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Che lapide non abbia

Post n°251 pubblicato il 07 Ottobre 2013 da lab79
 

Questa non è una tragedia. Questo non è caso. Questo è dolore, ma dolore di tutti i giorni. E' soltanto il mondo che ha bussato al vetro del nostro acquario, un po' più forte. Ridestati dal nostro sonno abbiamo incrociato gli occhi di chi ai propri sogni rinuncia, lasciandoli andare un po' per volta, insieme al proprio respiro. Gli occhi di chi, diventando carcassa per i pesci, dona i propri sogni al mare: che li culli lui almeno un poco, per chi non ha più braccia per farlo. Poi arriveranno i pesci, a cancellare ogni resto. Poi arriveranno i gabbiani, a divorare quel che resta. E se un singulto di tristezza vi riporta al pensiero che in fondo anche loro erano uomini, ricacciatelo dentro. Che tanto erano uomini di un'altra razza. 

Miravano alle nostre case, bramavano le nostre cose. Venivano per depredarci di quel che abbiamo, a mendicare quel che avanziamo, a placare la loro sete con l'acqua che a fatica sprechiamo. Noi non li volevamo.

Adesso il mare si è chiuso, lentamente le voci svaniscono, la vista si offusca. Ritorna il sonno, il ronzio confortante della tv. Resta ancora una lacrima, scappata chissà come alla nostra attenzione, ma ormai è secca sulla pelle, come naufraga sul bagnasciuga. 

Non abbiamo più da temere.

Ed intanto da qualche parte risuona una canzone, ma piano, come il fruscio della pioggia una notte d'autunno. Ed io, abbandonata ogni preghiera, sussurro l'epitafio dell'umanità intera.

 

"Questa é la ballata di chi si é preso il mare
che lapide non abbia, ne ossa sulla sabbia
né polvere ritorni, ma bruci sui pennoni
nei fuochi sacri, nei fuochi alati
della Santissima dei naufragati..." 

 


S.s. Dei Naufragati - Vinicio Capossela, Ovunque proteggi, 2006 

 
Rispondi al commento:
lab79
lab79 il 15/10/13 alle 03:24 via WEB
Non lo so. Io sono qui, mi rileggo e non ho osato per giorni scrivere, perché mi sembra un pensiero così misero scrivere che mi dispiace. Mi rendo conto che il privilegio di essere vivo è pagato dalla morte di qualcun altro. Mi rendo conto che avrei potuto (Avrei dovuto?) essere uno di loro. Galleggiare nel mare carico delle mie illusioni, monito del prezzo di una vita: non dico migliore, non dico felice. Dico solo, una vita. Non riesco a non provare tristezza quando sento che chi mi circonda in fondo gioisce, perché può negare a se stesso che i morti divorati dal mare siano uguali a noi.Ma noi abbiamo privilegi che ci pongono al riparo dal pericolo. Noi viviamo nel silenzio del nostro acquario. Non so. Guardo il mio riflesso nello schermo mentre scrivo, e mi invade il terrore di sapermi chiuso nel lato pieno dell'acquario. Sapere che se sono vivo, è solo un caso, e non ho alcun merito al riguardo.
 
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