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Imparare a scrivere

Post n°274 pubblicato il 16 Gennaio 2014 da lab79
 
Tag: blog, musica

Non mi spiego mai quanto dovrei. Mi rifugio in ermetismi barocchi, certe volte, che sono inutili. Non ho tesori da nascondere tra le pieghe delle mie parole, in fondo. Nulla che valga la pena di essere saccheggiato.

Non mi spiego e certe volte neanche mi curo di venir capito. Come se non avesse nessuna importanza, e invece ne ha molta. Perché non potrò mai capire gli altri, e meno ancora me stesso, se non mi curo di spiegarmi. 

Ma cosa mai ci sarà da spiegare?

A volte sono le parole stesse che ritornano. Se le leggeste ad alta voce, le notereste ancora prima, le parole che ritornano. Come lo sciabordìo delle onde contro gli scogli, leggermente diverso ogni volta che si ripete. Il cardine intorno al quale si muove l'intera frase, come se servisse a disorientare chi legge, togliendogli punti di riferimenti che non siano quel centro. Altre ancora sono assonanze, parole dal suono simile e dal diverso significato, ognuna come fosse uno scalino che scende a chiocciola nel cuore del significato delle cose: ma questo è un trucco che sanno usare davvero solo i poeti.

Altre volte un'immagine che ho davanti agli occhi, oltre la porta a vetri, mentre scrivo. Un inseguire un istante prima che sia passato, oppure a cercarne uno uguale in un tempo che non sia ora, o in un luogo che non sia qui. Come se gli istanti di una vita si ripetessero sempre uguali, dando accesso diretto ai loro gemelli nel passato e nel futuro. Finestre aperte sul giardino in cui crescono rigogliose le mie angosce, o peggio le mie malinconie.

Certe volte, come nei racconti, sono pure fantasie senza meta, farcite di tutto quanto di vero su di me io sia pronto a smentire. Le mie opinioni ondivaghe, i vizi e i capricci malcelati dal mio trasporle su personaggi di mia fantasia. 

Alcune volte, le parole sono dediche, a chi per un momento o per una vita intera ha trovato un posto nel mio cuore. Sono dedicate a te.

Altre volte, invece, sono uno scrigno illeggibile dall'esterno.

Quelle volte, non di rado, la chiave è la musica.

I ricordi legati a quella canzone. Le persone con cui l'ho condivisa. I momenti in cui l'ho ascoltata, per la prima o l'ultima volta. Certe volte ancora è il titolo, più spesso è il testo: una parola, una frase o la poesia intera ad essere il codice attraverso cui decrittare quel che ho scritto.

Certe volte non è niente di tutto questo. 

Certe volte sono solo parole gettate al vento, per vedere quanto lontano possano arrivare.

Per scoprire se almeno le mie parole, un giorno, impareranno a volare.

Learning to fly - Pink Floyd (A momentary lapse of reason, 1987)

 

 
Rispondi al commento:
lab79
lab79 il 23/01/14 alle 05:33 via WEB
E allora non sono il solo a cui, ogni tanto, fanno male.
 
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