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Addio, luglio.

Post n°503 pubblicato il 26 Luglio 2017 da lab79

Una piuma leggera, grande quanto il cielo da orizzonte a orizzonte, copre il sole per un momento. Per un istante ma poi corre via, portata via da una brezza solida, fresca come fosse un aprile. Aprile non è. Luglio se n'è quasi andato, infinito eppure brevissimo, come se fosse l'intera stagione di una vita. Per un momento (o forse tanti momenti diversi) mi è sembrato l'infinito luglio di tanti anni fa, quando  ero ancora ragazzo, e le estati erano lunghe e noiose da attraversare. Ma forse altro non è stato che il naturale defluire del tempo, che col tempo pare smettere di essere fiume, per diventare un rigagnolo.

Ho visto in queste settimane il mare, quel mare lontano che una volta credevamo frontiera e che invece è soltanto l'ultimo pozzo affamato di uomini, che separa i disperati dalle prime pagine dei giornali. E per vederlo ho attraversato la lunga striscia sottile di terra in cui viviamo, e che alcuni di noi possono chiamare casa. Benedetti coloro che hanno una terra da chiamare casa. E per attraversarla ho scelto la notte, rifugio ultimo per chi come me ha un cuore di pistrello, ali senza piume, per attraversarla. E ho letto i nomi dei luoghi intanto che i chilometri divoravano la strada, e in un ruggito sonnolento mi aggrappavo alla strada per restare sveglio, almeno fino all'alba. 

E ho camminato ancora lungo la spiaggia morbida, a lasciare che il mare cancellasse le mie impronte, per vederle sostituite da quelle di mio figlio. E ho inventato storie per raccontargli delle barche che si inoltrano nel mare, e l'ho lasciato torturare i piccoli pesci che pescavo col retino, perché capisse la fragilità della vita. E ha pianto ogni volta che ha bevuto l'acqua salata, nel tentativo di nuotare da solo. E ha imparato che di tanto in tanto capita, e che va bene così. Che nonostante l'amaro del sale il mare sa essere dolce da accarezzare, e limpido al punto di lasciare intravedere la vita che concede, appena sotto il pelo dell'acqua. 

E l'ho visto dormire, e nei lunghi sonni della notte l'ho visto sognare. Ma i suoi sogni no, quelli non mi è concesso di scrutarli. E una volta ho posato la mano sul suo petto, e mi ha stretto un dito con dolce fermezza, come faceva una volta, quando appena nato i suoi sogni gli facevano becheggiare la fronte, come le barche sulle onde di un mare che mi sembra quasi di poter sentire sciabordare contro il legno bagnato. 

E in questa comtemplazione stanca del mio piccolo mondo mi sono perso, e non mi sono ancora ritrovato. 

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Commenti al Post:
anastomosidisabbia
anastomosidisabbia il 26/07/17 alle 16:26 via WEB
Mio zio, il fratello di mio padre, era impiegato in banca. Il suo stipendio era superiore alla somma di quelli dei miei genitori, insegnanti delle elementari. Le uniche passioni di mio zio erano l'orto e la montagna. La sua sola caratteristica sembrava essere il senso dell'umorismo; ma ricordo che soffriva di crisi depressive, forse dovute alla tensione di maneggiare del danaro e di non potersi permettere di sbagliare. Mio zio ha avuto quattro figli maschi: bravi ragazzi, intelligenti. L'ultimo ha ereditato il senso dell'umorismo del padre: cominciò a lavorare come garzone di macelleria, d'estate faceva l'artista di strada a Vienna. In seguito si trasferì a Vienna per lavorare alla reception di un albergo, imparò il tedesco oltre all'inglese che sapeva già. Per le ferie andava in Sud America da un amico volontario. Conobbe una ragazza argentina, studente di medicina. Ora vive a Rosario, in Argentina, e a quarant'anni sta per laurearsi in antropologia. A settembre lui e Mariasol si sposeranno in chiesa. Mio zio e mia zia, che non sono mai usciti dalla regione del Veneto, voleranno oltre oceano. Mia zia ha già preparato le valigie: le fa, le disfa, le rifà... Credo che i figli siano la cosa migliore della vita di mio zio: li ha lasciati sognare a modo loro ed ora l'ampliarsi dei loro orizzonti allarga anche il suo.
 
 
lab79
lab79 il 10/08/17 alle 05:47 via WEB
Ma ci vuole tanto, tanto coraggio per lasciare andare chi si vuole bene, così lontano. Io spero di esserne, un giorno, capace.
 
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