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Sole ad Oriente

Consapevolezza non è semplice conoscenza: essa corrisponde al grado in cui la conoscenza diventa totalmente e istintivamente applicata alla vita, poiché entra a far parte del bagaglio interiore della persona; a quel punto essa non ha più necessità di attraversare esperienze per imparare, né patirne le conseguenti sofferenze...

 

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."
 
 
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Quando la malattia fa crescere

Post n°1422 pubblicato il 08 Febbraio 2012 da 22k
 

- Corpo, emozioni e spirito: i tre livelli della sofferenza -

Diciamolo subito: ancora non vi è alcuna riprova scientifica a questo. Eppure la convinzione che la quasi totalità delle malattie sia di origine psicologica è un'evidenza che emerge da numerosi riscontri clinici. Senza voler fare "di tutt'erba un fascio" e tenendo conto di tanti fattori esterni come virus, batteri, agenti chimici, alimentari, lesioni e traumi, malgrado questo, la clinica e l'esperienza con le persone fa emergere questo dato sconcertante: i fattori interni, psicologici, hanno un peso determinante se non addirittura scatenante in moltissime malattie.


Per fare un esempio: essere esposti ad un virus - andando a trovare un amico influenzato - non comporta necessarimente contrarre l'influenza. Viceversa non sempre si è stati esposti al freddo per essersi buscati un bel raffreddore. Ma allora cos'è che veramente fa insorgere una malattia? Molti autori sono convinti che l'etiologia di una malattia sia un insieme di fattori interni ed esterni. Un bambino allergico al pelo di gatto si trova ad accarezzare un micio, ma contemporaneamente il suo vissuto interiore è disponibile ad accettare la malattia: ecco allora comparire la reazione allergica. Quest'ultima non sarebbe emersa (malgrado il bambino sia costituzionalmente allergico) se uno dei due fattori non fosse stato contemporaneamente presente: il micio e la disposizione interna. Fin qui gli studi vicini alla medicina psicosomatica che sta avendo numerosi riscontri scientifici e sta aprendo nuovi ed affascinanti filoni di ricerca.


Tuttavia l'affermazione che ancora non trova "pezze di appoggio" scientifiche è che tutte (o la maggior parte) delle malattie hanno origine prima di tutto nella psiche e nell'anima delle persone. Già alla fine dell'800 la pensava così Edward Bach, il famoso medico inglese scopritore dei 38 fiori che diedero vita alla Floriterapia. La sua convinzione era che la malattia insorge quando lo stato d'animo della persona è turbato da un'emozione negativa. Quello che va curato - diceva Bach - non è solo la gastrite, ma la rabbia, l'intolleranza, l'invidia, l'odio, la gelosia, l'acredine che fanno insorgere la gastrite. Sicuramente nello stomaco di un malato di gastrite vivono colonie di Helicopter Pylori, ma esse hanno potuto attecchire e proliferare solo perchè l'animo della persona era appesantito da stati d'animo negativi, da inconsci sensi di colpa, da rabbie inespresse, da un'incapacità cronica di amarsi.


E qui tocchiamo un punto importantissimo: la capacità di amarsi, di accettarsi per quello che si è e non per quello che si vorrebbe essere o avere. Louise Hay afferma in più occasioni che se attendiamo di avere una casa più grande, o un lavoro migliore per cominicare ad amarci, vuol dire che non abbiamo capito nulla del nostro stato di salute, nè di ciò che veramente costituisce la qualità della nostra vita. Ogni pensiero presente determina la nostra vita futura: l'opinione che oggi abbiamo di noi stessi influenza la realtà al punto tale che facilmente ci accadranno le cose che abbiamo pensato. Attenzione: non sto parlando del pensiero magico o animistico, secondo il quale basta pensare ad un oggetto o un evento perchè l'oggetto compaia o l'evento si avveri.


Dico invece che se nel nostro inconscio siamo convinti di non essere all'altezza, di non meritare nulla, di essere copevoli di qualcosa, o di essere arrabbiati per qualcosa, facilmente anche all'esterno andremo a capitare in situazioni, circostanze che avvereranno ciò che incosciamente ci portiamo dentro. Si tratta della conosciuta profezia che si autoavvera, secondo la quale le convinzioni interiori - spesso inconsce - influenzano concretamente la nostra vita. Se un persona - ad esempio - è continuamente convinta di essere criticata o perseguitata, facilmente si troverà in situazioni in cui qualcuno realmente la criticherà. In altre parole, tutti i nostri personaggi interiori, presto o tardi trovano espressione in persone reali, le quali si comporteranno esattamente come noi li viviamo internamente.


Il significato della malattia allora va ricercato ad un primo livello sicuramente nei batteri e nelle cause organiche, ma ad un secondo livello anche nelle emozioni.


Ma se le emozioni fanno parte del nostro bagaglio inconscio, basterebbe fare emergere dall'inconscio tali emozioni per non ammalarsi più? Assolutamente no! Noi abbiamo bisogno della malattia: esattamente come abbiamo bisogno di un buono stato di salute. Abbiamo bisogno della malattia perchè senza di essa non potremmo fare quelle trasformazioni che il nostro progetto esistenziale ci spinge a fare. Questo è il terzo livello, quello appunto esistenziale postulato da Antonio Mercurio, senza il quale la malattia non avrebbe significato e non può essere spiegata. Naturalmente questo non significa che per seguire il nostro progetto sia necessario ammalarsi: tuttavia spesso la malattia è l'espressione di una cattiva comunicazione interiore tra il nostro Io psichico e il nostro Sè.


Tutti noi desideriamo raggiungere quegli obiettivi che riteniamo desiderabili: un'autonomia finanziaria, una compagna/o per la vita, qualche figlio, una casa comoda ed accogliente, ecc. Ma quanti di noi sono disponibili a fare i mutamenti interiori necessari per realizzare tutto ciò? Ognuno di questi obiettivi rappresenta un passo fondamentale nella storia evolutiva delle persone: significa abbandonare vecchie abitudini, modi di pensare obsoleti, significa morire a vecchie modalità di relazione per passare ad una nuova vita. Ognuno di questi obiettivi rappresenta una trasformazione profonda: rappresenta una morte ed una rinascita. Quando nel corso della vita di una persona, un determinato passaggio evolutivo è maturo, è pronto per essere oltrepassato, l'individuo deve attraversare una trasformazione profonda, a volte dolorosa: una morte. Tutti vogliamo crescere ed evolverci, ma chi di noi - per questo - accetta volentieri di morire? Nessuno! Ecco perchè nel nostro corpo, nella nostra psiche e nel nostro spirito insorge un conflitto: crescere o non crescere? Lo spirito dice saggiamente che è ora di nascere, la psiche non ne vuole sapere e il corpo ne fa le spese.


Prendiamo un caso concreto. Giovanni, un giovane di 30 anni, laureato, una buona carriera di funzionario in una società di informatica, soffre di cefalea cronica. Ha provato molti farmaci, di cui alcuni analgesici molto potenti che sono in grado di dargli sollievo, ma che cominciano a disturbare il fegato a causa della sempre maggiore dipendenza dal farmaco stesso e quindi delle maggiori dosi che è costretto ad ingerire. Quando si rivolge allo psicologo dichiara di non essere molto fiducioso nei trattamenti psicologici, ma è stato consigliato in tal senso da alcuni amici e dal suo medico. Dopo qualche seduta, l'uomo afferma di essere l'ultimo di 3 fratelli e di vivere con la madre vedova. L'idea di vivere da solo non lo interessa: la madre cucina, pulisce, lava la sua biancheria, si occupa dei conti di casa, mentre lui ha a disposione una grande camera. Si sente felice perchè lì può fare quello che vuole: portare gli amici, chiudersi a chiave con la sua fidanzata, ascoltare musica fino a tardi, ecc.


Tutto sarebbe perfetto, se non ci fosse questo malaugurato e cronico mal di testa a rovinare la festa. Giovanni non immagina che la cefalea sta cercando di comunicargli qualcosa: il suo unico interesse è addormentarla con una massiccia dose di Novalgina. Dopo quasi un anno di lavoro nelle sedute, Giovanni ha un'altra fidanzata e si appresta a trovare una casa per andarci a vivere assieme. La cefalea si fa più forte e pungente, ma già da tempo ha lasciato ampi spazi di tranquillità. E' perplesso perchè con la madre aveva tutto quello che desiderava, mentre nella nuova casa dovrà assumersi tante nuove responsabilità a cui non è abituato. Man mano che Giovanni accetta di seguire il suo progetto con la nuova fidanzata e di assumersi il dolore e i sensi di colpa che comporta il separarsi dalla madre, la cefalea è diventata più leggera: Giovanni comincia a non prendere più l'analgesico anche durante i sempre più rari attacchi ed ha imparato a massaggiarsi la nuca e il volto.


Dopo ulteriori 6 mesi, Giovanni vive con la sua donna in un appartamento in centro, la cefalea è scomparsa e la terapia si conclude. Ad una visita di controllo programmata, Giovanni non ha avuto alcun attacco acuto: solo una piccola emcrania dopo la visita in ospedale alla madre che si era slogata una caviglia, subito scomparsa senza alcun farmaco.


Finalmente Giovanni aveva imparato ad ascoltare il messaggio della sua malattia. L'azione continuata dell'analgesico reprimeva oltre al sintomo anche il significato positivo che questo aveva. Se Giovanni non avesse accettato di vivere il vero dolore, non quello della cefalea ma quello ben più profondo della separazione dalla madre, l'emozione non sarebbe emersa e il corpo avrebbe continuato a soffrire.


Solo il nostro Sè - la nostra parte spirituale - è in grado di comunicarci la trasformazione esistenziale che la vita ci chiede di fare; la nostra parte psichica insegue costantemente il piacere (perchè andar via dalla casa materna: si sta così bene? Perchè affrontare i sensi di colpa di lasciare sola una madre vedova? Perchè affrontare il dolore della separazione? Perchè affrontare questa morte?); e il corpo con il suo stato di salute diventa la pagina su cui siamo liberi di leggere o meno il nostro cammino evolutivo in armonia con le leggi della vita.

(di Paola Capriani)

Commenti al Post:
ormalibera
ormalibera il 18/02/12 alle 09:43 via WEB
Ottimo post, ho imparato che questa è la verità.
 
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