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« ATTIMILA PICCOLA »

LA NINA E GIULI

Post n°4 pubblicato il 01 Maggio 2012 da massimofurio
Foto di massimofurio

 

Più di quarantanni fa, tutte le sere verso le sette,d’estate, ci radunavamo in piazza. La Piazza è ancora oggi un triangolo stipato d’auto, (allora non ce ne erano), dove al vertice dei lati lunghi arriva la strada dalla città, la mia Genova, un lungo rettilineo costeggiato da un fiume pescoso e allora pulito, ove giocavamo nei periodi estivi e da ognuno degli altri due vertici partono strade e una è una ripida salita.

L’adunanza di noi bambini era dovuta ad un fatto, puntuale, ma non eravamo presenti solo noi, c’erano i commentatori acidi, come li chiamavamo, quelli che insomma non si facevano i fatti loro, mai. Per noi era divertente la parte iniziale e non capivamo data l’età il resto, il prosieguo grottesco e quotidianamente tragico, ma poi lo capimmo anche noi,ci volle poco in fondo.

Appena ci radunavamo, andavamo a passo svelto verso la città, andavamo incontro a Giuli, al suo carro e i suoi cavalli e alla Nina.

Il lungo rettilineo terminava con una curva secca la prima di una lunga serie, noi ci fermavamo lì, ci sedevamo sui prati ad aspettare e mai ci è passato per la testa di fare uno scherzo a Giuli e alle sue giumente e ai suoi castrati, avremmo potuto, lo facevamo a tanti. A quei tempi c’erano ancora mezzi ippotrainati, da bestie bellissime, cavalli danesi, spagnoli, toscani, erano carri da trasporto, da villici, calessini e il nostro fare era quello di tirare con la fionda, i pallini di piombo sulle immense e scolpite masse muscolari posteriori dei cavalli o anche muli che fossero, il forte pizzico li faceva schizzare in avanti con la conseguente e temporanea perdita di controllo del mezzo, e i conducenti, ci bestemmiavano a gran voce tutta la genealogia familiare viva e morta, con etipeti irripetibili, che si usano solo negli ambienti portuali, ma che scatenavano le nostre sguaiate risa, nascosti e al sicuro da ogni repressione. I pallini li facevamo noi e ci avevamo messo tanto prima di avere una buona riuscita, fondendo il piombo, recuperato fortunosamente o meno….., colandolo in un passino di acciaio, che lasciava cadere delle gocce di piombo fuso in un secchio d’acqua e si solidificavano formando delle piccole gocce irregolari e allungate, che usavamo oltre sulle ippoterga, anche per crivellare lucertole e passerotti. Ma ai cavalli di Giuli no, era rispettato, lui ci faceva salire sul carro, inconsapevolmente, ma ci faceva salire,ne avevamo avuto la tentazione e sarebbe stato bellissimo, dato che Giuli dormiva sempre,sai che scatto e che corsa incontrollata, ma i suoi cavalli erano speciali e in fondo ci volevamo bene, erano veramente speciali. Come sempre sentivamo sia lo scalpiccio che lo scampanellio, che personalizzava il carro di Giuli, un grosso carro a pianale tutto di legno, meccanismi compresi con un tiro a quattro cavalli danesi,i due castrati dietro e le due femmine davanti, le salmerie tutte di cuoio e metallo cromato. In fila, ci avvicinavamo incontro al carro, la femmina di destra, la Nina, ci vedeva e ci riconosceva, si fermava e tutti gli altri cavalli la imitavano e ci facevano salire, Giuli dormiva della grossa. La Nina si girava a guardarci se eravamo saliti tutti e poi ripartiva e gli altri assieme a lei. Giuli, uno degli ultimi carrettieri, sapeva far schioccare la frusta, la scurià, salendo o scendendo le ottave, quasi una musica ed era uno degli ultimi che andava ancora in porto a Genova a lavorare con i cavalli per spostare la merce dalle navi ai doks.Una razza di lavoratori in estinzione. Teneva carro e cavalli a metà della salita che parte dalla piazza e lo sentivo al mattino prestissimo attaccare i cavalli, parlando con affetto alle femmine e con un pò di durezza ai castrati, in fondo erano maschi anche se mutilati, erano le quattro del mattino a volte anche prima, solo attrezzava carro e animali, caricava le cassette della frutta e della verdura che i contadini gli portavano alla sera, fuori della scuderia e altre ne caricava nel tragitto verso Genova. Io abitavo in un palazzo, al sesto piano che era in linea d’aria, una cinquantina di metri dalla scuderia, un paio di volte la settimana, mio padre partiva a quell’ora per andare a lavorare a Milano e nel baciarmi sulla fronte, io che ho sempre avuto il sonno leggero, mi svegliavo, non gielò mai detto, ma era l’unico bacio che mio padre mi abbia mai dato, da bambino e poi basta neanche una carezza o una pacca sulle spalle, mai. Dopo andavo sul poggiolo d’estate o dalla finestra d’inverno e dopo veder mio padre che partiva con la 600, guardavo Giuli nella sua fatica mattutina, nelle stagioni fredde caricava saltuariamente qualcosa, tipo legnami di qualità, allora lo aiutava i figlio e le quattro figlie. Ma d’estate faceva con le cassette della frutta un cubo sul pianale che poi immagino si allungasse via via strada facendo, legato come si lega una vela di una nave, poi andava a vendere al mercato, la frutta per conto di tutti e da tutti aveva piena fiducia su prezzi di vendita e trasporto, era un brav’uomo, lo vedo come se fosse ora, magro quasi secco, intabarrato d’inverno e in canottiera con paglietta d’estate, camicia appesa alla frusta e fazzoletto al collo, mai ha usato la frusta sulle sue bestie, al massimo la faceva schioccare sulle loro teste e loro capivano. Le grosse ruote del carro, un pianale a più di un metro, di travi massicce, il tiro di bestie stupende, criniera bianca e il pellame marrone i musi grigi, gli occhi attenti, intelligenti, pazienti, la Nina era umana era una bestia straordinaria, entrava per ultima nella stalla alla sera e usciva per prima al mattino, qualunque tempo ci fosse, Giuli le parlava in Genovese e lei parlava agli altri del tiro nel linguaggio dei cavalli, passava gli ordini di Giuli, le volevamo tutti bene, quando salivamo sul carro la accarezzavamo tutti, sempre, com’era sudata, erano tutti sudati marci.Il carro procedeva con noi addosso, l’ultimo chilometro prima della piazza, tutto pianeggiante, Giuli dormiva, ubriaco marcio,era il suo unico vizio, il vino. A quei tempi, le osterie erano frequentissime, quasi ad ogni angolo e l’unico vino forte era il barbera e gli uomini ne facevano un uso smodato, forse unica terapia contro una vita faticosa oltre ogni modo, bevevano per dimenticare, l’ultima osteria era a quattro chilometri dal paese ma i cavalli si fermavano da soli a quella e alle altre sul tragitto, Giuli ubriaco continuava a bere, i soliti “gotti” da un quarto. Come puzzava pover’uomo, con la mano destra teneva le redini, poggiando l’avambraccio alla coscia destra con la schiena piegata ad arco, poggiata allo schienale a panca e con la sinistra si teneva ad una piccola ringhierina in ferro, la presa era molle, ma la Nina era dolce, si fermava ai semafori, che erano si pochi, ma c’erano, come poche erano le macchine, ma lei era un essere umano non una cavalla, attraversava tutta la città e ripartiva dolce senza scossoni e portava carro, i suoi uguali e Giuli a casa, tutte le sere lavorative dell’anno. Poco prima della piazza, la Nina si fermava e noi scendevamo, poi ripartiva dolce e piano piano prendeva un ultima leggera corsa in abbrivio alla salita di casa e tutti i presenti sulla piazza stavano a guardare, non so se in ammirazione di lei o se speravano che succedesse qualche tragedia, con Giuli che dormiva come in coma, arrivati alla stalla i cavalli si fermavano e impuntavano le zampe sulla salita e se non c’era nessuno, la Nina, nitriva con la testa girata verso casa ad avvisare che erano tornati. Uscivano allora le figlie e la moglie, la Iole, una donna stupenda, una bellissima contadina forte ed energica e facendosi aiutare dalla figlie, belle come lei facevano scendere Giuli a braccia dal carro. Il figlio tirava il freno e teneva i cavalli che comunque erano immobili, la Nina guardava girata verso Giuli sbuffando stanca e nervosa. Era un momento delicato, nessuno che non fosse della famiglia si poteva avvicinare, Giuli era uno straccio e parlava a vanvera, bestemmiando e i commentatori acidi che esternavano il loro ben pensare,inutile e fazioso erano gli stessi che poi la domenica, caso mai ce ne fosse stato il bisogno, insieme a Giuli si ubriacavano, giocando a carte. Noi li guardavamo e meditavamo le solite vendette….. dopo andavamo ad aiutare Riki e le sorelle a sistemare i cavalli, mettere a posto il carro e poi puzzando di cavallo andavamo a casa. La domenica, c’erano dei prati dietro la casa di Giuli e i cavalli se ne stavano lì a riposo strameritato, e a volte andavamo a toccare la Nina accarezzandola e le parlavamo, lei ci fissava comprensiva e incuriosita. La cosa strana era che in tutta la casa che era un po’ la casa di tutti noi ragazzi della banda, nessuno ha mai fatto critica a Giuli per il suo bere, al figlio nessuno di noi aveva mai rinfacciato che il padre era un’ubriacone e la moglie e le figlie andavano fiere a braccetto del padre per le vie del paese. Era un personaggio il Giuli, beveva, ma non aveva alzato mai le mani ne in famiglia ne fuori, era un uomo d’onore, tutto ciò che gli veniva affidato lo corrispondeva come pattuito, portava i soldi nella cintura. Mai nessuno si era lamentato, la famiglia si reggeva sulla Iole, le figlie erano incredibili, lavoravano la terra come uomini ed erano bionde e bellissime come la madre, una donna vichinga, una vera valchiria. Giuli mori di cirrosi, lo portarono al cimitero col suo carro tirato dai suoi cavalli, vennero i carrettieri del porto, quelli che lo erano stati o che restavano e  schierati a doppia fila di fronte, fecero schioccare le fruste in suo onore, al passaggio della bara, il più bel funerale che ho mai visto. Nessuno della famiglia piangeva, Riki era il più piccolo dei figli era come noi, un pivello, ma vi fu continuazione nel lavoro del padre, a portarlo avanti furono le due figlie più grandi. Quando si sposarono andarono in chiesa sul carro, li tutti piangevano, ma dalla gioia. Ora il Riki ha un’impresa di autotrasporti, e dopo aver comprato il primo autocarro, i cavalli invecchiati, erano ormai da tempo sempre nei prati e nella stalla, vennero venduti a poco a non so chi, anzi lo so benissimo ma non lo voglio dire, mi fa male solo pensarci. Quando fecero salire i cavalli sul camion la Nina non voleva salire, nitriva e scalciava, si guardava in giro come impazzita e mi guardo e io ero lì, ipocrita come tutti gli altri, piansi come se fosse la mia. A Riki, fini male quel giorno, si chiuse in casa gonfio in faccia. Gliele abbiamo date tutti. Ora, nella stalla scuderia c’è un posteggio per auto, nessuno della famiglia abita più sul posto, anche la Iole se ne è andata ed è vicino a Giuli, le figlie fanno sempre le contadine, però su trattori da capogiro, in un’altra terra, non qua, vedo i camion di Riki che scorrazzano per le strade nazionali, e mi stà bene, ma quando guardo la salita e passo davanti la stalla, vedo ancor Giuli e la Nina che si parlano, sento l’odore di cavallo, vedo il carro, vedo ancora il fiume pulito, la mia anima è lì, ed io vorrei essere con lei.

 
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