotto? Non dipenderà, forse, da altri fattori, quali la mancata crescita economica, la mancata disponibilità delle banche a finanziare nuovi progetti d'impresa, l'emorragia continua di denaro pubblico ad opera di chi lo intercetta e se ne impossessa solo per il proprio tornaconto? Non dipenderà forse, la discesa dell'indice occupazionale, dalla presenza di forme arcaiche di privilegio legate a baronie politiche ed economiche che continuano ad agire, indisturbate, sul territorio nazionale? Non dipenderà, forse, la discesa dell'indice occupazionale, da politiche che non premiano i datori di lavoro che offrono ai loro dipendenti un'occupazione stabile? Non dipenderà, forse, la discesa dell'indice occupazionale, dalla penosa riduzione degli investimenti finalizzati alla ricerca scientifica e tecnologica, e dalla mancata valorizzazione dell'enorme patrimonio culturale, storico monumentale e naturale che l'Italia detiene senza apprezzarlo a dovere? Non capisco. Non capisco. Sono confusa. Boh! |
Post n°2208 pubblicato il 28 Settembre 2014 da gratiasalavida
Si corse lungamente come radenti il tempo da smarrire.
A rinvenire un giorno - altrove da partenza - fonte sorgiva essenza di frescura ove adagiare il passo occorse il caso.
Si corse e nella cura di arrivare ovunque in qualche posto in qualche tempo al fuoco d'esistenza, o al suo contrario, si scorse una parvenza di traguardo.
Lo sguardo fisso dentro all'inventario al centro dell'andare scorse per caso il mare.
Ed era troppo ed era tanto ed era troppo poco per placare la corsa folle tesa all'infinito.
Ed era troppo arduo ritornare.
Ed era forse sera forse giorno. Ed era forse l'aura di un tiepido tramonto a scivolare piano sulle cose.
A stringere dei passi la rincorsa. A stendere sul tempo della corsa un senso impercettibile di oblio.
Si scorse con lo sguardo poco o niente: una distesa verde in tono azzurro.
Un universo piccolo sperduto centrato dallo sguardo in un secondo. Un universo piccolo pacato trascorso nella luce in un istante.
Si scorse.
In poco o niente un incompiuto di bellezza andante sul sole ormai in declino.
Si scorse.
E si era fermi.
Era l'arrivo. O forse un nuovo viaggio da affrontare. ------------ Da me a me, in un giorno speciale. |
Post n°2207 pubblicato il 22 Settembre 2014 da gratiasalavida
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Dapprima. Si erano limitati all'uso di armamenti convenzionali. Poi. Cominciarono a distruggersi reciprocamente con armi chimiche. Poi. Entrambi i contendenti si servirono dei reciproci alleati per seminare la piaga delle armi batteriologiche. Infine. Infine si convinsero che era arrivato il momento di usare le atomiche. Gli uomini, ovunque fossero, cominciarono a morire. Alcuni non se ne accorsero, di morire, polverizzati all'istante, mentre tentavano di sopravvivere, un giorno dopo l'altro, alla carenza, ormai cronica, di cibo e acqua. Altri se ne accorsero, invece, che era giunta l'ora di trapassare a miglior vita. E il dolore delle piaghe prodotte dalla nube radioattiva prodotta dall'esplodere delle atomiche era a tal punto insopportabile da spingerli a desiderare di morire quanto prima, poiché ogni minuto di sopravvivenza acuiva il malessere, piuttosto che lenirlo. Altri trovarono la morte solo dopo giorni e giorni di una prolungata agonia trascorsa in stato semicosciente, non tale, tuttavia, da abbassare significativamente la soglia del dolore fisico, acutissimo, provocato dalle emorragie che si erano propagate da un organo all'altro, fino a comprometterne irrimediabilmente la funzionalità. Poi. Gli uomini continuarono a morire. Ovunque. A milioni. A milioni. A miliardi. Poi. Poi. Morirono tutti. Al posto della varia e composita umanità che brulicava in ogni lembo ospitale del pianeta, al posto delle minute comunità che sopravvivevano da secoli negli angoli più remoti e meno vivibili del pianeta, si diffuse il silenzio. Un silenzio profondissimo, reso ancora più profondo dalla pressoché totale scomparsa di ogni suono o rumore prodotto da una qualsiasi delle forme di vita che un tempo popolavano il pianeta. Iniseme agli uomini erano scomparse le altre specie animali, debellate, come quella umana, dalla guerra totale in cui la vita era stata stritolata dall'efficienza ditruttiva di armamenti resi infallibili dall'elevato investimento tecnologico speso dagli uomini prima di cominciare la guerra. Erano scomparsi, cancellati dalla faccia della terra, cani, gatti, cavalli, pecore, buoi, uccelli, animali predatori, pesci, rettili, insetti. La superficie terrestre, ancora segnata dalle tracce della permanenza, su di essa, dell'uomo e delle altre specie animali, ancora non aveva provveduto a smaltire le spoglie dei miliardi di cadaveri che si erano accumulati in breve tempo in vaste aree della fascia temperata e di quella equatoriale e subequatoriale, e in minute porzioni della fascia a clima freddo. Entro breve tempo, tuttavia, le spoglie sarebbero state totalmente aggredite, decomposte e digerite dai batteri e dagli altri microorganismi che, unici fra tutte le specie, erano sopravvissuti e avevano dato prova di una straordinaria capacità di assimilazione della gigantesca mole di scarti organici prodotti, morendo, da quelle forme di vita che un tempo si erano credute proprietarie del pianeta. I batteri, tuttavia, lo si sa, portano avanti la loro opera trasformatrice nel più assoluto silenzio. Il più assoluto silenzio, dunque, regnava sul pianeta, rotto talora dal sibilo prodotto dal vento quando si apriva la strada tra le macerie di quelle che erano state città; rotto talora dal rumore della pioggia che sferzava con violenza le superfici deturpate dai resti scheletrici di quelle che un tempo erano state abitazioni e che ora, a guardarle, non si sarebbero percepite come tali, in quanto ammassi informi di acciaio, cemento e materiali plastici anneriti dal fuoco dei numerosi incendi che erano divampati nel corso della Guerra. Nel silenzio assoluto, un silenzio profondissimo, quasi metafisico, disorientato e spaventato si aggirava lui. Lui. Un uomo. L'unico, tra i miliardi di esemplari delle specie viventi che un tempo abitavano il pianeta, che fosse riuscito a rimanere in vita. Era scampato al fuoco delle armi convenzionali. Era stato infettato da almeno cinquanta agenti patogeni, ma era riuscito a sopravvivere alle conseguenze delle ripetute infezioni che lo avevano colpito. Era scampato, chissà come, all'annientamento prodotto dalle armi atomiche, e all'avvelenamento poi determinato dalle numerose nubi radioattive che avevano contaminato l'atmosfera, l'acqua, il cibo presente sul pianeta. Era sopravvissuto alle ferite, alle piaghe, alle emorragie, alla carestia, all'ingerimento di acqua e cibi contaminati. Era sopravvissuto a tutto ciò che aveva determinato la morte degli altri esseri viventi. Era solo, ancora vivo, in un pianeta abbandonato da ogni forma di vita animale in grado di comunicare e di rendere immediatamente tangibile la propria presenza sul pianeta. In un primo momento, quando era cominciato il grande silenzio - lui si era da poco risvegliato da uno degli attacchi febbrili che ne avevano messo a dura prova il fisico già minato da precedenti febbri virali - pensava che prima o poi sarebbe riuscito a incrociare un altro essere, come lui sopravvissuto alla catastrofe. Inizialmente ne era stato fermamente convinto. Se sono sopravvissuto io, si diceva, saranno sopravvissuti altri come me, abbastanza resistenti da non lasciarsi stroncare dalle piaghe, dalla febbre, dalle infezioni, dalle emorraggie, dalla penuria del cibo, dall'ingestione di acqua avvelenata. Poi. Poi, con il trascorrere del tempo e il perdurare del Silenzio, sempre più profondo, sempre meno sopportabile, le convinzioni che lo avevano sostenuto inizialmente, cominciarono a vacillare. Poi. Poi, dopo un tempo lunghissimo, che lui non tentava nemmeno più di calcolare nel suo lento scorrere, come faceva all'inizio, si convinse di essere solo. Solo. Poi. Poi, trascorso ancora del tempo, un tempo lunghissimo, in un silenzio profondo, solo talvolta interrotto dalla pioggia e dal vento, si rese conto di non riuscire più a proferire suoni articolati e dotati di senso, tanto si era radicata la sua disabitudine a usare il linguaggio per comunicare con un altro essere in grado di ricevere il messaggio Poi, trascorso altro tempo, un tempo senza fine, protrattosi in uno spazio reso muto dall'assenza di altri suoni e rumori che non fossero prodotti da lui, unico sopravvissuto della sua e delle altre specie un tempo viventi sul pianeta, percepì confusamente di non essere più in grado di formulare pensieri coerenti, poiché aveva gradualmente disimparato, dapprima a leggere e scrivere, poi a parlare, infine a formulare pensieri nella lingua madre. I pensieri, dunque, sorgevano nella sua mente non più organizzati da strutture linguistiche, presentandosi come informi scariche elettriche prive di un contenuto definito, ammassi nebulosi di immagini e, più raramente, di suoni, cui non era più in grado di associare un senso provvisorio o definitivo. Ammassi nebulosi di immagini e suoni nei quali il vissuto si ripresentava ossessivamente come incomprensibile fonte di un doloroso sentimento di mancanza. Che cosa gli mancasse, non era più in grado di dirlo e neppure di pensarlo coerentemente. Lo sentiva e basta, come dolore mentale acutissimo che si propagava nel fisico, continuamente tormentato, più che dalla penuria di cibo e acqua, più che dalla ingestione di sostanze tossiche o non commestibili, dalla assenza di qualcosa che non riusciva più a conformare come ricordo compiuto. Trascorse altro tempo. Continuava a sopravvivere, malgrado la debilitazione fisica, resa più grave dal peso degli anni. Continuava a sopravvivere, malgrado avesse perso la coscienza di sé. Continuava a sopravvivere, in uno stato di vita elementare in cui il corpo si proiettava nello spazio circostante alla ricerca della soddisfazione dei propri bisogni primari, ma lo faceva come per un automatismo innato. Poi. Poi, dopo che altro tempo fu scorso, un giorno, improvvisamente, senza che alcun segno della sua presenza ne avesse dato il preavviso, l'uomo incontrò un altro essere. Un altro uomo, sopravvissuto, chissà come e chissà dove, alla catastrofe di cui entrambi non avevano più il ricordo, se non attraverso immagini confuse e inintelligiibili. Lui stava procurandosi del cibo, strappando radici avvelenate da una terra che ben poco aveva da offrire, quando lo vide sbucare da un avvallamento del terreno che molti decenni prima, probabilmente, era stato una costruzione, da tempo semisepolta da strati e strati di cenere e polveri. Lo vide e non lo riconobbe come suo simile. Così l'altro. Lo vide e non lo riconobbe come suo simile. Lui prese da terra una grossa pietra e gliela scagliò contro, centrando il bersaglio. L'altro, prima di morire, riuscì ad avventarsi contro di lui, armato di un rudimentale bastone ricavato dal ramo di un albero, e gli inferse un colpo mortale alla tempia. Morirono entrambi. Senza essersi riconosciuti.
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Post n°2205 pubblicato il 16 Settembre 2014 da gratiasalavida
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sono esclusivo frutto della mia creatività. Cinzia M.
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di questo blog e dei testi che vi sono quotidianamente
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