Quando si allunga il rosso arcobaleno, è come sei il cielo si colorasse; quando splendono i bianchi raggi del sole, è come se il cielo si accendesse di luce. Ma il cielo, per sua natura, non è cosa che si possa illuminare. Né tingere. Con uno spirito simile, anch'io do colore alle più svariate forme pur sapendo che nulla rimane...
(Kawabata Yasunari)
« 06/09/2013 | 25.03.2013 » |
Post n°198 pubblicato il 30 Novembre 2016 da maandrax
Dente della strega Quel giorno c'eravamo vestiti per una delle nostre spedizioni sconce. Io avevo dodici anni, Viviana, Chris, Nicola, Ettore, Matteo, Massimo poco più o poco meno. L'aria greve dell'estate ci scompigliava i capelli e lasciava cadere profumi densi sui nostri piccoli corpi appena coperti. Avevamo deciso di andare verso il Dente della Strega passando a fianco delle nuove case in costruzioni e della scintillante abitazione di Groff. Caracollavamo come dei piccoli puledri e occupavamo tutto il piccolo sentiero, lungo la strada tagliavamo dei piccoli scudisci dalle piante affilate che sgorgavano ai lati del percorso, i nostri sorrisi sbilenchi si riempivano di rododendri, viole e stelle alpine. Eravamo inebriati da quella stagione sovraccarica e ci davamo la caccia: con le piccole fruste sulle nostre caviglie, lasciando segni rossi costellati da imprecazioni e insulti. Lontano si stendevano le montagne immobili della Cima Carega e dello Stivo, più a sinistra il sole risplendeva cieco allungando le dita sulle nostre figure per tastarci meglio e orientarsi. Guardavo le tette di Viviana ballonzolare troppo per la sua età e una sensazione di subbuglio mi afferrava i lombi e mi preprogrammava per una vita di sudori freddi e labbra lascive. Chris mi prendeva in giro per il mio balbettare di fronte a quella natura popputa di sua sorella, me la faceva gettare contro e Io sentivo qualcosa indurirmi il pene e farlo sfregare contro il tessuto dei pantaloncini. Ero giusto un bambino che cresceva in fretta. Poi così si svolsero le cose. Eravamo arrivati alla svolta che sovrasta la casa di Groff. Le imposte erano chiuse e i piccoli cipressi svettavano follemente immobili malgrado la brezza estiva. Ci spingevamo, cacciavamo qualche pugno l'un l'altro, urlavamo, imprecavamo e facevamo tutte le cose che si fanno quando il calore entra da padrone nelle vene. "Ehi, quella casa mi rompe." Aveva bofonchiato Ettore. Sapevamo tutti che era una casa di fantasmi e che il giovane Groff l'abitava, da solo, nei mesi invernali. Era un edificio fuoricasta, qualcosa da cui una strana sensazione collettiva ci metteva in guardia. Aveva cominciato Matteo raccogliendo un sasso e scagliandolo contro gli scuri chiusi. Poi tutti, in silenzio avevamo preso le nostre pietre e, a raffica, avevamo centrato la casa, con rabbia ed esaltazione. Era mezzogiorno e la luce era a picco, nessuno transitava per quella stradina e la gragnuola aveva centrato il bersaglio grosso; noi eravamo già tutti sudati quando i colpi si erano spostati verso le finestrelle della cantina ombreggiati da gerani: avevamo sfondato i vetri, squassato le pianticelle, sventrato i contenitori. Come durante una grandinata improvvisa le pietre si erano velocemente cumulate ai lati delle piccole feritoie, oppure erano piombate direttamente nella cantina. Dopo quello che sembrava un tempo infinito tutti avevamo tirato un sospiro collettivo: La Casa era sempre là, appena urtata dal nostro scoppio di violenza, giusto ammaccata dal nostro orgasmo prepuberale a base di aggressività. In silenzio ora, maledicendo il sole, ci avviavamo verso il Dente della Strega. (Fine) |
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